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Edera.8
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E-book167 pagine2 ore

Edera.8

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Info su questo ebook

Diasper Places, Inghilterra 1878.

Martha Latimer è chiusa nella stanza dello Specchio Abissino, la stessa notte delle nozze con Gilbert Butler.

Assieme a lei due oscure domestiche che abitano la Casa delle Cesoie.

In verità, la casa sommersa dalle edere e circondata dai boschi nebbiosi della Contea è uno scrigno chiuso da una infinità di lucchetti, dove la memoria di Martha risale come dalle profondità di un pozzo, lo stesso della leggenda di Lady Mary Coutney.

Lì dentro vi è rannicchiata l'infanzia, l'Istituto Litteram, le regole, le punizioni, le pratiche nascoste, licenziose, immorali, e descritte nei diari delle collegiali, memorie lese coperte dalla cenere, all'interno di vecchie stufe di ferro, abbandonate a loro volta nelle soffitte.

Martha che narra la solitudine, la follia, l'arte, l'amore illecito per una compagna d'istituto, Gilbertina Pleasure, la quale è ancora presente nella sua vita e le respira accanto.

L'amore rubato alle apparenze di Percival Nolan, l'esistenza vissuta e nascosta nella casa delle Anime Scisse, dove strane creature abitatrici di Diasper Places e Diasperdeath, fanno da tramite alle voci secolari intrappolate negli arazzi fiamminghi e diventano lanterne di transito lì dove Buio si manifesta.

Ognuna di queste voci si fa dunque oracolo, in questo romanzo che racchiude simboli onirici, iconografici e mistici.

Un libro dove la risoluzione finale si scontra armoniosamente con il centro surreale del racconto stesso, quello che è l'eterno scontro fra le Creature Corali e quelle Avernali, in un arabesco di edere rampicanti e mura di cinta, di colombe e di tortore, di realtà correnti e di specchi oscuri.

Ogni creatura ha un senso, un percorso, e come tale diviene luce per l'altra. Chiunque può accompagnarci, farsi esperienza stessa o sostituirla, né porvi giudizio.

Poiché Crisalide conosce il terreno, e allo stesso modo conoscerà nubi, intemperie, , vuoto caduta e morte
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2020
ISBN9788831666015
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    Anteprima del libro

    Edera.8 - Barbara Laudato

    Oniric Burlesque Tales

    Opus Anglicanum N°3

     series

    Copyright © Barbara Laudato 2019

    Titolo dell’opera

    Edera.8

    In copertina foto di Annie Spratt, Ford Abbey, England

    INTRO IN DELECTAT

    "Tu che abiti i giardini,

    fammi sentire la tua voce".

    C.C. 8,13

    A.T.

     Opus Anglicanum N°3

    presenta

    Una serie di fiabe macabre senza fondo

    che si dispiegano, silenziose ed urlanti,

    attraverso epoche parallele,

    simboli sacri, iconografici,

    della psiche e dell’emotivo.

    Fobie, leggende, allegorie.

    Sacro. Profano.

    Esoterismo.

    Lanterna e Ombra.

    Romanzi e fiabe antiche,

    in un incrocio mistico,

    perverso, angelico

    e catartico.

    Camere oniriche,

    luoghi visionari,

    creature improbabili

    e mondi sommersi.

    Erotismo da tela d’autore,

    da racconti da toeletta,

    da Burlesque Opera Prima.

    Opus Anglicanum N°3

    racconta una serie di

    storie, in uno stile riccamente

    cesellato, da incubi e deliri.

    Un libro scrigno che racchiude i cinque

    sensi canonici, più il sesto che è infinito.

    Un otto addormentato,

    inciso orizzontalmente da inchiostro nero

    su tela da etere, bufera e stormi di creature alate.

    Buona dispersione.

    Lettera al Principio degli Inverni

    Amabile Edgar, a coloro i quali avevano spesso da ridire sulla tua aria sovrasognata,

    rispondevi infido: "Coloro che sognano di giorno, hanno Cognizione di molte cose

    che, invece, sfuggono a coloro che si limitano a sognare di notte".   1809 - 1849

    Venerdì 29 Novembre 2019, ore 12.39

    Principio degli inverni.

    Questa dedica l’ho scritta con le dita

    gelate e con il cuore urlante di gioia.

    Io che ho conosciuto Edgar Allan Poe

    in ogni suo dettaglio di buio, soltanto

    per percezione interiore Prima.

    Successivamente per lettura.

    Niente mi ha sorpresa

    di ciò che, già osservando,

    personalmente avevo raccolto.

    Non guardare nell’occhio del buio

    tu scrivevi sapientemente

    "…poiché l’occhio del buio

    potrebbe guardare dentro di te".

    Il vento si quieta

     ed il transito del sublime

    Arcangelo Metatron,

    mentre scrivo, connette l’onirico

    con il ventricolo cerebrale.

    Anima narra.

    Una voce di vecchia dice, sapiente come

    il Tempo, che non esiste luogo migliore

    della Terra per sperimentare

    Solitudine.

    Per le anime attorno

    tale è rinominata,

    per me è solitudine apparente.

    Da me spirito aperto e da acuto mentalista.

    L’interiore che appare chiusura

    è in verità apertura che dilaga,

    ed in sé contiene vastità e potere,

    mai precedentemente

    sperimentati da altri, ciechi, assurdi.

    Barbara Laudato

    Preludio alla XIV Lettera

    Capitolo I

    Diasper Places

    Inghilterra

    1878

      Lo specchio nella stanza da bagno era appoggiato alla parete, simile all’anta di un vecchio armadio staccato dai cardini, separato dal corpo al quale apparteneva da secoli.

      Sembrava una parte smembrata e poi relegata altrove.

      Sembrava. Ma in realtà era un pezzo unico.

      Un pezzo unico lavorato di scalpello, con strumenti che ne avevano inciso i tratti, singolarmente.

      Per chiunque ne avesse incontrato con lo sguardo la presenza, sarebbe inequivocabilmente apparso non come uno specchio, ma piuttosto una porta, con uno stipite resistente e scuro; una cornice nel cui legno nero era stato scolpito un intrico di edere dalla punta a uncino ritorto, bacche che ricordavano nocciole bruciate nel fuoco, piccoli fiori simili ad anice stellato e scuriti dalla fuliggine; rose selvatiche trovate sotto la brace calda e medaglioni con altre improbabili incisioni che richiedevano un’attenta interpretazione. E che fosse alla luce vacua delle lampade ad alcol o a quella otturata e livida del giorno, perennemente ostacolata dagli alberi bui e dalle piogge invernali, risultava impossibile leggere attraverso quelle iscrizioni inferte di punta.

      Apparivano come sfregi di coltelli dalle lame sottili.

      Era quindi trovarsi non davanti ad uno specchio oblungo e vasto, ma ad un portale dall’architrave decorato, dalla consistenza dura e buia, con una fitta tessitura di legno che ricordava gli stucchi di una cappella del ‘700; volute di ebano opaco, annoso. In cima vi era poi racchiuso, tra mani sottili che emergevano dalla struttura, un ovale che custodiva una piccola tela.

      Martha Latimer sollevò gli occhi appesantiti dalla stanchezza e dal vino caldo, e li posò proprio su quel medaglione racchiuso tra le falangi di legno e gli sterpi contorti, che era al di sopra della sua testa. Le ombre mobili, quiete, sussurranti, sfioravano appena la trama giallastra e remota, e parevano smosse da un vento tiepido, rimasto intrappolato tra le pareti della stanza.

      La ragazza strinse appena gli occhi, come stesse cercando di osservare qualcosa attraverso una feritoia, di notte. Sentiva le voci basse e otturate delle due serve, le quali le si muovevano attorno come fossero suoni relegati nella camera accanto; erano casse a cilindro scordate, avvolte da panni di velluto scuro e rinchiuse in un baule. Entrambe attutite, e con la loro presenza indifferente a sé stesse.

      Martha Latimer batté le ciglia, e fece quasi fatica mentre leggeva l’immagine di quella bambina immortalata sulla tela ovale, in maniera alquanto strana. Incomprensibile a chiunque.

      Si chiese se fosse lei stordita dal vino rosso, denso come la porpora più nera, o dalla cannella grezza e dal miele che ancora sentiva, nella sua dolcezza, sostare tra la lingua ed il palato, oppure fosse la stanchezza a confonderla.

      Chinò appena il capo di lato, come a voler assorbire meglio la consistenza dell’immagine, di quel soggetto dalla natura onirica, inconsistente. La punta delle dita fredde di una delle due serve, le toccò la cute, interferendo con il calore dei capelli sciolti, e raddrizzarle la testa mentre continuava a strattonarle i nodi con la spazzola antiquata. Lei, come una bambina imbronciata, obbedì all’ordine imperativo, imposto senza l’utilizzo della parola. Era bastato il gesto. Il freddo. Come per le bambinaie con l’infante.

      La legge e la sua materia gelida. Da infrangere.

      La testa era dritta, adesso, ma lo sguardo era ancora puntato verso quel medaglione velato dal buio tremulo, dalla luce torbida, dal calore che saliva dalle lampade a globo, dal vetro opaco ed istoriato.

      Attraverso quel silenzio concentrato e dove i rumori le giungevano soffusi, distorti, avvertiva il colpo ricorrente e profondo del pendolo di bronzo verde che oscillava, ed era una sorta di lama d’accetta nel vento tiepido, un’ascia della stessa materia e dello stesso colore del diaspro. Di salvia fredda, ossidata, di ematite e ruggine bluastra. Il pendolo verde dalla punta simile ad una picca rovesciata, e distorta verso sinistra. Il pendolo, che dondolava di continuo nella cassa di mogano, nella camera da letto degli sposi.

      Questa camera si trovava accanto alla stanza da bagno, lì dove Martha era ora intenta a fissare la figura rovesciata; la bambina intrappolata nel telaio vecchio, dove era rimasta impressionata da un secolo.

      Sullo sfondo verde di Prussia e tendente al blu cobalto, tra sottili striature di nebbia tracciate con bianco di piombo, vi era ritratta questa creatura di circa sette anni, dalla pelle molto chiara e simile ad un velo dalle trasparenze di glicine; erano riflessi rosa antico e quegli stessi riflessi, rivestivano il corpicino dalle braccia esili, le spalle ossute, le clavicole irrigidite, sottile come creaturine boschive, da leggende celtiche di mezzanotte e oltre.

      Quel viso piccolo e delicato portava incastonati due occhi grandi, dall’aspetto del vetro lavico, neri di una densità estrema, come estremo era l’incrocio fra le fiabe e le leggende del folklore.

      Una sorta di perversione narrante protratta nelle sere d’inverno, raccolte nei libri degli scrittori tedeschi, sanguinari, fatti essi stessi di una consapevole intelligenza.

      Una macabra intelligenza.

      Osservava quel naso minuto, le labbra piccole e piene, dal tono esangue, di rose marcite; materia cruda e consistente, tracciata da un pennello preciso e ben intinto.

      Le gote della ragazzina del quadro, erano colorite da una tenue tonalità di cipria noisette e confetto, vibrante come vapore danzante; sembrava quasi sollevarsi dallo sfondo di quarzo rosa, come fosse polvere sottile. Le orecchie spuntavano dal groviglio delle chiome cascanti; sembravano smosse dalle ombre della stanza, sulla tela blu verde rame. Chiome dalle onde come lana e velo che sfumava nell’etere notturna. Capelli di un biondo che toccava i vertici estremi del bianco cenere, di granito, di bufere di neve. Capelli albini, che cadevano come rampicanti liberi e senza vincoli, senza pareti di pietre, di roccia, di cancelli neri ai quali aggrapparsi, tenaci.

      L’abito leggero della bambina richiamava il periodo del Terrore, quando le teste cadevano sotto la lama della ghigliottina. La trama di tulle bianco, leggermente ingiallito, con striature come di cenere secca, di pioggia fangosa e rappresa raccolta tra le pieghe, erano chiuse in cima; in modo tale da far sembrare la bambina una sacca penzolante, e con la possibilità di osservare il mondo al rovescio.

      Essa era rinchiusa in un bozzolo dalla vita alla punta dei piedi. Sospesa pericolosamente nel vuoto del sogno.   Un sogno dai tratti che esprimevano una leggiadra inquietudine, conflittuale ed antica. Sospesa e capovolta nell’immobilità del suo stesso viaggio onirico, stretta alle caviglie da un nastro largo di seta ruvida ma dal tessuto tenero, con una stampa fatta di boccioli delicati e dai lembi scuri, simile a membrane ancora chiuse su loro stesse.

      Quel nastro che la fermava alle caviglie, allo tesso modo le chiudeva il tronco, e il ritratto della bambina, visto da quella prospettiva, era più illuminato nella parte interna rispetto al resto dell’ovale, poiché in quel punto esatto, la tela era maggiormente esposta al chiarore pallido della lampada grande. Questa lampada era stata avvicinata allo specchio da una creaturina apparsa dal niente, proprio per intensificarne la luce nella camera da bagno. Le lampade e gli specchi cooperavano in maniera strategica, grazie a simili accorgimenti, senza dover necessariamente accenderne altre.

      Martha Latimer, ignorando di proposito la bambina, figlia di una delle due serve che ora le stavano trattando i capelli con olio di mandorle e rapidi colpi di crine bianco, colse d’istinto il gesto come favorevole a raccogliere maggiori dettagli dalla tela delicata; traendoli, stranamente affascinata, dal piccolo cammeo che riposava quieto e al rovescio, tra le orrende mani di Salem.

      Nella cintura di damasco rosa, la fanciulla per metà crisalide del quadro, portava infilate delle roselline del colore delle nocciole, assieme ad un intrico di foglioline spinose e ederine di un verde morente, quasi tendenti al tortora. Al petto reggeva un mazzetto di sterpi fatto di rovi spinosi, anche questo capovolto, legato stranamente da una stringa per calze in cuoio. La mano sinistra invece indicava il cielo, e Martha vedeva qualcosa rilucere nel buio, simile ad un sottile nastro di seta rosso scarlatto che scendeva lungo l’avambraccio ripiegato.

      La mano della bambina era però celata dall’oscurità, e la parte della tela che ora interessava Martha, non era perfettamente visibile. Mancava del particolare, e a causa di questo si sentiva irrequieta, come se stesse contemplando una tavola simbolica senza alcuna risoluzione. L’unica linea delicata che scorgeva appena, era quel filo vermiglio lungo la pelle chiara del braccio, e parte sfuocata del dipinto, la cui trama era alterata dal nerume delle candele.

      Martha avvertiva ora un dolore crescente alla testa. Era come avere una specie di picca di cancello che le trapassasse il cranio, simile a quella nella cassa dell’orologio da parete, se ci pensava; la possente  pendola in mogano esposta nella camera degli sposi.

      Dai fondali dello specchio oblungo e dalle vastità illogiche, colse la scena corrente sotto il proprio sguardo, impassibile e silenzioso. Una delle domestiche presenti per la tolettatura, la quale si era intrufolata in questo spazio intimo e dal tepore insolito, era china su di lei, quieta come una fiammella, e le stava deponendo un bacio sul capo, e propriamente sulla fontanella; un gesto devoto, formale e quasi sentenzioso, per come lo aveva visto attraverso la lastra cupa dello specchio. 

      Martha trattenne il respiro, poiché quel bacio le aveva lasciato un'impressione di calda umidità, quasi oscura, sulla cute sensibile e strattonata a lungo dai crini di cavalla, e mentre ciò avveniva, posò istintivamente le dita tremanti della mano sinistra,

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