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Amore in Si minore
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E-book289 pagine3 ore

Amore in Si minore

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Info su questo ebook

Città nuova, vita nuova. O almeno così credeva la diciannovenne Jen Harrison. Sulla carta, Jen sta vivendo il suo sogno: danzare in una prestigiosa compagnia di balletto di Parigi. Ma la morte di sua sorella e gli errori del passato non cessano di tormentarla. Ha imparato a nascondere i suoi veri sentimenti, e non ha nessuna intenzione di farsi distrarre da un ragazzo. Al massimo un’avventura di una notte. Niente di più. Non si aspetta certo di incontrare il bello sconosciuto che la farà ridere per la prima volta dopo tanto, troppo tempo.

Nessuna ragazza rimane indifferente davanti a Lucas Wills. Rockstar dall’animo ribelle, è circondato dalle groupie. Sempre onesto, non dà mai false speranze, perché sa che l’amore può rovinare ogni cosa. Ci è già passato. La sua ex non solo gli ha mentito, ma gli ha calpestato il cuore, lo ha usato per diventare famosa e gli ha quasi distrutto la vita. Perciò, risvegliarsi da solo dopo aver trascorso una notte fantastica con una ragazza appena conosciuta non dovrebbe turbarlo più di tanto. Non dovrebbe ispirargli una delle canzoni più tristi che abbia mai scritto. Non dovrebbe fargli venire il chiodo fisso di ritrovarla.

Quando Jen, l’avventura finita troppo presto, si ripresenta a un provino per diventare la ballerina nel nuovo video musicale della band di Lucas, l’attrazione fra loro non fa che crescere. Ma i segreti sepolti nel passato di entrambi potrebbero mandare in frantumi le carriere che hanno tanto faticato per costruirsi… e i loro cuori. Dovranno decidere se valga la pena lottare per il loro amore.

LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2020
ISBN9781071527887
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    Anteprima del libro

    Amore in Si minore - Elodie Nowodazkij

    Pour toi, Paris.

    A te, Parigi.

    CAPITOLO 1 – JEN

    Dare una ginocchiata nelle palle a un ragazzo potrebbe non essere l’idea migliore.

    E non tanto perché il ragazzo in questione è uno di quei giovani attori sulla cresta dell’onda che a detta di molti sarà il nuovo Leonardo DiCaprio, quanto perché non voglio creare problemi alla mia amica Alisha. Il club ha aperto da poco, ma è già considerato come il club di Parigi. È pieno di gente importante e Alisha ha supplicato suo cugino per ogni singolo giorno delle ultime tre settimane affinché trovasse un modo per farci entrare. Lui è qui a fare il DJ e la sua musica è l’unica cosa di questa serata che non faccia schifo.

    «Credo che Scorsese voglia darmi il ruolo principale nel suo prossimo film. Gli serve un protagonista che parli francese. Pronto? Io sono francese.» La sua voce è decisamente troppo vicina al mio orecchio e faccio per scansarmi, ma sembra non afferrare il concetto. «Chiedo per il mio amico laggiù...» Mi indica un tipo che potrebbe essere il sosia di Justin Bieber. «Hai mica un’amica, o magari una sorella? Il mio amico si sente solo.»

    Sento una stretta al cuore e il mio sguardo si fissa sulle bottiglie allineate dietro al bar. Ma anche se mi concentro sui loro colori brillanti o su come il barista riesce a versare quattro drink alla volta, ciò non impedisce al dolore di annidarsi nel mio petto.

    Ce l’avevo una sorella.

    «Ho detto qualcosa di sbagliato?» A quanto pare Bjorn l’attore sa essere perspicace quando si impegna. Faccio un respiro profondo.

    Se perdessi il controllo, sarebbe la seconda volta questa settimana. Non sono riuscita a trattenere le lacrime dopo che il mio maestro di balletto – Igor – mi ha urlato contro dicendomi che avrei fatto meglio a restarmene a New York. Quelle parole mi hanno trafitta, e una volta tornata nel mio appartamento, mi sono buttata nel letto, ho stretto fra le braccia uno degli ultimi disegni di mia sorella e sono scoppiata a piangere.

    L’aspirante DiCaprio si sporge in avanti. L’odore pungente della sua colonia mi fa venire un conato di vomito. «Devi tirarti su il morale, stellina. Posso portarti un altro drink?»

    Scuoto la testa, con lo sguardo fisso altrove, sperando che finalmente colga il messaggio.

    «Andiamo, bella. Ho sentito dire cose fantastiche sulle ragazze americane.» Persino la sua voce è viscida.

    Gli tolgo la mano dalla mia spalla. Non mi interessa sapere cosa gli abbiano detto delle ragazze americane, o delle asiatiche, o delle africane, su cui avrebbe avuto di sicuro qualche altro commento se gli avessi raccontato che i miei bisnonni da parte di madre venivano dal Giappone, e che il mio nonno paterno era nato in Guinea ed era venuto a giocare a calcio in Irlanda, dove aveva conosciuto mia nonna – la loro relazione era uno scandalo per quei tempi. Mi ha chiesto solo da dove venissero i miei genitori – entrambi dagli Stati Uniti – e, sentendo la risposta, si è messo a ridacchiare.  

    Che stronzo.

    Nemmeno il suo accento francese può redimerlo dalla stronzaggine.

    Mi alzo così in fretta che per poco non faccio cadere lo sgabello. Riesco ad afferrarlo in tempo; poi mi metto la mia giacca di pelle sopra il top rosso e faccio per andarmene, lasciando sul bancone il bicchiere di mojito quasi pieno. Uno dei vantaggi di avere diciannove anni a Parigi, rispetto agli USA, e che non ho bisogno di documenti falsi per bere alcolici. Anche se qua non si usa dare la mancia, lascio comunque due euro accanto al mio drink. Il barista mi fa un sorriso, un po’ per ringraziarmi, un po’ per confortarmi, come se sapesse già di quanto fosse fastidioso quel tipo.

    «Ho bisogno di prendere una boccata d’aria.» Il mio sorriso deve sembrare davvero finto, perché lo vedo guardarmi con espressione confusa, ma non gli lascio il tempo di controbattere. Mi allontano di corsa mischiandomi tra la folla nella pista da ballo.

    Alisha è seduta a un tavolino all’angolo opposto insieme a Steve, un ragazzo conosciuto stasera. Viene dall’Ohio e, a detta sua, è il nuovo membro di una rock band che sta cercando di tornare alla ribalta dopo dissidi interni. Ha un fisico da rugbista ed è completamente pelato – non il classico tipo di Alisha, che comunque sembra gradire molto la compagnia.

    «Vado a prendere un po’ d’aria» le sussurro a un orecchio. Lei si volta di scatto e lancia un urlo così forte che tutti si girano verso di noi. Incluso Bjorn. Che palle.

    «Non ti avevo vista arrivare!»

    «In effetti mi sembri piuttosto impegnata.» Scambio un sorriso d’intesa con Steve. Se la sua band sfonderà, Alisha dovrà vedersela con un sacco di groupie. È una da fidanzamento. La sua ultima relazione è durata diciotto mesi e questa è la prima volta che vede qualcuno dopo la separazione. «Non scappo, giuro. Devo solo liberarmi del signorino Stronzetto De Stronzettis.»

    Alisha si gira con sguardo minaccioso verso il bar, dove è seduto Bjorn. Sembra mi stia ancora cercando. L’ultima cosa che voglio è che mi trovi. «Puoi sederti qua con noi» mi dice tamburellando la mano sul divanetto, ma lei e Steve sembrano particolarmente in intimità e preferisco non intromettermi.

    «Non preoccuparti. La ragazza che era dietro di noi ha continuato a lanciarmi sguardi assassini fin da quando lui mi ha offerto il drink. Sono sicura che adesso si farà avanti, e sono altrettanto sicura che lui non si tirerà indietro.»

    «Prenderai freddo» dice osservando la mia giacchetta, più un ornamento estetico che altro. Il mio cappotto invernale l’ho depositato nel guardaroba all’ingresso.

    «Starò fuori solo cinque minuti.» Mi avvio verso l’uscita. «Torno subito, promesso.»

    Alisha contrae le labbra, come se non fosse convinta della situazione. «Promesso!» le ripeto, e mi allontano rapidamente da loro. Mi faccio timbrare il dorso della mano dal buttafuori e sono all’esterno.

    Mi riempio i polmoni dell’aria di Parigi. Da quando sono arrivata, ho come la sensazione di essere stata catapultata in un altro mondo: i cafè lungo la strada, le persone di corsa come a New York, ma che riescono a ritagliarsi del tempo per discutere, vivere, amare. E i palazzi sono incantevoli. Mia mamma mi raccontava storie sull’architettura di Parigi come fossero fiabe della buonanotte, piene di sussurri, misteri e momenti avvincenti. Mamma adora i grandi viali come questo, dove i palazzi hanno balconi tutto intorno al terzo e al sesto piano – un tratto caratteristico degli edifici costruiti in età napoleonica. Potrei stare ad ammirarli per ore. Faccio due passi ed entro in una strada laterale. Qui gli edifici sembrano più vecchi e stretti. Devono aver visto di tutto. I miei occhi cercano un’eventuale iscrizione sul palazzo di fronte a me. Ho scattato una foto a tutte quelle che ho trovato. Fuori dal mio appartamento ce n’è una dedicata a un soldato caduto durante la Seconda guerra mondiale, e un’altra che menziona uno scrittore vissuto nel palazzo nel Settecento. Mi fisso sul piccolo balcone, domandandomi quale sia la storia di questa casa in particolare, chi ci abbia vissuto e chi ci viva adesso. Tutto per cacciare via la noia e la tristezza.

    «Bah alors t’es toute seule?»

    Mi giro alla mia destra. Un tizio si sta avvicinando, ma il suo sorriso non è né amichevole né galante. Il suo ghigno mi fa venire i brividi di paura – sommati a quelli di freddo – e sento il mio corpo irrigidirsi. Mi sono allontanata un po’ troppo dal club e intorno non c’è nessun altro.

    Apro la bocca, pronta ad urlare, ma una luce nell’oscurità mi blocca. La luna riflette la lama di un coltello. Sono paralizzata. Tutto ciò a cui riesco a pensare è che i miei genitori non si meritano di perdere un’altra figlia.

    Che dovrei chiamarli, parlare con loro, dirgli quanto gli voglio bene.

    Che non voglio morire.

    CAPITOLO 2 – LUCAS

    Non avevo voglia di uscire stasera. Volevo stare a casa a guardarmi un film, ma Steve ha insistito che dovevamo passare un po’ di tempo tutti insieme in vista dei provini della settimana prossima per il nostro video musicale. Questa canzone potrebbe riportarci in vetta alle classifiche, così come potrebbe affossarci definitivamente. Con tutte queste pressioni addosso non riesco a stare sereno.

    «Non mi va di parlarne.» La mia voce suona annoiata, ma in realtà mi sto sforzando di mantenere la calma. Il mio manager – Grégoire – sta per raggiungerci al club e mi ha chiamato al cellulare come se ciò che dovesse dirmi fosse una questione di vita o di morte. «Senti. Ora ho da fare. Ci vediamo quando arrivi qua.» Riattacco prima che possa giocarsi la carta del senso di colpa, la sua specialità. Ricordandomi che gli altri membri della band contano su di me. Ricordandomi che Benji – il mio miglior amico – viveva per la musica e non avrebbe mai voluto che rinunciassi al nostro sogno. Ricordandomi che i nostri fan ci adorano e si aspettano grandi cose da noi.

    Ma stasera non me la sento proprio di parlare della band.

    Allungo lo sguardo per ammirare un’altra volta la splendida ragazza seduta al bar. Il top che indossa è molto sottile e ad ogni movimento lascia trapelare le sue forme, galleggiando sulla sua morbida pelle. Muoio dalla voglia di passarle delicatamente le mie dita fra i capelli, e se solo Bjorn, un attore a cui dovrebbero assegnare l’Oscar per la stronzaggine, non fosse accanto a lei, avrei già fatto la prima mossa.

    Forse dovrei farla lo stesso.

    Mi alzo, ma prima che possa avvicinarmi a lei, Dimitri – un altro membro della band – mi ferma. «Che bello che sei qui» farfuglia prima di abbracciarmi «Sono proprio contento.» Si getta accanto a me sul divanetto e mi stringe una mano attorno alla spalla. Di solito è uno tranquillo, ma quando beve va fuori di testa. In questo momento è così ubriaco che forse sarebbe meglio chiamargli un autista. Sua moglie – Amie – non mi perdonerebbe mai se lo lasciassi in queste condizioni. «Vedrai, spaccheremo tutto. Dobbiamo spaccare tutto» borbotta, ricordandomi ancora una volta che non sono l’unico membro della band. Non sono l’unico che ha bisogno del successo. Dimitri deve pagare le tasse universitarie del suo fratello più piccolo, ammesso in una prestigiosa scuola di economia di Parigi, ma senza borsa di studio. Inoltre, si è offerto di aiutare l’intera famiglia di Amie, prendendosi carico del mutuo per la casa dei genitori di lei. Dimitri ha solo venticinque anni, ma, come osserva spesso Grégoire, il modo in cui si prende cura di chi gli sta vicino lo fa apparire molto più maturo.

    «Voglio un altro drink» biascica, cercando di reggersi al tavolino, per poi ricadere all’indietro, chiudere gli occhi e cominciare a russare.

    I miei occhi provano a rilocalizzare la ragazza misteriosa. La vedo che parla con la ragazza seduta accanto a Steve, e subito dopo avviarsi verso l’uscita, senza cappotto. Tornerà.

    Chiamo un autista per Dimitri e dico a Steve che lo sto portando fuori. La ragazza che è con lui fissa i miei occhiali da sole senza dire nulla. Do una pacca sulla spalla a Steve e gli rammento a bassa voce che io per questa sera mi chiamo Clément. Clément il fonico.

    Non voglio essere famoso stasera.

    Dimitri è pesante, ma almeno non oppone resistenza. Una volta fuori, lo sento rabbrividire per il freddo. L’auto arriva in poco tempo. Lo aiuto a entrare e chiamo Amie per dirle che sta tornando. Amie mi ringrazia sentitamente. Mentre parlo con lei, mi incammino senza pensarci verso la Senna. Mi fermo a guardare i riflessi delle luci sull’acqua.

    Che pace.

    Finché non suona il telefono. Un messaggio.

    Sono dentro il club. Tu dove sei?

    Grégoire non sembra contento, e quando Grégoire non è contento è ancora più sgradevole del solito. L’unica cosa che mi spinge a tornare indietro, però, è il pensiero di quella bellissima ragazza. Se va via prima che io torni, potrei non rivederla mai più, e la mia serata sarebbe rovinata.

    Torno a passo spedito verso il club, godendomi l’anonimato di stasera mentre penso a nuovi pezzi per il prossimo album, anche se non sono più riuscito a scrivere una sola canzone dopo quella per la morte di Benji.

    Ma all’improvviso la vedo.

    CAPITOLO 3 - JEN

    La mia schiena è schiacciata contro il muro freddo. Il mio cervello è alla disperata ricerca di un qualche modo per uscire da questa situazione, ma l’unica cosa su cui riesco a concentrarmi è la cicatrice sulla guancia sinistra dell’uomo. Mi viene da chiedergli come se la sia fatta. Forse guadagnerei del tempo. Forse gli mostrerei che anch’io sono una persona.

    «Tu parles pas, t’es timide?»  Il suo fiato puzza di birra e disperazione.

    Il mio francese base non può essermi di alcun aiuto. «Je... Je ne comprends pas.»

    Mi blocca la strada. «Tu no parla francese?» Si sfrega pollice e indice. «Soldi. Soldi.»

    Vedo qualcuno in lontananza. È la mia occasione. «Non ho soldi.» Lo dico a voce abbastanza alta perché possa sentirmi. Vedo che si gira – può capire chiaramente cosa stia succedendo –, ma invece di venire ad aiutarmi, tira dritto per la sua strada. Sento una fitta allo stomaco. E se non riuscissi a cavarmela?

    Il mio telefono è infilato nella tasca posteriore. Gli consegnerei la borsetta con i miei documenti, una carta di credito e venti euro, ma c’è anche una foto di me con la mia sorellina, un prezioso ricordo che non ho salvato sul computer o sul telefono. Quando si sentiva meglio, la portavo al centro commerciale. Non si stancava mai di stare sui cavalli della giostra. C’era anche una cabina per fototessera dove ci divertivamo a fare le facce buffe. Non posso perdere quella foto.

    Mi dà un colpetto sulla testa. «Allô? Capisci?»

    Lo fisso e per una frazione di secondo sembra quasi imbarazzato, come se non gli piacesse ciò che sta facendo. Potrei parlargli per convincerlo a prendere solo i soldi. Devo crederci.

    Poi un’ombra compare alla mia sinistra. No. Non è un’ombra. È un ragazzo.

    «Il y a un problème?» Non sembra spaventato. E neanche minaccioso. Solo preoccupato. E c’è qualcosa nel modo in cui cammina che mi rassicura. Forse è la sua confidenza, o più semplicemente il fatto che stia venendo a salvarmi. O forse è solo che è buio, sono terrorizzata e non ci sto capendo nulla.

    «Non saprei.» La mia voce non è tremante quanto mi sarei aspettata. Spero con tutto il cuore che parli la mia lingua.

    Si avvicina ancora un po’. «Stai bene?» Il suo tono è caldo e rassicurante, come se volesse assicurarsi che io non abbia paura di lui, che abbia capito che vuole solo proteggermi.

    «Dégage.» Il malintenzionato gli punta contro il coltello. A pensarci meglio, fermo restando che colpire qualcuno nelle palle non sia quasi mai l’idea migliore, per lui potrei fare un’eccezione. Mi focalizzo sui miei movimenti, come farei prima di una piroetta; raccolgo tutta la mia adrenalina e in un istante la concentro in un calcio, colpendolo dove fa più male. Lancia un urlo e si piega su sé stesso, saltellando su un piede e lasciando cadere il coltello.

    «Salope. Putain, salope.» Credo mi stia dando della puttana. Il ragazzo con gli occhiali da sole mi appoggia una mano sulla spalla.

    «È stato impressionante.» mi dice, poi abbassa il tono della voce fino quasi a sussurrare. «Stai tremando. Dovresti rientrare e prendere qualcosa da bere.»

    Prima che possa rispondergli, due buttafuori del club corrono verso di noi. Uno di loro appende al muro il rapinatore, che ora sta piagnucolando mentre farfuglia qualcosa in francese.

    L’altro buttafuori ci rivolge lo sguardo e i suoi occhi si spalancano. Dalla sua bocca esce un fiume di parole di scusa. Anche il suo atteggiamento sembra profondamente dispiaciuto, ma non capisco bene perché.

    Il ragazzo che mi ha aiutata gli dice soltanto: «Dovremmo chiamare la polizia.»

    Il buttafuori, immobile, continua ad apparire in difficoltà. Finalmente riprende a parlare. «Ci penso io, non si preoccupi. Le nostre telecamere avranno ripreso tutto. Può tornare dentro.»

    Il rapinatore strilla e si dimena, ma il buttafuori che lo tiene non fa una piega.

    Alzo la mano come se fossi a scuola. «Non dovremmo aspettare l’arrivo della polizia?» Sono davvero troppo calma, considerando quello che è appena successo.

    Il buttafuori scuote la testa. «Altre due persone sono state rapinate oggi e questo tizio corrisponde alla descrizione del ricercato diramata dalla polizia.»

    «Putain, j’ai rien fait!» Il rapinatore tenta inutilmente di liberarsi dalla presa del buttafuori. «Ho fatto niente!» Stavolta grida nella mia lingua, come se volesse rivolgersi proprio a me, come se sperasse che io prenda le sue parti, lo difenda, dicessi che è stato solo un grande equivoco. Lo fisso. La sua pelle è livida e i suoi capelli sporchi. Ha delle braccia forti, ma dalle guance scavate si direbbe che non mangi decentemente da settimane. I suoi occhi sono pieni di disperazione. Ha tutta l’aria di un tossicodipendente in crisi di astinenza. Il mio cuore batte come se avessi danzato per un intero balletto. L’adrenalina si dissolve e devo fare i conti con le mie emozioni: la paura di morire, il desiderio di vivere. È questo che mia sorella ha provato prima del suo ultimo respiro? Sapeva cosa stava succedendo? Mi sento avvolta dalla tristezza. Sto per mettermi a piangere.

    Il ragazzo con gli occhiali da sole mi dà un colpetto col gomito, delicatamente, come se non volesse spaventarmi, nonostante possa intuire chiaramente la mia inquietudine. «Se vuoi restare qui, possiamo aspettare. Altrimenti, Karim ha il mio numero.» Mi indica il buttafuori che ha parlato con noi, un uomo maturo e dai modi tutto sommato gentili. «Mi assicurerò che lo dia alla polizia.» La sua voce rassicurante e premurosa mi fa venire voglia di accucciarmi fra le sue braccia. Mi sa che sto andando fuori di testa.

    Sono confusa. Vorrei restare, ma sul serio, cosa ho contro quel disgraziato se non che mi ha puntato un coltello? Non me l’ha ficcato in gola, non mi ha rapinata, e sì, mi ha minacciata, ma senza toccarmi.

    Il rapinatore adesso è in silenzio, ma mi sta ancora fissando. Karim mi guarda con espressione burbera e allo stesso tempo affabile. «Ho una figlia della tua età.» Ha un forte accento francese e faccio fatica a comprendere alcune parole. Fa una pausa di riflessione, poi continua. «Non c’è bisogno che aspetti qui. Quel tizio sta creando problemi in questa zona da tre settimane, ma la polizia è più interessata... come dire... al pesce grosso. Il boss. Tu...» I suoi occhi sono gli occhi di un padre. Ha lo stesso sguardo di mio padre quando è preoccupato. «Tu non ti meriti di stare qui a respirare la stessa aria dell’uomo che ti ha aggredita. Dai retta a me.»

    Annuisco, mantenendo il contatto visivo, e gli sorrido di gratitudine.

    Il ragazzo con gli occhiali da sole si avvicina al mio orecchio. Il suo respiro sul mio collo mi ricorda che sono viva. «Andiamo, lascia che ti accompagni dentro.»

    Saluto Karim con un "Merci", mentre il rapinatore resta appoggiato al muro, resosi apparentemente conto che gli conviene rimanere in silenzio piuttosto che lanciare insulti al vento.

    Dopodiché, mi rivolgo a Mr. Occhiali da sole. «Grazie. Ancora non ti ho ringraziato.» Le parole mi escono stranamente nell’ordine sbagliato. Ora voglio solo andarmene via da qui, via da tutto. «Questa serata non è andata come da programma» penso ad alta voce. Perché l’ho detto così forte?

    Occhiali da sole mi appoggia una mano sulla schiena e mi sento avvolta dal calore. Mi accompagna gentilmente fino all’entrata del club. I suoi modi e la sua voce riescono in qualche modo a impedirmi di scoppiare a piangere. «Nel senso che essere rapinata non era nei tuoi programmi?» Ora che ci faccio caso, non ha l’accento francese – direi piuttosto americano.

    «No.»

    I suoi occhiali da sole sono ancora appoggiati sul suo naso, e anche se lo trovo un po’ strano a quest’ora della notte, preferisco non farglielo notare. Forse ha una malattia agli occhi, oppure si sente più sicuro così, o magari

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