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Il Ottocento - Musica (67): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 62
Il Ottocento - Musica (67): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 62
Il Ottocento - Musica (67): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 62
E-book374 pagine4 ore

Il Ottocento - Musica (67): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 62

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Info su questo ebook

In un secolo che vede così ampie e rapide trasformazioni culturali, sociali, politiche, scientifiche, tecniche e psicologiche, si muovono e si sommuovono anche le forme della creazione musicale e della sua fruizione. Trasformazione decisiva è il compiersi di quella mutazione dell’antico e “servile” rapporto fra il musicista e la società verso un rapporto nuovo e “professionale”, con una generale diffusione e progressivo radicamento di una diversa coscienza sociale della musica. Questo ebook segue l’evolversi della sensibilità musicale nella società dell’Ottocento che per la prima volta fa del musicista un libero professionista che si confronta col pubblico pagante e con gli editori, in corrispondenza con il progressivo affermarsi di una prima “coscienza estetica” e, nella seconda metà dell’Ottocento, della musicologia con l’obiettivo di trattare la totalità della musica sulla base di fondamenti scientifici unitari. Un secolo importante anche perché con esso si genera il concetto di “avanguardia” che segnerà la vita artistica del Novecento, come dimostra il fuoco polemico della battaglia tra wagneriani e antiwagneriani, e prende avvio la musica leggera, che dalle conseguenze popolari dell’opéra comique verso l’operetta, le chansons del café-concert, arriverà a produrre una sempre più ricca produzione di canzoni e ballabili, in attesa della grande svolta del Novecento, quando il genere leggero conquisterà la propria autonomia.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2014
ISBN9788898828012
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    Il Ottocento - Musica (67) - Umberto Eco

    copertina

    L'Ottocento - Musica

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    L'Ottocento

    Musica

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla musica dell’Ottocento

    Roberto Leydi

    Premessa

    Non è certo facile definire in una rappresentazione sintetica la vicenda della musica occidentale nel corso dell’Ottocento, un secolo che vede così ampie e rapide trasformazioni culturali, sociali, politiche, scientifiche, tecniche e anche psicologiche, all’interno delle quali naturalmente si muovono e si sommuovono le forme della creazione musicale e che cambiano profondamente i modi della produzione e della fruizione della musica. In campo musicale la trasformazione decisiva, nell’Ottocento, è il compiersi di quella mutazione dell’antico e servile rapporto fra il musicista e la società verso un rapporto nuovo e professionale, mutazione che era iniziata alla fine del secolo precedente.

    Ovviamente, da questa rinnovata collocazione e funzione del musicista procedono anche la generale diffusione e il progressivo radicamento di una diversa coscienza sociale della musica.

    Professione musicista

    La ricollocazione della musica si pone quale conseguenza del procedere di un secolo che concepisce e realizza non soltanto la fabbrica e gli strumenti di una straordinaria evoluzione tecnologica, ma anche lo Stato liberale borghese con i suoi necessari supporti – il Parlamento, la banca moderna, la borsa, la società azionaria, le Esposizioni universali, le assicurazioni, il complesso sistema dei commerci internazionali, la geografia spesso drammatica e crudele degli imperi coloniali – e genera, nella lotta di classe, il suo contrario.

    Questa società che lega il suo sviluppo e le sue sperimentazioni al progresso scientifico e allo sviluppo della finanza inevitabilmente spinge fuori dalle sale delle accademie i suoi scrittori per misurarsi con il pubblico del romanzo e i suoi musicisti con il pubblico dei concerti. Questa società fa della musica, per la prima volta nel nostro Occidente, una forza spirituale sentita e coltivata come tale, libera il musicista dalla servitù della Chiesa e della corte e gli impone, come libero professionista, il confronto con il pubblico pagante e con gli editori.

    Per cogliere nel vivo dell’esperienza concreta, il senso e il valore di questa mutazione di stato dei musicisti è sufficiente rileggere in parallelo le lettere di Mozart al servizio del vescovo di Salisburgo e quelle di Beethoven, libero professionista, al suo editore.

    Nell’Ottocento il mutare della collocazione della musica nella società non è soltanto conseguenza delle trasformazioni imposte dallo sviluppo economico capitalistico nella sua estesa complessità, ma anche del successivo affermarsi di una prima insospettata coscienza estetica, non soltanto in rapporto alla musica, ma soprattutto in rapporto a essa. Giustamente Carl Dahlhaus ha definito l’Ottocento l’epoca dell’estetica: noi possiamo infatti cogliere il progressivo e rapido imporsi di un paradigma estetico che, manifestandosi prima in ambito critico e saggistico, con il procedere del secolo anima quelle costruzioni teoriche e filosofiche che condurranno al formarsi della musicologia moderna. In questo clima, che ridisegna il posto del musicista e il significato dell’opera musicale, la coscienza estetica trapassa al pubblico fino a configurare un modo generale di considerare la musica che appartiene ormai al nostro tempo.

    È proprio in questo panorama che si definisce il concetto di diritto d’autore, un concetto prima sconosciuto ma ormai inevitabile allorché il musicista, non più stipendiato dalla Chiesa o dalla corte, è un libero professionista che deve tutelare un bene soltanto di sua proprietà.

    Si assiste di conseguenza all’imporsi, anche legislativo, del concetto di plagio e all’affermarsi – questa volta a livello ideologico – del principio dell’intangibilità dell’opera d’arte.

    La musicologia

    Riflessioni filosofiche e interessi economici si fondono e si confondono, non è quindi un caso che nella seconda metà dell’Ottocento prenda corpo la musicologia moderna, una nuova disciplina che – nel clima positivista – vuole gettare le basi per un’interpretazione scientifica della musica. La parola musicologia viene coniata nel 1863 da Friedrich Crysander che assegna a questa nuova scienza il compito di trattare la totalità della musica sulla base di fondamenti scientifici unitari, nel convincimento che anche i prodotti dello spirito possano essere oggetto di interpretazione scientifica.

    Il nascere e lo svilupparsi della scienza musicologica sono contributi ulteriori alla proposizione della musica, quest’arte evanescente che non può rappresentare il vero e il reale, che era sfuggita – per la sua natura – anche all’impegno di articolazione del sistema delle arti degli illuministi, nel rispetto della realtà totale dell’umano sapere.

    L’imporsi della coscienza estetica e l’impegno scientifico della nascente musicologia moderna portano per la prima volta la musica a un alto e autonomo livello culturale e artistico. Ma i due processi – coscienza estetica ed elaborazione scientifica – determinano anche una sempre più forte contraddizione, in quanto la concezione estetica genera un movimento continuo di contrasti e conflitti critici. Una diffusa e permanente conflittualità è infatti propria della cultura estetica: ogni affermato valore postula un corrispondente disvalore e i valori, in questo contesto, si fanno sempre più numerosi e aggressivi, in quanto ogni valore cerca di imporsi quale unico legittimato rappresentante dell’arte musicale nel suo momento.

    Avanguardie e musica leggera

    È dunque l’Ottocento che in questo contesto genera quel concetto di avanguardia che segnerà così profondamente la vita artistica (e non soltanto musicale) del nostro secolo e che già si manifesta (anche in forme virulente) nella seconda metà del secolo precedente. È sufficiente ricordare la fiera battaglia tra wagneriani e antiwagneriani, con i suoi armati schieramenti e il suo fuoco polemico.

    Ma un altro grandioso fenomeno caratterizza specificamente l’Ottocento: il formarsi e il primo affermarsi di una produzione musicale che, per comodità, possiamo definire leggera (definizione che credo ci sia venuta dall’inglese light music, ringraziando che da noi non sia stata assunta la definizione tedesca di Trivialmusik). Nei secoli passati lo spazio fra la musica delle egemonie economiche, statuali e culturali e quella delle fasce popolari era presumibilmente esiguo e soprattutto non ben definibile.

    Certo esisteva una produzione musicale che non era destinata alle solennità della Chiesa o ai piaceri del palazzo signorile e neppure al mondo contadino o pastorale, ma questa produzione di circolazione popolare urbana non si manifestava con una sua organicità rilevante e oggi non si lascia leggere come un genere definibile (anche perché siamo inevitabilmente condizionati da una rappresentazione delle classi sociali postrivoluzione industriale).

    Nel corso dell’Ottocento si viene a costituire una sempre più densa ed estesa fascia sociale, prima soprattutto in ambito urbano, ma poi anche di ambiente provinciale, costituita da classi emergenti – sia a livello numerico sia a livello di coscienza – quali la piccola e media borghesia e il proletariato, classi che reclamano loro propri luoghi e modi di divertimento musicale. Nascono così prodotti sempre più specifici che si definiscono aggregando, semplificandoli e adattandoli alle loro nuove funzioni e al loro nuovo pubblico, soprattutto modelli della musica alta, ma anche modelli effettivamente popolari, destinati al consumo delle fasce sociali emergenti.

    Musica d’élite e musica di massa

    La storia generale del formarsi, evolversi e diffondersi di questa musica – che ancora per comodità chiameremo leggera – è tuttora da scrivere, ma è egualmente possibile ripercorrerne per grandi linee il cammino, per esempio in Francia, muovendo dalle conseguenze popolari dell’opéra comique verso l’operetta, le chansons del café-concert e poi tutta la sempre più ricca produzione di canzoni e ballabili di fine secolo.

    Discendenza di modelli alti, è comunque presente il contributo popolare delle campagne; un esempio ben chiaro, per restare in Francia, è l’influenza esercitata sulla musica da ballo leggera dagli immigrati a Parigi dell’Auvergne. Questi contadini inurbati si insediano, come sempre in questi casi, in specifici quartieri parigini e aprono propri locali originariamente destinati agli stessi immigrati. In questi locali fanno musica dell’Auvergne, utilizzando in primo luogo la cornamusa dei loro Paesi, ma gli auvergnats sono scoperti dai parigini e i loro locali incominciano a richiamare altro pubblico. A contatto con questa nuova realtà non più etnica, la cornamusa viene abbandonata e sostituita dalla fisarmonica, e anche il repertorio e lo stile si modernizzano. Orbene, la cornamusa dell’Auvergne che si chiamava musette trasmette il suo nome al genere che noi diciamo liscio (cioè valzer, polca e mazurca) e che in Francia viene chiamato bal musette.

    Le canzoni e i ballabili leggeri che nascono nell’Ottocento conservano fino al 1910 circa il loro carattere di evidente dipendenza dall’opera lirica, dalla romanza, dai nuovi balli borghesi, con più o meno evidenti – e via via rimosse – inflessioni popolari-contadine. La grande svolta verso la vera autonomia del genere leggero si determina a partire dal decennio che precede la Prima guerra mondiale (con l’immissione nel genere dello scandaloso tango, importato dall’Argentina), per poi compiersi, all’indomani del conflitto, con l’irruzione dei primi modelli latino-americani (la rumba) e dei modelli jazzistici americani.

    Parallelamente alla produzione in serie e alla distribuzione di massa, che caratterizzano la vicenda economica e sociale del nostro Occidente a partire dal XIX secolo, anche la musica definisce quindi il suo realizzarsi e il suo manifestarsi lungo due diversi (e sempre più lontani) canali produttivi e distributivi, il prodotto di élite e il prodotto di massa, consolidando una rappresentazione rigidamente gerarchica che soltanto oggi viene messa in discussione. Questo prodotto di massa, in musica, è appunto la produzione di canzoni e ballabili concepiti in rapporto diretto con un mercato divenuto sempre più vasto con l’avvento, il perfezionarsi e il diffondersi dei mezzi di comunicazione sonora indiretta: prima il fonografo (alla fine dell’Ottocento), poi il grammofono (nei primi anni del Novecento), la radio (a partire dagli anni Venti) e infine la televisione, in attesa di una diffusa disseminazione informatica.

    I protagonisti del Romanticismo

    Ludwig van Beethoven

    Luca Marconi

    Dopo aver vissuto a Bonn, nel 1792 Beethoven si trasferisce definitivamente a Vienna, dove si afferma come il più importante musicista dell’epoca. Nel corso della sua attività sono individuabili tre diversi stili: quello giovanile che rielabora in modo originale i modelli viennesi del Settecento, lo stile della maturità, che conosce una fase eroica e una di transizione, e lo stile delle ultime opere, ascetico ed enigmatico.

    L’uomo e il musicista

    Spinto sull’orlo della disperazione, poco è mancato che non ponessi fine ai miei giorni. Fu soltanto la mia arte a trattenermi. Ah, mi pareva impossibile abbandonare il mondo prima di aver espresso tutto ciò che sentivo di aver dentro di me. Così conservai questa miserabile vita – miserabile davvero – con un corpo così eccitabile che un mutamento anche lieve d’improvviso può trasportare dalle migliori alle peggiori condizioni.

    In questa frase, scritta da Beethoven in uno dei momenti più critici della sua esistenza, si possono osservare molti aspetti fondamentali della sua vita: il carattere vicino alla sensibilità dello Sturm und Drang che lo porta ad avere continui cambiamenti d’umore, dalla più profonda depressione al più sfrenato entusiasmo, con eccessi e stravaganze che gli rendono difficile la vita di società; il dover fare i conti con l’infermità e la solitudine, accettate dopo violenti conflitti che lo portano sull’orlo del suicidio; ma soprattutto il primato che, nella sua gerarchia di interessi, egli conferisce all’arte, intesa come esigenza espressiva funzionale al bene di tutto il genere umano, esigenza che gli fa scrivere in una lettera del 1811: Sin dall’infanzia il mio zelo nel servire in qualsiasi modo la nostra povera umanità sofferente attraverso la mia arte non è mai sceso a compromesso con alcuna motivazione meno nobile.

    Per realizzare tale esigenza espressiva, Beethoven si dedica soprattutto alla musica strumentale: al centro della sua produzione si trovano infatti 32 sonate per pianoforte, nove sinfonie e 16 quartetti per archi, mentre molto più ridotta è la sua produzione vocale, che comprende un’unica opera, il tormentato Fidelio.

    Dopo aver preso a modello, in gioventù, i grandi capolavori strumentali di Haydn e Mozart, nell’arco di tutta la sua vita Beethoven cerca di rielaborare le forme utilizzate da questi due grandi artisti: si applica soprattutto alla forma-sonata, particolarmente adatta a rappresentare l’idea del conflitto come condizione del miglioramento, concetto che egli eredita dalla cultura illuministica. La musica strumentale dunque viene scelta da Beethoven – in affinità con gli assunti dell’estetica romantica di Ludwig Tieck e Ernest Theodor Amadeus Hoffmann – non per scopi descrittivi, ma per esprimere ciò che le parole non possono dire: significativamente, nell’intestazione della Sinfonia pastorale troviamo l’indicazione più espressione del sentimento che pittura. Analogamente, la Quinta sinfonia viene presentata da Hoffmann come paradigma della musica romantica, che "schiude all’uomo un regno sconosciuto, un mondo che non ha nulla in comune con l’esteriore mondo dei sensi che lo circonda e nel quale egli si lascia indietro tutte le sensazioni definite, per abbandonarsi a un’ineffabile nostalgia".

    Accanto a tali punti di contatto con il romanticismo, la personalità e la produzione di Beethoven presentano anche molti aspetti che si allontanano dal sentire romantico e che si possono cogliere soprattutto nella fase finale della sua vita, quando abbandona il fervore eroico degli anni precedenti, per dedicarsi a un ascetico monologo interiore, che appare spesso incomprensibile ai suoi contemporanei.

    Bonn: l’infanzia e la giovinezza

    Ludwig van Beethoven nasce a Bonn il 16 dicembre 1770, figlio di Johann van Beethoven (1740 ca.-1792), cantore presso la cappella di corte del principe elettore, e nipote di Ludwig van Beethoven (1712-1773), che della stessa cappella era stato maestro.

    Ben presto gli vengono forniti i primi insegnamenti di pianoforte e violino da suo padre, che, emulo di Leopold Mozart, cerca di farne un bambino prodigio, facendolo studiare presso diversi musicisti locali. Il 26 marzo 1778 il piccolo Ludwig appare per la prima volta in un concerto pubblico; successivamente, studia con Christian Gottlob Neefe, organista di corte, che, presto si rende conto del suo grande talento e gli dà lezioni di pianoforte, organo, teoria musicale e composizione, cercando di procurargli dei sussidi e facendo anche pubblicare alcune delle sue prime produzioni per pianoforte.

    Nel 1784 Beethoven ottiene il suo primo impiego, come assistente di Neefe alla corte del nuovo elettore Maximilian Franz, raffinato sovrano, intenzionato a trasformare Bonn in un animato centro di vita intellettuale. Nella primavera del 1787 Beethoven si reca a Vienna, dove probabilmente incontra Mozart; tuttavia soggiorna nella capitale asburgica solo due settimane, perché viene subito richiamato a Bonn per assistere la madre in punto di morte.

    Nel 1789 Beethoven si iscrive al corso di filosofia dell’università di Bonn, dove hanno una vasta circolazione le idee di Rousseau e degli enciclopedisti; nello stesso anno, a causa delle precarie condizioni di salute, dovute all’alcolismo, il padre viene sollevato dai suoi incarichi. Chiamato a suonare la viola nella cappella di corte, Ludwig assume così il ruolo di capofamiglia, percependo la metà dello stipendio del padre per mantenere i due fratelli minori, Kaspar Anton Karl e Nikolaus Johann.

    Nel 1790 Beethoven scrive una Cantata per la morte dell’imperatore Giuseppe II – molto elogiata da Haydn – che spicca per la sua originalità nell’ambito delle prime composizioni. In seguito ai primi successi ottenuti dalle sue opere, il conte Waldstein, amico del giovane musicista, riesce a convincere l’elettore a concedergli il permesso per soggiornare a Vienna, dove Beethoven si reca nel novembre del 1792. Come congedo, il conte Waldstein gli scrive nell’album: Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart nelle mani di Haydn.

    Primi successi a Vienna

    A Vienna, Ludwig studia per qualche tempo con Haydn, Schenk, Johann Georg Albrechtsberger e Antonio Salieri. Nel 1794, quando le truppe francesi rovesciano l’elettorato di Colonia, Beethoven si trova libero dai legami con la cappella musicale di Bonn, e decide di dedicarsi soprattutto alla carriera di compositore ed esecutore di musica strumentale, divenendo ben presto molto rinomato nella cerchia degli aristocratici, specie come straordinario improvvisatore. Nel 1795 tiene il suo primo concerto pubblico viennese e fa stampare da Artaria i suoi Trii con pianoforte, prima raccolta alla quale l’autore assegna un numero d’opus, alla quale seguono le Sonate per pianoforte op. 2, dedicate a Haydn ma più vicine allo stile di Muzio Clementi. Nello stesso anno si manifestano i primi sintomi della malattia all’orecchio che porterà Beethoven alla sordità, costringendolo – a partire dal 1800 – ad abbandonare la carriera pianistica. Nel frattempo, però, Beethoven intensifica la sua attività di compositore raggiungendo gradatamente il pieno controllo dello stile viennese, e nel contempo matura la sua personalità, soprattutto nel campo delle sonate per pianoforte, che diventano luogo di sperimentazione per nuove tecniche, poi applicate ad altri generi: tra le sonate scritte in questo periodo, suscita grande impressione soprattutto la Sonata per pianoforte op. 13 (Patetica), pubblicata nel 1799. Per quanto riguarda invece gli altri generi, nel 1801 è pubblicata la Prima sinfonia in Do maggiore, ancora molto vicina allo stile mozartiano, e nel 1802 viene pubblicato il Settimino op. 20. A questo periodo appartengono anche i primi tre Concerti per pianoforte e orchestra, i primi Quartetti d’archi op. 18 e le musiche per il balletto Le creature di Prometeo di Salvatore Viganò, rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1801.

    Lo stile eroico

    Il biennio 1801-1802 è un periodo cruciale nella vita del compositore: dopo aver a lungo cercato di nascondere la propria sordità, Beethoven decide di confessare questo segreto ai suoi migliori amici. Il documento più significativo del profondo travaglio interiore vissuto dal musicista che prende coscienza di essere destinato a questa grave menomazione, è costituito dal cosiddetto Testamento di Heiligenstadt, lettera nella quale Beethoven con toni accorati descrive ai fratelli il proprio stato d’animo nel momento della perdita di ogni speranza di guarigione.

    In questo periodo, comunque, Beethoven compone con grande velocità numerose opere dal carattere fortemente sperimentale: insoddisfatto dei lavori scritti fino a quel momento, desidera imboccare una nuova via. La ricerca di questa nuova dimensione creativa viene condotta soprattutto nelle due Sonate per pianoforte op. 27 (Quasi una fantasia e Al chiaro di luna) e nelle tre successive composizioni di questo genere (op. 31): nelle prime sono prospettati nuovi equilibri formali, sviluppando un discorso proiettato soprattutto verso il finale; nelle seconde colpisce soprattutto la grande varietà di soluzioni proposte per rinnovare la tradizionale forma-sonata. Questa esplorazione di nuovi orizzonti viene espressa chiaramente nella presentazione scritta nel 1802 da Beethoven all’editore Breitkopf delle Variazioni op. 34 e op. 35: "In genere lo sento dire soltanto dagli altri che ho idee nuove, mentre io stesso non lo so mai. Ma questa volta sono io a doverle assicurare che la maniera

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