Giovanni Tamborrino. Il teatro nel sistema timbrico
Di Ciro Nacci
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Anteprima del libro
Giovanni Tamborrino. Il teatro nel sistema timbrico - Ciro Nacci
Indice
Introduzione
La vita e le opere
Il teatro nel sistema timbrico
Il piano unico di percezione
Il timbro nel piano unico di percezione
La durata nel piano unico di percezione
Il recitato timbrico e il canto timbrico
La liuteria oggettistica
La scrittura
Le opere nell’opera (l’opera senza canto nel tempo)
La produzione operistica dopo la Trilogia
Giuseppina la cantante ossia Il popolo dei topi
Epos in rock
Ali di pietra
Il giusto paese dell’isola
Bibliografia
Ciro Nacci
Giovanni Tamborrino.
Il teatro nel sistema timbrico
TITOLO | Giovanni Tamborrino. Il teatro nel sistema timbrico
AUTORE | Ciro Nacci
ISBN | 9788831675345
Prima edizione digitale: 2020
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Ai miei genitori…
I miei più sinceri ringraziamenti al M° Giovanni Tamborrino
«In altre epoche la musica
doveva evolversi e si pensava in termini
essenzialmente musicali, oggi pensiamo
in termini sonori. Spesso mi piace
affermare che la mia non è musica
ma semplicemente suono o rumore»
Giovanni Tamborrino
Introduzione
Se volessimo collocare Giovanni Tamborrino in un preciso contesto storico-musicale credo che ci troveremmo in serie difficoltà. Questo non vuol dire che mancano in Tamborrino i collegamenti con il passato, anzi; si tratta piuttosto di un modo di fare teatro che nasce da una personalissima idea di ricerca, da laboratori artigianali e non da un manifesto comune ad un’intera generazione, come lo è stata quella dell’avanguardia, che condivideva stili e modi drammaturgici. La svolta degli anni Ottanta, infatti, in campo teatrale e non, ha portato alla rinuncia di ogni schema fisso: se tutto il teatro d’avanguardia, nato negli anni Sessanta dagli impulsi antirazionalisti dovuti alle teorie aleatorie cageane, come risposta all’incomunicabilità dell’iperserialismo post-weberniano, ruotava su dei punti costanti, quali la natura multiforme del teatro, il bisogno di una particolare comunicazione con il pubblico e quindi la necessità di mettere in campo una dimensione socio-politica, il linguaggio sincretico, la vocalità sperimentale, il teatro fatto di idee, antinarrativo, poco propenso all’intreccio ma che fa riflettere, coinvolgendo lo spettatore, la gestualità esasperata, lo stesso non può dirsi per tutta la generazione definita post-moderna. «Ed è forse questa diffidenza comune per i manifesti programmatici, per i proclami collettivi e i grandi sistemi teorici l’aspetto che meglio distingue la nuova fase della musica contemporanea da quella precedente»¹. Ci troviamo di fronte ad un numeroso elenco di indirizzi e atteggiamenti musicali: post-avanguardia, trans-avanguardia, nuova semplicità, neo-primitivismo, neo-romanticismo, ecc.
In un certo senso Tamborrino appartiene a tutti e a nessuno di questi orientamenti: se da un lato, per tutta la generazione post-moderna, il linguaggio dell’avanguardia, ossia la ricerca costante nella sperimentazione, risultava ormai un dato acquisito, «un’esperienza accademica, un prontuario di tecniche e di stili da prendere o lasciare secondo criteri di utilità e gusto»², dall’altro, Tamborrino fa, come pochi, della ricerca e della sperimentazione il suo alito vitale. E si allontana fortemente da tutta la generazione post-moderna non solo per il fatto che crea un sistema programmatico e teorico che fa luce su tutta la sintassi del suo teatro, Il teatro nel sistema timbrico³, ma anche perché non condivide la distanza che i post-moderni hanno preso dalla composizione timbrica, dalla ricerca di nuovi effetti strumentali, impegnati a rimettere in campo gli aspetti figurativi della musica, quali i nessi intervallari definiti, i nessi melodici, la scrittura lineare, il figuratismo metrico, il funzionalismo armonico. Da questo punto di vista l’opera senza canto potrebbe rientrare in pieno nelle logiche del teatro sperimentale; ma non è proprio così.
Tamborrino, infatti, eredita dalle sperimentazioni dell’avanguardia l’antinarratività, la ricerca fonetica sui testi, la rinuncia al canto melodico, la concezione timbrica della composizione e la gestualità che ne deriva, il concetto di alea, l’uso di forme aperte e non stabilite a priori, la scrittura musicale atonale, asimmetrica e non lineare, tutti elementi formanti il teatro nel sistema timbrico che però non usa così come gli sono pervenuti, ma facendoli suoi, proiettandoli in un laboratorio di ricerca individuale, e non considerandoli come retaggio assoluto di una generazione di cui sente figlio. Basti pensare che Tamborrino immerge l’opera senza canto in una dimensione sonora usando innanzitutto una voce che è sempre timbrica, mai lirica, voce che rinuncia al canto ed eredita invece dal teatro di prosa tutte le sue fattezze, ma anche munendosi di un corredo di oggetti riciclati che vanno a formare una liuteria definita oggettistica, sorta di contraltare all’imperante feticismo tecnologico. Gerardo Guccini, in un articolo del 1996⁴, riprende l’espressione opera senza canto da uno studio che Emilio Sala compie sul mélo romantico⁵. L’intuizione di Guccini sta nell’aver accostato due generi che nascono in epoche diverse e distanti (l’opera senza canto nasce almeno un secolo e mezzo dopo il mélo) e che si basano sulla sommatoria orizzontale delle arti anziché sulla loro sintesi: «Certo, il mélo ottocentesco usava musiche descrittive e di puro accompagnamento, mentre Tamborrino contamina suoni puri e impuri componendo decorsi formali rigorosamente astratti. Tuttavia le differenze storiche ed estetiche non incrinano la comune appartenenza a una faccia del teatro musicale che, pur narrando personaggi