Isìra (storia di una donna che fiorisce)
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Anteprima del libro
Isìra (storia di una donna che fiorisce) - Claudio Proietti
disperatamente».
Sono tua sorella
Non so da dove cominciare. Questo è un problema che ho sempre avuto: iniziare. Quando ho fatto il primo passo ho sempre inciampato in qualcosa o pestato una merda. Sono emotiva. Mezza imbranata. Forse, tutta imbranata. Forse, proprio rimbambita! Tutto avrei immaginato due mesi fa, tranne che inviare una email con un file audio del genere. Taglio corto, dai: Mi chiamo Isìra e sono tua sorella. Sì, certo… Questo te lo ha già anticipato Elisa al telefono, ma volevo dirtelo anche io! E voglio ripetertelo: sono tua sorella! Siamo pure gemelli, cavolo! Gemelli! È così bello sapere di non essere soli. Sapere che c’è qualcuno che è venuto al mondo assieme a te. Nello stesso momento. Pietro, voglio raccontarti tutto prima di vederci. Tutto. E gran parte di quello che sto per dirti Elisa non lo sa. Non voglio farmi fregare dall’emozione e fare scena muta quando ti vedrò. Già so cosa accadrà! Ti abbraccerò, mi metterò a piangere e ti sputerò addosso frasi sconnesse. L’emozione mi ha sempre fottuta. Lo senti questo rumore in sottofondo? Fuori piove. A tratti grandina. I chicchetti colpiscono il tetto del mio camper con una certa violenza. Non hai capito male. Hai capito benissimo, ho detto camper! Vivo, anzi… Vivevo in camper fino a un po’ di tempo fa. Ora mi sono decisa: lo voglio vendere! Voglio passarci un’ultima notte, però. Da quando ho messo piede qui dentro la mia vita è cambiata e mi sembrava giusto cominciare a raccontarti la mia storia da qui! Non mi prenderò troppe pause. Voglio registrarti tutto più velocemente possibile e tra un paio di giorni credo di riuscire a inviarti il file. Chissà dove sarò quando pronuncerò le ultime frasi. Ma ora sono qui. Io lo chiamo yellow submarine!
Yellow Submarine
Ha le ruote a terra. E non è solo giallo. Gli ho dipinto dei fiorellini e degli alberi. Adoro quella canzone dei Beatles, ma non l’ho chiamato così per questo motivo. Il vecchio proprietario si chiamava Rodolfo e da giovane faceva il cuoco nei sottomarini e me ne ha raccontate di storie. Tu non hai idea di che cavolo può succedere in un posto come quello. Un giorno si ruppe le scatole e si comprò questo coso che gli ricordava uno di quei bestioni in cui cucinava sbobba puzzolente per tutti. Ti allego una foto così ti rendi conto che sembra proprio un sottomarino. Ci girò l’Europa. Si innamorò. Scappò. Si innamorò di nuovo. E scappò ancora. Un fifone! Poi si fermò proprio davanti a casa mia. La casa in cui sono cresciuta con mamma e papà, cioè quelli che credevo fossero i miei genitori prima che Elisa mi venisse a sfasciare definitivamente l’esistenza.
Insomma, mi si piazzò lì. Davanti alla finestra della mia camera e io non ho potuto più fare a meno di desiderare di vivere lì dentro. Stavo per compiere diciotto anni. Meditavo da un po’ la fuga da quella casa in cui nessuno mi vedeva per quella che ero. Quel trabiccolo giallo fu il colpo di grazia. Volevo stare lì. Volevo girare il mondo su quello scherzo della natura. Dovevo trovare il modo di farmelo vendere per pochi soldi e dipingerlo di giallo. Ci riuscii.
Mi chiamavano Scrat
Non è semplice la vita di una ragazza meravigliosa, stupenda, rara come me. Avevo come punto di riferimento la principessa Jasmine, quella che poi si fidanza con Aladino, ma per tutti ero Scrat, lo scoiattolo sfigato de L’era glaciale
.
Scrat a scuola, Scrat fuori dalla scuola, Scrat addirittura a casa mia.
Odiavo la luce del sole. Odiavo essere vista. Odiavo vedermi riflessa negli specchi delle vetrine dei negozi. Quella lì non ero io. Io ero Jasmine. Io ero una principessa, mica quella sagoma goffa che gironzolava senza sapere dove mettere quelle manacce deformi. Ho sempre odiato pure le mie mani, sì. Le dita soprattutto. Mezze storte. Come avrai capito ha più autostima un cetriolo moscio di me.
Le mie uniche amiche erano Rosalba e Marilena. Due casi umani anche loro. Rosalba non era goffa, ma era brutta. Bruttissima. Intelligentissima, ma cessa. Cessa fin dove la sorte poté accanirsi. Si avvicinava ai ragazzi usando l’intelligenza, loro la emarginavano usando le gambe. Correvano come centometristi professionisti. Marilena, invece, era molto appariscente. Troppo. Aveva un seno immenso. Era complessata. Cercava di fasciarselo per non metterlo troppo in mostra, ma faceva peggio. Quando meno se lo aspettava quello esplodeva fuori traumatizzando i presenti. Aveva tanti corteggiatori. Ma non corteggiavano lei, corteggiavano il suo seno. Gli portavano fiori, lo invitavano a cena, gli scrivevano poesie. Tutto per lui. Marilena piangeva, non si sentiva accettata. Come Rosalba. E come me. Tre sacchi dell’immondizia che cercavano di sopravvivere in un mondo ostile, troppo selettivo.
A parte la grande intelligenza di Rosalba nessuna delle tre credeva di avere una particolare dote. Ci sentivamo degli scarabocchi. Tre errori. Tre barzellette che non fanno ridere.
Ci sbagliavamo, fortunatamente per noi.
La prima a sparire dal trio fu proprio Rosalba. La sua materia grigia la salvò. Riuscì a farsi ammettere all’Università di