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L'isola del tesoro
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E-book225 pagine2 ore

L'isola del tesoro

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Info su questo ebook

Uno dei romanzi d’avventura più belli mai scritti. Forse il più bello in assoluto. Romanzo d’avventura e anche romanzo di formazione, perché attraverso le drammatiche esperienze qui raccontate, Jim, il ragazzo protagonista del libro, diventa, in tutti i sensi, un uomo. Acquista coraggio, spirito d’iniziativa, senso dell’onore… Una galleria di magnifici personaggi gli fanno da corona, ognuno descritto con pochi tocchi magistrali da Stevenson, scrittore sommo di lingua inglese, come diceva Borges. Poi c’è l’ambientazione, assolutamente meravigliosa. Lo scrittore scozzese conosceva personalmente i luoghi qui descritti, i favolosi “mari del Sud”. Viaggiò a lungo nel Pacifico e scrisse un bellissimo resoconto dei suoi viaggi intitolato appunto I mari del Sud.
In questo breve e famosissimo romanzo, letto da generazioni e generazioni di giovani, Stevenson riversa tutto il suo amore per il mare e tutte le sue conoscenze marinaresche. Oltre alla sua sottile capacità di indagine psicologica.
Il racconto è “montato” magistralmente. I colpi di scena si susseguono a perdifiato e non concedono neanche un attimo alla noia.
Questa nuova traduzione è stata realizzata utilizzando una prosa italiana moderna, scattante, adatta a un pubblico giovane dei nostri tempi. Con un piccolo apparato di note a spiegazione dei termini marinareschi.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2020
ISBN9788835837749
Autore

Robert Louis Stevenson

Robert Louis Stevenson (1850-1894) was a Scottish poet, novelist, and travel writer. Born the son of a lighthouse engineer, Stevenson suffered from a lifelong lung ailment that forced him to travel constantly in search of warmer climates. Rather than follow his father’s footsteps, Stevenson pursued a love of literature and adventure that would inspire such works as Treasure Island (1883), Kidnapped (1886), Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886), and Travels with a Donkey in the Cévennes (1879).

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    Anteprima del libro

    L'isola del tesoro - Robert Louis Stevenson

    sogni!

    PARTE PRIMA - IL VECCHIO BUCANIERE

    I - IL VECCHIO LUPO DI MARE ALL'«AMMIRAGLIO BENBOW»

    Il signor Trelawney, il dottor Livesey e tutti gli altri signori della compagnia mi hanno chiesto di mettere per iscritto con ogni particolare la storia dell'Isola del Tesoro. Senza tralasciare nulla, mi hanno detto. Tranne la posizione dell'isola, ovviamente. Perché una parte del tesoro non è stata ancora trovata. Perciò nell'anno di grazia 17.. prendo in mano la penna e col pensiero torno indietro, al tempo in cui mio padre teneva una locanda chiamata «Ammiraglio Benbow». E precisamente al giorno in cui il vecchio uomo di mare, dalla pelle scura e dal volto sfregiato da una sciabolata, prese per la prima volta alloggio sotto il nostro tetto.

    Ricordo come se fosse ieri il momento in cui entrò arrancando nella locanda. La sua cassa da marinaio era dietro di lui, su una carriola. Era alto, robusto, il viso cotto dal sole. Un codino catramoso gli cadeva sulle spalle di un lurido giaccone blu. Aveva le mani coperte di cicatrici, le unghie nere tutte rotte. E la sua faccia era attraversata dalla livida cicatrice biancastra. Si voltò indietro a guardare la baia. Fischiettava piano. Poi d'un tratto, si mise a cantare quella vecchia canzone di mare che in seguito avrebbe cantato così spesso:

    Quindici uomini, quindici uomini

    sulla cassa del morto

    Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!

    Aveva una voce da vecchio, stridula e tremante, simile a un cigolio. Bussò col suo corto bastone. Sembrava un arnese da scasso. A mio padre, quando si affacciò, chiese un bicchiere di rum. Se lo bevve piano piano, gustandolo. Intanto guardava attorno. Le scogliere laggiù… l’insegna della locanda…

    Insenatura adatta! E locanda in buona posizione. Ci viene molta gente qui?.

    Non tanti, purtroppo!, rispose mio padre.

    Allora è il posto per me. Compare, aiutami a portare su la cassa.

    L’uomo della carriola cominciò a scaricare.

    Mi fermerò qui per un po’.

    Bene, signore.

    Sono un uomo semplice. Rum, uova al bacon e quel promontorio per guardare le navi che passano.

    Bene, signore. Il vostro nome?.

    Potete chiamarmi capitano.

    Gettò in terra, davanti alla porta, qualche moneta d’oro.

    Quando ne servono altre, me lo dite, disse guardando mio padre con aria da vero comandante.

    In effetti, nonostante i vestiti logori e il linguaggio plebeo, non aveva l’aspetto di un semplice marinaio. Doveva essere un ufficiale. Forse un capitano, come si faceva chiamare, abituato a intimorire con lo sguardo e a essere ubbidito senza discussioni. Quello della carriola ci disse che era sceso dalla corriera davanti al George Inn. Aveva chiesto di una locanda del luogo e aveva deciso per la nostra. Gli avevano detto che da noi si stava bene e che la locanda era del tutto isolata. Non riuscimmo a sapere altro.

    Era un uomo taciturno di natura. Per tutto il giorno girava per la baia e s’arrampicava sulla scogliera. Aveva sempre con sé un cannocchiale d’ottone. La sera stava seduto in un angolo del salone, vicino al camino. Beveva rum allungato con acqua. Se gli parlavi, non rispondeva. Alzava gli occhi di colpo e ti guardava minaccioso. Faceva impressione soprattutto il suo soffiare con il naso, come fa il segnale della sirena quando c’è la nebbia. Tutti impararono presto a lasciarlo in pace. Quando tornava dalle sue passeggiate, di sera, chiedeva ogni volta se era passata gente di mare. Noi pensavamo che avesse nostalgia dei compagni, ma poi capimmo che invece voleva essere certo che nessun uomo di mare si fermasse lì. Li voleva evitare. Infatti, quando ne capitava qualcuno, lui faceva ancora di più l’orso. Poteva capitare che qualche uomo di mare passasse all’Ammiraglio Benbow, se prendeva la strada costiera per Bristol. Ebbene, lui lo scrutava da dietro la tenda della porta e, una volta rientrato, non apriva bocca finché non se n’era andato.

    Per tutti era un mistero questo suo modo di fare. Non per me. Un giorno mi tirò per il braccio in un angolo e mi diede una moneta d’argento.

    Ne avrai una ogni primo del mese. Tu tieni gli occhi aperti e se vedi un uomo di mare con una gamba sola corri a dirmelo. Capito?.

    A volte, il primo del mese, quando gli chiedevo la mia paga, soffiava col naso e mi fissava negli occhi finché non abbassavo i miei e me ne andavo. Ma poi, sempre, dopo qualche giorno mi cercava per darmi i miei quattro penny. Attento al marinaio con una gamba!.

    Da quando era arrivato i miei sogni erano diventati incubi. Nelle notti di tempesta, quando il vento faceva tremare tutta la casa e si sentivano le onde come animali feriti contro gli scogli giù nella baia, sognavo l’uomo con una gamba come se fosse il diavolo. A volte lo sognavo con una gamba tagliata al ginocchio, altre all’anca, altre ancora mi sembrava una creatura mostruosa nata con una sola gamba in centro. Con quella sola gamba saltava per prendermi, mi inseguiva per la campagna. Mi svegliavo in un bagno di sudore, tremante. Devo dire che me li guadagnavo quei quattro penny al mese.

    Nonostante il terrore del monogamba, io ero l’unico a non avere paura del capitano. Certe sere beveva più rum del solito e allora si metteva a cantare vecchie canzoni di mare, truci e dissolute, senza badare a chi era lì. Altre volte pagava da bere a tutti e li costringeva ad ascoltare le sue storie o a cantare con lui. Quando gli avventori erano parecchi, la casa rimbombava: Yo-ho-ho e una bottiglia di rum. Ognuno cantava a piena voce per non contrariarlo. Quando era ubriaco era un compagno di baldoria prepotente. Se voleva che tutti stessero zitti, batteva il pugno sul tavolo e tutti tacevano. Se raccontava una delle sue storie e qualcuno lo interrompeva per fargli una domanda, andava su tutte le furie. Ma se nessuno faceva domande, si arrabbiava lo stesso. Non seguite la storia, accidenti a voi!. E nessuno, naturalmente, aveva il coraggio di abbandonare la locanda finché lui, ubriaco fradicio, non arrancava barcollando verso la sua camera.

    Ma erano le sue storie a fare più spavento. Impiccagioni, passeggiate sull’asse, tempeste, le isole Dry Tortugas e altre mille cose e imprese di disperazione e morte lungo le coste dei Caraibi. A sentire quelle storie si capiva che aveva passato la vita tra uomini terribilmente cattivi, i peggiori che Dio avesse mandato per i mari. E il linguaggio con il quale descriveva quegli uomini e quelle avventure era tale da scandalizzare la gente che frequentava l’Ammiraglio Benbow. Gente semplice, di campagna.

    Mio padre era disperato. Diceva che avrebbe mandato in rovina la nostra locanda. La gente non avrebbe continuato a venire per farsi tiranneggiare dal quel tizio e farsi spaventare dalle sue storie. Io pensavo invece che alla gente piaceva. Si spaventava, certo, ma poi tornava. Non succedeva mai niente da quelle parti e quel capitano ne sapeva una più del diavolo con le sue storie. C’erano addirittura dei giovani che lo ammiravano come un idolo di guerra. Un vero lupo di mare, dicevano. Un grande navigatore. Sono uomini come lui che fanno grande l’Inghilterra sui mari del mondo.

    Il vero guaio per noi era che le monete date all’inizio erano finite da un pezzo e ogni volta che mio padre trovava il coraggio di dirglielo il capitano soffiava così forte dal naso che sembrava un ruggito. Lo vidi una volta uscire dalla stanza del capitano torcendosi le mani. Credo che la paura e la frustrazione di quei giorni abbiano accelerato la sua triste morte.

    Per tutto il tempo che stette da noi il capitano con si cambiò mai. Solo le calze che comprò da un venditore di passaggio. Il suo tricorno ora aveva una punta floscia. Era un fastidio quando tirava vento. Ma non faceva niente per aggiustarlo. La giubba la rammendava da solo in camera. Era tutta una toppa ormai. Non scriveva e non riceveva lettere. E parlava solo se era ubriaco. La sua cassa da marinaio nessuno l’aveva mai vista aperta.

    Una volta, quando mio padre era del tutto esaurito nel fisico e nel morale, venne da noi il medico, il dottor Livesey. Era tardo pomeriggio, visitò mio padre e poi si sedette a mangiare. Mia madre aveva preparato qualcosa per lui. Dopo cena entrò nel salone a fumare la sua pipa. Fumava mentre aspettava che gli portassero il cavallo dal villaggio. All’Ammiraglio Benbow non avevamo scuderia. Io ero nel salone. Facevano un bel contrasto il medico e il capitano. Il dottor Livesey era elegante, curato, con la sua parrucca incipriata come neve, gli occhi intelligenti e i modi affabili. Il vecchio pirata, mezzo ubriaco, mezzo sdraiato sul tavolo, sporco lui e sporchi i suoi vestiti. Sembrava uno spaventapasseri.

    A un certo punto cominciò a cantare la solita tiritera:

    Quindici uomini, quindici uomini

    sulla cassa del morto!

    Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!

    Gli altri se li presero le sbronze e il diavolo

    Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!

    Nessuno faceva più caso a quella canzone, all’inizio io collegavo la cassa del morto alla cassa che il capitano teneva in camera. La cosa mi aveva spaventato le prime volte. Poi non ci pensai più. Mi abituai alle follie del vecchio. Il dottor Livesey però la stava ascoltando per la prima volta e notai che non gli piaceva affatto. Stava parlando con il giardiniere Taylor dei suoi reumatismi. Lanciò uno sguardo irritato al capitano, quando cominciò a cantare. Intanto il capitano si era messo a battere il pugno sul tavolo. Tutti sapevano ormai che quando batteva il pugno sul tavolo voleva dire silenzio. Ma il dottor Livesey continuò a parlare di pomate al giardiniere Taylor. Il capitano batté più forte. Guardava il medico con occhi di fuoco. Poi più forte. Niente, il dottor Livesey continuava tranquillo a parlare e a tirare con la sua pipa. Allora il capitano tirò fuori una delle sue terribili bestemmie. Poi gli gridò contro:

    Silenzio, laggiù, sottocoperta!.

    Dite a me, signore?.

    E a chi altri, che il diavolo vi porti! A chi altri?.

    A me dunque. Bene, io ho solo una cosa da rispondervi, signore. Se continuerete a bere tutto quel rum, presto il mondo si libererà di un lurido farabutto.

    V’inchiodo al muro, caro il mio damerino!. Il capitano aveva una faccia spaventosa. Teneva sul palmo della mano il suo coltello a serramanico. L’aveva aperto in un lampo.

    Se non mettete via quel coltello, disse il dottore con voce calma e forte, che tutti sentissero. Se non mettete via all’istante quel coltello vi prometto che sarete impiccato alla prossima udienza.

    Seguirono lunghi attimi di silenzio in cui ci fu un vero duello di sguardi. Ma alla fine il capitano abbassò lo sguardo, mise via il coltello e si sedette ringhiando come un cane bastonato.

    Bene, disse il dottor Livesey, ora che so che c’è nel mio distretto un tipo come voi, state sicuro che vi farò tenere d’occhio giorno e notte. Sono un medico, ma sono anche un magistrato. Se mi arriva una sola lamentela, una denuncia contro di voi, anche solo per una scemenza come quella di questa sera, prenderò provvedimenti e sarete cacciato dal distretto. Uomo avvisato….

    Intanto avevano portato il cavallo. Il dottor Livesey montò in sella e se ne andò. Il capitano, con grande sorpresa di tutti, se ne stette buono e tranquillo per il resto della serata. E per molte sere a seguire.

    II - BLACK DOG APPARE E SCOMPARE

    Arrivò un inverno molto freddo. Il mare era tormentato dai venti del nord e la terra era gelata. Io e mia madre avevamo capito che il mio povero padre non avrebbe rivisto la primavera. Si spegneva giorno dopo giorno. Noi due dovevamo mandare avanti la locanda da soli. Eravamo quindi troppo impegnati per occuparci di quello che combinava il nostro scomodo ospite.

    Ma una gelida mattina di gennaio, molto presto, accadde qualcosa che non potevamo far finta di non vedere. La baia era grigia di brina, ma non soffiava vento e le onde picchiavano piano contro le pietre della spiaggia. Il sole ancora basso toccava appena le colline ma splendeva già sul mare. Il capitano si era alzato prima del solito e si era avviato di buon passo verso la spiaggia. Teneva il suo cannocchiale d’ottone sotto il braccio e il suo coltellaccio da marinaio ondeggiava sotto le falde della giubba blu. Faceva tanto freddo che si vedeva il suo fiato restare dietro di lui come fumo di pipa. Imprecava tra sé. Mia madre accudiva mio padre al piano di sopra. Io preparavo la colazione per il capitano, quando sarebbe tornato.

    A un certo punto entrò un uomo che non avevo mai visto. Era pallido e malaticcio. Gli mancavano due dita alla mano sinistra. Anche lui aveva un coltellaccio al fianco, ma non aveva la faccia da duro. Non era proprio un marinaio, eppure c’era in lui qualcosa di marittimo.

    Desiderate?.

    Rum… aspetta, vieni qui. Vieni più vicino. Feci un passo, con il tovagliolo in mano.

    La tavola l’hai preparata per il mio amico Bill?.

    Il vostro amico Bill? Non so, ho apparecchiato per il capitano.

    Ah, ecco. Si fa chiamare capitano ora. Senti, ha una cicatrice sulla guancia e un modo di fare molto amabile, questo mio amico Bill, specialmente quando beve. Mettiamo, per ipotesi, che il tuo capitano abbia una cicatrice sulla guancia?.

    .

    E mettiamo, per dire, che questa guancia sia quella destra. Feci di sì con la testa. Ah, vedi! Te l'avevo detto. Allora, il mio amico Bill è qui.

    Poco fa è uscito.

    Da che parte, figliolo? Da che parte è andato?.

    Probabilmente là, su quella roccia. Gli indicai attraverso i vetri della finestra.

    Ah, eccola lì la roccia. E da dove tornerà?.

    Gli indicai il sentiero da dove probabilmente il capitano sarebbe arrivato.

    Bene, bene. Quando tornerà il mio amico Bill avrà una sorpresa che lo manderà in brodo di giuggiole.

    Non doveva essere una bella sorpresa a guardarlo in faccia, ma non erano affari miei.

    Quello stava sulla porta come un gatto che aspetta il topo. Quando misi fuori il naso dalla porta, mi gridò di tornare dentro e cacciò una bestemmia che mi fece rabbrividire. Rientrai all’istante. Lui mi seguì e mi diede una pacca sulle spalle.

    "Ehi, sei un bravo ragazzo, sai, ti sono affezionato. Anch’io ho un figlio, la gioia del mio cuore. Ed è identico a te, una goccia d’acqua. Ma stai attento, non c’è niente di più importante per

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