Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Francesco
Francesco
Francesco
E-book224 pagine3 ore

Francesco

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Com'è imprevedibile la vita. Per quanto si possa credere di conoscere le cose, le situazioni, per quanto si possa pensare di aver ottenuto una certa maturità attraverso gli anni della propria esistenza, un giorno ci si ritrova ancora confusi. Tutte le nostre piccole certezze, quelle che tenevamo come riferimento, vengono ad un tratto rimesse in discussione.

E' sufficiente un fatto occasionale, che gli stessi concetti del Bene e del Male che ritenevamo consolidati, assumono una valenza diversa e quella realtà che ci sembrava di comprendere, nuovamente ci sfugge e ci lascia perplessi.

E’ ciò che successe al protagonista della storia che sto per narrare.

Un uomo che ebbe la fortuna di nascere in una famiglia molto agiata ma, che a un certo punto della sua vita si trovò a vivere un’esperienza strabiliante, per certi versi irreale, che di fatto cambiò radicalmente la sua concezione dell’esistenza.

Di questa storia, che si svolse alla fine degli anni Novanta, ne venni a conoscenza per caso mentre trascorrevo alcune settimane di vacanza in una località collinare del bresciano chiamata Franciacorta.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2020
ISBN9788831665964
Francesco

Leggi altro di Luigi Colla

Correlato a Francesco

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Francesco

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Francesco - Luigi Colla

    capire.

    Prefazione

    Com’è imprevedibile la vita. Per quanto si possa credere di conoscere le cose, le situazioni, per quanto si possa pensare di aver ottenuto una certa maturità attraverso gli anni della propria esistenza, un giorno ci si ritrova ancora confusi. Tutte le nostre piccole certezze, quelle che tenevamo come riferimento, vengono ad un tratto rimesse in discussione.

                                                                                                            Com’è imprevedibile la vita. Per quanto si possa credere di conoscere le cose, le situazioni, per quanto si possa pensarepropria esistenza à,  Tutte le nostre piccole E’ E E’ E’ sufficiente un fatto occasionale, che gli stessi concetti del Bene e del Male che ritenevamo consolidati, assumono una valenza diversa e quella realtà che ci sembrava di comprendere, nuovamente ci sfugge e ci lascia perplessi.

    E’ ciò che successe al protagonista della storia che sto per narrare.

    Un uomo che ebbe la fortuna di nascere in una famiglia molto agiata ma, che a un certo punto della sua vita si trovò a vivere un’esperienza strabiliante, per certi versi irreale, che di fatto cambiò radicalmente la sua concezione dell’esistenza.

    Di questa storia, che si svolse alla fine degli anni Novanta, ne venni a conoscenza per caso mentre trascorrevo alcune settimane di vacanza in una località collinare del bresciano chiamata Franciacorta.

    Quella mattina, durante una delle mie passeggiate mi allontanai più del solito lungo una strada poco percorsa. Dopo circa un’ora di buon cammino la valle si allargava lasciando intravedere, lontano, alcuni specchi d’acqua.

    Proseguendo ancora qualche centinaia di metri, notai sulla mia sinistra due grandi pilastri di pietra, al di là dei quali iniziava una strada sterrata che portava alla sommità di una collina.

    In alto, costruita su un tratto di terreno pianeggiante, si ergeva una bellissima costruzione in stile neoclassico; incuriosito decisi di salire la strada fino all’imbocco della villa. Attraverso la cancellata di ferro potevo osservarla in tutta la sua architettonica bellezza.

    Il colonnato frontale e le due grandi terrazze che si allargavano lateralmente, lasciava supporre che si trattasse di una villa del palladio. Rimasi alcuni minuti ad osservarla con la speranza di scorgere qualcuno che mi avrebbe aiutato a saperne di più.

    Non vedendo nessuno pensai di riprendere la strada del ritorno. Avevo già fatto alcuni passi quando, girandomi istintivamente, scorsi un signore che risaliva il parco. Pensai subito che fosse  il guardiano e, da lontano, gridai con quanta voce potevo:           

    < Senta! >. Doveva avere un ottimo udito, perché subito alzò la testa e si avvicinò al cancello. < Sta cercando qualcuno in particolare? > mi chiese garbatamente.

    < Veramente io mi trovavo di passaggio, e mi sono fermato ad ammirare la villa, sa… pensavo fosse disabitata >. L’uomo che indossava una livrea da maggiordomo soggiunse:

    < No… Non è disabitata. Questa è la villa del conte Manfredi e ci abitano ancora tutti i suoi famigliari. > Li per li non seppi cosa dire, ma poi, quando l’uomo stava per allontanarsi, alzando ancora il tono della voce per farmi sentire, gridai: < perché ha detto che ci abitano solo i familiari? Il conte non abita qui? >. L’uomo ormai lontano fece solo a tempo a replicare: < Mi scusi, ma è una storia lunga. Ora  devo proprio andare! >.

    Rimasi incuriosito dalla sua risposta. Avevo la sensazione che la sua reticenza celasse qualcosa di misterioso che in quel momento non volesse dire.

    Tornato in paese domandai ad alcuni amici se conoscevano il posto. Scoprii che la famiglia Manfredi era molto conosciuta in paese, ma nessuno era mai venuto a conoscenza di alcuna storia misteriosa; forse potevano riferire  di qualche aneddoto sentito qua e là, ma nulla di più.

    I giorni passavano ed io avevo ormai dimenticato la faccenda. Quando una mattina venne inaspettatamente a farmi visita Lorenzo, un amico che abitava da queste parti. Non appena mi vide disse: < sei ancora interessato a quella storia? >.

    < Quale storia? > risposi < Si… la storia del conte di cui chiedevi una decina di giorni fa! >

    < Beh! si, effettivamente mi piacerebbe conoscere qualcosa di più.>

    < Senti, domani sera viene a cena da noi: Annalisa, una cugina di mia moglie. Annalisa, è la segretaria personale del direttore che amministra le attività del conte Manfredi, un certo Benjamin Shannon, un irlandese che gli era molto amico.

    So per certo che, nostra cugina essendo in intimità col signor Shannon è venuta a conoscenza di una storia che ti interesserà molto>. Incuriosito, chiesi ancora incredulo:

    <  ma scusa, perché tua cugina dovrebbe raccontare questa storia proprio a me? >.

    < Beh… guarda il perché di preciso non lo so, ma il fatto strano è che fu proprio lei a parlarmene. Addirittura sembra che della tua ricerca sia venuto a conoscenza il signor Shannon e che lui stesso le abbia chiesto di rivelarti la storia del Conte >. Ero più che mai sbalordito: un signore, a me assolutamente sconosciuto, stava facendo in modo che io venissi a conoscenza di fatti riservati ed intimi. Comunque, per saperne di più non mi rimaneva che accettare  l’invito a cena. Il giorno seguente come d’accordo mi presentai a casa di Lorenzo.

    Entrando salutai lui e la moglie che mi avevano accolto calorosamente all’ingresso. Poi in salotto notai la cugina si era accomodata in attesa del mio arrivo. Vedendomi, Annalisa, si alzò gentilmente e mi strinse la mano.

    Era una donna bruna, con un corpo snello; dall’aspetto doveva avere dai trentacinque ai quarant’anni. Vestiva un tailleur azzurro con una camicetta nera: un’eleganza sobria ma ben curata. L’atteggiamento compito ed educato, non nascondeva una personalità franca e abbastanza diretta.

    Dopo le presentazioni mi fecero accomodare. Lorenzo ci servì un aperitivo: un bianco secco, appena tinto di martini rosso. Subito ci intrattenemmo su argomenti di carattere generale, giusto per superare l’imbarazzo del momento. Poi, Annalisa, entrando nel merito di quell’incontro disse:

    < So che lei è uno scrittore e che qualche tempo fa era interessato a conoscere la storia del conte Manfredi >. Io mossi appena il capo facendo un cenno di conferma, così lei continuò: < Se davvero è questo che sta cercando, forse io posso esserle utile. Sono stata incaricata dal signor Shannon di rimanere a sua disposizione per riferirle ogni particolare >. Ancora non capivo, è vero che cercavo qualche spunto per un romanzo, ma non immaginavo di trovare una così esplicita disponibilità. Così incuriosito le chiesi:

    < Signorina Annalisa, lei scuserà la mia franchezza, ma vorrei poter capire meglio. Come mai il suo direttore, una persona così importante dimostri di interessarsi personalmente affinché io scriva la storia del conte Manfredi? >. Lei mi guardò coi suoi occhi scuri e con l’usuale garbo mi disse: < vede, lei ancora non conosce la storia del conte. Quando la conoscerà non le parrà così strano che il signor Shannon desideri manifestare e rendere pubblica questa vicenda >.

    E’ vero, per certi versi ha degli aspetti riservati, tuttavia per molti altri reca dei valori e degli esempi che meritano di essere comunicati.>

    Mentre mi parlava leggevo nelle sue parole una profonda convinzione. Sembrava certa che l’intenzione del signor Shannon di far scrivere questa storia fosse pregevole e che se io avessi accettato di farlo avrei trovato l’impegno non privo di qualche soddisfazione.

    La sua convinzione mi tolse ogni indugio. Durante la cena le dissi che avrei accettato l’incarico e, insieme stabilimmo tempi e modi dei nostri futuri incontri.

    I giorni che seguirono furono intensi, per certi versi euforici. Una vacanza che sembrava essere di completo riposo, proprio negli ultimi giorni mi donava un rinvigorito entusiasmo, un forte stimolo a riprendere la penna ormai da troppo tempo riposta.     

    Nel frattempo le vacanze erano terminate e io dovetti tornare a casa per un breve periodo; giusto per sistemare alcune faccende, fra le quali andare a riprendere il mio gatto che avevo lasciato alla vicina. Ogni volta che provavo a caricarlo in macchina s’innervosiva; s’arrampicava sui vetri e smaniava di uscire. Così dovetti scegliere: o rinunciare alle vacanze o affidare il gatto. Fortunatamente la vicina accettò di buon grado di tenermi la bestiola, anche perché in fin dei conti, era più il tempo che stava con lei che quello che passava con me. 

    La settimana seguente, come d’accordo, m’incontrai con Annalisa. Il nostro  rapporto era cordiale e discreto. Proseguì per cinque giorni interrotto solo da brevi pause, durante le quali ella si assentava per sbrigare alcuni lavori inderogabili. Per il resto ci vedevamo in modo assiduo che rendeva i nostri colloqui estremamente proficui.

    Col passare del tempo riuscivo ad entrare sempre più facilmente nel personaggio ed immedesimarmi in lui, sentivo di poter condividere le sue parole, le sue azioni. Specialmente quando mi venne rivelato lo straordinario viaggio di Francesco in una dimensione trascendente. A quel punto mi sentii molto motivato ad andare avanti fino in fondo. Ambivo ormai a conoscere fin nei dettagli quella storia che sembrava interpellare i tanti lati oscuri dell’essere umano.     

    In quel periodo, non di rado mi sorprendevo a meditare su delle realtà che per troppa pigrizia avevo lasciato sonnecchiare. Mi ero ormai piacevolmente abituato a quelle passeggiate durante le quali mi venivano raccontate le vicende di Francesco. In quei momenti mi sentivo sereno. Ero pervaso da un non so ché di piacevole che non sapevo spiegare. Tuttavia molto presto quel rapporto ebbe termine. Ci congedammo discretamente con la promessa che, ultimato il libro, gliene avrei donata una copia.

    Tornai a casa e finalmente ritirai il gatto dalla vicina che stavolta minacciava di tenerselo.

    Il giorno seguente, mi stavo gia preparando per iniziare a scrivere, quando fui colto da un’ultima sorpresa: mi giunse per posta raccomandata, una busta sigillata. Sullo spazio del mittente si leggeva chiaramente: Benjamin Shannon Bornato di Franciacorta ( Bs ).

    All’interno trovai un dischetto con degli appunti su alcune lezioni tenute a Cambridge, delle fotografie di quelli che sarebbero diventati i personaggi del mio racconto e un biglietto scritto a mano direttamente dal sig. Shannon sul quale lessi queste poche righe:

    < Il destino ha chiamato entrambi, in momenti diversi, per farci conoscere il luminoso cammino di un uomo del mondo moderno.

    La storia di Francesco può insegnare tanto a questa società che si agita convulsa. E può indicare un valido riferimento affinché diventino meno vuoti alcuni valori a cui tante volte ci richiamiamo. 

    Quando il Signore illuminò il mio cammino, non me ne accorsi che dopo lungo tempo. Ora sento che la stessa mano ha indicato anche la sua strada e mi rende felice sapere che lei forse inconsapevolmente, abbia già iniziato a percorrerla >.

    Benjamin Shannon.

    All’alba dell’indomani, senza più indugi, iniziai a scrivere questa storia.

    Francesco

    Dalla collina dove sorgeva la villa del conte si apriva a ventaglio la prospettiva di una ridente zona collinare ricca di vigneti. Lungo alcuni versanti si scorgevano piccole macchie di boschi che marcavano un paesaggio  piacevole e armonioso. Quel territorio, meglio conosciuto come Franciacorta  era una verde area ad ovest della città di Brescia. Il lago d’Iseo, che ne lambiva la parte nord, ne entrava in modo disuguale con numerosi specchi d’acqua e svolazzanti canneti. Nei giorni assolati di Ottobre quel paesaggio assumeva un aspetto particolarmente ameno. La campagna intorno si tingeva di tenui colori e le chiome degli alberi apparivano come scintillanti macchie di rossi e di gialli. Il sottobosco assumeva tinte sfumate, ma anche dorate e intense come istintive pennellate di colore gettate d’impeto su una grande tela naturale.  Sembrava essere un buon posto per scrivere o anche solo per riposare e meditare.

    Proprio in uno di quei giorni d’Ottobre, fuori dalla villa un gruppetto di persone attendeva l’arrivo del notaio. Agnese e Silvia s’erano messe sedute con il viso rivolto verso il sole, indugiando al tepore di quegli ultimi raggi autunnali. In realtà quel pomeriggio tutti sembravano rilassati, nessuno manifestava premura, sapevano che era un momento di transizione prima di riprendere la solita routine di ogni giorno. Di certo era una pausa necessaria. Una decina di giorni prima infatti un terribile lutto aveva colpito la famiglia Manfredi. Il capostipite, il conte Lanfranco, era deceduto. Si era trattato di una morte repentina: infarto del miocardio, fu il responso medico.

    Certo il cordoglio fu veramente grande. Il conte era una persona molto conosciuta nella zona, e anche molto amata per il suo modo di socializzare con tutti, senza mantenere il minimo distacco.

    Quel giorno il notaio era atteso dai familiari per sbrigare le pratiche di successione. Il conte era rimasto vedovo della moglie Eleonora ormai da tredici anni e gli unici congiunti viventi rimanevano la sorella minore, Agnese, nubile sulla quarantina, la cognata con il marito, la loro figlia ventenne, Silvia, e l’erede assoluto, il figlio del conte, il ventisettenne Francesco.

    Francesco era già rimasto orfano della madre all’età di 14 anni, ed ora quest’ultima disgrazia, pur avendolo colto in età più matura, lo colpiva in modo ugualmente profondo e doloroso. Il suo aspetto appariva più trasandato e stanco, mantenendo tuttavia la naturale presenza di una figura longilinea e ben proporzionata. Il suo viso aveva tratti regolari, anche se ben marcati; gli occhi scuri presentavano un taglio leggermente orientale; il naso sporgeva garbatamente sopra una bocca con le labbra carnose e ben disegnate; il mento formava un leggero affossamento nella parte centrale, donando all’intero viso una certa virilità.

    Effettivamente Francesco aveva perso presto e fattezze dell’adolescente; ormai da tempo presentava un fisico maturo e l’espressione rivelava una personalità  franca e sicura. Lo sguardo però era dolce; gli occhi lucidi suscitavano tenerezza, sembravano sempre alla ricerca di un cenno di consenso esprimendo l’umana necessità di ricevere e donare un po’ d’amore.     

    Ad un tratto una vettura scura fece capolino ai piedi della collina, appariva e spariva in una strada sterrata costeggiata da un filare di pioppi, finche; dopo alcuni minuti, l’automobile del notaio arrivò nel piazzale della villa.

    Ermanno, il cognato del conte, gli corse incontro, ma mentre stava per allungare  la mano e aprire la portiera, l’autista, più lesto, con un balzo gli si parò davanti, provvedendo al consueto gesto, insomma, ad ognuno il suo mestiere.

    Dopo i brevi convenevoli si accomodarono in un grande studio predisposto per l’occasione. Erano tutti seduti quando il notaio estrasse dalla cartella una grossa busta gialla con impresso al centro un timbro di ceralacca proprio all’altezza dell’incollatura.

    Dalla lettura del testamento nessuno dei presenti sembrava attendersi rivelazioni eclatanti. Tutto sembrava scontato: Francesco, l’unico figlio, era il legittimo erede universale di una fortuna immensa. I conti Manfredi  appartenevano, infatti ad un’antica famiglia nobile che pareva discendesse addirittura dai normanni. Tuttavia, da molte generazioni, nessuno aveva mai ostentato il titolo nobiliare, tanto meno il decuius.

    Il conte Lanfranco aveva sempre condotto una vita morigerata, nonostante possedesse un patrimonio veramente cospicuo.

    I suoi possedimenti si estendevano per circa un migliaio di ettari, nell’antica  contea della Franciacorta. Francesco li ereditava tutti, e insieme a essi il titolo di conte che, ligio alla tradizione di famiglia, non  volle mai anteporre al cognome.

    In effetti aveva ereditato dal padre oltre alla cospicua fortuna anche una notevole umiltà, tanto che nell’ambiente universitario nessuno sapeva della sua ricchezza e tanto meno del titolo nobiliare, del resto un po’ troppo anacronistico.

    Francesco si rapportava ai suoi amici senza ostentare nessuna agiatezza.

    A volte accadeva che offrisse ai compagni una birra o un panino, cercando di essere uno tra i tanti, condividendo con loro gli stessi disagi e la vita goliardica degli studenti di quell’età. Ma nessuno dei suoi amici, che pur conoscevano la sua estesa proprietà terriera, poteva certo immaginare che oltre alle terre, nel suo status patrimoniale esistessero anche numerose società industriali e varie partecipazioni azionarie in banche e assicurazioni; e del resto Francesco era ben lontano dal fare intuire tutto questo benessere.

    Tutto andò come previsto e il notaio, dopo aver dichiarato erede universale l’unico figlio, riprese la strada che lo riportava a Brescia dove teneva uno studio ben avviato.

    Passarono solo pochi giorni, quando già arrivavano alla villa un’infinità di telefonate e messaggi d’ogni tipo; tutti chiedevano un appuntamento con il conte Francesco.

    Ormai era lui che doveva accollarsi i numerosi impegni. Basti pensare che suo padre presiedeva almeno tre consigli d’amministrazione, tra cui quello di una grossa società di componenti elettronici per la telefonia mobile con più di mille dipendenti.

    Di tutto questo Francesco era consapevole e anche preparato. Si era appena laureato alla facoltà di ingegneria gestionale di Brescia e aver seguito spesso il padre nelle aziende di cui faceva capo, l’aveva arricchito di una buona capacità manageriale. Francesco aveva inoltre una discreta conoscenza delle nuove tecnologie e dei programmi per poter informatizzare i vari reparti aziendali rendendoli più funzionali. Era poi naturalmente dotato di una certa sintesi mentale, dote molto utile o addirittura necessaria per condurre un’azienda.

    Tuttavia, Francesco, dopo l’inattesa scomparsa del padre, sembrava aver perso tutti i suoi stimoli. Si sentiva demotivato, completamente confuso, se ne era andata anche tutta la vitalità che lo caratterizzava.

    Di certo tra gli affetti familiari la figura del padre era importantissima. Anche quella materna lo era stata, ma in un modo diverso, forse perché gli era mancata che aveva soli quattordici anni. Era rimasta per lui la dolce mamma dell’infanzia i cui ricordi col passare del tempo avevano lasciato presto il posto ad un’immagine idealizzata, quella che in fondo ogni fanciullo desidera ricordare. Il padre invece fu l’uomo che lo accompagnò lungo tutta l’adolescenza, la persona con cui si consigliava per affrontare i problemi che

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1