Omosessualità: trame storiche
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Anteprima del libro
Omosessualità - Michele M. Lualdi
1979)
Premessa
La storia dell’omosessualità è storia di un concetto, è storia di amori, spesso è storia di uomini e donne che non tollerano altri uomini e altre donne e che per questo li uccidono, li emarginano o li puniscono. Ma è anche storia, soprattutto nelle ultime decadi, di un’idealizzazione, in una sorta di hegeliana oscillazione che non sembra trovare quiete né sintesi, tra una tesi demonizzante e un’antitesi divinizzante l’omosessualità. Eppure le semplificazioni aprioristiche, frutti di un pensiero che reca evidente il marchio della scissione, non possono che minare alla base le umane possibilità di comprendere fenomeni ed eventi complessi. Comprensione per la quale occorre, al contrario, che la mente dia prova di capacità integrative. La psicoanalisi dovrebbe, si presume, favorire quest’ultimo tipo di pensiero.
Nel mio lavoro vorrei ripercorrere la storia dell’omosessualità, in ordine alle sue forme, alle leggi che l’hanno riguardata, all’occhio psichiatrico e psicoanalitico con cui è stata indagata, proponendo infine alcune mie considerazioni al riguardo. Sarò costretto, e me ne scuso, tra un paragrafo e l’altro, ad alcune ripetizioni: è lo scotto che pago alla comodità espositiva di distinguere artificiosamente, nelle trame storiche dell’omosessualità, le sue forme, le leggi, il pensiero psichiatrico e quello psicoanalitico, in realtà aspetti tra loro fortemente intrecciati.
Aspetti storici
L’omosessualità può essere seguita nelle sue tracce lungo praticamente tutto l’arco della storia dell’uomo, su tutto il globo.
Per quanto riguarda le prime civiltà, situate nella zona medio-orientale tra Tigri ed Eufrate, i documenti storici ne dimostrano la presenza nelle diverse popolazioni ivi stanziate. A Babilonia (II – I millennio a.C.) essa è integrata come fenomeno sociale ed esistono addirittura corporazioni riconosciute di prostituti maschili. Invece presso gli ebrei, così come presso gli Ittiti, nel II millennio a.C., la condanna della condotta omosessuale è totale.
Ben più ricche sono le notizie che abbiamo se ci rivolgiamo all’età classica, alla Grecia e a Roma.
Per la Grecia si prende in genere a modello ed esempio la città di Atene del VI – IV sec. a.C., dove è ben conosciuta e diffusa la relazione pederastica, pare importata da Sparta (Tannahill, 1980, 78). Essa, lungi dall’avere il significato deteriore oggi inevitabilmente connessole, indica lì e allora la relazione tra un giovane nella prima adolescenza (eròmenos) e un adulto (erastès). Benché gli studiosi discutano se si sia trattato di amori puramente spirituali o con qualità e tratti anche fisici (Tannahill, 1980, 79), diverse pitture vascolari sono decisamente esplicite nel riportare la carnalità di queste relazioni. Lo stesso noto dialogo platonico del Simposio, oltre a mostrarci un Socrate omosessuale, evidenzia gli aspetti fisici della relazione pederastica (Platone, 219 b-d).
Riguardo all’omosessualità maschile si sostiene spesso che la Grecia classica non conosca rapporti connotati da reciprocità affettiva: vi sarebbe sempre un adulto nel ruolo attivo e un ragazzo pubere passivo. Distinzione di ruoli fondamentale e centrata su una visione del rapporto sessuale esclusivamente come atto di penetrazione fallica. Sostenuta da e correlata a una rigida gerarchia dei ruoli sociali che vede l’uomo più importante della donna, tale visione considera disonorevole e snaturante per un uomo essere penetrato, così che anche la relazione pederastica, quantomeno nei suoi aspetti sessuali, si eclissa allo spuntare della barba sul volto dell’eròmenos: ora egli è un uomo e non deve più subire l’atto sessuale.
In realtà ci sono prove di un’omosessualità in cui la distinzione erastès-eròmenos si fa via via più sfumata per lasciare spazio alla parità nel rapporto tra maschi adulti: esempio storico in tal senso resta la relazione tra i due amanti Armodio e Aristogitone, consacrati dagli eventi come coloro che attaccarono la dinastia tirannica che governava Atene (Hupperts, 2006, 34, 39-40).
La Grecia conosce e riconosce anche l’omosessualità femminile (o tribadismo), la cui patria è storicamente indicata nell’isola di Lesbo e rappresentata dalla poesia di Saffo (benché vi siano anche altrove, come a Sparta, colonie simili a quella insediatasi a Lesbo; cfr. Lupo, 1998, 17). Inutile dire che anche in questo caso gli studiosi discutono non solo sulla presunta omosessualità di Saffo (Tannahill, 1980, 90) e delle fanciulle che giungevano alla sua scuola (o tiaso), ma anche sulle finalità della scuola stessa: volta a preparare le fanciulle ai compiti del matrimonio, con l’omosessualità con valore di iniziazione rituale (idea, questa, oggi avversata dalla maggior parte degli studiosi; cfr. Downing, 1989, 323; Lupo, 1998, 19-27; Hupperts, 2006, 46-7); oppure finalizzata a insegnare loro le danze e i canti da farsi per le feste in onore di Artemide e Afrodite (Downing, 1989, 322); per altri studiosi ancora si sarebbe trattato di un iter di educazione emotiva (Downing, 1989, 323).
Le relazioni tra donne non mettono in discussione il primato dell’uomo, pertanto non sono soggette a particolari divieti e possono presentare più facilmente reciprocità e pariteticità affettive.
L’universo dell’antica Grecia ha il suo duplicato nel mondo divino e mitologico, e anche qui troviamo esempi di omosessualità. Di sicuro il più noto resta il rapporto (pederastico) tra Giove e Ganimede, ma vi sono tutta una schiera di semidei ed eroi che corteggiano a più riprese giovani e ragazzi: Ercole, Laio, Orfeo (fatto a pezzi quest’ultimo dalle donne perché rifugiatosi nell’omosessualità dopo il fallimento del suo tentativo di riportare in vita Euridice), Minosse, Tantalo e Meleagro (Hupperts, 2006, 30). Per non tacere della a tratti toccante relazione tra Achille e Patroclo (Platone, 180 a-b; Foucault, 1984a, 199; Downing, 1989, 278-83; Hupperts, 2006, 30). Anche l’omosessualità femminile ha il suo specchio nella mitologia: basti ricordare l’amore appassionato di Atena per la ninfa Callisto (Downing, 1989, 295-6, 307) o la società delle amazzoni, esclusivamente femminile e ferocemente ostile agli uomini, al punto da utilizzarli solo per avere figli, abbandonando poi alla morte i nati maschi per allevare soltanto le femmine (Downing, 1989, 289-94; Lupo, 1998, 36).
Anche nell’Impero Romano l’omosessualità è presente, benché alcuni intellettuali romani, come Catone, l’avrebbero ritenuta un effetto pernicioso dell’influsso delle tradizioni greche (con cui Roma entra in contatto soprattutto nel II sec. a.C.). È frequente che un uomo romano, un cittadino, abbia rapporti sessuali con i propri schiavi e in questo senso esempio eccellente è l’imperatore Adriano che ha come amante lo schiavo Antinoo (II sec. d. C.). Anche la prostituzione maschile si sviluppa fino a diventare un commercio di lusso. Secondo uno schema concettuale già rilevato in Grecia, l’omosessuale maschio è accettato nella misura in cui mantiene un ruolo attivo (Lupo, 1998, 106), quello del penetratore, nonostante attorno al I sec. a.C. compaia una certa tolleranza verso gli uomini effeminati, tra i quali diversi personaggi importanti (si ricordano Cesare, che si diceva avere un ruolo femminile in una relazione con Nicomede, al punto da essere chiamato dal suo esercito la regina di Bitinia
e Nerone, che si legò con uomini in matrimoni in cui ricopriva in