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MATRIMONIO. Dal ripudio all'inscindibilità
MATRIMONIO. Dal ripudio all'inscindibilità
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E-book178 pagine2 ore

MATRIMONIO. Dal ripudio all'inscindibilità

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Info su questo ebook

Oggi diamo per scontato che il matrimonio sia sempre e comunque un sacramento, cioè fondato sulla libera scelta e sull’amore dei coniugi! Ma è sempre stato così?

Perché chi divorzia deve essere considerato adultero, se il settimo Comandamento non vieta il ripudio, bensì l’adulterio?

E perché si considera adultero chi si divide dal proprio coniuge, se il decimo Comandamento vieta di desiderare il coniuge altrui e non il divorzio dal proprio?

Quali sono le conseguenze pastorali e sociopsicologiche della censura che proibisce i sacramenti ai divorziati?

Come conciliare la misericordia di Dio con i Canoni sul matrimonio del Concilio di Trento, che prevedono gli anatematismi per i divorziati?
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2019
ISBN9788831651622
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    Anteprima del libro

    MATRIMONIO. Dal ripudio all'inscindibilità - Ernesto Lionetto

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    Il saggio Matrimonio. Dal ripudio all’inscindibilità, è frutto di una ricerca sulla storia delle usanze matrimoniali, dalle antiche società dell’A. Testamento alle società cristiane del N. T. fino alla nascita delle moderne società tecnologico-informatiche.

    Nel primo capitolo viene analizzato il contesto storico-culturale e religioso in cui si sono svolte le relazioni coniugali fin dai tempi dell’Antico Testamento: ruoli, funzioni, potere e consuetudini nella famiglia patriarcale della società antica. 

    Il secondo capitolo è dedicato alle origini e alle motivazioni di fondo che hanno portato all’introduzione del principio di indissolubilità del matrimonio. Il passaggio dall’antico patto all’istituzione del sacramento è avvenuto secondo noi non per ragioni teologiche ma storiche, per cui seguiremo l’iter partendo dall’affermazione biblica: «Nessuno osi dividere ciò che Dio ha unito».

    Il terzo capitolo tratta la questione dell’amore coniugale considerato come simbolo di quello che lega Cristo alla Chiesa. Tale identificazione è stata introdotta ad un certo punto della storia per confermare e rinforzare il principio di indissolubilità: poiché l’amore di Dio per la Chiesa non può essere limitato nel tempo, né può essere condizionato da eventi contingenti (dato certo e immutabile), allo stesso modo anche l’amore coniugale (che è condizionabile da molti fattori intra ed extra coniugali) assume lo stesso carattere di indissolubilità di quello divino. Ma siamo certi che il principio valga sempre, a prescindere dal vero sentire e agire dei coniugi?

    Il quarto capitolo prende in esame la consuetudine di equiparare l’uomo risposato all’adultero e le relative conseguenze religiose e psicologiche per i coniugi interessati e per l’intera comunità di appartenenza.

    Nel quinto capitolo vengono considerate le cause più frequenti di crisi coniugale delle coppie fin dai primi mesi di matrimonio. L’entità del fenomeno che emerge dai dati ISTAT è preoccupante: in 40 anni si è registrato un calo di circa il 53,70% del numero di celebrazioni matrimoniali, e il dato diventa ancor più significativo se si considera che, nei matrimoni celebrati, solo nel 60% dei casi è stato scelto il rito religioso.

    Nel sesto capitolo si propone una riflessione sullo stato attuale del dibattito intorno al problema dei divorziati risposati, sulle opposte convinzioni di chi si dichiara favorevole all’introduzione di modifiche nella dottrina sacramentale sul matrimonio e chi, invece, resta rigidamente arroccato sulla decisione di conservarla immutata, preconizzando scenari di degenerazione e di confusione nell’ambito della comunità cristiana. Considereremo inoltre alcune importanti conseguenze della censura che proibisce i sacramenti.

    E. Lionetto

    1. MATRIMONIO: DALL’A.T. AI PRIMI SECOLI DOPO CRISTO

    Anche se i libri della Bibbia non sono stati scritti con finalità specificamente storiche, riteniamo utile una lettura contestualizzata dei fatti in essi narrati, per poter giungere a una comprensione profonda degli effetti provocati dalle usanze, civili e religiose, che per millenni hanno influenzato la condotta e le scelte delle generazioni, dai tempi dell’A.T. ai nostri giorni.

    Il metodo storico e il metodo scientifico sociale consentono di individuare il significato più attendibile di quanto narrato nei testi, sia per i contemporanei presenti a quegli accadimenti, sia per le generazioni successive.

    L’analisi storica delle tradizioni sul matrimonio parte allora dalla considerazione dello status dei coniugi:

    privilegiato quello dell’uomo (patriarca, giudice, re, profeta, principe, ministro, sacerdote, guerriero, padre-padrone, paterfamilias);

    sottomesso quello della donna, dei figli e degli schiavi nelle civiltà veterotestamentarie (ebraiche e romane) e in quella cristiana dopo Gesù di Nazareth.

    Nell’area mediorientale dei millenni prima di Cristo, in tema di matrimonio e moralità vigevano varie usanze, tutte menzionate nel Testo Sacro: poligamia, endogamia, esogamia, matrimonio combinato, sposa bambina, levirato, prezzo della sposa, vendita della figlia, ripudio della donna da parte dell’uomo, abbandono del tetto coniugale da parte della donna di ceto elevato, concubinato, adulterio, lapidazione. Inoltre, presso alcuni popoli erano tollerate e diffuse le pratiche dell’incesto, della pedofilia, della prostituzione e della fornicazione.

    Il matrimonio non era considerato un sacramento; presentava piuttosto i caratteri di un patto sociale che serviva per procreare figli, garantire l’ereditarietà del patrimonio, stabilire alleanze tra famiglie, tribù e regni.

    La donna veniva considerata un bene materiale della cui perdita, per averla concessa in sposa, si doveva risarcire il padre con prestazioni di lavoro, denaro, doni o capi di bestiame offerti dal padre dello sposo e dallo stesso sposo. Alle donne erano negati, in genere, diritti quali il possesso di proprietà, le cariche di governo, il lavoro extradomestico e ogni possibilità di autonomo guadagno e di autodeterminazione.

    In un testo del 1976, il teologo Rinaldo Fabris afferma che dopo le nozze, la dipendenza della donna veniva trasferita dal padre-padrone al marito-padrone, e quest’ultimo, anche senza un valido motivo, poteva giungere facilmente ad ucciderla o a ripudiarla, lasciandola senza un tetto e alla mercé di tutti.1

    Eva Cantarella, docente di Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano, in una sua ricerca ha ricostruito costumi e relazioni nelle famiglie romane del periodo che va dalla metà dell’VIII secolo a.C. fino al VI secolo d.C.: la ricercatrice sostiene che il padre-padrone poteva decretare la morte della figlia la sua vendita come schiava in caso di necessità, oppure poteva imporle di sposare un uomo di suo esclusivo gradimento.2

      L’uomo, specialmente se ricco e potente, poteva avvalersi di privilegi quali sposare due o più mogli; interrompere il patto anche per banali motivi con un semplice atto di ripudio; usare le proprie schiave come concubine; ripudiare una moglie sterile; lapidare una moglie adultera; ucciderla per aver bevuto del vino durante una festa pubblica.3

    In Mesopotamia, secondo il codice di Hammurabi, la validità del matrimonio era subordinata a un contratto scritto. Il marito comprava la moglie e questa era la sola ad essere obbligata alla fedeltà coniugale. Pur potendo avere molte concubine, non era concesso al marito sposare una seconda moglie, tranne il caso in cui la prima fosse stata sterile. Il divorzio avveniva per ripudio da parte del marito.

    In Grecia (V - IV sec. a.C.) scopo del matrimonio era la procreazione di figli legittimi. La donna occupava una posizione nettamente inferiore rispetto a quella dell’uomo ed era esclusa dalla vita pubblica. Nella pólis di Atene, le condizioni necessarie al matrimonio erano lo status di cittadini da parte dei futuri sposi, la promessa del padre di lui al padre di lei e la coabitazione degli sposi.

    Gli effetti del matrimonio cessavano per morte di uno dei coniugi, per ripudio (da parte dello sposo), abbandono della casa (da parte della sposa di rango elevato), contrarietà del padre della sposa o di un parente che vantava qualche diritto a sposarla, adulterio (quello commesso dalla donna), stato di non cittadinanza della sposa. Il potere assoluto e indiscusso del padre sui figli cessava, ad esempio, ma solo teoricamente, al compimento della maggiore età di questi ultimi.4

    In Egitto il matrimonio era di regola monogamico (tranne per il Re, i ministri e le classi sociali più elevate, nelle quali gli uomini potevano avere più mogli e molte concubine), in una economia fondata sulla schiavitù.

    Tra gli Ebrei il matrimonio, e quindi la famiglia, era fondamentale per la sopravvivenza delle tribù e dei popoli. Primo atto del matrimonio, che aveva inizio già con il fidanzamento, era il versamento di un prezzo d’acquisto (e doni alla fanciulla) da parte dello sposo al padre della sposa. La poligamia, l’endogamia o l’esogamia e il levirato erano abitualmente in uso. L’adulterio (della donna) era severamente punito con la lapidazione. Il marito poteva ripudiare la moglie sterile e dotarsi di concubine scelte tra le schiave.

    Spesso era la moglie stessa, nel tentativo di evitare il ripudio per la sua sterilità, che sceglieva tra le schiave una concubina per il marito, al fine di procurargli un erede che, per la legge ebraica, sarebbe diventato suo figlio.

    In quasi tutte le società del tempo erano molto numerosi gli schiavi, che venivano considerati e trattati come bestie da lavoro (la loro indegna condizione sarà riconosciuta per la prima volta dal Faraone Ramses, per intercessione di Mosè, e poi molti secoli dopo dal cristianesimo). Si diventava schiavi per il timore della forza, espressa dal monarca e dai suoi più stretti collaboratori e funzionari; per le sconfitte militari; per indebitamento; per naufragio; come pena per aver commesso degli atti criminosi; per pirateria; per brigantaggio; per abbandono o vendita dei bambini (perché non riconosciuti dal padre o per povertà); per l’esilio politico chiesto dagli emigranti; per le carestie. 

    Per giustificare l’istituzione divina del sacramento e della inscindibilità del matrimonio, alcuni teologi ricorrono all’Auctoritas rappresentata dai Libri dell’Antico Testamento. Analizzando però tali testi troviamo confermate tutte le usanze sopra descritte e, in particolare, le marcate differenze di genere vigenti a quel tempo: si assegnava alla donna il ruolo passivo di preda e all’uomo quello attivo di cacciatore, libero di prendere o abbandonare la preda a proprio piacimento, o a seconda delle proprie convenienze:

    «Una donna, accetterà qualsiasi marito… [l’uomo] si procura una sposa».5

    Il Decalogo di Mosè ha introdotto per la prima volta nella storia, principi che dovevano regolare la vita di una società ebraica ingiusta, androcentrica e discriminatoria, licenziosa, violenta e poco timorata di Dio. Ai tempi del Patriarca, il popolo di Israele presentava tali caratteristiche e nonostante i numerosi precetti religiosi la situazione di ingiusto e vessatorio dominio maschile si è protratta ancora per molti secoli.

    Ecco alcuni frammenti biblici sulle questioni oggetto della nostra indagine:

    «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero».6

    [Il grassetto dei testi è nostro]

    Poligamia, ripudio e matrimoni combinati, soprattutto nel periodo monarchico, servivano per consolidare il potere mediante l’abile scelta delle mogli e l’intreccio di alleanze con altri popoli, o semplicemente per garantirsi l’esercizio del potere, o la conservazione di un’importante funzione pubblica:

    «A Enoch nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl e Metusaèl generò Lamech. Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l'altra chiamata Zilla».7

    «Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa. Se essa, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie di un altro marito e questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio, glielo consegna in mano e la manda via dalla casa o se quest’altro marito, che l’aveva presa per moglie, muore, il primo marito, che l’aveva rinviata, non potrà riprenderla per moglie, dopo che essa è stata contaminata, perché sarebbe abominio agli occhi del Signore».8

    Nel brano del Deuteronomio emerge l’autoreferenzialità dell’uomo nella decisione di ripudiare la propria moglie e la pratica del divorzio, imposto per precetto al primo marito che intendesse risposare una donna da lui stesso ripudiata in passato e poi sposata più volte con altri uomini.

    Il seguente episodio parla di Lot (nipote di Abramo), un capofamiglia importante della tribù, e illustra quanto fosse ritenuto più importante il rispetto dell’ospitalità, piuttosto che la dignità di una figlia e, in generale, i diritti della donna.

    «I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada. Quelli risposero: No, passeremo la notte sulla piazza. Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi e così mangiarono. Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!. Lot uscì verso di loro sulla porta e, dopo aver chiuso il battente dietro di sé, disse: "No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all'ombra del mio tetto"».9

    I testi sacri ci informano dunque della vigente prassi del ripudio presso

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