Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La musicista: Pentagramma mortale
La musicista: Pentagramma mortale
La musicista: Pentagramma mortale
E-book287 pagine3 ore

La musicista: Pentagramma mortale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"Sono una donna come tante. Una donna cosiddetta normale. Casa, lavoro, palestra. Solo che a volte mi prende una voglia irresistibile di uscire e di uccidere."

Rosa ha un passato da nascondere e i suoi fantasmi pagano col sangue il suo presente.Moreno, l'ispettore incaricato di far luce su efferati omicidi che come traccia hanno un pentagramma
inciso con un coltello sul corpo delle vittime. In sottofondo le arie delle più belle opere liriche
che Rosa conosce a memoria. Sarete l’assassino. Sarete Moreno che indaga. Il bene e il male hanno finalmente una voce e un volto:quanto uno prenderà in prestito dall'altro?
Chi condannerete o amerete? Attenti a rispondere, perchè “Non è vero che negli occhi
si legge la nostra anima. Se avvicinandomi, le vittime vedessero la mia, fuggirebbero. Invece...”

Menzione speciale per la categoria inediti al Festival Giallo Garda 2015
LinguaItaliano
EditoreDamster
Data di uscita9 set 2016
ISBN9788868102784
La musicista: Pentagramma mortale

Correlato a La musicista

Ebook correlati

Poliziesco per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La musicista

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La musicista - Andrea Bloch

    Andrea Bloch

    La Musicista

    Pentagramma mortale

    Prima Edizione Ebook 2016 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868102784

    Copertina

    Progetto grafico

    Massimo Casarini e Fabio Mundadori

    Damster Edizioni

    Via Galeno, 90 - 41126 Modena

    http://www.damster.it  e-mail: damster@damster.it

    Andrea Bloch

    La musicista

    Pentagramma mortale

    Romanzo

    INDICE

    PREFAZIONE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    Epilogo

    Finale

    Postilla

    Ringraziamenti

    Gli Autori

    COMMA21 la collana

    Catalogo Damster

    "Uccidere è sempre uccidersi"

    (Simone Weil)

    PREFAZIONE

    Scrivere la prefazione per questo racconto polifonico è per me motivo di grande soddisfazione. In primis, perché me lo ha chiesto un caro amico. In secundi, perché mi affascina - da sempre - la scrittura collettiva, specie in un thriller ove la storia sembra aver condotto le penne e non viceversa. In terzis, perché si tratta di un racconto noir, molto ma molto splatter, che piacerebbe a registi come Dario Argento, Quentin Tarantino, Takashi Miike, Gregg Araki e Robert Rodriguez. Un gruppo di amici scrive, un pezzetto ciascuno, un giallo. La storia si dipana man mano che gli autori aggiungono il proprio brano. Non si è deciso preventivamente nulla, non c’è una trama condivisa, un inizio ed una fine delineati. Si fanno portare dai venti della scrittura e della fantasia, i protagonisti narrano le proprie avventure e gli autori sembrano solo trascriverle velocemente. Eppure la storia c’è, i personaggi sono appassionanti, si legge volentieri senza sosta per sapere come evolverà il racconto. Ed infatti il lavoro viene premiato al GialloGarda, uno dei premi più prestigiosi per il genere. Ovviamente non vi svelerò la trama, ma auguro buona lettura e tanta tanta fortuna a La Musicista.

    Alessandro Noseda

    I

    È ora.

    Senza nessuna ricorrenza particolare, a volte mi viene voglia di uscire e uccidere.

    Così, senza nessun motivo apparente e contro nessuno in particolare. Voglio solo veder soffrire qualcuno. Ecco. Vedere nei suoi occhi il terrore, sentire l’odore che ha la sua paura.

    Metto in moto la mia auto ed esco in perlustrazione. Apparentemente non desto sospetti alle mie vittime. Sono una donna normale. Normale sguardo. Modi non alteri. Non è vero che negli occhi si legge la nostra anima. Se, guardandomi, le mie vittime vedessero la mia, scapperebbero. Invece...

    Stasera ho deciso di allungarmi verso la riviera. Ancora qualcuno che affronta le strade isolate c’è. Magari uscendo ad ora tarda dai locali. E infatti. Guarda un po’ lì quel tipino che esce dal Bingo. Mi avvicino.

    – Mi scusi se la importuno, ma girando per queste strade isolate non trovo più la strada principale. Sa… quel viale molto grande ed alberato. Ora non ricordo il nome.

    – Lei parla del viale delle Orchidee! – mi risponde il tizio con fare timido e con voce appena accennata.

    – Sì, è proprio quello che sto cercando, però purtroppo non so come arrivarci. Non è che lei gentilmente potrebbe accompagnarmi? Sempre se non abbia impegni...

    – Ma certo, l’accompagno volentieri, stavo tornando a casa, ma se arrivo qualche minuto più tardi non è un problema. Io vivo solo.

    Sale e ci avviamo verso viale delle Orchidee. Mentre guido con la coda dell’occhio, lo osservo: piccolo, neanche un metro e sessanta, magrolino, naso adunco, occhiali spessi, non deve vedere ad un palmo dal naso! Ci presentiamo:

    – Io mi chiamo Rosa e lei?

    – Che combinazione! Anch’io ho il nome di un fiore: Giacinto.

    – Ma è stupendo – gli dico mentre accarezzo il coltello ben affilato nella tasca del mio giubbotto.

    Strattono la macchina senza che se ne accorga.

    – Cosa sta succedendo? – dico.

    Poi faccio spegnere il motore. Giacinto mi guarda senza sospettare nulla.

    – Scendiamo e diamo un’occhiata al motore.

    Scende lui per primo. Io metto il freno a mano e lo seguo. Ci avviciniamo per vedere cosa è successo. Mentre lui guarda il vano motore, gli punto il coltello nella schiena.

    – Non urlare! Ora ti passo una corda e tu mi aiuterai a legarti. Non aver paura, non ora. Il gioco sta per iniziare.

    Mi guarda senza capire, mentre dall’auto tiro fuori una corda spessa e inizio a passargliela attorno ai polsi.

    Giacinto trema così tanto, che lo devo minacciare di nuovo.

    – Fermo – gli dico – e aiutami a legarti, forte, in modo che non ti possa slegare. Se non mi aiuti, ti sgozzo qui, subito, come un animale, ma il gioco finirebbe troppo presto e io voglio farlo durare a lungo, voglio godermi la tua agonia, voglio vedere il sangue sgorgare a fiotti, fino a quando la vita ti abbandonerà lentamente.

    Mi faccio consegnare telefono, chiavi, documenti e quanto di personale ha addosso. Giacinto ha cambiato espressione del volto, e questo mi provoca adrenalina. Siamo ancora alla fase in cui nella mia vittima si fa strada la paura mista all’incredulità, che una donna dall’aspetto assolutamente insospettabile possa recar del male. Iniziamo la procedura del legamento.

    Mi sento così eccitata che arrivo vicino ad un orgasmo ma poi mi domino.

    – No, non voglio, non ancora, non qui non ora. Dopo ne avrò tutto il tempo.

    Lo spingo di nuovo in auto senza tanti complimenti. Lui mi guarda con gli occhi stralunati. Gli rovescio addosso uno schiaffo da farglieli uscire fuori dalle orbite. Gli ho rotto il naso, che comincia a sanguinare copiosamente.

    – Cosa avevi da guardarmi così!?

    E scoppio a ridere.

    Sono felice e serena come una bambina che gioca con i suoi compagni della scuola materna, senza alcun pensiero, solo con lo scopo di giocare per sempre.

    Finalmente il bel Giacinto è legato come un salame.

    – Ora entra nel portabagagli – gli intimo. – Subito, immediatamente, altrimenti ti spacco quegli occhiali da talpa che hai, brutto verme! Che fai piangi? Ahahahah! Sei come gli altri, alla fine piangono come pupetti! Su entra, tanto sei quasi un nanetto.

    E Giacinto, sempre piangendo, si infila nel portabagagli.

    – E ti avverto – gli dico con voce rauca e profonda – se osi fare un solo rumore, scendo e ti ammazzo come un maiale, e poi ho la radio con la musica a palla, non ti sentirebbe nessuno!

    E con una botta potente chiudo e sento un ahi. Poveretto, devo averlo colpito da qualche parte! E mentre mi rimetto al volante scoppio di nuovo in una fragorosa e delirante risata!

    Mi sento formicolare ogni parte della mia carne. Sto gustandomi già la prossima scena.

    Con lui legato nel bagagliaio, metto in moto e vado alla ricerca di qualche casolare abbandonato.

    Ce ne sono molti nei dintorni e io ho il mio preferito perché a pochi passi c’è un pozzo artesiano dove ho già fatto sparire un paio di amici. Rido ancora e intanto creo nella mia testa le scena che di lì a poco metterò in atto. Devo fare le cose per bene. Lentamente. Più saprò essere lenta e più potrò godere. Mentre guido, la mia mano sinistra si muove in mezzo alle mie gambe.

    – Venti minuti, solo venti minuti... – mi ripeto, mentre schiaccio forte l’acceleratore.

    Ecco che già intravedo la strada che mi porterà nel piccolo cottage dove consumo i miei giochi. Si trova in un luogo appartato, sulle sponde di questo lago che nei giorni d’ autunno come questo, è scenario perfetto per un omicidio annunciato. Gli alberi spogli, la nebbia che sale, la notte che scende, aggiungono un qualcosa di macabro alla mia operazione.

    Questa volta i venti minuti mi sembrano eterni, poi finalmente arrivo al mio casolare. Vederlo e immaginarmi ciò che mi aspetta, mi fa godere immensamente, il mio sguardo satanico gode insieme a me. Apro il portabagagli e mi colpiscono gli occhi di Giacinto: sono letteralmente sbarrati, terrorizzati, arrossati dal lungo piangere, e la mia voglia di macabro divertimento si fa sempre più sentire!

    – Su scendi merdina, che ti aspetta una bella serata!

    Poi decido di farlo aspettare un altro poco e richiudo lo sportellone.

    Accendo lo stereo e Pavarotti comincia a cantare E lucevan le stelle. La Tosca di Puccini, la mia opera preferita. La mia voce si unisce a quella del grande compianto tenore. Mi sento meravigliosamente bene. Spengo il motore e anche Pavarotti ammutolisce. Nel portabagagli Giacinto invece si sta lamentando. Apro il portellone e a lui basta guardarmi in volto per smettere anche di respirare.

    – Bene vedo che ci capiamo al volo. Siamo due anime gemelle e adesso te lo dimostrerò. Sbrigati! Scendi che non abbiamo tempo da perdere!

    Lo spingo verso casa. La porta solo accostata. Se l’è fatta addosso, dall’odore che emana. In centro, nella stanza, un vecchio letto, col materasso sporco di sangue.

    E di fianco la poltrona di ferro da barbiere. Sì, il mio ospite lo faccio accomodare lì. Sangue e ferro, già pregusto l’odore.

    – Allora – gli dico con voce dolce e suadente, – quale gioco preferisci fare mio bel Giacinto?

    – Gioco? – trema come una foglia – Cosa vuoi dire... io voglio andare a casa mia... – piagnucola.

    – SMETTILA – urlo – così mi fai innervosire, e allora addio gioco, ti squarto subito in due. CAPITOOO???

    Lo faccio sedere, passo le corde attorno al suo corpo e alla sedia. Immobilizzo la testa e le mani. Gli allargo le gambe. Punto la potente torcia che ho in mano, direttamente sul viso di Giacinto. È una maschera di sangue e orrore allo stato puro. Mi mordo il labbro inferiore. Tutto il mio corpo è teso fino allo spasimo, tormentato dalla mia sessualità ormai accesa e stimolata dalla paura di lui e dal potere che sento di avere.

    Da un cassetto lì vicino, tiro fuori un bisturi. Regalo di una mia vecchia conoscenza di gioco.

    Gli passo il bisturi lentamente sul dorso delle mani. Lui urla.

    Mi ricompongo. Riprendo il mio tono suadente e riapro la cassetta con dentro i ferri del ‘mestiere’.

    – Dunque, dunque... vediamo un po’... una boccetta di etere, dello scotch, uno due tre quattro, ecco, cinque punteruoli, sai meglio abbondare... oh! Eccoli qui i miei attrezzi preferiti, tenaglia, c’è... martello, corda... tesoro! Ti do una buona notizia: abbiamo tutto, contento?

    Lui tace. Strano. Non mi convince. Non può essersi già rassegnato alla sua fine. Gli volto le spalle lentamente e poi, rapida come un fulmine che colpisce un albero, mi rigiro e gli infilo un punteruolo nella mano destra. Giacinto si contorce come può e grida con quanto fiato ha in gola.

    – Ohhh!!Siii!! Così mi piaci!! Urla amore mio urla!!!

    Poi il suo urlo improvvidamente tace.

    – URLA ANCORA!

    Solo silenzio. Prendo il bisturi e gli incido un braccio e allora l’urlo devastante ritorna e io mi eccito sempre più, il sangue scorre a fiotti, lo lecco, lo annuso, e ho un altro orgasmo!

    – Scusami Giacinto, se non ti ho aspettato – gli sussurro all’orecchio destro mentre l’accarezzo. Ma lui continua ad urlare e non mi ascolta. Ecco fatto, un taglio netto e gli mostro il padiglione reciso.

    E Giacinto, il piccolo verme, sviene. Prendo un secchio di acqua gelata e gliela butto addosso e lui si riprende. Ma trema e io per farlo smettere, gli incido l’altro braccio e l’urlo riprende ossessivamente e io godo infinitamente!

    – BASTA, ti prego, Basta!

    – Ah Giacinto, quanto mi piace quando mi implori, cos’hai detto? ANCORA? Bene ti accontento subito!

    Riprendo il bisturi e questa volta gli faccio delle piccole incisioni in tutto il corpo e gli zampilli di sangue mi ricordano una fontana rossa.

    Adesso mi sento più calma, appagata. Lo guardo. È sempre più debole. Non mi serve più. Sta scivolando nell’incoscienza. Lo so, ormai sono diventata un’esperta. Fra poco al mondo non ci sarà più questo Giacinto.

    – Non ti preoccupare adesso ti libero.

    Gli sorrido grata per ciò che mi ha regalato e con il mio coltello preferito gli incido la gola. Il sangue che esce non ha più forza e io mi sento invincibile.

    C’è rimasto solo un soffio di vita e io mi voglio godere anche quest’ultimo soffio come faccio con gli altri. Velocemente gli attacco alla vena una flebo di sangue e plasma, so che si riprenderà, in pochi minuti il sangue scorre nelle sue vene, è pochissimo, ma è sufficiente per fargli riaprire gli occhi ormai smorti.

    – Dimmi Giacinto, quale è il tuo ultimo desiderio? Vuoi un sigaretta?

    Un filo di voce ce l’ha ancora. Mi avvicino alla sua bocca.

    – Parla mio bel fiore… parla, la tua Rosa ti ascolta.

    – Vaffanculo...

    Lo dice bene Giacinto e io godo quando mi ci mandano.

    – Ridillo Giacinto, dillo ancora – ma Giacinto non c’è più, è volato e con lui è volato via anche il mio godimento, i miei orgasmi.

    Sono stanca. Mi riposerò un po’ e poi domani mi aspetta un’altra vittima! Un altro fiore? Chissà.

    Trascino il cadavere verso il pozzo artesiano e lo getto dentro. Torno nel casolare a riporre i miei attrezzi nel cassetto. Con i polpastrelli abrasi non potranno mai risalire a me. Esco e mi chiudo la porta alle spalle. In auto ho dei vestiti puliti. Li indosso e do fuoco a quelli imbrattati di sangue. Salgo in macchina e torno verso casa. Calma e silenziosa. Giacinto è già dimenticato.

    II

    E come sempre l’ascensore non funziona. Ho fatto la spesa alla Crai. Il volantino raccontava di miraboli sconti, ma era il classico specchietto per allodole.

    Se il mio lavoro mi permettesse qualche soldo in più, farei venire il garzone a casa, che è anche un bel vedere, ma un’impiegata di banca non dovrebbe navigare nell’oro.

    Finalmente sono a casa. Appena apro la porta Will, il mio cane, corre come sempre a darmi il suo benvenuto. Ho le mani occupate e richiudo la porta con un colpo d’anca. Con voce dolce invito Will a seguirmi in cucina, dove devo mettere a posto gli articoli che ho comprato e preparare la cena a tutti e due. Sono una donna come tante. Una donna cosiddetta normale. Casa, lavoro, palestra. Solo che a volte mi prende una voglia irresistibile di uscire e di uccidere.

    È trascorsa una settimana dal mio incontro con Giacinto. Una settimana... Tutto sommato mi è trascorsa abbastanza velocemente e senza eclatanti avvenimenti. Per fortuna ho un lavoro che riesce ad impegnarmi i pensieri di giorno. Ma la notte... oh santo cielo! La notte è un tormento. Stasera più che mai sento qualcosa ribollirmi dentro. Quasi riesco a sentire uscir fuori quel desiderio irrefrenabile.

    Ho una memoria fotografica. Per giorni posso cullarmi nei ricordi di quello che ho fatto fin nei minimi particolari. Risento in me tutti gli odori e tutti i rumori percepiti nel casolare. Poi posso sempre guardare il souvenir che ho preso a Giacinto. Questo sì che mi fa sentire meglio. Metto un po’ di musica lirica, gioco con me stessa, faccio l’amore con me e guardo l’orecchio di lui.

    Ma ora non mi basta più, il desiderio irrefrenabile di voler uccidere ancora non mi fa dormire, è come una droga e adesso io ho bisogno di quella droga.

    Devo resistere però. Non posso ancora rischiare. Mercoledì sera a Chi l’ha visto? hanno parlato della scomparsa di Giacinto. Quella demente di sua sorella ne ha denunciata la scomparsa. I giornalisti ci vanno a nozze con queste notizie, le consumano come il pane. Devo essere prudente. Nessuno lo ritroverà più ma è meglio che porti ancora pazienza. Per dormire prenderò le mie solite gocce. Anzi, ne prendo qualcuna in più. Domani sarò come nuova. Quell’essere inutile del direttore ha bisogno del mio aiuto per inserire dei dati importanti nel computer. Come avrà fatto ad avere quella promozione è più misterioso dei segni nel grano.

    Vabbè, pensiamo ad altro va. Vado al bar vicino all’ufficio e mi rilasso un po’ con un marocchino. E sì, sono molto golosa.

    Ma cos’è? Una donna sta parlando al cellulare e la sua voce passa da una calma misurata e melliflua a isteria e toni di onnipotenza.

    Faccio finta di nulla, ma nella vetrina la vedo, la seguo, la desidero. E lei, sarà lei la prossima...

    Ha un seno perfetto. Me lo immagino sodo e vellutato sotto la stretta delle mie mani. I fianchi larghi, la vita stretta. Ha un po’ di pancetta, ma un difetto deve pur averlo. Anzi, questo me la rende più simpatica. Indossa un rossetto che devo assolutamente avere anche io.

    Devo seguirla, sapere dove abita, le preparerò una bella festa coi fiocchi una di queste sere. Mi devo organizzare alla grande, senza destar sospetti e soprattutto fare le cose pulite, senza lasciare tracce.

    Una domenica mattina passeggiando col cane, vedo un banchetto fuori la chiesa e il suo caschetto nero. Che ci fa lì la mia preda? Mi avvicino tranquilla e vedo che raccolgono indumenti per i più poveri. Ci guardiamo per un attimo poi lei mi chiede con voce suadente:

    – Vorrebbe partecipare anche lei alla nostra causa per i bisognosi?

    – Certo, molto volentieri. Come devo fare?

    – Se vuole posso passare io da lei a prendere quello che vorrà offrirci.

    Bene, meglio di così...

    – Certo! Che ne dice di domani sera verso le 21? Non abito molto lontano da qui.

    Mi porge la mano, gliela stringo, è calda. Quel contatto mi fa fluire tutto il sangue in testa; i suoi occhi color del mare fissano i miei e io ci annego dentro.

    – A domani – riesco a dirle in un fil di voce, mollo la presa della sua mano e riesco a ritrovar tutto il mio sangue freddo.

    Torno a casa con in bocca il sapore di quello che domani accadrà. Preparo un sacco con abiti che non uso più per preparare la scena. Passo la domenica gustandomi il film di ciò che accadrà l’indomani. La notte trascorre agitata. Attraversata da sogni bellissimi, tinti di nero. Il mattino mi vede la solita bancaria, la solita Rosa. Con una vita inutile e innocua. Entro in banca puntuale. Mai un ritardo. Sempre perfetta, quasi maniacale e rido sguaiatamente dentro di me. Se solo gli altri sapessero!

    Ma non lo sanno e questo mi rende forte, mi dà la carica per sopportare le loro facce di merda, tristi caproni che arrancano nel trantran quotidiano badando bene che tutto fili liscio, senza stravolgimenti. Puah! Idioti!

    Io si che conosco il vero significato della vita. Io che conosco l’arte di toglierla, che so godermi gli ultimi istanti delle mie prede, i loro ultimi respiri. Ma a questo non devo pensare, altrimenti la mia sessualità sempre all’erta esploderebbe in un attimo e non potendomi sfogare in questo insulso ufficio, mi verrebbe poi una delle mie terribili emicranie. La poltroncina girevole alla quale do l’onore di custodire il mio splendido culo durante le ore di lavoro, sembra stringersi a me. Devo dominarmi, sono io che domino il mio corpo. Questo però solo quando non divento cacciatrice. Cacciatrice di sesso, di sangue, di morte.

    A volte il destino è strano e sembra volerti aiutare.

    Sono sommersa dalle pratiche alla mia scrivania e riconosco quella voce dietro alla parete a specchio. La posso guardare senza che lei sappia di me. È lei che parla col cassiere. E così scopro chi è e cosa fa. Patrizia Golfino, ha un bar pasticceria con annesso un negozietto di gadget insulsi, uno di quelli che ti chiedi come fa a vivere. È sposata e a quanto pare amica su facebook del cassiere, uno che per hobby suona la tromba e tromba chi gli capita a tiro.

    Hai capito la signora opera pia? Facciata bianca e marcia dentro. Sorrido. Ho scelto meglio del solito. Deve essere mia e so già come. Lentamente, piano, piano. Voglio sentire la sua voce cambiare da spaventata a sofferente. Da implorante ad isterica. Voglio che soffra e mi faccia godere!

    Torno a casa contenta di rivedere Will. Lo porto subito fuori. Non ho fame, sono sazia dei miei sogni. Nella mia testa si è concretizzato il come,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1