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Il matrimonio di Chiffon
Il matrimonio di Chiffon
Il matrimonio di Chiffon
E-book199 pagine2 ore

Il matrimonio di Chiffon

Di Gyp

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Info su questo ebook

Tutti vogliono sposare la bella Chiffon, sedicenne inquieta e irriverente, sempre in guerra con il mondo e con la testa fra le nuvole. La madre, nobile francese, la vorrebbe moglie di un colonnello molto più anziano di lei (ma anche molto più ricco). Chiffon, determinata e bellissima, preferisce invece temporeggiare, ed evita qualsiasi occasione di incontro mondano, dalle cene ai balli, che possa metterla in un pasticcio sentimentale. C’è tempo, pensa, per l’amore della vita, per innamorarsi dell’uomo giusto. Ma i pretendenti non mancano e l’assedio continua: il piccolo (di statura) rampollo di buona famiglia, un erede al trono bello e dai modi gentili ed educati. Chiffon dice solo e soltanto di no. Ma l’amore e la passione la conquisteranno a tradimento, in maniera inattesa e divertente. E sarà proprio lei, Chiffon, a chiedere incredula la mano del suo futuro marito. Il matrimonio di Chiffon, capolavoro della scrittrice francese Gyp, racconta le avventure di uno dei personaggi femminili più divertenti e riusciti della letteratura rosa di tutti i tempi.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2019
ISBN9788893041737
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    Anteprima del libro

    Il matrimonio di Chiffon - Gyp

    2019

    Capitolo I

    - Moglie di un ufficiale! Che bel mestiere! Sarebbe lo stesso che propormi di fare il guardiano in un collegio!

    La marchesa de Bray alzò le spalle:

    - Quando saprai di cosa si tratta...

    - Anche se fosse monsieur Trène, che tutti dicono così elegante, non vorrei saperne, quindi...

    - Non vorresti saperne? Davvero? Tuttavia, non hai il diritto di fare la schifiltosa, perché...

    - «Perché tuo padre non ha lasciato che debiti e tu non hai un centesimo...» Ah! La conosco bene questa frase. Me l’avete¹ ripetuta fin troppo, perché io non la dimentichi!

    - E allora?

    - Bene, benissimo che sono povera... ma non mi sposerò controvoglia.

    - Tanto più - disse timidamente monsieur de Bray - che, pur non essendo ricca, hai una dote...

    - Una dote?... - chiese, stupita, la ragazza.

    - Una dote che mi dai tu, allora?

    I suoi teneri occhi, di un grigio pallidissimo, che ridevano attraverso le ciglia nere, straordinariamente lunghe e folte, rivolsero un affettuoso sguardo a monsieur de Bray.

    Irritata, la marchesa esclamò seccamente:

    - Inutile farle conoscere quel che non è necessario che sappia... per renderla ancora più smorfiosa.

    - Come, smorfiosa? - gridò Coryse, indignata. - Smorfiosa perché? Tre mesi fa ho compiuto sedici anni e, che io sappia, nessuno ha ancora chiesto la mia mano.

    - Sì, c’è chi la chiede... e voi rifiutate prima di sapere...

    - Perché non voglio sposare un ufficiale, mai! Ne vedete molte qui, di mogli d’ufficiali. Non ne mancano nei quattro reggimenti. Ebbene, per nulla al mondo, vorrei essere al loro posto: non ho la... vocazione, non sono abbastanza educata. Sento che se il mio colonnello avesse una moglie come madame de Bassigny, per esempio, non sarei capace di farle visita, assolutamente no.

    E, girandosi verso il fondo del salone, come per trovare un appoggio, chiese:

    - Non ho ragione, zio Marc?

    Senza lasciare il tempo a zio Marc di rispondere, madame de Bray dichiarò:

    - Ciò non riguarda vostro zio. Volete, sì o no, ascoltarmi un momento?

    E con tono solenne:

    - L’uomo che vi fa l’onore di chiedere la vostra mano è il duca d’Aubières...

    Si arrestò un istante, facendo leva sulla sorpresa della figlia. E, infatti, il piccolo volto irregolare ma simpatico di Coryse esprimeva uno stupore profondissimo.

    Madame de Bray scambiò quello stupore per un impeto di gioia e continuò con aria di trionfo:

    - Allora, che ne dite?

    La ragazza scoppiò in una risata.

    - Dico - rispose - che casco dalle nuvole!

    E, senza preoccuparsi degli sguardi minacciosi di sua madre, proseguì pacatamente:

    - Sì, monsieur d’Aubières ha per lo meno quarant’anni, perché è colonnello... è piuttosto brutto e, a quanto sento dire, non ha un ingente patrimonio.

    La marchesa squadrò la figlia con disprezzo:

    - Ah, benissimo! Ecco che pretendete una fortuna, adesso!

    Coryse scosse il capo troppo biondo.

    - Oh, no! Non faccio questioni di denaro... A condizione, però, che io non sia duca... voglio dire duchessa. È ridicolo un grande titolo con una rendita meschina. Con ciò non dico che, se ne avessi uno, per nascita, andrei a metterlo tra la roba fuori uso, in cantina, con il pretesto della mancanza di patrimonio. Questo no!... Mi darebbe fastidio quel titolo, ma, insomma, lo porterei lo stesso, perché non sarebbe colpa mia. Del resto, poi, non rifiuto soltanto per il titolo...

    - Per la carriera, allora?

    - Soprattutto per il... candidato.

    - Ma avete detto e ripetuto cento volte che monsieur d’Aubières era simpaticissimo e vi piaceva molto...

    - Certo, mi piace molto! Ma non per sposarlo. Innanzi tutto, trovo che sia vecchio; e, poi, non mi sembrerebbe troppo divertente essere obbligata a vivere sempre accanto a lui.

    La marchesa lanciò sul marito uno sguardo carico di rancore, e rispose:

    - Non ci si sposa per fare una cosa divertente!

    - Bene! Ma io non mi sposerò se non a questa condizione.

    - Questa ragazza è pazza! Ecco, preferisco andarmene!

    E, alzatasi con un movimento che lei credeva pieno di nobiltà, ed era invece abbastanza ridicolo, la marchesa uscì a grandi passi dal salone.

    Richiusa con gran rumore la porta, monsieur de Bray disse dolcemente:

    - Hai torto, Coryse, di...

    Coryse, che - ad onta della rumorosa uscita di sua madre - era rimasta tranquillissima, sprofondata nella vecchia poltrona di seta sbiadita, che la nascondeva tutta, si alzò bruscamente:

    - Perché mi chiami Coryse? Perché non dici Chiffon? Anche tu sei arrabbiato?

    - Non sono arrabbiato, ma...

    - Sì, sei irritato! Me ne accorgo... E, sentiamo, che cosa volevi dire, quando t’ho interrotto?

    - Ma... nulla, non ricordo più...

    - Mi ricordo io! Dicevi: «Hai torto di...». Di che cosa ho torto?

    - Di discutere, come fai, con tua madre.

    - Come? Vuoi che mi lasci sposare, così, senza difendermi?

    - Non ho detto questo...

    - E che dici, allora?

    - Dico che senza... senza...

    - Lo vedi che t’impappini?

    - Ma...

    - T’impappini... garantito! E ti sfido a cavartela con la tua spiegazione... Sì! O io non lascio correre e discuto... o io non discuto e lascio correre.

    - Potresti, a stretto rigore, discutere, ma con un altro tono e, soprattutto, con altri termini. Il tuo modo di parlare esaspera tua madre.

    - Sì, lo so. A lei piace lo stile noble!

    Tutta la tenerezza e tutta l'infinita bontà ch’erano negli occhi della ragazza scomparvero, e lei aggiunse con un tono aspro:

    - È tanto distinta... lei!

    Monsieur de Bray, con aria di desolazione, disse:

    - Mi fai molto, molto dispiacere.

    - Mio Dio!... Non vorrei dartene mai, di dispiaceri, io! Ti voglio molto bene, sai?

    - Anch’io te ne voglio molto.

    - E allora perché vuoi mandarmi via... farmi sposare a tutti i costi?

    - Ma io non voglio.

    - Sì, lo vuoi! E io ho appena sedici anni e mezzo! Ti prego, lasciami tranquilla, lasciami vivere ancora qui!

    S’interruppe e, contando sulle dita:

    - Ancora cinque anni... anzi neppure cinque anni interi... Poi me ne andrò. Te lo prometto... te lo prometto!

    I dolci occhi azzurri si intorbidirono e alcune lacrime rotonde, simili a pallottoline di vetro, scivolarono, senza deformarsi, sulle fresche guance di Coryse.

    Corysenda d’Avesnes, che tutti solevano chiamare Coryse, o, più abitualmente, Chiffon, era una ragazza solida e flessuosa, molto più bambina che ragazza, ancora con tutte le angolosità e le sproporzioni dell’infanzia, e con la pelle trasparente dei bambini, sotto la quale sembrano trascorrere rosee luminosità. I suoi movimenti, agili e pieni di armonia, anche se un po’ sgraziati, facevano pensare a quelli di un cagnolino, e irritavano sua madre quasi quanto il linguaggio troppo poco corretto.

    Molto infatuata della propria persona, madame de Bray considerava, in genere, tutti coloro con i quali le esigenze sociali la obbligavano a vivere, come poveri esseri che lei onorava immensamente degnandosi di abbassarsi fino al loro livello. Aveva passato la vita a disprezzare e a tormentare le buone e semplici persone che la circondavano: e, primo fra tutti, il conte d'Avesnes, il padre di Coryse, che aveva avuto il buon senso di lasciare questo mondo dopo due anni di matrimonio e che, d’altra parte, non aveva esitato a organizzarsi, fuori, un’esistenza, che, in casa, gli era diventata impossibile. La vedova, rimasta priva di mezzi, era andata ad abitare con la figlia in casa di uno zio e una zia che adoravano la bimba e l’avevano educata fino all’epoca del secondo matrimonio della madre. Madame d’Avesnes faceva poche apparizioni in casa degli zii de Launay. Viaggiava spesso e si tratteneva o a Parigi o presso amici, perché - come diceva - non le riusciva ad assuefarsi alla vita di provincia.

    In una delle sue gite a Pont-sur-Sarthe, lei piacque al marchese de Bray, che era molto ricco e simpatico. La vedova del conte d’Avesnes cominciava a diventare matura e comprendeva che la sua bellezza, tutta freschezza e istinto, non avrebbe tardato a svanire. Invece di essere per il marchese ciò che era stata per molti altri, lei riuscì a trascinarlo, dolcemente e con grande abilità, al matrimonio. E si risposò - dopo essersi rassegnata a regnare a Pont-sur-Sarthe poiché non poteva brillare altrove - gridando a chi non voleva saperlo che il suo era un atto di abnegazione per assicurare l’avvenire della figlia.

    E cominciò, allora, per il povero marito, una resistenza spaventosa, fatta di rimbrotti e di silenzi, di scenate e di riconciliazioni, che avevano trascorsa il suo predecessore e anche gli zii de Launay, i quali sopportavano tutto per amore del loro piccolo Chiffon, che temevano tanto di perdere. Ma le maggiori noie erano riservate a Coryse. Tutto, nell’indole della ragazza, urtava le idee di madame de Bray, ristrettissime sotto certi punti di vista e smisuratamente ampie sotto altri. Fanatica per la nobiltà e anche per il denaro, dal giorno in cui ne ebbe, innamorata, soprattutto, della pompa e della posa, lei non poteva perdonare alla piccola Coryse una semplicità e una franchezza che, per lei, erano incomprensibili. Non avendo un tipo determinato, nel senso vero della parola, la marchesa se ne era creato uno posticcio su modelli diversi e insignificanti. Aveva imparato a parlare a teatro e a pensare nei romanzi e, poiché in fondo non aveva alcuna finezza, né di sentimenti, né di sensazioni, applicava male ciò che comprendeva imperfettamente. Così le capitava di arrivare, per esempio, quando voleva mostrarsi tragica, a effetti così intensamente comici che provocavano in Chiffon crisi di pazza ilarità. Era volgarissima, sia d’aspetto, sia di movenze, e rimproverava senza posa alla figlia di essere un tipo comune e di non avere neppure quell’aria distinta, che era una «prerogativa dei d’Avesnes».

    Vedendo piangere Coryse, che non piangeva mai, monsieur de Bray, sconvolto, non ebbe altro pensiero che quello di consolarla come meglio seppe:

    - Avanti, piccolo Chiffon, sii ragionevole. Tutto si aggiusterà.

    Lei rispose, scuotendo con aria di sconforto la testa arruffata:

    - Si aggiusterà sposando monsieur d’Aubières? Eh! Non domanderei di meglio, io... se non fossi convinta che, facendolo, commetterei una cattiva azione e renderei infelice quel brav’uomo... Sì, lo sposerò subito... così mi toglierò dai piedi.

    - Non è bello parlarmi così!

    - Non parlo così per te. E lo sai bene!

    - Ma neppure tua madre desidera che tu te ne vada.

    - Avanti! Non pensa ad altro! Ha tanta paura che non mi sposi, e, soprattutto, che non faccia un buon matrimonio! E non perché pensi alla mia felicità! Oh, no! È un particolare trascurabile, questo! Ma è per vanità, capisci? È per avere la soddisfazione d’essere invidiata da questi o da quelli... per colmare di stupore i borghesi di Pont-sur-Sarthe e fare rabbia ai suoi amici. Non per altro!

    - Sono mortificato di sentirti parlare così di tua madre.

    - Che cosa devo farci? Non posso impedirmi di dire quello che penso. È più forte di me!

    - Precisamente, non bisogna pensare certe cose...

    - E come vuoi che non le pensi? Come vuoi che creda che mi voglia bene? Prima che tu entrassi in casa, si è mai occupata di me se non per rimproverarmi o per rimproverare quelli che, secondo lei, mi viziavano? Se non avessi avuto gli zii de Launay, e, più tardi, te, sarei mai stata curata... qualcuno mi avrebbe fatto una carezza? Ah, sì! Ero accarezzata! Due volte all’anno... quando partiva e quando tornava dai suoi viaggi. La scena avveniva sotto la porta di servizio, dove stavo avviticchiata alle gonne della balia, tremante per il ritorno di mia madre nella casa così tranquilla quando lei non c’era! Oh! Erano vere effusioni! «Corysenda mia! Figlia mia!» A sentirla, si sarebbe creduto di assistere a una rappresentazione di tragedia e che io fossi stata appena ritrovata in fondo a un sotterraneo! E mi stringeva al seno fino a togliermi il respiro! Tutto per i domestici e il conduttore della diligenza che scaricava i bagagli... ma, poiché loro conoscevano bene la storia, non se la bevevano! Che importava? Il piccolo squarcio melodrammatico veniva loro offerto lo stesso!

    E, ridiventata allegra, la ragazza concluse con aria bonaria:

    - Sai che non le è mai piaciuta la semplicità...

    - Esageri certe imperfezioni...

    - Io esagero?... Ma non è possibile che tu sia convinto di quello che dici... tu che non ti dai mai arie e ti preoccupi tanto poco dell’impressione che produci!

    - Prendi gusto a contrariare tua mamma per cose insignificanti.

    - «Tua mamma?!» Stai attento! Se ti sentisse?

    E, poiché monsieur de Bray dava alla porta un'occhiata piena d’inquietudine, Chiffon gridò:

    - Hai avuto paura, eh?,... - e aggiunse con tono solenne - ... di aver dimenticato che «mamma» è una parola buona per il popolino... una parola che bisogna lasciar dire ai portinai. Le persone che hanno certi natali si devono esprimere in un altro modo!

    - Dal momento che ha la debolezza di badare a questo particolare, perché non soddisfarla?

    - Ma io la soddisfo... Ma io non faccio altro, accidenti! Quando le parlo non la nomino mai... evito; ma, parlando di lei, dico un «mia madre» grosso così... Ne ho piena la bocca; ma non il cuore! Ah, non è colpa mia... Ho tentato! E, soprattutto, dal giorno in cui tu hai preso il posto del povero papà... Sei stato così buono per la bimba

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