Orchestra Tipica Madero: Tango noir
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Anteprima del libro
Orchestra Tipica Madero - Alessandro Sbrogiò
Indice
Introduzione di Francesco Calogero
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Capitolo XXXI
Capitolo XXXII
Ringraziamenti
ALESSANDRO SBROGIÒ
Orchestra Tipica Madero
tango noir
collana Talia
Copyright © 2018 Diastema editrice
Tutti i diritti riservati.
ISBN 978-88-96988-61-9
Dedica: Ad Arturo
Questo libro è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o, se reali, sono usati in modo fittizio.
Ogni riferimento a fatti o persone è del tutto casuale o involontario.
Immagine di copertina dell’artista Giulia Gellini, Vibrazione tango
, 2008 (tecnica mista)
Introduzione
Come può l’Orchestra Tipica Madero, scomparsa un quarto di secolo prima a Buenos Aires, riapparire out of the blue sui manifesti di una città del Nord Italia? Mentre s’aggira mascherato nel carnevale locale un altrettanto tipico bandoneonista, i sospetti degli inquirenti per l’assassinio di un anziano violinista ambulante ricadono soprattutto sulla figlia, la cantante jazz Nina Cipriani (in realtà, The Lady Is a Trans, secondo la sua variazione sul tema). Sulla sua innocenza non nutrono invece dubbi lo scalcinato manager Rodolfo Fanelli e la pianista accompagnatrice Claudia Minerva: tra desideri inconsapevoli e paure represse, la spine del racconto è l’indagine parallela in cui i tre s’imbarcano. Per non parlar del cane.
Fa anche lui parte della gente con nulla di definitivo nel cuore
: l’aria da sopravvissuto alle intemperie della vita, proteso nel fare della caduta un passo di danza, Fanelli è – sul filo del nomen omen – autenticamente fané. Sfoggiando termini e abiti sciupati dal tempo, gira per teatri e caffè sfioriti già nel nome, mentre la corte miracolosa dei suoi assistiti arranca tra miserabili ingaggi in ospizi, ristoranti e convention di ginecologi. Poi però c’è la Milonga Brava: un luogo che profuma sì d’antico, ma non è un’essenza probabilmente fuorilegge
, come quella mefitica ostentata da una matura frequentatrice, anzi emana la sottile fragranza di una terra fascinosa. Come quel tango struggente e sconosciuto, che nasconde un segreto decisivo…
Se il suo Danny Rose padano non perderà mai un certo impaccio nella salida basica con le partner, con ben altra disinvoltura e stile – benché soltanto all’opera seconda, dopo il convincente esordio con Cadenze d’inganno – Alessandro Sbrogiò ci guida nei passi che predilige: impianto noir, commedia dei sentimenti, milieu musicale. Ma qui, superando con lode l’esame di maturità, affronta la deriva dei generi con un vorticoso roman Po – parafrasando il film Po (poliziesco, politico, poetico) di godardiana memoria – in cui aggiunge alla disciplina crime la consapevolezza nel narrare la Storia attraverso le storie e una naturale levigatezza del tocco letterario.
Francesco Calogero
Capitolo I
Magro com’era, si sarebbe detto che fosse il vento gelido di febbraio a spingerlo, circondato da una disordinata corte di coriandoli e stelle filanti che rotolavano a fianco delle sue scarpe logore. Arrivato al solito posto poggiò la custodia a terra ed estrasse l’archetto. Tendendo i crini ne controllò la curvatura, gesto antico di un’altra vita. Imbracciò il violino e, senza neanche saggiarne l’accordatura, iniziò a suonare.
Una figura uscì dalla porta a vetri di un caffè poco distante, attraversò la piazza tenendo stretta una valigia di forma strana e gli andò alle spalle. Lasciò che il vecchio suonasse qualche brano, senza mai distogliere lo sguardo. Alle prime note di una vecchia canzone aprì con gesti lenti la valigia, ne tirò fuori uno strumento di foggia antiquata e prese ad accompagnarlo. Il vecchio violinista si girò, sorpreso dal timbro profondo e solenne alle sue spalle, ma non smise di suonare.
Intorno ai due musicisti si creò un capannello di persone. Incoraggiate dai genitori, due piccole dame del Settecento andarono timidamente a depositare qualche moneta nella custodia aperta.
Quando l’ultima nota fu portata via dal vento il vecchio abbassò il violino e guardò il collega. Si trovò a fissare due pupille scure, messe in risalto dall’asettica maschera bianca che copriva il viso. In risposta a quello sguardo, dal vecchio strumento a mantice partì una melodia triste e ritmata, che nessuno conosceva.
Nessuno, eccetto il vecchio violinista.
Schiacciato dai ricordi, con l’arco tremante, chiuse gli occhi e iniziò a suonare quella musica che credeva di aver dimenticato e invece aveva ancora tutta nelle dita.
Ebbe così certezza che la sua vita era finita.
Capitolo II
Era la prima volta che Rodolfo vedeva piangere Nina. Un pianto trattenuto e silenzioso, appena tradito dal tremito del viso. Neanche un sussulto agitava le belle spalle abbronzate. Se ne stava seduta su uno dei tanti scatoloni sparsi per la casa, le mani affusolate poggiate sulle ginocchia pudicamente incollate l’una all’altra, in contrasto con le seducenti calze nere e le scarpe argentate dal tacco spropositato, incurante di impolverare il discutibile tubino ricoperto di strass.
Rodolfo, sorprendendo se stesso, le andò vicino abbracciandola. Lei rispose con un singulto più pronunciato degli altri e lui sentì la camicia inumidirsi di lacrime e rimmel. Nella semioscurità cercò con gli occhi la scatola di cartone dove avrebbe potuto trovare un cambio, ma non riuscì a localizzarla nel marasma del recente trasloco.
– Sono davvero addolorato, – disse stringendola più forte a sé.
– Non te l’aspettavi, vero? – sussurrò lei, cercando goffamente di riparare alla macchia di trucco.
– Ti sembro uno che si lascia sorprendere dai fatti della vita? – e fece cenno che non gli importava del lieve danno, poi sembrò riflettere: – Certo, perbacco, un bel colpo di scena. Ma una volta ho conosciuto un tizio che…
– Rod, sei l’unico uomo al mondo che usa ancora la parola perbacco
, – lo interruppe lei dolcemente.
– Lo so, ho modi antiquati, dovrei emanciparmi, – rispose quasi scusandosi.
– Comunque non era un mistero che fosse mio padre, – riprese lei – anche se non erano in molti a saperlo. Né io né lui ci tenevamo a fare pubblicità.
Rodolfo cercò di cavarsela con un’ovvietà:
– Sono cose che succedono, anche nelle migliori famiglie.
– Famiglia? La nostra non è mai stata una famiglia. In parte per colpa mia. A rovinare il resto ci ha pensato lui.
Nina aprì la sua pochette alla ricerca di qualcosa.
Rodolfo intuì e le porse il suo fazzoletto.
– È sgualcito ma pulito, – si affrettò a rassicurarla.
– Ci sono pure le tue iniziali, – disse lei cercando di sorridere fra le lacrime. – Sei davvero un vecchio signore, – aggiunse, quasi parlando a se stessa.
– E comunque, se devo essere sincero, – riprese lui, fingendo di non aver sentito – non mi era molto simpatico tuo padre. Però era un bravo violinista: io gli artisti li so riconoscere.
– Il talento era la sua dannazione. Il talento e l’arroganza.
– Non ti ha mai accettata, vero?
– È una storia lunga. Andò all’estero a cercare fortuna e non avemmo più notizie di lui per molti anni. Tornò che mia madre era morta da alcuni mesi. Io nel frattempo ero cambiata, ne rimase sconvolto e se ne andò per strada. All’inizio provai a parlargli, ma lui mi rifiutava, diceva che non avevamo più nulla da spartire. Non chiedermi se provo dolore per la sua morte. Mi piacerebbe fosse così…
– Stai piangendo Nina. Qualcosa deve significare, – sussurrò Rodolfo con dolcezza.
– Non farti trarre in inganno dal pianto di una come me, – disse Nina sorridendo amaramente, e aggiunse: – Quell’uomo non meritava una sola delle mie lacrime. Sono solo molto provata.
– Anche mio padre non era uno stinco di santo.
– Sono sicura che sarà stato un dilettante in confronto al mio. Spero ti sia rimasto qualcosa di buono.
Rodolfo sembrò riflettere qualche istante.
– Sì. Se mi sforzo, qualcosa di positivo mi viene in mente.
– Bravo Rod. Così hai risparmiato un sacco di soldi di analista. Io, per difendermi, cercavo di non incontrarlo. Evitavo la piazza dove era solito suonare e se lo vedevo da lontano cambiavo strada. Durante l’interrogatorio ho cercato di spiegare che non era odio il mio. Solo indifferenza, costruita faticosamente. Non so se mi hanno creduta.
– Spero non si siano fatti strane idee in commissariato.
– Mi hanno trattenuta fino all’alba: dopo ero così tesa che non sono riuscita a chiudere occhio. Sono distrutta. Mi avranno chiesto mille volte dove avevo passato la notte.
– E tu?
– Ho detto la verità: ero a casa e aspettavo che smettesse di nevicare per portare fuori Arturo prima di andare a dormire. Ma il tempo non migliorava e intorno alle dieci e trenta mi sono decisa a uscire.
– Non hai incontrato nessuno?
– Alla radio hanno detto che è stata la nevicata più abbondante degli ultimi vent’anni. Con quel tempo chi volevi mettesse il naso fuori… solo il mio cagnolino potrebbe testimoniare a mio favore, ma lo sanno tutti che è innamorato di me.
– Non ci pensare. Troveranno presto il colpevole.
– Me lo auguro. Anche se non riesco proprio a immaginare chi potesse avercela con un vecchio musicista ambulante.
– Te la senti di lavorare stasera? Sono ancora in tempo per cercare una sostituzione.
– Hai sempre detto che il mondo dello spettacolo ha regole spietate, – disse lei accennando un altro sorriso. – Cambiati e andiamo. Claudia ci starà aspettando.
Rodolfo aprì due o tre scatoloni, fino a che trovò quello con le camicie. Ne tirò fuori una che gli sembrava la meno stropicciata e si guardò intorno imbarazzato, indeciso se fosse il caso di andarsi a cambiare in un’altra stanza.
Era sempre stato pudico con le donne, ma c’è da dire che Nina non era propriamente una donna… all’anagrafe il suo nome era Antonino.
Capitolo III
Rodolfo la camicia macchiata l’avrebbe potuta tenere: si sarebbe facilmente mimetizzata con il fiorire di aloni e pieghe stilizzate del completo di gabardine, comprato a prezzo irrinunciabile in una delle più esclusive botteghe di abiti usati della città. Fanelli era uno che vedeva, nelle cose come nelle persone, la scia che traccia l’esistenza, non solo l’istantanea del presente.
Il segreto era nel movimento.
Sosteneva che quello era lo stile: ciò che resterà di te nell’attraversare il tempo che la vita ti concede, un segno caratteristico in cui riconoscersi, ma anche un passepartout per superare le difficoltà, una difesa dal sistema che cerca di appiattirti e uniformarti agli altri. «Lo stile mi salverà», pensava spesso. Motivo per cui possedeva oltre duecento abiti, tutti acquistati rigorosamente di seconda mano e non sempre della sua misura (non riusciva a resistere a un buon cashmere) ed era l’agente di una decina di artisti così bizzarri da sembrare provenienti da un universo parallelo, ma tutti – e ne era convinto – con una propria inconfondibile cifra, una specie di biglietto della lotteria cucito nel talento, che avrebbe potuto rendere loro famosi e lui ricco.
Nina, il trans cantante di jazz, non poteva che appartenere alla sua scuderia. Non aveva dovuto faticare molto per accaparrarsela: all’inizio l’artista aveva vantato improbabili tour esteri e inviti a prestigiose rassegne concertistiche, evaporati non appena Fanelli le aveva proposto mezz’ora di palco al Caffè Latino. Da esperto agente aveva capito che a Nina sarebbe stato utile un valido partner, un musicista solido e preparato, ma anche una persona di cui potersi fidare, qualcuno con cui far scattare il misterioso affiatamento che aveva reso famose le indimenticabili coppie dello spettacolo.
Il destino gli aveva fatto incontrare Claudia, una pianista appena arrivata da Roma che, sedotta dall’ampollosa targa Rodolfo Fanelli Agenzia di Spettacolo
, gli aveva chiesto lavoro.
Era nata così l’idea del duo Nina & Claudia.
La prima esibizione era andata bene, seppur compensata solo da noccioline e Tequila Sunrise, con cui Rodolfo aveva brindato nonostante la fastidiosa gastrite. Mai avrebbero immaginato che il primo recital pagato dignitosamente sarebbe stato irrimediabilmente rovinato dalla morte del padre di Nina. Anche se lei ce la metteva tutta per apparire in uno stato decente.
– Non ti formalizzi troppo sui colori, mi pare, – disse la cantante, agganciando la cintura di sicurezza.
– A cosa ti riferisci? – chiese Rodolfo facendo retromarcia.
– Alla camicia che indossi.
Lui sorrise, intenerito dal contrasto fra le parole che cercavano normalità e il disagio che il suo viso esprimeva. Decise di stare al gioco, giusto per distrarla:
– È una camicia di sartoria napoletana, colletto modello Francia. L’ho comprata d’occasione; nuova costerebbe un occhio della testa.
– Ecco, d’occasione. Avrà almeno trent’anni.
– Intendi dire che è di foggia antiquata? Se è arrivata fino ad oggi vuol dire che ha stile, e probabilmente è quello giusto. Comunque, neanche il tuo abbiglimento può definirsi propriamente sobrio.
– Che cosa c’entra? Questo è un abito di scena. Piuttosto, spero di smettere di piangere per il concerto. Devo avere un aspetto orrendo. Quale pubblico proverà pietà per me questa sera?
– Ginecologi.
– Stai scherzando, vero? – e non si capiva se era contrariata o divertita, o tutte e due le cose.
– Per nulla, – disse cautamente Rodolfo. – Quando ho saputo che si sarebbe tenuto all’Hotel Luxury Benelli l’annuale congresso degli specialisti di ginecologia ho telefonato al direttore e gli ho detto di proporre il tuo concerto ai suoi clienti. Non potevano che accettare, – e fece un gesto con la mano, come a scusarsi.
– Sei un genio, – sospirò Nina.
L’approvazione della sua artista lo rasserenò.
– Posso fare qualcosa per te? Mi sento in colpa per non averti impedito di lavorare questa sera.
– Quando ero un bambino di nome Antonino, glabro e innocente, passavo le giornate con le orecchie incollate allo stereo, a imparare a memoria tutte le canzoni di Nina Simone. Cantare è l’unica cosa che voglio fare. In qualunque momento. Cambiamo discorso?
– Per la serata conclusiva del carnevale saremo a Venezia: palazzo sul Canal Grande, illuminazione a candele, pubblico internazionale e ricco compenso.
– Spero di stare meglio. Ho sempre sognato di cantare a Venezia.
– Se non te la senti, posso annullarlo.
– Non se ne parla neanche. Sarò in perfetta forma. Devo solo metabolizzare tutta questa storia.
– Ci siamo, – disse Rodolfo parcheggiando la vecchia Espace a pochi passi dall’ingresso dell’Hotel Luxury Benelli. Scese dalla macchina e prese