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Mowed Over: Edizione italiana
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E-book243 pagine3 ore

Mowed Over: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Lilah
Non chiedo molto.
Vorrei lavorare per un capo che non sia un completo idiota.
Vorrei poter continuare a dormire oltre le 8 del mattino nel mio giorno libero.
Ma più di ogni altra cosa, vorrei che il mio nuovo vicino di casa si tenesse per sé quelle fossette sexy e i quei sorrisetti presuntuosi.
Sembrare un puro esemplare di tentazione del sud e, a quanto pare, è determinato a cogliere ogni occasione per irritarmi.
Permettergli di avvicinarsi è come strapparmi il cuore e offrirlo a un estraneo, ma è sempre più evidente che qualcun altro mi sta osservando e Ben potrebbe essere l'unica persona in grado di aiutarmi a scoprire la verità.

Ben
Lilah Donovan è un frutto proibito. Più tempo passo con lei, più mi innamoro.
È un adorabile ed esuberante concentrato di tutto ciò che non sapevo di volere.
Avrà anche eretto la Grande muraglia cinese a protezione del suo cuore, ma sono disposto a scalarla se è l’unico modo per arrivarci.
Riuscire a comunicare con lei è un esercizio di pazienza, ma non è l'unica cosa che mette alla prova le mie capacità. Tra telefonate da numeri sconosciuti, guasti all’auto che sanno tanto di sabotaggio e la presenza di una misteriosa figura nel suo giardino, è ovvio che qualcuno sta seguendo la mia ragazza.
Ma si sta mettendo contro la persona sbagliata, perché non c’è nessuno meglio di me per porre fine a questa situazione e non c'è niente che non farei per proteggerla.
LinguaItaliano
Data di uscita24 lug 2023
ISBN9791220706230
Mowed Over: Edizione italiana

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    Anteprima del libro

    Mowed Over - Mae Harden

    1

    BEN

    Sento dei rumori provenire dall’esterno e scruto oltre la tazza di caffè fumante attraverso la finestra della cucina. Vedo una donna, non molto alta e formosa, che indossa grandi occhiali da sole insieme a due omaccioni che scendono da un camion per traslochi a noleggio. Pare che abbia un nuovo vicino. La casa è rimasta sul mercato solo per pochi giorni, prima che qualcuno se la aggiudicasse. Voci di quartiere dicono che l’ha comprata una donna single, niente figli.

    Nonostante la corporatura dei tre là fuori sia molto diversa, sono sicuro che i due siano i fratelli della piccoletta. Hanno gli stessi capelli neri e la stessa pelle abbronzata. Inoltre, sembra che uno di loro si stia divertendo a darle fastidio e lei lo ha colpito sul petto con tutta la sua forza. Lui non si è mosso di un millimetro, l’ha solo guardata come se fosse un piccolo cucciolo irritante. La scena mi fa ridere e per sbaglio espiro il caffè bollente, scottandomi il naso.

    La sveglia dell’orologio suona. Per quanto sia divertente spiare la nuova vicina, devo mettermi al lavoro. Mi siedo alla scrivania e faccio scrocchiare le nocche mentre il computer si accende. Controllo due volte le telecamere di sorveglianza e i sensori del cortile. Niente di più minaccioso di una famiglia di procioni e di quel verme del signor Miller, a cui piace lasciare che il cane faccia i bisogni nel mio giardino, li ha mai attivati. In ogni caso, meglio prevenire che curare.

    Mi immergo nel lavoro per un paio d’ore e mi assicuro di non aver lasciato in giro briciole digitali, quando il mio telefono suona sulla scrivania. Sullo schermo appare il nome del mio migliore amico. Odio parlare al telefono, quindi lo ignoro, ma Jack non è mai stato bravo a cogliere le allusioni e il cellulare ricomincia a squillare. Brontolando, rispondo perché so che non si fermerà finché non avrò ceduto. Il mio migliore, e unico, amico è cocciuto fino al midollo.

    «Perché non puoi mandare un messaggio come le persona normali?» chiedo.

    Sento il vento fischiare in sottofondo e scommetto che sta guidando la sua amata decappottabile con la capote abbassata. «Stasera usciamo. Niente scuse.» Almeno è uno che va dritto al sodo.

    «No. Preferisco restare a casa a bere una birra.»

    «Devi uscire. Giuro, sei diventato un vero eremita. Che senso ha vivere a Sonoma, se non esci mai? Ho paura che un giorno ti troverò barricato dentro con bottiglie di piscio ovunque. Hai bisogno di una notte fuori prima di trasformarti in Howard Hughes.»

    «Uno, è disgustoso e non lo farei mai. Due, non riusciresti mai a entrare in casa mia, se io non volessi.»

    «Ben, non stai aiutando la tua causa con simili stronzate. Amico, non uso spesso queste parole, ma ti prego. Un paio di investitori di New York sono qui in visita e vogliono andare al Blue Ruin per un cocktail. Non posso uscire con quei tizi senza supporto morale. Quando vengono in città, hanno sempre voglia di andare a bere in qualche nuovo posto. Voglio dire, che senso ha essere il proprietario di un’azienda vinicola, se devo pagare qualcun altro per versarmi da bere? Comunque. Vieni con noi. Cibo e drink li offro io.»

    Mi viene da ridere. «Come se avessi bisogno di un paparino.»

    «Andiamo, amico. Ti prometto che non sarà così male. Sarò in debito.»

    Sospiro mentalmente perché so già che me ne pentirò. «Maledizione. Va bene. Okay, ci sarò. Ma prenderò un taxi, non farò il giro dei bar con quei coglioni e non voglio bere niente che abbia delle decorazioni.»

    «Affare fatto. Solo il miglior whisky per te, bastardo brontolone. Ti prometto che potrai continuare a mantenere lo stile di vita a cui sei abituato,» dice Jack prima di riattaccare.

    Il Blue Ruin è, beh, particolare. Viviamo a Sonoma, California. È la città del vino per eccellenza. Accogliente, informale, elegante in modo discreto e confortevole. Il Blue Ruin è un bar in stile speakeasy, che sembra proprio un locale di Brooklyn. È frequentato da veri maschi alfa e da turisti che hanno più soldi che buongusto e che bevono cocktail da quattordici dollari con cubetti di ghiaccio dalle forme ridicole.

    Il locale è buio, con grandi separè in pelle, poltrone di velluto, lampade eccentriche illuminate da lampadine vintage. Non riesco a decidere se l’arredamento sarebbe più adatto a una club house steampunk o BDSM, se sostituissero il velluto con altra pelle, perché non oso immaginare quanto sia difficile rimuovere lo sperma dal tessuto. Non è il mio genere di posto. Sono un nerd informatico del Texas. Mi sentirei molto più a mio agio in un posto meno… così. Ma posso accontentarmi fintanto che riesco a bere un whisky senza schiuma di albume.

    Trovo Jack e tre dei suoi finanziatori dietro a un separè sul retro. Un cameriere con papillon e baffi arricciati ci porta alcuni cocktail troppo elaborati e, stando a quanto ha detto un piatto di cetriolini di provenienza locale. È difficile non alzare gli occhi al cielo davanti a dei cetriolini a chilometro zero, ma ci riesco.

    Jack e i finanziatori parlano di vino per un po’. Ridono e si divertono. Il Cabernet sta vivendo una grande annata, credo. Jack lavora senza sosta da quando il padre è morto, un paio di mesi fa, per cercare di dare una svolta all’azienda vinicola di famiglia, e sembra che le cose stiano cominciando ad andare per il verso giusto.

    Mi estraneo, e faccio roteare il mio secondo whisky nel bicchiere, perso nei miei pensieri, finché un lampo rosso non cattura la mia attenzione.

    La donna che spalanca la porta della cucina con un fianco per poi dirigersi verso il bar sembra uscita da un sogno erotico. Tiene in bilico tre grossi barattoli dei maledetti cetriolini, il suo corpo ondeggia a ogni passo, facendo salire la corta gonna nera sulle cosce abbronzate. Indossa una camicetta di seta rosso ciliegia senza maniche che mette in risalto il collo, lungo, sottile e delicato. Una coda di cavallo scura e setosa le dondola sulle spalle, implorando solo di essere tirata.

    Forse si sente osservata, perché alza lo sguardo e incrocia il mio. Il cuore mi batte forte e il respiro mi si blocca. I suoi occhi mi sorprendono, sono di un verde intenso e, che mi venga un colpo, è la donna più bella che abbia mai visto. Zigomi alti, bocca a cuore, c’è qualcosa di vagamente familiare in lei, ma non riesco a collegare.

    Interrompe il contatto visivo, ma non mi sfugge il modo in cui mi squadra dalla testa ai piedi, e inarca un sopracciglio perché apprezza quello che sta guardando. Una frazione di secondo dopo, inciampa sul tappeto, incespica e fa cadere i tre barattoli. Si infrangono sul pavimento e i vetri finiscono ovunque, mentre un piccolo tsunami di salamoia le inonda le scarpe.

    Scatto in piedi per aiutarla prima ancora che il cervello abbia avuto il tempo di comunicarlo al mio corpo. Il suo viso è rosso come un peperone mentre si accovaccia, prestando attenzione alla gonna corta, e raccoglie i vetri. Quando mi avvicino mi fa cenno con la mano di allontanarmi, ed evita di guardarmi. Mi chino comunque per aiutarla a raccogliere i cetriolini, e mi assicuro di posizionarmi in modo che nessuno possa sbirciarle sotto la gonna. I suoi occhi incontrano i miei per una frazione di secondo e un lampo di imbarazzo li attraversa. «Non ce n’è bisogno. Posso fare da sola.»

    «Lo so,» le dico con un sorriso. «Ma sono felice di aiutare.» Mi guarda di nuovo negli occhi e mi rivolge un breve sorriso. Giuro su Dio, è come se qualcuno avesse premuto un interruttore e avesse risucchiato tutta l’aria nella stanza. Riesco a malapena a respirare quando mi guarda.

    «Grazie… ahi!» Un pezzo di vetro le cade dalla mano. Per un istante sembra non essere successo nulla, ma poi una striscia di sangue rosso vivo fuoriesce dalla punta del dito. La prendo per il gomito per aiutarla ad alzarsi prima di afferrare un tovagliolino dal bar e avvolgerlo intorno alla ferita. Sono una persona orribile, perché avrebbe bisogno di una fasciatura adeguata, ma non voglio lasciarla andare. Faccio pressione e amo la sensazione della sua piccola mano nella mia. Apro la bocca. Non so se voglio chiederle dove si trova il kit di pronto soccorso o se ha voglia di uscire fuori con me a cena.

    «Ti senti bene Lilah?»

    Piega la testa di lato, come un cucciolo curioso. Diamine, è carina. «Come hai…»

    Mi indico il petto e le sorrido. «La targhetta con il nome. Io sono Ben,» le dico. Si guarda il seno e ride. La sua mano è così morbida e calda nella mia. Devo ricordare a me stesso che sto cercando di fermare il flusso di sangue.

    «Giusto. Piacere di conoscerti, Ben. Giuro che di solito non sono così maldestra. Le esalazioni della salamoia mi stanno dando alla testa e…» non riesco, però, ad ascoltare il resto della teoria sui fumi dei cetriolini, perché veniamo interrotti da un altro dipendente.

    «Come hai fatto a farli cadere tutti?» le chiede, avvicinandosi e ignorandomi completamente. Lei rabbrividisce e la cosa mi rende nervoso. Qualcuno ha problemi con il concetto di limiti. Guardo l’intruso: indossa le bretelle sopra una camicia a righe e un Borsalino. Mossa audace, Cotton.

    «Scusa, Terry,» dice lei e si allontana. «Il bordo del tappeto era di nuovo arrotolato e sono inciampata. Forse, ora che puzza di cetriolini, potrai finalmente cambiarlo.» Sorride con falsa dolcezza e io reprimo un sorriso.

    Lui mi guarda come se fosse colpa mia. «Può accomodarsi, signore,» mi congeda e con un unico rapido movimento si mette tra me e Lilah. Le appoggia una mano sulla schiena. «Andiamo a farti medicare.»

    L’odio che provo per il tipo è immediato. Ho l’insano desiderio di strappargli la mano che tiene appoggiata su di lei, ma Lilah gli allontana il braccio. «Posso fare da sola,» gli dice, lapidaria. Gesù, è fantastica. Mi piace sempre di più a ogni secondo che passa.

    Il tizio alza le mani e se ne va, borbottando: «Cercavo solo di essere gentile.»

    Lilah alza il braccio per esaminare la ferita sanguinante. «Mi dispiace per il direttore. È davvero orribile. Grazie ancora per l’aiuto. Vado… a occuparmi di questo.»

    «Fai attenzione,» le dico con un sorriso prima di guardarla allontanarsi, con i fianchi che oscillano mentre lascia impronte di salamoia ovunque. Torno al tavolo, sospirando tra me e me, fino a quando non noto l’espressione di Jack. Ha un sopracciglio inarcato e sorride.

    «Una tua amica?» chiede.

    «No.» Non lo guardo negli occhi mentre butto giù il resto del mio whisky e faccio segno al cameriere di portarne un altro.

    Uno dei finanziatori di Jack, Rod credo, raglia con un odioso accento del New Jersey. «È roba tua, amico?» Gli rivolgo l’occhiata più sdegnosa che riesco a lanciare.

    «Hai cinque anni? Mi hai davvero chiesto se posseggo un essere umano? Che cazzo, Ron?»

    «È Rod, idiota,» mi risponde d’impulso. «Rilassati, amico.» Si passa le mani tra i capelli, assicurandosi che quelli davanti siano ancora in posa. Hanno la forma di un corno e li odio. Dio, ha una faccia da prendere a pugni. Rivolgo a Jack la mia migliore espressione da mi devi un favore. Rod è fortunato che io non sia una persona violenta.

    2

    LILAH

    Beh, al diavolo. È stato imbarazzante. Sono settimane che dico a Terry che lo stupido tappeto continua ad arrotolarsi. Ci siamo inciampati tutti almeno una volta, ma lui è troppo tirchio per occuparsene. Mi sarebbe davvero piaciuto distruggerlo con la salamoia dei cetriolini, ma è probabile che costringerà uno di noi a lavarlo sul retro.

    Quello che mi fa arrabbiare è che non sarei nemmeno inciampata, se non fosse stato per l’uomo sexy seduto nell’angolo. Quando sono uscita dalla cucina, ho sentito i suoi occhi su di me. Mi guardava come se avesse voluto divorarmi.

    Anche adesso, seduto al tavolo con gli idioti dell’azienda vinicola, sento che mi osserva attraverso i suoi occhiali dalla montatura scura. Dio, adoro gli uomini con gli occhiali. Sorseggia il suo whisky, cercando di non dare nell’occhio e fallisce in modo catastrofico. Alcuni degli altri ragazzi al suo tavolo sono meno discreti. Il tizio con i capelli da boy band mi ha ammiccato. Che ribrezzo. Quel ragazzo ha una faccia da prendere a pugni.

    Mi chiedo perché Ben sia ancora lì con quegli idioti. I tipi in giacca e cravatta hanno un accento del Jersey molto cringe, ma Ben mi sembra del Sud e non potrebbe avere un aspetto più diverso nemmeno se ci provasse. Indossa jeans consumati e una maglietta grigia attillata. Ha i capelli castano chiaro e, sebbene siano corti ai lati, in cima sono più lunghi, arruffati e ricci. Ti fa venire proprio voglia di toccarli. Stringe il bicchiere retrò nella mano enorme, facendolo roteare, all’interno un unico grande cubetto di ghiaccio, prima di portarlo alle labbra piene. Immagino la sensazione di quelle labbra su di me e vengo assalita da un brivido che mi percorre tutto il corpo.

    Sembrava interessato a me, ma devo essermelo immaginato, perché non c’è niente di più sexy di una donna goffa con una mano insanguinata e ricoperta di salamoia. Mi rendo conto con un sospiro che non riuscirò mai più a toglierne l’odore dalle scarpe. Il lato positivo è che potrei mettere su un business e venderlo come repellente per gli uomini. Potrei imbottigliare piccoli vasetti di cetriolini al cardamomo con un’etichetta con su scritto rompere in caso di attenzioni maschili indesiderate.

    «Come va il dito, Lilah?»

    Parli del diavolo… Una voce alle mie spalle mi fa salire i brividi lungo la schiena, e il bicchiere che stavo pulendo quasi mi cade dalle mani. Ci risiamo, cazzo. Il mio capo mi osserva con attenzione, appoggiandosi al bancone. Potrei scommettere cento dollari che pensa di essere figo. Spoiler: quella posizione lo fa solo sembrare più basso e più viscido.

    «Bene, grazie,» dico, concisa, cercando di fargli capire che non voglio continuare a parlare. Lui non coglie l’allusione. Scioccante.

    «Senti,» dice, stringendo le labbra sottili, «quei cetriolini erano davvero costosi…»

    «Trattieni i soldi dal mio stipendio,» gli dico mentre agito in modo aggressivo un Gin Fizz. Il rumore del ghiaccio nello shaker non è abbastanza forte da fermarlo, quindi incrocia le braccia e si avvicina.

    «Oh, non preoccuparti. Faccio io. Ho solo pensato che ti sarebbe piaciuto uscire a cena con me, qualche volta.»

    Lo fisso. «Allora perché hai tirato fuori la questione del costo? Scusami, ma sembra quasi che tu, come mio manager, stia cercando di ricattarmi per farmi uscire con te perché mi sono caduti tre barattoli di disgustosi cetriolini. Anche se non è possibile, perché sai che questo mi permetterebbe di denunciarti per molestie sessuali.»

    Mi guarda, con la bocca aperta come un pesce agonizzante. Non so perché ha pensato che avrebbe funzionato. Schivo un Terry ancora ammutolito e mi rimetto al lavoro.

    Non ho bisogno di questo schifo. Non ho bisogno di niente. Se il pensiero di usare il mio fondo fiduciario non mi mettesse così tanto a disagio, uscirei di qui e andrei a vivere da sola su un’isola tropicale. Potrei restare in spiaggia tutto il giorno senza preoccuparmi di nulla. Nonostante il mio desiderio di mantenermi senza usare i soldi del nonno, però, non credo di poter tollerare questo lavoro ancora per molto.

    Mi appunto mentalmente di inviare al proprietario del bar un’e-mail con la definizione di ambiente di lavoro ostile e servo il Gin Fizz a una donna che ha addosso almeno cinque chili di gioielli. Si aggrappa all’uomo che la accompagna mentre lui fa scivolare venti dollari verso di me e mi dice di tenere il resto. Con la coda dell’occhio vedo Ben seguire il gruppo di ragazzi dell’azienda vinicola all’esterno. Non dovrei restarci male quando varca la soglia senza voltarsi. Non che mi debba qualcosa.

    Prendo un’altra ordinazione, ma prima che possa finire di prepararla, una mano batte sul bancone e alzo lo sguardo per fissare i più bei occhi color cioccolato che abbia mai visto. Quando Ben mi sorride, un gomito appoggiato sul bancone tra due donne che non sembrano essere infastidite dal modo in cui sta invadendo il loro spazio personale, mi sento mancare il fiato. Credo di aver appena beccato una di loro ad abbassare un po’ la scollatura della maglietta.

    «Cosa fai domani?» mi chiede.

    «Dormo fino a tardi,» rispondo felice. «Ho un giorno libero alla settimana e mi piace usarlo con saggezza, dormendo fino a mezzogiorno.»

    «Posso portarti fuori per un brunch, dopo che ti sarai svegliata?»

    Mi blocco, con la bocca aperta, sospesa sul precipizio di qualcosa di spaventoso, perché una parte di me vuole davvero dire di sì. Sembra dolce, ma quanto conosco di lui? Niente! Per quanto ne so, potrebbe essere un serial killer molto affascinante. Il suo aspetto irresistibile e il suo sex appeal potrebbero essere una trappola ben progettata.

    Cioè, è improbabile, no? Eppure, anche la mamma pensava che mio padre fosse una persona dolce e tutto quello che ne ha ricavato è stato un marito stronzo, interessato solo ai suoi soldi.

    «Ah… grazie per l’invito, ma non credo di potere,» rispondo con un filo di voce. Prima che il cervello possa coordinarsi con la mia bocca idiota, dico di getto: «Magari un’altra volta.»

    Ben mi sorride, imperturbato e, per un attimo, mi chiedo se abbia capito ciò che ho detto. «Volentieri. Ci vediamo, Lilah.»

    Cerco di ignorare il modo in cui le altre donne lo guardano mentre tamburella le dita sul bancone e mi sorride, prima di andarsene. Il mio cervello si complimenta con se stesso per essere riuscito a evitare

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