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Il colpo di tacco
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E-book168 pagine2 ore

Il colpo di tacco

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Info su questo ebook

Matteo può contare su un gruppo di amici davvero straordinari, e poi c’è la musica a fare la differenza. Deve però fare i conti con il suo lato oscuro:the dark side of the moonarriva all’improvviso, fitte, malesseri, visioni oscure gli spezzano il respiro e rimettono tutto in discussione. Qualcuno gli ha detto che due parallele possono incontrarsi, prima o poi, cosa significa? Magari è solo questione di cambiare prospettiva, di farsi trovare pronti all’appuntamento col destino, forse basta un colpo di tacco, di quelli che valgono da soli il prezzo del biglietto e strappano l’applauso perfino all’avversario. Dagli anni Settanta a un prossimo futuro, un racconto generazionale coinvolgente, un flusso di coscienza che è anche diario di viaggio, crocevia di estati italiane e notti indiane, di rock e di fumo, di sogni, fantasie e rispecchiamenti. E ovviamente amore. Con la consapevolezza che ogni stagione ha la sua ragion d’essere, la sua selvaggia bellezza, un principio e una fine. E che il meglio deve ancora venire.
LinguaItaliano
Data di uscita7 lug 2021
ISBN9791220822657
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    Anteprima del libro

    Il colpo di tacco - Gian Carlo Fantò

    Il libro

    Matteo può contare su un gruppo di amici davvero straordinari, e poic’è la musica a fare la differenza. Deve però fare i conti con il suo lato oscuro: " the dark side of the moon" arriva all’improvviso, fitte, malesseri, visioni oscure gli spezzano il respiro e rimettono tutto in discussione. Qualcuno gli ha detto che due parallele possono incontrarsi, prima o poi , cosa significa?

    Magari è solo questione di cambiare prospettiva, di farsi trovare pronti all’appuntamento col destino, forse basta un colpo di tacco, di quelli che valgono da soli il prezzo del biglietto e strappano l’applauso perfino all’avversario. Dagli anni Settanta a un prossimo futuro, un racconto generazionale coinvolgente, un flusso di coscienza che è anche diario di viaggio, crocevia di estati italiane e notti indiane, di rock e di fumo, di sogni, fantasie e rispecchiamenti. E ovviamente amore. Con la consapevolezza che ogni stagione ha la sua ragion d’essere, la sua selvaggia bellezza, un principio e una fine. E che il meglio deve ancora venire.

    L’autore

    Gian Carlo Fantò (Torino, 1959) è attore, regista e autore teatrale.

    Conduce un programma su Radio GrP.

    È attivo sui social e sul suo blog teatrochepassione.it

    Il colpo di tacco è il suo romanzo di esordio.

    A Zanna, che mi aspetta con una birra in mano.

    A Rouge, l’uomo più buono del mondo.

    A Vivì.

    A Brunello e Dado.

    Due parallele si amavano. Ahimè!

    André Frédérique

    Questa è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia.

    Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Ouverture

    È il diciannove febbraio millenovecentosettantatré e io sto facendo quello che dovrei fare.

    Ho la palla incollata al piede, lo punto e sento la sua paura, sa che sono veloce e che ho i piedi buoni. Annuso la sua insicurezza, lo finto e salto anche il suo maldestro tentativo di farmi male, l’adrenalina è a mille, la porta si avvicina e con lei quella specie di ragno nero segaligno che prova a chiudermi lo specchio; ho un paio di secondi per decidere cosa fare poi quello dietro mi avrà recuperato, potrei calciare, non fosse per la mia innata testa di cazzo, così stringo al centro per spiazzare il portiere che abbocca al mio doppio passo, lo lascio a sinistra e vado via dall’altra parte. Ora siamo io e la porta vuota, prima godo poi la metto dentro. Mentre vengo travolto dai miei compagni penso che la vita è bella.

    Tornare a casa a studiare dopo una partita di calcio, per un ragazzo di tredici anni innamorato del pallone, è una punizione divina, domani ho francese e come sempre sono terrorizzato all’idea di essere chiamato alla lavagna, eppure è più forte di me, già so che non lo aprirò neppure quel libro.

    La professoressa è severa, ha un’aria perennemente incazzata e sembra Coco Chanel in tarda età; ha un figlio che fa il supplente di italiano, si capisce lontano un chilometro che è succube dell’arpia e che non ne ha ereditato la necessaria cattiveria per contenere ventiquattro bastardi come noi. La prof ha personalità anche se è stronza, il figlio è un imbecille, ne incontrerò molti altri di questi soggetti amorfi, spesso, e non si capisce come, rivestiranno ruoli di potere.

    Ho tredici anni, la mia professoressa di francese e Coco Chanel sono le cose più lontane da me che vivo con la palla tra i piedi e sono innamorato di una donna di nome Liza vista al cinema a Capodanno. La mia esterofilia si palesa e condizionerà la mia formazione, il mio gusto e le mie scelte.

    L’inglese

    La mia storia in realtà comincia molti anni dopo, quattordici per l’esattezza, in quella torrida estate del millenovecentottantasette. Il concerto è quello del primo luglio, la città è Torino. Annie è un animale da palco e si vede oltre che sentirsi, io sono allo stadio con Céline, bionda come Annie; in realtà non ho mai scoperto se si tingesse, non che me ne sia mai importato, di fatto è significativamente bionda, è bionda nella sua essenza, in ogni cosa che fa. Ed è strafatta.

    Annie è Annie Lennox, il concerto è quello degli Eurythmics, io sono Matteo. Al momento queste sono le mie uniche tre certezze.

    Céline è la fidanzata di un tizio che conosco di vista, è un tipaccio, credo spacci eroina, la cosa buffa è che Céline è diventata tossica senza che lui lo sapesse, lei però non usa la roba, mi spiega che nella coca ha trovato la sua dimensione, l’aiuta a tenere i ritmi e la fa pensare in grande; mi dice che non lo ama più e che lui non l’ha mai capita, lo ha tradito molte volte quando stava a Roma.

    «Perché cazzo non lo lasci?» le chiedo.

    «Non lo so.» La risposta è perentoria. Penso che sia una follia, però non sono affari miei, fa caldo e la birra mi aiuta a starci dentro, la musica fa il resto. Dopo il concerto lo facciamo in macchina, è una modella ed è inglese, bel colpo.

    C’è un pub dove di solito porto i trofei e Céline merita la passerella, giro una canna e accendo il motore del mio Centododici blu, è una bella serata estiva e ho ancora nelle orecchie The miracle of love.

    Il pub non è lontano, ridiamo e cazzeggiamo lungo il tragitto, io indago la sua soddisfazione senza risultato, l’inglese è di poche parole anche se sembra divertita. Parcheggio e conoscendo i miei amici accenno una raccomandazione, Céline non fa una piega, spianta due strisce sull’elegante portafogli Borbonese e mi offre una banconota da cinquantamila arrotolata.

    «Non ti preoccupare, sono abituata agli strani» sentenzia prima di portarsi la cinquanta al naso. Tira veloce, decisa, e poi rimane sospesa ad aspettare che arrivi la botta, è su un altro pianeta, provo a seguirla.

    Céline è generosa e fragile a dispetto di un corpo statuario, parla poco, beve molto, le piace il sesso e in questo è assolutamente libera. Non è il tipo che dà l’idea di essere felice, non c’è gioia in lei, i suoi occhi sono tristi anche quando ride, è come tormentata da qualcosa, io ho chiaro fin da subito che non andremo lontano, ma possiamo divertirci e per un po’ lo facciamo.

    Scendo dalla macchina e sorrido a Zabù, si riconoscerebbe tra mille: magro, allampanato, birra in mano e sorriso di circostanza. Anch’io ho voglia di una media, li lascio a conoscersi e vado al bancone. Il bancone di un pub è il centro del mondo, puoi davvero incontrare chiunque.

    «Due tequila e un rum bianco.» La voce della cameriera è degna del resto, non bada a me. « London calling to the faraway towns» canta bene.

    « Now war is declared and battle come down» improvviso una seconda voce un’ottava sotto, mi fissa.

    «Adoro i Clash» provo a giustificare la mia intromissione mentre cerco di capire se le muovo qualcosa, il suo sorriso è spiazzante, reggo l’urto e cerco la mia espressione tipica di quando incontro qualcuno che m’interessa per la prima volta: in pratica la mia faccia da coglione migliore, quella di chi è un po’ distaccato dalle cose del mondo, di chi cerca di stare un po’ al di sopra della banalità. Funziona? Alle volte, non sempre, e comunque sul momento non mi viene niente di meglio. Siamo occhi negli occhi, io e quel metro e settanta circa di femmina, i suoi sono pazzeschi, profondi, intuisco una terza di reggiseno, ha un culo che canta e lo sa.

    «Due tequila e un rum bianco, pronti.» Il ragazzo del bancone rompe l’attimo, porge il vassoio sorridendo alla cameriera e io colgo uno sguardo d’intesa tra loro, poi lei si gira e se ne va sculettando con sapienza.

    «Una media rossa, per favore.»

    «Subito.» Il ragazzo torna dopo poco con la birra e mentre pago mi dice che Silvia finisce alle due, lo dice con un tono assolutamente neutro, privo di alcun coinvolgimento, capisce che sono sorpreso.

    «Non sembri il solito figlio di puttana.» Mi spiega che Silvia è uscita da una storia d’amore complicata e che avrebbe bisogno di stabilità, io sono la cosa più lontana dalla stabilità che conosca.

    Raggiungo gli altri chiedendomi chi possa bere rum bianco, non lo ordinerei mai.

    Zabù e l’inglese si sono uniti a gente che conosco più o meno, in realtà li conosco da tanto, solo che non siamo andati oltre al più o meno, a ogni modo sono piacevoli e dopo due medie rosse il mondo sembra comunque migliore. Ogni tanto usciamo dal pub e andiamo a fumare, poi torniamo dentro a bere, birra e hashish sono un rituale che si consuma in ogni pub che si rispetti, in tutto il mondo, sicuramente in tutti i pub nei quali ho messo piede.

    «Ragazzi, stiamo per chiudere.» La voce della cameriera, per quanto cordiale, è una rasoiata, nessuno ha voglia di andare a dormire, nessuno ha voglia di tornare alla propria vita, per questo esistono i pub, per essere un non luogo in un non tempo.

    Zabù non ne ha più, le sue pupille sono dilatate dall’alcol e fissa il nulla, ha raggiunto lo zen, io ed Enrico lo guardiamo e ridiamo. Enrico e Zabù sono due con cui sto bene.

    Enrico è basso, ha il mento lungo e gli occhi piccoli, insomma non è bellissimo, però ha un grande cuore e sa stare allo scherzo dimostrando intelligenza e umorismo, sono doti che fanno la differenza; tra l’altro ha una forza straordinaria, una volta portò un condizionatore sulle spalle per quattro piani, lo ricordo bene, eravamo in Medio Oriente in vacanza e un amico che gestiva l’ostello dove stavamo ci chiese il favore.

    Zabù per contro è magro e alto. Usa il pessimismo di cui è intriso con sapiente ironia, è cinico al punto giusto. Insieme siamo due figli di buona donna, questa è la verità, se vogliamo bene a Enrico lo manifestiamo in maniera bizzarra, facendogliene di tutti i colori, lui però è tosto e non si tira mai indietro. A ben pensarci, noi tre insieme abbiamo riso fino alle lacrime più e più volte, non è poco.

    Usciamo dal pub alla spicciolata, nelle orecchie Sultans of swing, negli occhi ognuno il proprio film. La cameriera ha finito il turno, mi passa davanti sfiorandomi, senza degnarmi di uno sguardo, non resisto e la provoco con un apprezzamento caustico.

    «Che cazzo fai?» Céline non gradisce, la cameriera si gira e mi guarda, si prende un attimo, guarda lei poi torna su di me, accenna un sorriso strafottente e se ne va scuotendo il capo.

    «Che cazzo aveva da guardarmi così quella troia?»

    «Calmati!» replico, realizzo che ho fatto una stronzata e Céline è troppo fatta per gestirla.

    «Non fare il coglione con me.» Le donne hanno un cazzo di sesto senso e come se non bastasse neanch’io sono così lucido da poter tenere sotto controllo la situazione.

    «Credo che tu stia esagerando.» Provo a fare muro, inutilmente, lo schiaffo mi arriva addosso secco, veloce, amaro. L’istinto mi porterebbe a reagire, è una donna, non posso, mi allontano e provo a riordinare le idee, mi siedo su un gradino. È opportuno prendersi un momento in questi casi,

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