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Storia erotica d'Italia
Storia erotica d'Italia
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E-book417 pagine5 ore

Storia erotica d'Italia

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La storia d'Italia è stata scritta a letto

L'Italia è una Repubblica fondata sul piacere

Gli amori, gli scandali, il sesso e la vita privata: la storia d’Italia che avreste sempre voluto leggere e che nessuno ha mai osato raccontare.
Una versione inedita del nostro Paese dai fasti dell’impero romano, dove convivevano castità forzata e orge, al Medioevo boccaccesco, per arrivare al Rinascimento e alla lussuria dei Borgia. E poi ancora il mito di Casanova e, proseguendo nel tempo, il divorzio scandaloso della contessa Lara. Infine, passati gli amori di Benito Mussolini e Gabriele D’Annunzio, si toccano le vicende della cronaca contemporanea: dalla legge Merlin al caso Pasolini, dal video shock che ha coinvolto Piero Marrazzo fino agli eccessi di Silvio Berlusconi culminati nel Rubygate…

La storia di un Paese a luci rosse

• Pompei: la città più lussuriosa dell’Impero
• Amori Imperiali: Cesare, Giulia, Caligola, Messalina, Adriano, Giustiniano
• Amori barbari: Galla Placidia
• Boccaccio e il sesso
• Le amanti dei papi: i Borgia
• Le cortigiane honeste: Veronica Franco e Tullia d’Aragona
• Sesso nelle corti italiane
• Giacomo Casanova
• La Contessa di Castiglione
• La Bela Rosin
• Il divorzio scandaloso della contessa Lara
• Gli amori di Mussolini
• Eros e poesia: Gabriele D’Annunzio
• La legge Merlin
• L’inchiesta di Pier Paolo Pasolini
• Il video di Marrazzo
• Berlusconi: dalle cene di Arcore alle cene del Plebiscito
Cinzia Giorgio
è dottore di ricerca in Culture e Letterature Comparate. Si è specializzata in Women’s Studies e in Storia Moderna, compiendo studi anche all’estero. Organizza i salotti letterari dell’Associazione di Studi Umanistici Leussô di Roma e insegna Storia delle Donne all’UNI.SPE.D. È autrice di saggi scientifici e romanzi.
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2014
ISBN9788854173675
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    Anteprima del libro

    Storia erotica d'Italia - Cinzia Giorgio

    e-saggistica.jpg

    276

    I fatti narrati nel presente saggio fanno riferimento a varie inchieste

    giudiziarie, alcune delle quali sono ancora in corso.

    Tutte le persone coinvolte o citate a vario titolo, anche se condannate

    nei primi gradi di giudizio, sono da ritenersi penalmente

    innocenti fino a sentenza definitiva.

    Prima edizione ebook: novembre 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7367-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it

    Cinzia Giorgio

    Storia erotica d’Italia

    Gli amori, gli scandali, il sesso e la vita privata:

    la storia d’Italia che avreste sempre voluto leggere

    e nessuno ha mai osato raccontare

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    Introduzione

    Gli italiani sono sempre stati bravi a letto. Per lo meno, ci hanno creduto, e tuttora il mito della vivacità italica tra le lenzuola persiste anche all’estero. Internet è affollato di siti stranieri che predicano il fascino, soprattutto maschile, dei nostri connazionali. Di contro, vi sono moltissime testate internazionali di un certo rilievo che ci attribuiscono meno potere sessuale di quanto si creda. La leggenda del macho latino com’è nata? E la poco lusinghiera fama di incalliti seduttori da dove proviene? Non è facile rispondere a queste domande, anche perché talvolta i miti e le dicerie nascono da misteriose fonti non sempre attendibili. Inoltre, la fama delle italiane, considerate quanto meno difficili dai maschi stranieri, abbassa la media della focosità peninsulare. La domanda da porre, forse, non si dovrebbe basare sulle radici che affondano nel sentito dire e nelle vanterie, quanto piuttosto nelle fonti storiche. Gli italiani, come molti altri popoli, hanno da sempre amato il sesso, ma vi hanno anche avuto un rapporto conflittuale e talvolta sono anche stati sessuofobi.

    Se il fallo eretto era considerato un portafortuna per tutto ciò che rappresentava, al di là della semplice unione fisica, di contro nella Roma antica si arrivò a proibire il culto del dio Bacco, poiché spesso sfociava in orge e avventate promiscuità di rango, più che di genere. Il sesso era però inevitabilmente legato al sacro, poiché dal rapporto sessuale nasceva la vita. I romani per esempio utilizzavano il tintinnabulum, ovvero un campanello dalla forma fallica che spesso si poteva vedere durante alcuni riti. A Napoli, nel Museo archeologico nazionale, si trova il Gabinetto segreto, un’area museale che conserva reperti erotici ritrovati principalmente a Pompei ed Ercolano. Il dio Priapo, la divinità simbolo dell’istinto sessuale e della mascolinità fallica, vi è raffigurato in statuine bronzee e in varie pose. Lo si teneva soprattutto negli orti e nei giardini delle case private dei romani, perché portasse fortuna. Il sesso era dunque simbolo della fertilità, della vita che si rinnovava. Tuttavia vigeva una doppia morale. Le donne e gli schiavi avevano un ruolo sessuale passivo, dal momento che spettava solo al maschio, al pater familias, il ruolo attivo. Il maschio doveva essere l’unico a godere, sia che il piacere arrivasse da una donna sia che giungesse da uno schiavo. La bisessualità non era un problema, ma solo se a beneficiarne era l’uomo.

    I costumi subirono una profonda trasformazione dopo la fine della Repubblica. Le donne si emanciparono e l’uomo perse parte del potere assoluto di cui godeva. Nel rapporto tra coniugi, inoltre, poteva anche esserci l’amore. Divenne una virtù rimanere fedeli al proprio compagno o alla propria compagna. Quando fu emanato l’editto di Tessalonica nel 380, si stabilì che la religione di Stato fosse quella cristiana. L’avvento del cristianesimo mutò radicalmente la società, nonostante il persistere di alcuni riti pagani. La predicazione dei seguaci di Cristo in tutte le province dell’impero venne in un primo momento osteggiata, soprattutto per il messaggio di parità di rango, di sesso e di razza dinnanzi a Dio. Dopo le invasioni barbariche, i vescovi e i capi della Chiesa diventarono i punti di riferimento spirituali e materiali di un mondo che sembrava sull’orlo del baratro. Anche l’amore e il sesso subirono forti cambiamenti: la Chiesa assunse un ruolo determinante nello stabilire la nuova morale sessuale, soprattutto quella femminile. Attribuire però solo alla Chiesa la condanna della sessualità sarebbe un errore molto grave. In realtà il sesso promiscuo nuoceva molto più alle classi dirigenti che ai fedeli. Il proliferare di figli illegittimi, di fratellastri nati da nozze ambigue e di mogli morganatiche, che accampavano diritti sull’eredità, era una piaga non indifferente. Giovanni Boccaccio ci ha dato la possibilità, più di molti altri, di capire a fondo lo spirito medievale e l’attitudine dei suoi contemporanei nei confronti del sesso. Lui stesso lo viveva come una piacevole esperienza di vita, sfatando il mito del Medioevo oscuro, privo di gioie, che ancora oggi fa parte dell’immaginario collettivo. Le donne medievali erano meno pudiche di quanto si pensi tuttora e l’esempio delle protagoniste del Decameron apre tutt’altra prospettiva. Ma anche la stessa Matilde di Canossa, vista per secoli come santa, offre un interessante punto di vista sul ruolo della donna e del sesso nella vita dei potenti.

    Il sesso dunque era necessario, ma era anche praticato con allegria e dava molte soddisfazioni. Tuttavia, poteva essere pericoloso. Durante il Rinascimento si capì quanto potesse essere pericoloso con l’arrivo delle malattie veneree. Il diffondersi di queste malattie, soprattutto tra le prostitute, fu una piaga prolungatasi fin quasi ai nostri giorni. L’egemonia del maschio continuò anche durante un periodo così vivido come il Rinascimento. La castità femminile era necessaria per garantire la sicurezza della discendenza, benché finalmente per le donne si giungesse a una certa autonomia anche nella sfera sessuale. L’Italia visse anni di fermento culturale e caddero alcuni tabù. Roma e Venezia divennero le nuove capitali del sesso. Erano gli anni in cui papa Borgia riconosceva i suoi figli alla luce del giorno, gli anni in cui molti artisti, come Raffaello, vivevano con allegria il sesso e i signori come Ludovico il Moro e Lorenzo il Magnifico non facevano mistero della loro vita sessualmente attiva.

    La cortigiana, ovvero la prostituta rinascimentale, esercitava onestamente il suo lavoro, pagava le tasse e spesso, come nel caso di Veronica Franco, diventava una vera e propria celebrità non solo per le sue prestazioni ma soprattutto perché sapeva usare la testa. Veronica, in particolare, era una poetessa sopraffina.

    Il Rinascimento non fu però esente da una ventata di sessuofobia e di superstizione. Leonardo da Vinci venne processato per sodomia, la stessa Veronica Franco venne accusata di stregoneria. Cominciò un vero e proprio assalto nei confronti della parte meno tutelata della popolazione: contadini, donne povere, omosessuali e prostitute. L’Inquisizione condannò moltissime donne e uomini, accusati di stregoneria, eresia e sodomia. Poté farlo anche grazie all’aiuto dei molti potenti che volevano liberarsi di personaggi scomodi.

    La Chiesa subì un forte scossone con l’arrivo della Riforma protestante e ancora una volta tutto questo andò a danneggiare la sfera privata della popolazione, quella del sesso e degli affetti familiari. I processi a Beatrice Cenci e ad Artemisia Gentileschi, in cui il sesso incestuoso e lo stupro sono i veri protagonisti, ci aiutano a capire come la mentalità fosse cambiata e quanto fosse duro lo zoccolo del pregiudizio.

    Tra il Seicento e il Settecento il sesso tornò a essere meno demonizzato. Si arrivava al matrimonio più tardi, forse anche perché si era raggiunta la maturità sessuale per ambo i sessi già prima delle nozze. Resistevano però alcuni capisaldi della morale: al di fuori del matrimonio il sesso non era lecito. Una contraddizione che caratterizzerà tutto il secolo e anche i secoli a venire. I crimini sessuali erano sempre gli stessi: stupro, masturbazione, sodomia, adulterio. L’adulterio più grave era naturalmente quello della donna ai danni del marito. Casanova divenne il simbolo di un’epoca, per la sua vita rocambolesca ma principalmente per i suoi amori.

    Tra il Risorgimento e l’inizio del XX secolo il sesso ha giocato un ruolo importante e in taluni casi determinante per le sorti dell’Italia. Vittorio Emanuele II e la contessa di Castiglione, con mezzi molto diversi, hanno influenzato l’andamento della storia italiana e rivoluzionato anche i costumi sessuali. La contessa usava dire a chi andava a trovarla di conservare ancora la provocante camicia da notte che aveva indossato nel suo tête-à-tête con Napoleone III. Un incontro di passione che a molti piace pensare abbia fatto decidere all’imperatore francese di sostenere la causa dell’Italia risorgimentale. Un periodo, il Risorgimento, costellato di figure interessanti: dalle donne emancipate come la prima moglie di Crispi e come Teresa Guiccioli, simboli del cambiamento in atto nella penisola italiana, fino a giungere ad artisti come Paganini o Boito. Il cambiamento fu così radicale da arrivare quasi a un ribaltamento dei ruoli anche tra le lenzuola. Durò poco, perché l’avvento del Fascismo scombinò ancora una volta le carte. L’ideale virile e profondamente maschilista del duce, l’idea che l’uomo in primis debba godere e che debba avere altre valvole di sfogo oltre alla consorte legittima, derivava in parte dall’ammirazione di Mussolini per la romanità, in parte dal concetto di superomismo che imperava in Europa ormai da qualche decennio. Non sembrava pensarla allo stesso modo, in materia di piacere fisico, Gabriele D’Annunzio, per il quale il piacere doveva essere reciproco e riguardare entrambi i partner. Anche se poi, nei fatti, il vate passava da un letto all’altro con una certa facilità. La fedeltà, del resto, non faceva a pugni con il dare e il ricevere appagamento. Se non si era fedeli alla propria compagna non necessariamente si contribuiva alla sua frustrazione sessuale.

    L’Italia del secondo dopoguerra era una nazione combattuta tra gli antichi pregiudizi e le nuove aperture che arrivavano dal benessere economico, raggiunto non senza sacrifici. Il boom economico permise la leggendaria era della Dolce Vita romana e un susseguirsi di scandali a sfondo erotico che riempirono le pagine dei quotidiani e dei giornali dell’epoca: dal caso Montesi alla marchesa Casati Stampa, passando attraverso gli amori adulterini dei personaggi noti e attraverso i primi moti femministi.

    Pier Paolo Pasolini indagò a fondo nella mentalità dei giovani, dei vecchi e degli intellettuali, offrendo ai posteri uno spaccato ben preciso della vita privata italiana. Nei suoi Comizi d’Amore, un film documentario che girò viaggiando lungo tutta la penisola, si capiva cosa pensassero gli italiani del sesso.

    Alla fine degli anni Cinquanta, la legge Merlin sulla «abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui» aveva chiuso definitivamente i bordelli in Italia, vincendo forti resistenze. Il corpo della donna non doveva essere in alcun modo sfruttato. In questo stesso periodo caddero anche antichi tabù, come il delitto d’onore e il matrimonio riparatore dopo uno stupro: emblematico in tal senso il rifiuto di una giovanissima siciliana di sposare il suo stupratore.

    Il Sessantotto arrivò a spazzare via gli ultimi tabù, soprattutto per quanto riguardava il sesso delle donne. La sessualità era vissuta con meno pudore, la verginità non era più un valore ma una seccatura. Le ragazze e i ragazzi dovevano vivere il sesso senza problemi di sorta: si era liberi di fronte alla vita, alle istituzioni e soprattutto nei confronti della propria famiglia. La differenza di genere non doveva esistere più, le donne, gli uomini, sia etero che omosessuali, non dovevano avere più barriere. Anche questa apparente libertà e felicità durò poco. Una volta cresciuti, i ragazzi del Sessantotto spesso riapplicarono sui loro figli le stesse norme che avevano un tempo detestato. Tuttavia la loro visione più aperta del sesso favorì la nascita di un’Italia più moderna e meno bigotta. La stessa Italia delle veline, dei calciatori e della televisione dell’ultimo ventennio. Il magnate televisivo e più volte premier italiano Silvio Berlusconi ha contribuito a forgiare la nuova idea di sesso e i presunti scandali erotici che lo hanno più volte visto protagonista ne sono l’esempio più significativo.

    A complicare l’ingarbugliato rapporto degli italiani con il sesso sono arrivati, negli ultimi anni, anche i cosiddetti social network, i siti di appuntamenti e la visione gratuita di filmati hard. Alcuni nostalgici potrebbero asserire che prima c’erano la vita sociale, le feste e le cene tra amici per trovare un partner con cui condividere una notte d’amore, se non tutta la vita. In parte è vero e in parte no. La vita frenetica, il mutamento dei ritmi di lavoro e la crisi economica hanno contribuito al proliferare del sesso in rete. È facile e indolore: ci si collega a internet a tutte le ore del giorno e della notte e si cerca il partner sessuale che più soddisfa le esigenze dell’utente. Sono ormai passate in secondo piano le hot lines, ovvero le linee telefoniche a pagamento a cui rispondevano ragazze con cui si faceva sesso virtuale. Queste linee di telefono erotiche sono state ben presto surclassate dalla rete internet, meno cara e più coinvolgente perché implica anche la sfera visiva. Con improbabili nickname, nomi di fantasia, si accede a un mondo virtuale fatto di sesso disinibito che comporta poche complicazioni. Basta un click per soddisfare il voyeurismo, su cui fondano le loro basi i siti specializzati nel mercato del sesso virtuale. Recentemente, una delle cause di divorzio in tutto il mondo è attribuibile alla dipendenza da sesso virtuale di uno dei due coniugi. Un panorama desolante se si pensa alla storia erotica passata che, a onor del vero, non ha mai disprezzato una dose di malizia e di voyeurismo. Con internet si è semplicemente allargato il potenziale mercato e i fruitori non sono più limitati per genere, sesso ed età. La vasta gamma di persone che accedono gratuitamente a internet, e alle offerte sessuali disponibili in rete, si è espansa a macchia d’olio e ha coinvolto anche i minori. Sono nati appositamente alcuni reparti nelle forze dell’ordine, specializzati nel contrastare l’adescamento di minori per scopi sessuali, la pedopornografia e quant’altro. Ma vi è anche chi in internet ha trovato l’anima gemella, proponendo tramite una scheda una descrizione di sé su uno dei tanti siti di incontri. Vi si accede compilando una sorta di curriculum vitae nel quale si inseriscono le proprie abitudini, i propri interessi e le proprie preferenze sessuali. I ritmi di lavoro incessanti, la vita sempre più frenetica e anche la mancanza di fantasia hanno costituito l’humus su cui si sono alimentati questi siti.

    Tornando all’assunto di partenza – gli italiani sono sempre stati bravi a letto – occorrerà forse aggiungere un punto interrogativo. Lo sono stati davvero? Nel saggio non si troverà la risposta a questa domanda, ma piuttosto un percorso storico che potrebbe aiutare a capire meglio gli italiani e a formarsi un proprio personale giudizio. Le storie raccolte sono state scelte in base alla loro rappresentatività. Del resto, la storia di un popolo passa necessariamente attraverso le lenzuola stropicciate di alcuni letti.

    Parte prima

    Antica Roma

    Le popolazioni antiche avevano un’alta considerazione del sesso. Senza il sesso la vita non si sarebbe rigenerata e il piacere che ne derivava veniva spesso considerato divino. I riti propiziatori per un buon raccolto, inoltre, in alcuni casi prevedevano unioni e riti a sfondo sessuale. Il ventre femminile, che accoglieva il seme, e il fallo maschile che fecondava erano simbolo della natura che si rinnova. Tutto questo non implicava affatto una mitizzazione del sesso e una certa disinvoltura nel praticarlo tra i popoli antichi, quanto piuttosto un’attenzione a tutto ciò che costituiva il ciclo della vita.

    Tra le genti italiche, prima che il dominio di Roma si imponesse su tutta la penisola, erano gli etruschi il popolo sessualmente più disinibito. Le loro donne erano emancipate, affascinanti e banchettavano assieme agli uomini come se fossero loro pari. Conosciamo le abitudini di questo coltissimo popolo dalle pitture parietali delle tombe, che ci mostrano la straordinaria parità di cui godevano uomini e donne all’interno della loro società. Vediamo alcuni esempi. Nell’antica Cere, oggi Cerveteri, all’interno della tomba Regolini Galassi, riposa una principessa etrusca piena di gioielli, con un guerriero seppellito ai suoi piedi, come a farle da custode. Il nome della donna è inciso sulle anfore e sulle coppe. Nella tomba dei tori di Tarquinia si trovano immagini molto esplicite di rapporti sessuali, una delle quali raffigura una scena di coito in cui sono rappresentati due uomini e una donna. Gli uomini hanno la pelle molto scura e rossastra, mentre la donna appare molto più chiara e candida. Massicci e minacciosi tori fungono quasi da spettatori degli accoppiamenti. Nella necropoli di Monterozzo, inoltre, si trova una tomba chiamata «della flagellazione» perché vi è raffigurata una scena sadomaso: due uomini frustano una donna, mentre questa sta praticando una fellatio a uno dei due.

    In Tito Livio, quando narra di come Tarquinio il Vecchio, figlio di un greco emigrato da Corinto, divenne re di Roma, si legge la storia di sua moglie Tanaquilla. Costei sapeva interpretare i presagi e quando giunse con il marito presso i sette colli ne predisse il regno. Aveva ragione, Tarquinio il Vecchio si fece iscrivere allo stato civile come Lucio Tarquinio Prisco. Qualche anno dopo divenne re di Roma e la moglie ne divenne regina. Sebbene non si sappia nulla della condizione giuridica di cui godevano le etrusche, possiamo supporre che ricoprissero un ruolo importante all’interno non solo della famiglia ma della società stessa.

    Teopompo di Chio, storico del IV secolo a.C., racconta che le donne etrusche avevano una grande cura del loro corpo e si esercitavano nude, spesso anche in compagnia degli uomini: non era per loro motivo di vergogna esibire il corpo. A tavola sedevano accanto ai mariti e brindavano alla salute di chi piaceva loro. Allevavano i bambini tutti insieme, tanto che talvolta non si sapeva di quale padre fossero, poiché i genitori vivevano nella promiscuità. Sempre secondo Teopompo, gli etruschi non si vergognavano affatto di consumare in pubblico un atto sessuale, tantomeno di subirlo. Erano ben lontani dal considerare la cosa vergognosa, e così riferisce: «Quando il padrone di casa viene chiamato mentre sta facendo l’amore, [i suoi servi] rispondono: Sta facendo l’amore, senza alcun pudore»¹. E prosegue nella descrizione degli esecrabili costumi etruschi, raccontando di quando si riuniscono per banchettare in famiglia o in società e giunge l’ora di andare a dormire, i servitori introducono nelle camere dei commensali cortigiane per gli uomini e giovanotti aitanti per le signore per poi giacere tutti insieme. Insomma, il banchetto finisce in un’orgia. Timeo di Tauromenio, storico siceliota del IV secolo a.C., accomuna gli etruschi ai sibariti. Costoro erano gli abitanti di Sibari, una colonia greca sulle coste del golfo di Taranto, nota per la ricchezza, per il fasto e soprattutto per la mollezza dei costumi.

    ¹ Teopompo di Chio, Storia, Libro XLIII, in Ateneo di Naucrati, Il Banchetto dei sapienti (I-III sec. d.C.).

    1.

    Il sesso e la città di Roma: dalla castità forzata alle orge

    Le origini

    Fin dalle origini leggendarie, la città di Roma ha legato il suo nome al sesso. Da quando cioè il dio Marte stupra la vergine vestale Rea Silvia e vengono così generati i gemelli Romolo e Remo. Chi era Rea Silvia? Le vicende della principessa di Alba Longa, figlia di re Numitore, sono narrate da Tito Livio nel primo libro degli Ab Urbe condita, in alcuni frammenti degli Annales di Ennio e in quelli di Fabio Pittore. La famiglia di Rea Silvia discendeva direttamente dal troiano Enea, a sua volta figlio della dea Afrodite – la Venere dei romani – e di Anchise. Quando Amulio, zio di Rea Silvia, imprigionò suo fratello e ne uccise i figli maschi, costrinse la giovane principessa a consacrare la sua vita alla dea Vesta. Le vestali erano le sacerdotesse vergini che custodivano il sacro fuoco, che tutelava la città. Costringendo sua nipote a diventare una vestale, Amulio si assicurava anche che non generasse figli, che potessero poi rivendicare il trono. Ma gli andò male, perché fu lo stesso dio Marte a sedurre Rea Silvia e a giacere con lei. Le fonti mitologiche tralasciano di specificare se la giovane fosse o meno consenziente. Sta di fatto che Rea Silvia diede alla luce due gemelli. Non appena Amulio venne a sapere dei due bambini, fece arrestare la nipote – che non fu uccisa grazie all’intercessione in suo favore della cugina Anto – e ordinò di disfarsi dei due bambini. Coloro che obbedirono all’ordine, secondo il racconto che ne fa Tito Livio, lasciarono andare una cesta con i due bambini lungo il Tevere, convinti che le acque limacciose del fiume li avrebbero inghiottiti senza scampo. Si sbagliarono.

    Per completare il legame con l’eros non propriamente lecito, a occuparsi dei due gemelli abbandonati ci pensò una lupa, che li allattò come se fossero suoi cuccioli. Acca Larentia, secondo Lattanzio¹, era la moglie di Faustolo, un guardiano di porci presso il fiume Tevere. Costui soccorse i gemelli partoriti da Rea Silvia e li affidò alla moglie, che di mestiere molto probabilmente faceva la prostituta o «lupa», termine con cui si indicavano le prostitute e da cui deriva il temine lupanare, per indicare un bordello. Acca Larentia allattò Romolo e Remo, e li accudì fino a quando, una volta cresciuti, i due gemelli vennero a conoscenza della loro origine reale proprio dal racconto che ne fece loro il nonno Numitore.

    Romolo e Remo decisero di vendicare il torto subito dalla loro madre biologica e uccisero lo zio usurpatore Amulio, rimettendo sul trono di Alba Longa il re legittimo, ovvero il nonno Numitore.

    Roma nasce quindi grazie a uno stupro e alla compassione di una prostituta, sebbene la versione ufficiale della leggenda sia un’altra: Rea Silvia fu amata dal dio Marte e i gemelli, frutto del loro amore, furono salvati da una vera lupa. Il pastore Tiberino (e non Faustolo), dopo averli ritrovati, li avrebbe portati alla moglie Acca Larentia².

    Il Ratto delle Sabine

    Dopo la sua fondazione³, Roma aveva bisogno di crescere demograficamente. Così il primo re e leggendario fondatore, Romolo, decise di rimpolpare la popolazione, andando a insediare senza tante cerimonie la vicina popolazione dei sabini. Del resto la città era stata consacrata dal suo stesso fondatore alla dea della bellezza e dell’amore, Venere, poiché egli stesso era discendente di Enea. Tito Livio riferisce: «Romolo […] inviò alcuni ambasciatori presso le popolazioni vicine per stipulare alleanze militari e per combinare matrimoni [con le loro donne]»⁴. Tuttavia il suo appello rimase inascoltato e così, anziché usare la forza, il primo re di Roma decise di agire d’astuzia. Organizzò le cose in grande stile, attirando i popoli vicini con la scusa di farli assistere a un grande spettacolo. L’idea di visitare la neonata città attrasse molta gente e soprattutto molte vergini e moltissime donne con i bambini. Sempre Livio riferisce che i sabini arrivarono al completo e furono accolti con grande affabilità dai romani. I giovani abitanti di Roma e il re fecero vedere loro la città, li scortarono, li fecero rifocillare nelle proprie case e poi li accompagnarono ai giochi. Era il primo atto del celebre Ratto delle Sabine. Livio spiega con dovizia di particolari cosa accadde:

    Quando giunse il momento convenuto per lo spettacolo e tutti erano concentratissimi sui giochi, scoppiò un tumulto e i giovani romani, secondo un segnale prestabilito, cominciarono a correre all’impazzata per rapire le ragazze. Molte giovani donne venivano prese dal primo in cui si imbattevano: quelle giovani donne che spiccavano sulle altre per la loro bellezza, erano destinate ai senatori più illustri e venivano trascinate nelle loro case dai plebei, a cui era stato affidato quel compito. […] Finito lo spettacolo nel terrore, i genitori delle ragazze fuggirono afflitti e accusarono i romani di aver violato il patto di ospitalità, invocando il dio in onore del quale erano venuti a vedere il rito e i giochi solenni […]. Lo stesso Romolo si aggirava tra le donne e le informava che tutto ciò che era accaduto era conseguenza dell’arroganza dei loro padri, che avevano negato ai vicini la possibilità di combinare matrimoni. Le donne, però, sarebbero diventate loro spose, avrebbero condiviso tutti i loro beni, la loro patria e […] i figli. Si calmassero, dunque, e affidassero il cuore a coloro a cui la sorte aveva già dato il loro corpo. […] Avrebbero avuto mariti migliori, poiché ciascuno dei romani si sarebbe sforzato, facendo il proprio dovere, di supplire alla mancanza dei genitori e della patria. A tutto questo si aggiungevano poi le attenzioni dei mariti (che si facevano perdonare con il trasporto della passione). Poiché le attenzioni sono l’arma più efficace nei confronti dell’indole femminile.

    Alle sabine piacquero moltissimo le attenzioni dei romani e si rifiutarono di tornare dai legittimi mariti e nelle loro famiglie, quando furono reclamate. Si trovavano bene con i passionali romani e qualcuna di loro aveva già il ventre gonfio. Del resto la scelta non era così difficile: tornare a fare la vita di sempre o giacere con questi giovani e focosi romani?

    Alcuni storici, tra i quali Plutarco, riferiscono che Romolo in realtà aveva ordinato di rapire solo le vergini o comunque le ragazze non maritate, ma è lecito pensare che nella calca qualche bella moglie si sia trovata nella mischia. Basti pensare che la sabina che capitò a Romolo, Ersilia, era sposata. L’alleanza con i romani alla fine si fece e pare che la stessa Ersilia ne fosse in qualche modo, se non l’artefice, almeno la maggiore propugnatrice.

    Le vergini vestali

    Fra le tradizioni mitologiche di Albalonga, Romolo si portò dietro anche il culto della dea Vesta e delle sue sacerdotesse: le vergini vestali. La loro origine in realtà è incerta. Le prime vestali dovevano essere state le stesse figlie dei re, incaricate di custodire il fuoco delle prime tribù. A conferma di questa teoria, vi era la celebrazione annuale che consisteva nel rivolgere al rex sacrorum, responsabile dei sacrifici, la solenne ammonizione: «Vigilasne Rex? Vigila!»⁶.

    Vesta – la dea Hestia dei greci, prima figlia di Crono e di Rea, sorella di Zeus e di Era – era la dea che rappresentava il focolare domestico. La dea tutelava il fuoco sacro della città. Il suo culto dipendeva direttamente dal Pontifex Maximus, che era assistito dalle sacerdotesse vestali, le vergini più famose dell’antichità. Queste sacerdotesse, che secondo Plutarco all’inizio erano solo due, arrivarono a raggiungere il numero di sei all’epoca del re Servio Tullio, e tante rimarranno fino allo spegnimento del sacro fuoco per opera del generale Stilicone. Le vergini venivano scelte tra le figlie delle famiglie patrizie e il loro mandato durava trent’anni: dieci di apprendistato, dieci di servizio alla dea e altri dieci di insegnamento alle novizie. La vestale massima era a capo delle sacerdotesse e vigilava affinché ognuna svolgesse il suo ruolo. Quello delle vestali era un sacerdozio prestigioso e ambìto; durante gli anni dedicati alla dea e a Roma, le giovani donne avevano l’obbligo assoluto della castità, da cui dipendeva la salvezza di Roma. Violare la castità era come far precipitare la città stessa nel caos.

    Il primo dovere delle vergini vestali era la conservazione del fuoco sacro, durante tutto il corso dell’anno. La dea Vesta, una delle tre grandi dee vergini dell’antichità assieme ad Atena/Minerva e ad Artemide/Diana, era la custode della casa e del fuoco che ardeva nella casa di ogni famiglia romana. Il rito quotidiano di cuocere la focaccia – spesso di farro – nel focolare domestico era dedicato a Vesta e stabiliva il benessere fisico e spirituale della famiglia. Vesta aveva però anche un culto pubblico. Il suo tempio, di forma circolare perché doveva richiamare le antiche capanne, custodiva il cuore pulsante di Roma: il fuoco sacro di tutti. Una sorta di focolare domestico, intorno al quale tutti si dovevano sentire legati.

    I privilegi di cui godevano le vestali erano molteplici e forse mai una donna a Roma sarebbe stata così libera e ossequiata come una delle sacerdotesse di Vesta. Prima di tutto una vestale non era sottoposta alla patria potestà e poteva studiare, fare testamento, testimoniare in un processo senza doversi sottoporre ad alcun giuramento; i magistrati cedevano loro il passo e le vestali potevano chiedere la grazia per un condannato a morte. Non si poteva iniziare nessun sacrificio pubblico senza la loro presenza: la mola salsa (da cui il termine «immolare»), da loro preparata con la farina di farro, serviva per cospargere la vittima sacrificale e rendeva possibile il sacrificio. Le vergini vestali indossavano sempre una tunica bianca, in testa portavano una fascia, l’infula, e, quando celebravano i sacrifici, si coprivano la testa con un largo velo quadrato, il suffibulum.

    Le vergini vestali, così, ricoprivano un ruolo preminente per l’andamento dello Stato. Erano, secondo alcuni studiosi, le suore dell’antichità. Le uniche colpe di cui si potevano macchiare erano lo spegnimento del fuoco sacro e le relazioni sessuali. Entrambi questi delitti erano considerati sacrilegi imperdonabili e la perduta castità veniva considerata un incestus, poiché la verginità di una vestale doveva durare per tutto il tempo del servizio alla dea. La mancata castità delle vestali, secondo la credenza dell’epoca, poteva sconvolgere il delicato equilibrio della città e comprometterne l’avvenire. In caso di incestus, quindi, la vestale non poteva essere perdonata, ma neanche uccisa da alcun uomo, perché sacra a Vesta. Se perdeva la verginità o lasciava spegnere il fuoco sacro, la vestale veniva frustata e vestita con abiti funebri. Attraversava poi la città come un cadavere in una lettiga chiusa, scortata fino al campus sceleratus. Veniva quindi lasciata in una sepoltura con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio. Il sepolcro veniva chiuso e la sua memoria cancellata. Il complice dell’incestus, ovvero colui che aveva violato la castità della vergine vestale, subiva una pena in genere riservata agli schiavi, cioè la fustigazione fino alla morte.

    I casi in cui le vestali pagarono con la vita non sono pochi: Pinaria, durante il regno di Tarquinio Prisco; Oppia nel 483 a.C.; Orbinia nel 472 a.C.; Minucia nel 337 a.C. e così via. I casi celebri però sono pochi: la vestale massima Cornelia, nel 216 a.C., fu vittima di un complotto e accusata di aver fatto estinguere il fuoco sacro (e, come conseguenza, di aver fatto perdere le truppe romane durante la battaglia di Canne). Infine nel 125 d.C. Caracalla, dopo aver sedotto una delle vestali, la fece seppellire viva con altre due consorelle.

    Il caso di amore proibito più eclatante fu quello di Opimia. Si conosce anche il nome del suo amante: Cantilio. Sempre nel 216 a.C., oltre alla vestale Cornelia (che però fu accusata di aver fatto estinguere il fuoco, ma non

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