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Il parto della coscienza
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Il parto della coscienza
E-book164 pagine2 ore

Il parto della coscienza

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Info su questo ebook

Bonn, Germania, metà dell’ottocento. Un giovane monaco supera le barriere imposte dalla società attorno a lui, facendo amicizia con un ragazzo dell’aristocrazia tedesca. I due troveranno conforto in questa amicizia, anche quando verranno colpiti da delle tragedie inaspettate, facendo nascere dalla loro esperienza qualcosa di immortale, che ci lega tutti in quanto umani.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2020
ISBN9788869632303
Il parto della coscienza

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    Anteprima del libro

    Il parto della coscienza - Fabrizio Ginesi

    Fabrizio Ginesi

    IL PARTO DELLA COSCIENZA

    Elison Publishing

    Proprietà letteraria riservata

    © 2020 Elison Publishing www.elisonpublishing.com elisonpublishing@hotmail.com

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Elison Publishing

    ISBN 9788869632303

    Mi chiedono spesso di te: come stai, che cosa fai, se ancora ci sei. Rispondo sempre nella stessa maniera, con uno: sta bene, grazie accompagnato da un sorriso vago o un va per il meglio distratto. Perché alla fine, poco conta, la loro è solo circostanza. Non sanno che ormai ci siamo divisi, che abbiamo preso strade differenti senza nemmeno salutarci. Ormai hai la tua indipendenza, e io la mia, anche se più sofferta che mai. A volte mi chiedo se senti ancora le parti di me in ciò che sei diventata, come ti ho modellata, come ti ho cambiata mille volte. Perché non conta quanto ti allontanerai, rimarrai sempre speciale per me. E non credere sia per l’amore che ho provato verso di te, non è affatto così, ho amato svogliatamente mille volte e tu sei stata solo una come tante in questo. È per l’odio furente che ancora sento ribollire dentro di me quando ti penso, quando ti sfioro e tu ti scansi. Tutto ciò che ho fatto per renderti vera gli altri non lo sanno, e probabilmente non lo sapranno mai.

    Dedico questa prima e ultima scintilla del mio fuoco a te, arte mia.

    L’ignoranza

    Mentre il mondo esterno si permeava per la prima volta del vapore delle industrie, la primavera nella zona della fitta foresta di Bonn, in Germania, era come di consueto mite, con rare precipitazioni periodiche e di breve durata, spesso seguite da strabilianti effetti di luce, ben visibili dal piccolo monastero. Creavano in quel luogo come una stasi temporale, dove il divenire cessava di esistere, e con esso la morte. Questa visione rallegrava la quotidianità dei confratelli, ma solo uno si fermava ad osservarla, con estasi e ammirazione, un vecchio monaco di nome Mizk. Era un uomo serio e taciturno, dai tratti del viso duri e marcati, contornati da molte rughe cadenti, che dipingevano sul volto la sua anzianità. Un personaggio così austero aveva però qualcosa di molto speciale, i contrastanti occhi azzurri, che conferivano all’uomo un velo di eterna giovinezza. E quando, grandi e splendidi, contemplavano i miracoli che la natura aveva creato, che aveva donato ai viventi, si poteva intravedere in essi, anche se per pochissimo, una vera scintilla di vitalità, cosa ben rara in lui, vecchio e stanco com’era. Ciò che alimentava il fuocherello di questo amore era anche ciò che lo aveva portato a diventare erborista, ciò che, tra quei rigogliosi faggi e quelle orgogliose querce, riusciva a stupirlo ancora, dopo tutti quegli anni. E anche se spesso nella sua vita aveva deciso in maniera istintiva e, ripensandoci, forse scorretta, per sua fortuna mai rimpianse la scelta di amare, vanto che pochi possono sfoggiare.

    Spesso accadeva che, rimasto in quello stato di assoluto distacco dalla realtà per diverso tempo, comodamente seduto sui gradini in pietra e completamente immerso in quelle stupende danze di luci e colori, non si accorgesse minimamente di ciò che gli accadeva attorno, come se tutto il resto del mondo non fosse davvero reale.

    Mizk, Mizk, mi senti? A rompere il silenzio tiepido di quella foresta umida era stato il giovane Abram. L’allievo del monaco, un ragazzo curioso e pieno di energie, stava ora urlando sempre più forte, fino quasi a sgolarsi, cercando l’attenzione del vecchio distratto. Ormai ben abituato ai comportamenti di quello strano individuo, emise un verso di frustrazione con gli occhi al cielo, per poi avvicinarsi e strattonarlo forte per una spalla. Mizk, accortosi finalmente del ragazzo, si girò lentamente verso di lui, guardandolo dritto negli occhi. Fece un lungo sbadiglio, che gli provocò anche qualche piccola lacrima salata ai bordi delle palpebre, poi chiese al giovane, con un tono seccato:

    Che cosa vuoi? Non vedi che ho da fare? Abram sbuffò di nuovo, per poi esporgli il dilemma che lo stava affliggendo:

    Vedi, davvero non comprendo come il nostro Dio, colui che con noi è così benevolo e caritatevole, possa aver sottoposto il popolo ebraico a tutto quel dolore, nonostante essi siano figli suoi, proprio come lo siamo noi. Il vecchio, sentite quelle parole, corrucciò la fronte in un’espressione di rimprovero, per poi rispondere:

    Come al solito ti stai inoltrando in questioni troppo grandi per la tua mente giovane e incauta, inoltre quel Dio crudele non rappresenta affatto il nostro santo padre, tutti i racconti nel Vecchio Testamento contenuti, dal peccato originale in poi, vanno interpretati come un’attesa crudele e sanguinosa verso la purificazione compiuta grazie al sacrificio di Cristo, la cui rivoluzione cristiana rappresenta davvero il bene, dunque per la prossima volta, astieniti dal porre domande stolte.

    Poi rigirandosi, annoiato, aggiunse:

    Ma anche questo mi sembra di avertelo già detto. Abram, sentito quel rimprovero si morse un labbro, volendo sfogare in qualche modo l’insoddisfazione che la risposta gli aveva portato.

    Davvero non capisco pensò tra sé perché far soffrire un popolo intero in tutte quelle maniere atroci, solo per poi far compiere al proprio figlio un eroico sacrificio atto a assolvere i peccati di coloro che hanno avuto la fortuna di nascere dopo quegli avvenimenti? Peraltro, il martirio di un uomo giusto sulla croce, non fa altro che generare altro dolore, altro sangue ai piedi del divino. È qualcosa di totalmente immorale, non adatto al Dio padre che governa i cieli, di certo c’è un fraintendimento, ci deve essere. Ma si tenne quei pensieri per se stesso, sapendo che se avesse continuato a parlare non avrebbe fatto altro che irritare ancora di più Mizk.

    Dunque lo ringraziò del tempo che gli aveva dedicato, lasciandolo ritornare al suo rieppassatempo, che in breve tempo lo inglobò completamente di nuovo.

    Insoddisfatto, continuò verso l’entrata del monastero, per poi udire alle sue spalle, dopo un leggero colpo di tosse rauca:

    Ah, e Abram, piuttosto che star lì a cincischiare, vai a fare qualcosa di più produttivo per il monastero, come andare a zappare i campi diventati fertili grazie alle piogge con gli altri monaci o a dare una mano nelle cucine raccomandazione alla quale seguì uno sbrigativo cenno circolare della mano, come a rafforzare il suo invito.

    Parla proprio lui pensò con ironia.

    Si ricordava bene la prima volta che gli chiese spiegazioni dei suoi comportamenti così particolari, all’arrivo della primavera. E la risposta che l’uomo gli diede segnò profondamente il ragazzo, che da lì aveva deciso di non giudicarlo più per quel suo comportamento, al contrario degli altri monaci. Era accaduto qualche anno prima, quando i primi gigli sbocciavano, conferendo all’ambiente un colore rosato, tramutando l’inverno appena passato come d’incanto in un lontano ricordo. Il vecchio lo guardò negli occhi, e gli disse: vedi Abram, penso che tu abbia compreso, osservando la natura, che la morte faccia parte di noi fin da quando nasciamo. Poi, dopo aver estirpato un tiglio che non aveva ricevuto acqua a sufficienza per poter continuare a vivere, seccandosi lentamente, aggiunse:

    Però tutti noi esseri umani coltiviamo e ci appassioniamo qualcosa durante la nostra breve vita. Quel qualcosa è per noi fonte del più profondo degli amori, perché attraverso esso, scorgiamo per un secondo, nell’intercapedine della nostra mente, l’eterno. Per me è la natura stessa la mia fonte di eternità, colei che genera e perisce in un ciclo continuo, per sempre, e mi auguro, dal profondo del mio cuore, che anche tu sappia trovare la tua porta per l’eterno.

    Mentre ripensava a quelle parole provava una strana sensazione dentro di sé, quasi malinconica, di forte tristezza, e tutta quella discussione gli appariva sempre più lontana, come se il ragazzo che era, quel giorno di pochi anni fa avesse davvero poco a che fare con chi era lui oggi, in tutto e per tutto.

    Però pensare che la causa di ciò risieda solo nella normale crescita sarebbe da sciocchi pensò. Infatti aveva ricordi ben più vecchi di quello, che non gli scaturivano le stesse emozioni. Ripensò a quand’era giusto un bambino, e dentro al monastero si sentiva tanto perso. Era silenzioso ai tempi, non parlava mai, e temeva tutto. La sua forte curiosità era nata in lui solo quando si era fatto grande, avendo bisogno di esplorare posti nuovi, conoscere persone differente dai suoi confratelli.

    No rifletté dev’esserci qualcosa di diverso in quel ricordo di qualche anno fa. Era come se a essere cambiato da quei giorni solo il suo modo di pensare, ma anche tutto ciò che lo circondava, tutto ciò che era estraneo a lui, come se l’universo stesso fosse mutato.

    Forse proprio lì è nata la mia necessità di farmi così tante domande pensò. Da questa malinconia che sento a ripensare a quei tempi, forse ho sete di risposte proprio perché così non sono soddisfatto da chi sono ora, e da ciò che mi circonda. Leggo tutto ciò che posso, faccio domande, anche spesso non ricevono risposte, per migliorare me stesso o per capire meglio l’esterno? Ma quel suo continuo pensare, farsi domande su tutto, spesso lo attanagliava, legandolo al fondale senza farlo muovere come un ancora. E quando proprio non ce la faceva più, si rifugiava dall’unico uomo che gli desse un po’ di ascolto, che sapesse, anche in minima parte, portar luce nella costante penombra.        

    Mizk però non sempre aveva tempo per quel ragazzo pieno di domande, quindi non era raro per gli altri monaci vederlo vagabondare, sviando i suoi incarichi, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a trovar risposte, come il soldato va cercar armi in delle riserve dismesse.

    Il monastero era di umili dimensioni, collegato alla basilica, dove prendeva luogo la messa, grazie a una porticina che dava sulla lunga navata, e che veniva spesso tenuta aperta per comodità. La chiesa aveva la forma di una croce, ed era costeggiata da tante piccole stanze dalle inferriate in ferro. Qui solitamente veniva conservato il legname nelle stagioni calde, così da essere pronto per essere bruciato al primo freddo. Le pareti erano decorate da bellissime rappresentazioni di momenti fondamentali per le storie bibliche, fatte da un talentuoso pittore locale anni addietro. Abram adorava perdersi tra quelle figure, osservandone la bellezza, seguendone i tratti leggeri, correndo dietro ai colori, e scordandosi per poco di tutti i suoi pensieri. E quando si stancava di ammirare quelle figure, correva verso la piccola libreria del laboratorio degli erboristi, con tanta voglia di leggere ogni singolo libro. Sentiva di aver bisogno di risposte, e spesso quelle parole, erano le uniche a dargliele.

    Non ho quasi mai visto Mizk leggere pensò un giorno, immerso tra i libri curioso come proprio qualcuno che sa così tante cose del mondo legga così poco aggiunse perplesso e quando legge ha sempre uno sguardo circospetto, mentre dovrebbe essere una delle cose più rilassanti che ci siano! Che uomo strano. E poi quando ha finito, rimette sempre tutto in quel maledetto cassetto, quindi non posso vedere cosa stava leggendo! Infatti più che un cassetto quello in cui Mizk riponeva i suoi libri assomigliava a una rudimentale cassaforte, chiuso a chiave da un lucchetto. Era anche evidente che qualcuno aveva cercato di romperlo più volte, come evidenziato dai graffi lungo tutto il corpo metallico. Aveva opinioni tanto discordanti sul fare così misterioso del maestro perché da un lato, lo faceva molto infuriare, pensando che un insegnante non dovrebbe aver segreti col suo unico alunno. Ma da un altro lato, anche se non se ne rendeva conto, quell’oggetto evidentemente rovinato dagli effetti del tempo, lo incuriosiva tanto.

    Quel giorno, dopo aver parlato col maestro, salì rapidamente in stanza, cercando una risposta che lo soddisfacesse. Però, arrivato nella camera, subito si accorse che qualcosa mancava. Qualcosa di fondamentale che per lui rappresentava l’essenza stessa di quel laboratorio. Mancava proprio quel cassetto chiuso a chiave. Si fermò il tempo per qualche secondo, facendo perdere qualche manciata di battiti al ragazzo, che sentì dentro al petto come una fitta. Poi, quando l’orologio ricominciò a ticchettare, la rabbia iniziò ad impossessarsi di lui fuori da ogni controllo, riempiendo ogni capillare del suo corpo di un sangue ribollente. Tutta questa potenza distruttiva era rivolta al maestro, che egoisticamente gli aveva portato via un mistero tanto intrigante.

    Mizk non può farlo, non può agire così, è ingiusto, ingiusto! urlò in preda alla rabbia feroce. Batté i piedi come fanno i bambini quando il loro gioco preferito gli viene tolto dalle mani, anche se questo apparteneva ad altri. Poi, intenzionato ad andare a far esplodere questa ferocia sul volto del maestro, controllò dalla finestrella che dava sull’entrata dell’edificio per sapere se

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