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Brava gente
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E-book190 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Ci sono vite che nessun oroscopo riesce a pronosticare attendibilmente: troppe variabili, troppi eventi accidentali.

Barriera di Milano è a Torino. Alla periferia nord di Torino, per l’esattezza. Un quartiere non ricco ma pieno di persone, le cui vite si intrecciano, con il misto di caso e destino, di meschineria e generosità, di amori e odi che caratterizzano le vicende degli esseri umani.

Per esempio quelle di Deborah, detta Debby, quindici anni, che ha interrotto la scuola e ora fa la babysitter e la badante e che propone alla madre, Linda, un tempo erede di una discreta fortuna, di uccidere il padre, Oreste, ora camionista, e prima colui che ha bruciato la fortuna della moglie. O quelle della vedova Caterina Mazzacurati, la donna cui Debby fa da badante (e da occasionale spacciatrice), che per impedire al figlio di metterla in una casa di riposo ha deciso di ricontattare Arturo, l’amore perduto della sua giovinezza. O di Florin, che ha una nonna in Romania, guida il camion con Oreste e vorrebbe avere un appartamento tutto suo. O ancora di Albachiara, titolare della cartoleria ma anche edicola ma anche negozio di souvenir, amica di Linda e nemica giurata di Giuseppina Borgone alias Vanessa Delice, manicurista e tinturista al soldo del parrucchiere Alexander The Best. E in qualche modo, da un luogo e un tempo lontani, entrano in scena anche le vicende di Lana Turner, diva di Hollywood e forse assassina…

Restituendo al lettore la coralità dell’esistenza umana, in tutte le sue quotidiane miserie e i suoi improvvisi splendori che giorno dopo giorno si intrecciano in un’unica trama, Margherita Oggero conferma di essere una delle più importanti scrittrici italiane e, con uno sguardo che è al tempo stesso impietoso e dolcissimo, scrive un romanzo straordinario, sospeso tra Balzac e il cinema dei fratelli Coen. E, con una ricchezza degna delle tavolozze dei più grandi pittori, mette in scena tutti i colori delle nostre vite.

LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2023
ISBN9788830592353
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    Anteprima del libro

    Brava gente - Margherita Oggero

    PERSONAGGI: PROTAGONISTI, COMPRIMARI E COMPARSE, IN ORDINE DI APPARIZIONE

    Deborah (Debby), Oreste suo padre e Linda sua madre

    Florin, collega di Oreste

    Albachiara, amica di Linda

    Caterina, vedova di Fiorenzo Mazzacurati, il figlio Edmondo, Anisa e Ronika, le badanti

    La III B (Nathan Désiré Ainaya Sharon Colin Romina…)

    La gang di Yuri con Ilenia

    Kehinde, Ibrahim (Ibra), Benaissa (Issa), spacciatori

    Vanessa Délice (alias Giuseppina Borgone), manicurista-tinturista e Alexander The Best, parrucchiere per signora

    Adriano, detto lo schifoso

    Evasio ed Ernestina (Tinin) Dalmasso, padre e madre di Linda

    Il dottor Miravalle e sua figlia Delfina

    Onorina, ex infermiera

    Suor Scolastica e la Madre Superiora

    Nahima e Antonio, coinquilini di Linda, Oreste, Debby e Caterina Mazzacurati

    Umberto e Vittorio, fratelli della vedova Caterina Mazzacurati

    Arturo Gastino, notaio

    Orleana, impicciona

    I Nuzzolese: Manuel e Nunzia, marito e moglie, Cocò e Domdom, loro figli

    Gao Ziling, cinese amico di Oreste

    Hilary Chiarito, prof di mate e Gaudenzio Gaudino, padre dell’allievo Nat

    Ludovica Mongiardino, ragazza-immagine

    Estela, colf cubana e il querido Alfonsín

    Guest star, Lana Turner, diva di Hollywood

    1

    Abitanti di Barriera. L’umbilicus mundi.

    Sera di metà ottobre, umida e freddina, ore 20 circa.

    «Ma’, sai una cosa?» dice Deborah appena ha inghiottito l’ultimo boccone della cena.

    «Che cosa?»

    «Secondo me Oreste sarebbe da ammazzare.»

    Linda appoggia il tegame sul bordo del lavandino e stira le labbra in una smorfia senza averne coscienza: muscolatura facciale in funzione automatica, questione di poco più di un secondo prima che si riassesti. La stessa smorfia di quando le balenano sullo schermo della mente immagini sbiadite e incomprensibili, oppure flash nitidi e irragionevoli.

    Costellazioni, stelle singole e nebulose, forse.

    Dinosauri di piccola taglia che tendono agguati ai condomini tra le macchine parcheggiate in cortile.

    Spiagge di isole tropicali su cui si affacciano colline pullulanti di aborigeni seminudi e ostili.

    Il corpo blu e giallo (verde e giallo, rosso e ocra) di un essere alieno inanimato sull’asfalto, reso in parte invisibile dalla pietà di una coperta. Arti e tentacoli con ancora qualche guizzo di vitalità, tipo code mozzate di lucertole.

    Cose così, che non hanno niente a che fare con la sua vita.

    «Da ammazzare, e poi?» chiede sospirando.

    «Poi si vedrà, al dopo ci si pensa dopo.»

    «Chi ci deve pensare?»

    «Noi.»

    «Ma figurati! E al dopo bisogna sempre pensarci prima.»

    Debby alza le spalle e va a scuotere la tovaglia fuori dal balcone. Mamma si impasticca di nascosto, rimastica, per essere sempre così svogliata e fuori di testa. Dio solo sa che casini combina sul lavoro, mentre pensa al dopo che secondo lei viene prima.

    Invece di darsi una mossa, almeno ogni tanto.

    Banchi di nebbia improvvisi. Da qualche anno è ricominciata la nebbia in Valpadana, ma alla radio non la chiamano più così, dicono aumento dell’umidità con fenomeni associati. I fenomeni associati fregano ore di tempo e arriviamo in ritardo quasi sempre, rimugina Oreste tra sé. Quando mancano i fenomeni, ci sono code per lavori in corso non ancora avviati, rallentamenti per liquidi infiammabili o strage di pollastri sparsi sulla carreggiata, chiusure non annunciate di svincoli, deviazioni su SP dove incontri carovane di ciclisti o bande di biker che viene voglia di centrarli uno via l’altro. E lui, Florin, dorme e russa anche, si butta sullo strapuntino e crolla nel sonno come se l’avessero drogato. Raggomitolato, ginocchia quasi contro il petto, a riprovare il benessere della pancia di sua mamma e a ritornare bambino, anzi pre-bambino. Ma con lui mi è andata bene, una volta tanto nella vita la sfiga si distrae.

    Con Adriano invece… Strozzino di merda, schifoso di suo e compare di ’ndranghetisti.

    E io a fidarmi di uno che conoscevo, lui e la sua famiglia, da sempre, e quando sono stato con l’acqua alla gola dice che mi dà una mano e poi mi accoltella alle spalle. Ride bene chi ride ultimo, però: giovane è giovane, abbastanza almeno, ma mica sta scritto che arriva alla vecchiaia e crepa per cause naturali.

    Adesso sulla corsia veloce sfrecciano sui centonovanta due gazzelle con la sirena che ulula: un cazzo di incidente di sicuro, e poco dopo tre ambulanze che filano come ai GP di Formula 1. Sta’ a vedere che da un po’ le fanno guidare dagli stuntman professionisti invece che dagli autisti della Croce Verde o Rossa, tutti più o meno ultrasessantenni volontari e benintenzionati, oppure in cerca di riscatto dall’andropausa e in fuga dalle mogli.

    «Comincia con questo, Linda» le aveva consigliato Albachiara, la padrona della cartoleria/giornali/souvenir, «vedrai che ti piace. È il primo della serie e ce l’ho tutta di seconda mano. Non è più tanto fashion, ma secondo me è proprio il tuo genere, fidati.»

    Aveva fatto bene a fidarsi, conquistata fin dalla prima riga.

    "Nutrice, chiese Angelica, perché Gilles di Retz uccideva tanti fanciulli?"

    Una marchesa poco più che bambina, una nutrice e un signore di inaudita crudeltà, un demonio! Quanto le sarebbe piaciuto vivere in quei tempi, erano pericolosi ma emozionanti, da brividi veri, da cuore che bussa in gola. Vabbè, a lei due malnati avevano scippato la borsa mentre scendeva dal bus e poi erano scappati veloci come il Ghibli del Sahara, e alla fermata non c’era nessuno che avesse voglia di corrergli dietro. Ognuno si fa i fatti propri, se si tratta di rischio, lontani i tempi di tutti per uno.

    Però ci aveva perso poco, il biglietto già usato della corsa e il buono sconto da cinquanta centesimi sui dadi vegetali, che non comprava da mesi. I soldi, mai nel portafoglio, ma sempre spicci nella tasca davanti dei jeans, insieme con la fotocopia della carta d’identità, invece la chiave di casa nascosta nell’androne dietro alla cassetta del contatore generale della luce. Al portone bastava dare un calcetto nel posto giusto e si apriva subito, docile e silenzioso: lo stabile, ormai, era quello che era, dopo decenni di mancata manutenzione.

    Tra poco, appena sua figlia fosse scesa dalla vedova, avrebbe ricoperto la ricrescita bianca dei capelli con lo spray radici della L’Oréal e poi si sarebbe immersa nel secondo volume di Angelica. Peccato che un pensiero fastidioso come un moscone a fine agosto continuasse a svolazzarle in mente: perché Debby si augurava la morte di Oreste? Fatto fuori, ammazzato addirittura… E da moglie e figlia. Vabbè che le piacciono tanto i gialli, quelli con gli intrighi complicati e i colpi di scena, vabbè che l’adolescenza è un’età difficile e si vorrebbe far fuori mezzo mondo, ma per accoppare qualcuno e farla franca ci vuole esperienza nel ramo e tanta fortuna.

    Debby sfoglia Leggimi, un giornaletto gratuito che qualcuno ha abbandonato sulla panchina alla fermata del tram.

    Julia Jean era nata l’8 febbraio del 1921 a Wallace nell’Idaho.

    Lo smartphone è subito d’aiuto e mostra la posizione geografica dell’Idaho: nord-ovest degli Stati Uniti, confinante con il Canada, lo stato di Washington, l’Oregon, il Montana e il Wyoming. Terzo produttore di patate degli USA.

    Infanzia infelice e ristrettezze economiche; il padre minatore aveva il vizio del gioco ed era stato rapinato e ucciso a causa di una grossa vincita ai dadi.

    Il tram, al solito, è in ritardo rispetto all’orario che compare sull’app Torino Bus. Sbuffa spazientita, impreca mentalmente, e riprende a leggere.

    Julia Jean diventò una famosa diva dello schermo e, con il nome di Lana Turner, fu protagonista di uno scandalo legato all’omicidio del suo amante.

    Diva dello schermo? Mai sentita. Ah ecco, nata un secolo fa. Padre assassinato, amante idem chissà come, ma magari nel prossimo numero c’è scritto. Il tram scampanella all’uscita della rotonda per chiedere strada e Debby infila il giornale nella tasca dello zaino.

    La vedova Caterina Mazzacurati ha novantadue anni e tre badanti part-time. Due cognate albanesi: Anisa al mattino, Ronika al pomeriggio, e Debby per la sera e la notte sino alle sei e mezzo del giorno dopo. Compiti fissati e inderogabili stabiliti dal datore di lavoro, cioè Edmondo, suo unico figlio, professore universitario in Svizzera di Sociologia della devianza.

    Anisa: giro dell’isolato – esclusi i giorni di pioggia – con la vecchietta in sedia a rotelle, spesa all’iN’s, ritorno a casa, preparazione del pranzo (minestrina, pesce surgelato-scongelato passato sulla piastra, insalata mista acciuffata dalla busta o boiate culinarie simili), somministrazione del pasto, sistemazione della badata a letto per la pennichella. Ma a Torino purtroppo la pioggia è deficitaria, niente a che vedere con l’India al tempo dei monsoni, e comunque la spesa al supermercato si può fare anche una sola volta alla settimana. Non per mancato rispetto delle norme contrattuali, ma per un aggiustamento: la vedova preferisce stare davanti alla finestra a guardare in strada ascoltando la radio, o a leggere, e il cibo consiste nel resto del pasto serale della famiglia di Anisa portato in contenitori adatti al microonde: per Caterina scoperta tardiva di gastronomia semi-esotica e devianza sociologica senile.

    Ronika rassetta la casa, fa conversazione, prepara la zuppetta di pane o di pasta e patate, quand’è in vena il semolino col latte, le verdure lesse e la mela a cubetti, la tisana rilassante da bere più tardi, serve il pasto serale, e infine piazza la vedova davanti allo schermo tv, oggetto di una lite memorabile tra il figlio e la madre, che in una bella mattina di sole si era fatta accompagnare da Anisa alla banca, aveva ritirato mille euro e li aveva subito spesi al vicino MediaWorld per l’acquisto di un mega televisore, scocciata com’era di intravvedere i personaggi dei film e delle serie in formato figurine Panini. La stessa Anisa aveva poi provveduto a girarle l’accesso a Netflix, dietro corresponsione di metà del canone mensile, una cresta trascurabile.

    Edmondo era stato battezzato così in onore di De Amicis, che Caterina Mazzacurati, non ancora vedova, venerava a causa della professione di maestra. Facile sghignazzare sul libro Cuore, irridere i buoni sentimenti e solidarizzare con l’infame Franti, facile quando il rispetto dell’esperienza e dell’autorità era stato travolto da slogan insensati e infantili (Proibito proibire! La fantasia al potere! Vogliamo tutto e subito!). Facile, troppo facile, però…

    Però, a distanza di anni, suo figlio non l’avrebbe più chiamato così. Non perché il libro le fosse scaduto dal cuore, ché anzi era stato riabilitato da fior di intellettuali e critici letterari, ma perché l’autore, secondo testimonianze e carte scovate negli archivi, era risultato essere in famiglia un mascalzone, maschilista e traditore, tal quale il suo defunto marito Fiorenzo. Che da fidanzato, forse per tener fede al suo nome, la omaggiava settimanalmente di un mazzolino striminzito di mughetti, verbene o quel che era di stagione, e poi, a neppure un anno dalle nozze, si era scoperto essere un Barbablù, e le donne che raccattava per strada è vero che non le ammazzava, ma le riempiva di botte e lividi e se minacciavano di denunciarlo, le zittiva a suon di soldi.

    E quelle preferivano quasi sempre abbozzare e indennizzarsi di nascosto dai loro pappa.

    Lei no, lei non la menava, ma solo perché aveva due fratelli maggiori che avrebbero ammazzato lui di botte. E che sbavasse dietro a ogni minigonna, a qualunque sedere strizzato in jeans del tipo chi mi ama mi segua, le era importato meno di niente dato che, essendo molto spesso impegnato altrimenti, a letto non la importunava.

    Insomma, che fosse morto a quarantaquattro anni per un problema al cuore non era stata una tragedia; e poi l’eredità era cospicua, perché come industriale il suo lavoro lo sapeva fare. Gli aveva comprato un loculo perenne, cioè della categoria più cara, aveva stipulato per una decina di anni un contratto con una fioraia del cimitero in modo che nel vasetto mortuario ci fosse sempre un po’ di verde colorato, e dopo aveva lasciato perdere: una volta all’anno c’era andata lei, a portare un mazzetto di fiori di plastica. Finché aveva deciso che bastava.

    Edmondo non era come il padre, di donne, per quanto ne sapeva lei, ne aveva avute poche, e meno male che da una vita abitava lontano.

    Ai giardini spelacchiati della ragna malefica (così chiamati da più di quarant’anni, vedi Shelob ne Il Signore degli Anelli), centro nevralgico del quartiere e vero umbilicus mundi, quel pomeriggio gli allievi e le allieve della terza B erano in buona parte presenti. Alle medie non c’era più il tempo pieno, l’avevano abolito parecchi anni prima perché i genitori non ne erano entusiasti (la mensa costava troppo) e i figli trovavano più divertente gironzolare per le vie del quartiere o starsene seduti sulle spalliere delle panchine a cazzeggiare, saltuariamente a scambiare qualche sgambetto o spintone con quelli della gang di Yuri, che erano tutti più grandi di almeno un paio d’anni e disdegnavano battersi con i bimbominkia. Qualche volta le due bande facevano (separatamente) anche di peggio. Del resto, la scuola aveva poco da offrire, i computer erano quasi sempre scassati e la connessione vagabonda, in aula Musica non c’erano strumenti e suonare il flauto non piaceva a nessuno – che te ne fai del flauto, mai visto in una band rock. Avevano faticosamente imparato in prima Merry Christmas quando era già Carnevale e non serviva più, l’anno dopo niente flauto, invece solfeggio e lettura di spartiti, roba da mettere la testa nel forno o le dita nella presa della luce. Esercizio fisico, sport? L’edificio che ospitava la scuola era stato sede di una fabbrichetta di vernici probabilmente tossiche, e le norme dell’epoca prevedevano soltanto l’apertura delle finestre, non spazi decontaminati e ricreativi esterni.

    Dal lato opposto i tre pusher stanziali abbordavano i passanti appetibili, che erano pochi a quell’ora, mentre i ragazzini stavano in branco e non era il caso di correre rischi, visto che solo raramente potevano permettersi una dose di fumo della peggio qualità. Un venerdì di noia compatta per tutti, un pomeriggio uggioso di metà ottobre.

    Debby arrivò un po’ più tardi del solito, qualcuno aveva già lanciato una proposta allettante: «Raga, andiamo a buttar giù sassi dal cavalcavia?».

    Lei alzò le spalle indifferente e si unì al gruppo.

    Kehinde, uno degli spaccia, la seguì con lo sguardo mentre si allontanava insieme

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