Tutto per bene. L'amica delle mogli
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Luigi Pirandello
Luigi Pirandello (1867-1936) was an Italian playwright, novelist, and poet. Born to a wealthy Sicilian family in the village of Cobh, Pirandello was raised in a household dedicated to the Garibaldian cause of Risorgimento. Educated at home as a child, he wrote his first tragedy at twelve before entering high school in Palermo, where he excelled in his studies and read the poets of nineteenth century Italy. After a tumultuous period at the University of Rome, Pirandello transferred to Bonn, where he immersed himself in the works of the German romantics. He began publishing his poems, plays, novels, and stories in earnest, appearing in some of Italy’s leading literary magazines and having his works staged in Rome. Six Characters in Search of an Author (1921), an experimental absurdist drama, was viciously opposed by an outraged audience on its opening night, but has since been recognized as an essential text of Italian modernist literature. During this time, Pirandello was struggling to care for his wife Antonietta, whose deteriorating mental health forced him to place her in an asylum by 1919. In 1924, Pirandello joined the National Fascist Party, and was soon aided by Mussolini in becoming the owner and director of the Teatro d’Arte di Roma. Although his identity as a Fascist was always tenuous, he never outright abandoned the party. Despite this, he maintained the admiration of readers and critics worldwide, and was awarded the 1934 Nobel Prize for Literature.
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Anteprima del libro
Tutto per bene. L'amica delle mogli - Luigi Pirandello
DIGITALI
Intro
In questa edizione sono riunite insieme due delle più celebri novelle del grande Luigi Pirandello: Tutto per bene e L’amica delle mogli. Tutte e due le novelle, delle quali l’autore ha composto anche le trasposizioni teatrali, trattano in forma più o meno dissimulata lo stesso incolpevole argomento: la solitudine.
TUTTO PER BENE
I.
La signorina Silvia Ascensi, venuta a Roma per ottenere il trasferimento dalla Scuola normale di Perugia in altra sede – qualunque e dovunque fosse, magari in Sicilia, magari in Sardegna – si rivolse per aiuto al giovane deputato del collegio, onorevole Marco Verona, che era stato discepolo devotissimo del suo povero babbo, il professor Ascensi dell’Università di Perugia, illustre fisico, morto da un anno appena, per uno sciagurato accidente di gabinetto.
Era sicura che il Verona, conoscendo bene i motivi per cui ella voleva andar via dalla città natale, avrebbe fatto valere in suo favore la grande autorità che in poco tempo era riuscito ad acquistarsi in Parlamento.
Il Verona, difatti, la accolse non solo cortesemente, ma con vera benevolenza. Ebbe finanche la degnazione di ricordarle le visite che, da studente, egli aveva fatto al compianto professore, perché ad alcune di queste visite, se non s’ingannava, ella era stata presente, giovinetta allora, ma non tanto piccolina, se già – ma sicuro! – se già faceva da segretaria al babbo…
La signorina Ascensi, a tale ricordo, s’invermigliò tutta. Piccolina? Altro che! Aveva nientemeno che quattordici anni lei, allora… E lui, l’onorevole Verona, quanti poteva averne. Venti, ventuno al più. Oh, ella avrebbe potuto ripetergli ancora, parola per parola, tutto ciò ch’egli era venuto a chiedere al babbo in quelle visite.
Il Verona si mostrò dolentissimo di non aver seguitato gli studi, pei quali il professor Ascensi aveva saputo ispirargli in quel tempo tanto fervore; poi esortò la signorina a farsi animo, poiché ella, al ricordo della sciagura recente, non aveva saputo trattener le lagrime. Infine, per raccomandarla con maggiore efficacia, volle accompagnarla – (ma proprio scomodarsi fino a tal punto?) – sì sì, lui in persona volle accompagnarla al Ministero della Pubblica Istruzione.
D’estate, però, erano tutti in vacanza, quell’anno, alla Minerva. Per il ministro e il sotto-segretario di Stato l’onorevole Verona lo sapeva; ma non credeva di non trovare in ufficio il capo-divisione, neppure il capo-sezione… Dovette contentarsi di parlare col cavalier Martino Lori, segretario di prima classe, che reggeva in quel momento lui solo l’intera divisione.
Il Lori, scrupolosissimo impiegato, era molto ben visto dai superiori e dai subalterni per la squisita cordialità dei modi, per l’indole mite, che gli traspariva dallo sguardo, dal sorriso, dai gesti, e per la correttezza anche esteriore della persona linda, curata con diligenza amorosa.
Egli accolse l’onorevole Verona con molti ossequi e rosso in volto per la gioia, non solo perché prevedeva che questo deputato, senza dubbio, un giorno o l’altro sarebbe stato suo capo supremo, ma perché veramente da anni era ammiratore fervido dei discorsi di lui alla Camera. Volgendosi poi a guardare la signorina e sapendo ch’era figlia del compianto e illustre professore dell’Ateneo perugino, il cavalier Lori provò un’altra gioia, non meno viva.
Egli aveva poco più di trent’anni, e la signorina Silvia Ascensi aveva un curioso modo di parlare: pareva che con gli occhi – d’uno strano color verde, quasi fosforescenti – spingesse le parole a entrar bene nell’anima di chi l’ascoltava; e s’accendeva tutta. Rivelava, parlando, un ingegno lucido e preciso, un’anima imperiosa; ma quella lucidità man mano era turbata e quella imperiosità vinta e sopraffatta da una grazia irresistibile che le affiorava in volto, vampando. Ella notava con dispetto