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Le donne più malvagie della storia d'Italia
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Le donne più malvagie della storia d'Italia
E-book633 pagine9 ore

Le donne più malvagie della storia d'Italia

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Info su questo ebook

Dietro ogni grande uomo c'è una donna terribile

Crudeltà ed efferatezze al femminile

Ormai è noto che il male, pur essendo un sostantivo di genere maschile, si possa declinare con facilità al femminile e abbia trovato un certo agio nei profili di donne malvagie e senza scrupoli, nonostante la loro leggiadria e l'apparente dolcezza.
Smania di potere, desiderio di possesso, ambizione, spregiudicatezza, follia e gelosia sono solo alcuni dei sentimenti che hanno animato le gesta delle eroine negative della nostra Storia. Sono diventate leggendarie le oscure trame di Agrippina Minore, i crimini di Locusta, avvelenatrice ufficiale alla corte di Nerone o i macabri riti della Saponificatrice, famosa per tagliare a pezzi le sue vittime e farle bollire. E come è possibile non ricordare le follie della dissoluta Messalina o quelle della giovanissima Anna Maria Botticelli? Così, il profilo di Lucrezia Borgia, può venire associato a quello di Rina Fort, soprannominata la Belva di Via San Gregorio o a quello di Beatrice Cenci, nobildonna romana macchiatasi di parricidio. La serial killer Milena Quaglini non fu più pericolosa della scandalosa Geltrude Pellegrini, assassina senza scrupoli. E così, mentre il passato con i suoi precetti scolora nelle regole del presente, il sangue incrostato nella nostra memoria si mischia con quello fresco delle vicende attuali, e i volti delle assassine si confondono l’uno con l’altro in un macabro gioco di specchi.

La storia del nostro Paese attraverso le feroci biografie delle donne più spietate e sanguinarie dal i secolo ai giorni nostri

Tra gli argomenti trattati nel libro:

Valeria Messalina, la sirena che incantò Roma
Agrippina Minore, Circe imperiale
Locusta, la strega e il veleno
Giovanna Bonanno, megera
Bellezza Orsini, tristi vicende
Lucrezia Borgia, presunta avvelenatrice
Beatrice Cenci, assassina per forza
Geltrude Pellegrini, l’amore assassino
Leonarda Cianciulli, vita maledetta della Saponificatrice
Sabrina Misseri, piccoli omicidi in famiglia
Rosa Bazzi, la strage degli innocenti
Milena Quaglini, un angelo sterminatore
Anna Maria Botticelli, Sirena di morte
Rina Fort, sangue e sesso per la fine di un amore 
Angelica A. Pedatella
è attrice, scrittrice, musicista. La passione per la ricerca storica l’ha portata ad affiancare al proprio lavoro artistico collaborazioni con il mondo accademico universitario. Nel 2012 ha vinto il primo premio del Concorso letterario nazionale “Giovani Autori” con il romanzo Il ponte del mare. Ha svolto attività di insegnamento in carcere. 
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2015
ISBN9788854176898
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    Anteprima del libro

    Le donne più malvagie della storia d'Italia - Angelica Artemisia Pedatella

    logo-collana

    Alcuni fatti narrati nel presente testo fanno riferimento a varie inchieste

    giudiziarie, alcune delle quali sono ancora in corso.

    Tutte le persone coinvolte o citate a vario titolo, anche se condannate

    nei primi gradi giudizio, sono da ritenersi penalmente innocenti fino a sentenza definitiva.

    Prima edizione in ebook: marzo 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7689-8

    www.newtoncompton.com

    Angelica Artemisia Pedatella

    Le donne più malvagie

    della storia d’Italia

    Crudeltà ed efferatezze al femminile

    OMINO-OTTIMO.tif

    Newton Compton editori

    Dedicato a mio Padre che toccò Itaca

    e a Paolo che passò le sirene.

    Non serve scrivere nei contratti la parola libertà; è un bene che non è posseduto né da chi compra né da chi vende. Te lo devi dare tu; a te devi chiederlo.

    SENECA, Lettere a Lucilio, IX, 80

    Introduzione

    Insieme al legame tra vita e morte, la malvagità è il grande mistero su cui a ognuno di noi è capitato almeno una volta di interrogarsi. La risposta su come vincere la morte e gli oscuri sentimenti umani è tutto ciò che basterebbe a calmare la paura ancestrale degli uomini. Solo gli eroi mitici hanno attraversato l’oltretomba e ne sono ritornati vivi, sconfiggendo il male; ma sono ritenuti convenzionalmente dei bugiardi letterari! Noi abbiamo la scienza per tentare di comprendere l’incomprensibile. Eppure non basta: perciò la morte resterà il grande mistero del nostro tempo. Enigma su ogni altro enigma, non considera le caratteristiche morali e umane degli esseri viventi che colpisce: la falce fatale miete le sue vittime – né accetta raccomandati. E ognuno ha la sua personale morte; diversa da quella di chiunque altro e il momento è il suo fedele alleato… A meno che non ci sia qualcuno che riannodi la trama degli eventi nel tempo, come capita a Odisseo, e la signora Morte è dunque ingannata!

    Per i lettori, però, le storie diventano indubbiamente più interessanti quando l’oscura signora, invece, c’è e viene addirittura provocata. Letteratura e fantasia hanno ricamato sui racconti di genere, tenendo alti i ritmi e la suspense, eppure nulla è più sensazionale della realtà. A questo proposito, per aumentare il senso di inquietudine, nulla spaventa più della criminalità al femminile, dove la bellezza e la cattiveria si fondono in un unico essere: la donna.

    La parola latina captivus, nel suo significato di prigioniero, indica le persone imprigionate in un mondo basso, oscuro, che impedisce loro di essere felici; così, coloro che per cattiveria tendono a danneggiare il prossimo tramite comportamenti e gesti dannosi, in realtà sono alla ricerca di una felicità che non raggiungono mai. La morte non è altro che il limite estremo del loro gioco pericoloso e la bellezza diventa l’essenza stessa dell’inganno. La pessima fama che ha accompagnato il genere femminile nei secoli, trasformando in angeli di morte fanciulle bellissime e in perfide streghe nobildonne e curatrici, nasce con il mondo stesso, e la sua origine sfugge alle date. Maghe, streghe e sirene sono state protagoniste di terribili vicende di sangue che hanno percorso la storia d’Italia antica e moderna. La tragicità di queste figure consiste nel fatto che la loro cattiveria non è una scelta, ma il loro destino. Insomma, non è il disagio a determinare il crimine, ma è la natura stessa del criminale che si manifesta. Le circostanze spesso si limitano a favorire l’emergere di un’indole profondamente negativa. Vale a dire che la società non cambia la natura degli individui, può solo indirizzarla. Le donne malvagie nascondono in sé un mostro che cerca sempre un modo per manifestarsi.

    Solo un uomo riuscì a vincere le donne cattive: Odisseo, che fu il primo eroe a sfuggire al destino grazie al cervello e al cuore. I pericoli superati – ossia le femmine che hanno rischiato di precludergli per sempre il rimpatrio, rovinandogli la carriera di eroe – rappresentano i modelli di pericolosità sociale che, a ben guardare, si sono replicati con rigore quasi scientifico per il resto della storia umana. Le sirene, la maga Circe, l’antica strige sono tutte cattive italiche: assassine le prime, capostipite di ambiziose seduttrici politiche la seconda, immagine antica delle terribili e sanguinarie streghe l’ultima. Il loro modo di uccidere è rimasto intatto, replicandosi infinite volte negli esseri umani, nel corso del tempo.

    L’aspetto che da subito colpisce è che tutte e tre queste figure mitiche sono uccelli. Dominatori dell’aria – elemento che unisce il cielo con la terra – arrivano nelle zone impervie delle rupi scoscese, così come in quelle dell’anima e della psiche, e le dominano. Ma, soprattutto, gli uccelli provengono da un’era primordiale molto antica, in cui il mondo era dominato da altre forze e da altri esseri. Le sirene, esseri col volto di fanciulla e il corpo di rapace – raffigurate tali nei bassorilievi e sui reperti archeologici – sono uccelli arrampicati sugli scogli e pronti a dirigere nel cuore del mezzogiorno incauti marinai verso un triste ed inesorabile destino. La maga Circe, che rappresenta il nobile falco – il suo nome è greco – al pari delle cattive colleghe, è un’altra grande seduttrice, signora del sole e degli oroscopi, pronta a tutto per la propria ambizione. I suoi tratti di maga e di conoscitrice delle erbe la accomunano all’ultima malvagia, la povera – si fa per dire! – strega. Una vera stracciona, all’apparenza, brutta e dal cuore nero. Ma poiché le tradizioni contadine sono quelle che durano più a lungo, la più popolare strega ha vinto in fama sulle altre, assicurandosi una storia più lunga e complessa. E agli esordi dell’epoca moderna – mentre maghe e sirene rimasero simboli colti, appartenenti alla semplice letteratura pagana e alle fiabe – le streghe scatenarono un vero e proprio delirio, che le avrebbe rese immortali e tragiche nei secoli successivi, per poi trasformarsi in dive della televisione. Insomma, nonostante l’apparenza poco attraente, nel tempo si sono prese una bella rivincita estetica sulle sensuali rivali. Anzi, se l’antica strige, la strix della tradizione popolare italica indigena, era un uccello tutt’altro che grazioso – il gufo o l’allocco, rapaci delle tenebre – quella moderna ha guadagnato qualità fisiche notevoli, potendo fare a meno anche del vecchio amante di sempre, il diavolo, il quale – a dirla proprio tutta – non è mai stato descritto neanche lui come un grande adone!

    È pur vero che le magnetiche maghe e le sensuali sirene, con la pubblicazione del Malleus Maleficarum nel 1484, furono considerate tutte semplicemente streghe: potenza della comunicazione di massa! E le più cattive furono madrine della fine del vecchio mondo e dell’inizio di un altro nuovo.

    Racconteremo dunque le vicende di maghe, streghe e sirene italiane famose e meno famose, evitando giustificazioni o condanne, sebbene tutte abbiano comunque fornito stimolanti cattivi esempi. Scopriremo che i sogni e gli incubi che si celano dentro di loro non sono troppo lontani da noi e ci domanderemo cosa fa la differenza tra una donna qualunque e una cattiva da manuale. Se tre creature mitiche sono il prototipo delle grandi malefiche della storia, significa che qualcosa di magico e di eterno si nasconde in loro, replicabile all’infinito. Questo libro, quantomeno, servirà a individuarle e a tenersene a debita distanza, se altro scopo non dovesse raggiungere. Attenzione, poiché condividono tutte uno stesso segreto: il desiderio del possesso a ogni costo, unico vero oggetto d’amore delle femmine pericolose.

    In questo libro non ho cercato la verità ma il mistero. Il mio occhio non ha mai guardato quello che era in luce, ma ciò che rimaneva in ombra e, guardando a fondo nell’ombra, vi ha scorto alcuni fantasmi. Gli spettri che da ora in poi mi preparo a conoscere, a indagare e a raccontare sono la misura di una lotta sorda tra bene e male, lotta che l’uomo contemporaneo ha quasi dimenticato e continua a mistificare. Parlare di malvagità significa scendere nell’abisso dell’essere umano, laddove l’uomo cerca la divinità e si confronta con la mostruosità: la parte più istintiva e forse sacra di se stesso. Diceva Seneca che l’onestà non è virtù spontanea, ma si apprende; allo stesso modo i costumi sociali dipendono dall’apprendimento dei cittadini e dalla loro capacità di distinguere il bene dal male. Scrivo questo saggio con il coraggio di andare oltre i soliti luoghi comuni, per cui si naviga a vista su troppi argomenti. Pure, non ho nulla da insegnare se non la consapevolezza che mi accingo a condividere semplicemente un mistero. Poiché gli esseri oscuri non sono una rovina solo per gli altri, ma anche per se stessi, mi è sembrato che anche parlare di cattiveria potesse avere uno scopo nobile, come ogni libro che tratti di storia in qualche sua forma. Qualcuno, forse, rifletterà su ciò che lo circonda o su ciò che è. Tutte le civiltà hanno fondato le loro leggi di giustizia e la diffusione della conoscenza sullo stesso obiettivo: la salvezza interiore della persona. Il benessere non può essere solo conseguenza di cause contingenti. Deve essere una scelta.

    Se parole quali religione e sacro ci fanno ancora troppa paura per poterne scoprire la verità storica, quello che propongo è uno squarcio nel velo; il gioco del se fosse… Se fosse davvero una sirena… o un’ambiziosa maga… o addirittura una strega! Così, ogni volto intorno a noi diventa un identikit da definire, il primo strappo da affrontare e da cui procedere per capire la vita intorno a noi o almeno per spiare qualcosa che non sia l’ovvia tenebra creduta luce.

    IL MITO

    Alle origini della cattiveria Il danno femminile

    Prima della storia c’è il mito. E nel mito c’è qualcosa di eterno che riguarda divinità e uomini, le origini ancestrali del nostro essere al mondo o, per meglio dire, le risposte, quelle che cerchiamo attraverso la scienza, la psicologia, la medicina.

    Secondo il mito, il vaso di Pandora fu all’origine di ogni male. Ella, aprendo il vaso segreto, diffuse caoticamente il sapere universale perché gli uomini ne usufruissero come gli dèi; ma gli uomini non erano dèi e l’uso indistinto generò di nuovo il Caos. Maghe, streghe e sirene rappresentano il lato oscuro della sapienza femminile, che si appropria del sapere e ne fa uso per semplice curiosità, priva di misura e di etica. È questo il danno di Eva. La pura curiosità priva dei valori dell’interiorità, anziché migliorare l’uomo lo ha reso avido e arrogante, perduto. Tutto il concetto di male, sia pagano che cristiano, inizia da questa arroganza. Pandora – letteralmente colei che ha tutti i doni – ha diffuso un sapere senza regole. Le pratiche religiose nacquero allora per insegnare la distinzione. Non regolato da leggi di giustizia e di bontà, il sapere trasformava la scienza in incubo, strumento del male; perciò gli antichi affidavano la verità all’illuminazione più che alla pura ricerca sperimentale e strumentale. Curioso che la stessa curiosità – virtù per eccellenza femminile, detestata da Amleto – sia madre della scienza moderna. Così, pur essendo la condanna di Pandora e degli uomini, da semplice illusione, è diventata per noi il simbolo della modernità! Un quadro dipinto a tinte fosche che viviamo, inconsapevoli del pericolo.

    Le sirene, le voci che seducono e uccidono

    Dotate di un istinto al confine tra umanità e bestialità, le sirene sono le assassine mitiche per eccellenza, vere femmes fatales che usano le proprie doti come strumenti prediletti del Caos.

    Odissea, un lugubre viaggio

    Forse perché ha incontrato tutti i tipi di donne pericolose che si possano trovare sul cammino di un essere umano – o forse perché le ha conquistate tutte! – è l’eroe più popolare della nostra epoca di esploratori: Odisseo. Il suo nome, nell’interpretazione più diffusa, e stando a quanto afferma lo stesso Omero, significherebbe «colui che è odiato»; dagli déi, dai molti nemici umani, che lo pongono di fronte ogni sorta di ostacolo. Chi non conosce la sua strenua resistenza di fronte al canto ammaliante delle sirene, simbolo dell’illusione mortifera?

    Anche Laerte, padre di Odisseo, come il figlio aveva il pallino per i viaggi e le incontrò quando era uno degli Argonauti. Allora, al padre andò bene perché sulla nave si trovava Orfeo, il divino poeta, che con il suo canto vinse il suono delle sirene, sicché gli Argonauti proseguirono sani e salvi il loro viaggio, senza rischiare di rimanere impigliati nel fascino di quelle voci insidiose. Odisseo si trovò invece ad affrontare un viaggio diverso, interiore, solitario e più pericoloso: non era infatti alla ricerca di nuove conquiste; voleva semplicemente tornare a casa. E per tornarci, doveva imparare a conoscere e a dominare se stesso. Questo solo gli avrebbe permesso di apprendere l’arte di essere saggio. L’incontro con le donne dannose che allontanano ogni uomo dal proprio nido era necessario! Un vero re doveva imparare a evitare i tranelli della vita.

    Quando Odisseo si avvicinò alle sirene, esse promisero di donargli infatti la vera conoscenza, quella in grado di fargli ottenere il vero potere del mondo: la fama. Una pubblicità pazzesca, assolutamente da star. Era l’ambizione di ogni eroe! Tuttavia, i miti hanno sempre ammonito che la vera saggezza dell’uomo si trova nella percezione del limite e nella rinuncia al successo a ogni costo, consiglio spesso rimasto inascoltato. L’illusione di se stessi è il più grande pericolo per l’umanità, che cede facilmente alle sirene. Odisseo, però, era un uomo innamorato e intelligente e aveva, dunque, la possibilità di salvarsi.

    La voce delle sirene

    Prima che per il loro aspetto misterioso, la fama delle sirene è legata alla voce meravigliosa che incanta, una voce magica. Incantare significa appunto incatenare a sé come con corde invisibili. Per incantare un essere umano, esse creano un contatto speciale: evocano qualcosa che egli desidera ardentemente. E non c’è uomo che non sia irrimediabilmente attratto da ciò che desidera. Ma quando vi giunge vicino, scopre il vuoto. Questo è in realtà la sirena: il vuoto esistenziale che si nasconde dietro un desiderio smodato, dietro un’illusione diventata ossessione. Proprio come il suono insistente e penetrante del flauto, lo strumento musicale più antico del mondo, lo strumento dell’estasi. Gli uomini antichi hanno sempre saputo che esiste nell’uomo una forza interna di origine divina da risvegliare, e tramite l’estasi suscitata dal suono del flauto era possibile entrare in uno stato di contatto con il Dio. Questa forza può essere distruttiva o aprire un universo di tesori: è il limite del pericolo.

    Ogni civiltà ha elaborato vari sistemi di estasi indotta e le droghe non hanno fatto altro che offrire un risultato simile; lo strumento più antico di estasi indotta è il flauto. Ebbene, il famoso canto delle sirene altro non è che l’emulazione di quel suono acutissimo e penetrante, che addormenta la coscienza. Il suono continuo prodotto dalle sirene allo stesso modo intorpidisce i sensi di chi ascolta; allora, immediatamente il desiderio di andare nel luogo da dove il suono giunge si fa fortissimo. Quella musica è però un dono malefico, poiché non conduce alla gioia, ma alla distruzione. Un uomo incantato da una sirena perde la volontà di fuggire e soccombe. Le sirene vivono di inganno e l’inganno è la misura del mostro.

    Da sempre invidiose delle muse, le sirene hanno continuato a gareggiare con le vere dee tentando di batterle nell’arte che possedevano meglio: il canto. Ma come si può pensare di vincere un Dio? L’arte è una magia donata dal cielo, che combatte l’arroganza dell’uomo, lo protegge e lo consola dei misteri del mondo. Allora, le sirene tentano di sedurre l’uomo, conducendolo verso il peccato con l’inganno di promesse impossibili. È già la tragedia del Faust di Goethe, lo scienziato che pretende di ottenere conoscenza e potere assoluti. Ma nulla è assoluto sulla terra; tutto si deve al cielo.

    Fu proprio con questa strategia che le sirene omeriche tentarono di fermare il viaggio di Odisseo, annullando la sua volontà di tornare a casa con la promessa del successo sicuro e totale. Tutte le sirene tentano di distruggere gli uomini con lo stesso metodo, trasformando la loro volontà di vivere e amare nel desiderio del nulla. Il loro amore illusorio si lega tenacemente alla morte. Il vuoto esistenziale è il prezzo da pagare se ci si innamora di un mostro dall’istinto di sirena.

    La femme fatale attrae, ma non rappresenta l’amore infinito che promette, è solo desiderio che svuota. La sua natura selvaggia spinge l’uomo a seguire la parte più istintiva e materiale di sé, fino a valicare un confine oltre cui non c’è nulla se non materia morta.

    Odisseo, l’uomo moderno e solitario, aveva di fronte a sé la sfida impossibile. Per salvarsi aveva una sola possibilità: fare appello alla virtù, il desiderio più sincero di ritornare a casa da Penelope.

    Il volto delle sirene

    L’aspetto delle sirene resta ancora oggi uno degli argomenti più affascinanti. La tradizione nordica che si è diffusa dal Medioevo le ha rappresentate come donne-pesce, quando un incauto trascrittore medievale con tutta probabilità scambiò la parola pennis, piume d’uccello, con pinnis, pinne di pesce, confortato dai miti nordici delle ondine e dai racconti delle fantasie marinaresche. E le sirene furono così trasformate da uccelli in pesci: e all’incanto della sola voce, il medioevo silenzioso sostituì la malia del corpo sinuoso che scivola nella notte. Nella celebre Sirenetta di Andersen, la giovane ibrida figura si innamora perdutamente di un principe umano e ha due scelte: ucciderlo e tornare nel suo mondo o lasciarlo vivere e disfarsi tra la spuma del mare. Le sorelle marine non esitano a consigliarle l’omicidio, ma la protagonista della fiaba preferisce morire piuttosto che uccidere il suo amore: quello che sarà l’unico grande amore della sua vita, unico perché impossibile, irraggiungibile, oltre il limite. È proprio la sensazione del limite che cattura l’attenzione del mondo romantico per questo essere infelice.

    Ma le sirene nel mondo antico sono uccelli con il volto di fanciulla e il corpo di rapaci, dotate di solidi artigli con cui si tengono aggrappate agli scogli. Figlie del sangue versato dal fiume primordiale Acheloo, simbolo dello scorrere perpetuo della vita e nelle cui acque avviene la trasformazione dall’una all’altra forma dell’esistenza, dal mondo dei vivi a quello dei morti, le sirene nacquero quando Ercole ruppe uno dei suoi corni per ottenere la mano di Deianira. Le gocce di sangue cadendo sulla terra le generarono e da allora esse furono figlie del fango. Così la palude è il loro regno, luogo di nessuno, dove terra e acqua si incontrano, senza che prevalga l’una né l’altra. La melma è capace di immobilizzare il corpo, di impedire i movimenti e di rendere l’animo cupo. Il fango è l’incerto limite tra vita e morte; per questo è l’habitat ideale delle sirene; per lo stesso motivo esse muoiono annegando nell’acqua, simbolo certo della vita che rinasce perenne. Figlie della contraddizione, rappresentano le illusioni che seducono il cuore e la mente attraverso l’incarnazione nella donna adolescente, la quale sembra donna, ma non ha espresso la sua femminilità fino in fondo, poiché non ha ancora la coscienza di poter essere madre.

    La tentazione sessuale di per sé, senza promessa di vita, è un demone in grado di cambiare il carattere di un uomo. Secondo l’antica profezia, le sirene si suicidano gettandosi in mare se una nave riesce a passare di fronte a loro senza fermarsi e senza che i naviganti rimangano abbagliati dalla voce irresistibile. Questo è ciò che accade sempre alle sirene che vanno in depressione profonda e si autodistruggono quando l’oggetto del loro amore morboso le ignora, precipitandole nel vuoto esistenziale. L’uomo che le ascolta e non cede al loro incanto diventa più saggio, si salva e apprende una lezione molto importante dalla quale altri non tornano vivi: impara che il potere delle illusioni è vano e che per liberarsene basta smettere di ascoltarlo giusto un momento.

    L’isola delle sirene

    Secondo la tradizione omerica più accreditata, l’isola in cui vivevano non era distante dallo stretto di Messina, dove si fronteggiano Scilla e Cariddi. Il nome del luogo era Antenoessa, che significa la fiorita. Il candore dell’isola – la purezza – era però dovuto alle bianche ossa spolpate dei marinai uccisi. Nessuno chiarisce come le sirene uccidessero, ma ci sono diverse ipotesi. Secondo alcuni, le vittime venivano stordite, finché non naufragavano sugli scogli e vi giacevano ormai cadaveri. Per altri, una volta avvicinatisi i marinai, le sirene si scagliavano su di loro con gli artigli e li divoravano.

    Odisseo le spacciò: riuscito a sottrarsi al loro fascino, si allontanò senza più tornare. Le sirene, disperate, comprendendo di essere state vinte e si gettarono in mare e annegarono.

    Circe, la maga ambiziosa

    La maga è l’incarnazione stessa dell’amibizione femminile, è figlia anch’essa della grande madre e incarna la donna di potere pronta a sfidare ogni uomo che non si sottometta alla sua volontà. Lo vince con la sua seduzione e lo distrugge se egli non le si sottomette o diventa suo complice. Anche nella Genesi, Dio manifesta un femminile doppio: è Eva, l’ingenua prima donna, o Lilith, il malefico serpente.

    Pericolosa ambizione

    Non è esattamente un’assassina; agisce personalmente solo quando è necessario, altrimenti preferisce non sporcarsi le mani. Non disdegna di servirsi della strega, con la quale condivide gli stessi segreti di sapienza, sebbene agisca poi per motivi diversi. Alla maga interessa l’ambizione, alla strega la sola avidità. Così le classi sociali di appartenenza, gli obiettivi e le strategie sono immediatamente identificate. Difficilmente entrano in competizione. È più facile trovare una maga che compete con un’altra maga o con una sirena che può soffiarle la preda maschile. Ad accomunarla con la strega è però il rapporto complicato con la maternità. Mentre la strega e la sirena tendono ad essere sterili o ad avere un rapporto di morte con i figli, la maga può essere madre affettuosa, salvo uccidere la propria prole quando si tratta di sottrarre potere all’uomo con cui l’ha generata! Si tratta per lei di una vera e propria evirazione del compagno: distrugge la sua discendenza. Così, Medea uccise i figli per estinguere la stirpe dell’amato e odiato Giasone. Ambiziosa senza confine, è disposta a passare sul cadavere di chiunque si ponga tra lei e il suo obiettivo.

    Piante, erbe e veleni

    La storia delle maghe è legata alla storia del veneficio, perché le donne erano le maggiori conoscitrici e utilizzatrici delle virtutes herbarum, per fini sia alimentari che curativi e religiosi. Il mondo vegetale era un ponte tra naturale e soprannaturale; piante, fiori e radici erano sistemi per raggiungere l’estasi, per curare o per uccidere. Mentre la chirurgia contemporanea agisce meccanicamente e direttamente sul corpo, la medicina antica lo curava indirettamente e attraverso l’anima, lasciando che il benessere interiore si manifestasse all’esterno come guarigione dalla malattia. Le sostanze vegetali portavano il malato a uno stato di trance, ossia di alterazione della coscienza, ed era in questo passaggio che il guaritore operava con la sua medicina: era il regno dell’intermedio, quello dominato dagli uccelli.

    Attraverso questo varco con il divino, le sacerdotesse avevano il compito di conservare la religione per il bene dello Stato e la sanità del popolo, proteggendoli contro l’ira degli dèi. La loro tecnologia si basava su invisibili canali di comunicazione tra i mondi e le sfere di energia. Nell’antica Roma, le diverse feste dei collegi sacerdotali attestavano la suddivisione dei compiti tra uomini e donne nella tutela dello Stato: infatti, mentre i primi si dedicavano maggiormente alla vita politica e alle attività militari, alle seconde si riservavano le sfere della sapienza religiosa e domestica. Foglie estatiche ed erbe in grado di fornire virtù profetiche erano raccolte nei boschi sacri, templi notturni in cui inizialmente si svolgevano i riti e le cerimonie. Qui, ogni divinità era collegata a una pianta, in base alle qualità della stessa. Masticandola, le sacerdotesse perdevano il controllo della ragione e nell’esaltazione incontravano il Dio, interpretando per gli uomini la sua volontà. Così nei boschi si praticava anche la prostituzione sacra.

    Nel territorio di Roma, in epoca remota, gli antichi Lupercali erano cerimonie in cui le adoratrici della dea Lupa, vestite con pelli di lupo, si aggiravano tra le selve imitando l’ululato e attirando gli uomini per accoppiarsi con loro. Le matrone romane riuscirono a mantenere parte di quei diritti, compresa la libertà sessuale di cui non facevano mistero. Non c’era niente di peccaminoso nel sesso, che anzi era praticato come rito sacro da condividere a tutti i livelli sociali. Vero è che molte matrone, anche di origine illustre, con una simile scienza e tali prerogative più volte si lasciarono tentare dalla possibilità di farne uso per fini tutt’altro che degni delle loro nobili casate. In quanto scienza sacra, i romani erano inflessibili con chi si serviva di questa sapienza arcana per fini malvagi. In Italia, l’Umbria fu il cuore della crescita dell’arte profetica e della magia. Nella regione osco-umbra visse il misterioso popolo dei marsi, presso cui le pratiche magiche erano diffusissime; loro le portarono nel cuore di Roma. Da allora in poi nessuna vicenda storica o politica andò disgiunta dal legame con la magia. Nel trattato De divinatione Cicerone affermava che tutti i popoli, gli arabi, i frigi, i cilici e altri obbedivano ai responsi profetici degli uccelli. Ma la figura più celebre di maga resta quella di Seneca, che descrive la sua Medea mentre sminuzzava le erbe mortali, spremeva la bava velenosa dei serpenti, vi mescolava il cuore di un gufo e le viscere di una strega sventrata viva; manipolando tali ingredienti, borbottava incantesimi tremendi. Lo stereotipo fu coniato e diffuso. Le maghe, eredi delle antiche sacerdotesse, rimasero così figure ambigue e potenti.

    Il regale uccello

    Nel suo peregrinare pericoloso Odisseo, ancor prima delle sirene, incontra una donna molto speciale, l’affascinante e temibile maga Circe. È lei, la maga per antonomasia! Kyrkòs, da cui deriva il nome Circe, significa appunto falco, un uccello legato alla simbologia del giorno, al cerchio del sole e a Zeus, in grado di controllare le sfere più alte del potere e della società. Il falco è un uccello che vola disegnando cerchi nel cielo e Circe è l’essere della trasformazione. La sua dimora è al centro del mondo, da cui può trascinare nell’oscurità degli inferi o elevare verso la salvezza. Per realizzare la sua magia, anche Circe utilizza la voce che incanta. L’incantesimo è una nenia, una musica rituale che intreccia le parole fino a creare una realtà. Sorella del tremendo Eeta che dominava la Colchide e generò Medea, Circe è bella e potente, affascina assoggettando completamente ai suoi desideri gli uomini. La sua natura non è malvagia né benigna, ma cambia con il mutare delle condizioni del suo interlocutore. Terribile con chi non è degno di lei, ama profondamente e diventa salvifica nei confronti di chi si dimostra alla sua altezza. Con costui è disposta ad instaurare un legame di solidarietà. È, insomma, una dea della giustizia, può rendere gli uomini meno o più selvaggi, uccidere o salvare, a seconda di come ognuno merita. Il suo è il ruolo della sacerdotessa che deve mantenere lo stato di equilibrio degli elementi, gestire il mondo degli uomini e quello degli dèi. Ma il rapporto con l’uomo è quasi sempre conflittuale e antagonistico.

    I grandi poemi dell’antichità, le Argonautiche, l’Iliade, l’Odissea presuppongono sempre figure di donne-maghe: Medea, Elena, Circe. Queste possono scatenare eventi positivi o negativi con il loro potere seduttivo e l’uso sapiente di formule e di erbe. D’altra parte, la prova che Giasone deve superare nelle Argonautiche, seminando denti di drago nel Campo di Marte per generare un’armata di guerrieri, è una prova magica, e non avrebbe potuto compiere il suo piano senza l’aiuto della principessa Medea!

    Il potere della maga Circe è naturalmente pericoloso e va domato in un solo modo: attraverso la virtù. Dimostrando di essere degni di dominare su un mondo di giusti, si conquista il rispetto della maga e si sfugge al suo maleficio. Come le sirene, Circe ha la capacità di sedurre agendo sui sensi, attraverso il piacere a cui gli uomini facilmente cedono: nel caso dei compagni di Odisseo, il cibo. Essi volentieri si ingozzano, eccedendo nel bisogno di nutrirsi, fondamentale per vivere ma vizioso quando, ormai fuori controllo, indebolisce la volontà. Odisseo riesce a resistere alle lusinghe del sesso e del cibo, perché il suo desiderio di Penelope mantiene intatta la volontà di ritornare a casa. Per questo motivo la bellissima dominatrice dell’isola di Eea infine gli cede, lo ama e decide di salvarlo, restituendo anche ai suoi compagni – che aveva trasformato in porci – sembianze umane. Lo spingerà poi ad affrontare le sirene, poiché ogni uomo deve affrontare le proprie illusioni per essere tale, spiegandogli come salvarsi da loro. Odisseo diventa quasi un monaco guerriero e nella sua vicenda è mostrata tout court la doppia valenza della maga. Il mondo del Medioevo deve, ancora una volta, molto alla cultura della classicità. Noi siamo loro.

    Strige, la vampira antenata della strega

    Tra le manifestazioni femminili della grande madre, la strega rappresenta l’estrema oscurità. La sua sinistra immagine stereotipata proviene da una convulsa trasformazione, dal mostro mitologico – l’uccello-vampiro delle paurose notti romane – alla malefica presenza femminile incarnata nella storia. Antichi riti muliebri legati alle tenebre e al mondo occulto, esaltando la morte sopra ogni altro aspetto dell’esistenza, diedero vita alla stregoneria. Così le streghe celebrano il possesso delle leggi eterne e acquisiscono il dominio del mondo.

    Odisseo vi si imbatte all’inizio del suo esoterico viaggio, quando incontra la più misteriosa di tutte le donne con cui avrà a che fare, Calipso: la strega, l’occulta, che lo avrebbe trattenuto prigioniero per sette lunghi anni. Per tutto il tempo che trascorse nelle mani della ninfa nell’isola di Ogigia, Odisseo rimpianse la vita e l’amore. Ma mentre era sulla spiaggia, il mare lo aiutò a ricordare ciò che era lontano: Penelope, che non poteva più raggiungere.

    Calipso gli aveva promesso immortalità, piacere e bellezza nell’antro della sua grotta, l’eterna ebbrezza della gioia. Mentre tesseva la sua tela del tempo – e il destino di Odisseo – sconsigliava all’eroe di tornare dalla moglie, perché il corpo di lei sarebbe invecchiato e l’amore sfiorito. Il sentimento di Odisseo, però, non è legato agli aspetti esteriori e materiali. All’inizio della storia, l’eroe riesce a liberarsi da solo, procurandosi il sostegno delle forze universali degli dèi, grazie alla potenza del suo più sincero amore per l’animo della paziente e saggia Penelope. Solo lo spirito che vince le lusinghe del corpo e si consacra al cuore può sconfiggere le illusioni di Calipso e cambiare il corso del proprio destino. Odisseo anela alla Casa. Così tre donne tessono e disfano la trama del tempo per lui, finché i due sposi non si riuniranno.

    L’antica strige

    Di primo acchito, il suo volto risulta sfuggente, nonostante sia uno dei personaggi più chiacchierati della storia e della letteratura mondiali. Non basta il tratto da cattiva a chiarire i lineamenti del suo volto e della sua personalità. Tra tutte le altre è in assoluto quella votata al male per il male – sebbene graziosi racconti amino ormai sempre più spesso descrivercela piuttosto come un’affascinante vittima che come una megera! Questa tradizione si basa sull’atteggiamento di pietismo nato nei suoi confronti in epoca contemporanea e derivato dall’idea che la strega in fondo sia stata una perseguitata, una povera donna nella necessità di difendersi, accerchiata e combattuta da forze non meno malvagie di lei. L’Inquisizione e la caccia, infatti, la straziarono; lei, essere magico, quasi più appartenente al regno dei sogni e della fantasia che a quello della realtà, è diventata una specie rara in via d’estinzione, da salvare.

    Eppure, a ben guardare, non solo non si tratta di una povera bestiolina maltrattata né di una calunniata fata buona; la strega è proprio cattiva! È sgradevole la sua voce, uno stridere fastidioso e orribile. Gli occhi sono odiosi e pieni di invidia. La bocca pronuncia formule terribili, conosce i veleni; è un essere notturno e vampiresco che piomba orribilmente sulla vittima per ucciderla in modi misteriosi e sanguinosi. La sua pelle è una ragnatela di rughe e sembra un uccellaccio del malaugurio persino nella forma umana: vestita di scuro, sterile, cattiva. La deformazione del suo animo si manifesta nell’aspetto esterno, che peggiora con il passare del tempo. La proverbiale bruttezza non deriva da caratteri somatici ereditari – nella realtà storica tante streghe nacquero belle – quanto dall’atteggiamento interiore che la deforma: gli occhi invidiosi nell’atto di appuntarsi sulla preda e immaginarne il male, la bocca nell’atto di deformarsi per emettere il grido, il corpo che si scuote paurosamente in una danza orgiastica derivata da quella delle antiche ménadi.

    Nella lotta tra Ordine e Caos, Luce e Tenebre, in ogni periodo storico si è alleata con le forze oscure, e con il principe dell’oscurità da quando apparve il cristianesimo, per ottenere il potere sul mondo. La sua storia è complessa e lunga. Si nasconde dietro le ambiguità di Atena dagli occhi di civetta, della vergine Diana cacciatrice nelle selve, dietro le spaventose apparizioni delle sibille antiche, delle matrone perverse, avvelenatrici, maniacali reiette, spaventose megere. Porta le tracce di una religione primigenia e antichissima, che ha di volta in volta mutato forma parodiando la religione ufficiale del momento, assimilando i caratteri oscuri dei culti, da cui la strega inizia la sua mutazione. Le antiche popolazioni italiche conoscevano già la stregoneria e il suo potere negativo. Contro di essa venivano promulgate continuamente leggi per limitarne la dannosa diffusione. La caccia alle streghe, insomma, è molto più antica della persecuzione attribuita al solo cattolicesimo.

    Raccogliendo testimonianze di epoca romana, si può delineare la figura primitiva della strega, sorpresa nella forma della semplice strige – strix – animale mitologico che Ovidio descriveva nei suoi Fasti (VI, 139) come un mostro che univa una natura umana femminile a quella dei volatili appartenenti alla famiglia degli uccelli rapaci notturni detti strigidi. Stazio ne descriveva lo stridulo grido che fa accapponare la pelle e annuncia la sua lugubre presenza.

    A differenza delle altre due categorie di femmine pericolose, legate alla luce diurna, la strige è un uccello che appartiene alla notte; gli strigidi sono uccelli notturni e cacciatori e la strega esprime pienamente la tenebra. Essere materiale, senza tormento interiore, devia dal bene per libera scelta, per avidità. Per questo è legata al denaro, soprattutto. È l’essere dell’egoismo totale, per cui sente naturalmente l’istinto di distruzione dell’altro, e i suoi artigli di rapace rappresentano l’atteggiamento aggressivo della sua natura. Chi gestisce o strappa la vita altrui non può che essere tale.

    Jettatura

    Non possono sedurre con l’amore che ispirano, perciò hanno un loro particolare fascino; una malia che cattura attraverso lo sguardo, il potere più grande donato agli uomini dopo la parola. È questo il loro vero fascino, la jettatura.

    Il movimento di rivoluzione scientifica e materiale della civiltà conclusasi con la vittoria della mentalità illuministica ha contribuito a estirpare un certo tipo di credenze molto antiche, per confinarle nell’ambito della superstizione, secondo cui è possibile condizionare con lo sguardo di traverso il destino di qualcuno. Aulo Gellio, scendendo dalla nave che lo riportava dalla Grecia a Brindisi, acquistò al porto alcuni libri usati che narravano di femmine selvatiche, le quali uccidevano bambini, alberi, animali solo guardandoli e lodandoli¹. Lo stesso Catullo, nella sua celebre elegia dei baci, temeva l’invidia degli occhi malevoli dei vecchi. L’occhio vede e, di conseguenza, sa. È un concetto antico e istintivo del sapere, che offre un potere immenso di azione sul mondo circostante. Il fascino, in molti dialetti, resta la parola che designa questo tipo di attività nera. Il vedere della strega procede al contrario, come la notte rispetto al giorno: è in-videre, guardare dal lato negativo, creando quella opposta realtà, cambiando il verso dell’oggetto. L’invidia è così caratteristica della magia della strega perché essa non ha possibilità di crescita interiore, ma solo materiale: ciò che non può avere, deve perciò distruggere.

    Questa caratteristica, unitamente alle doti di vampirismo di cui è dotata fin dalle origini, ha fatto di lei l’essere così discusso, complesso, pericoloso che ha segnato la nostra fantasia per secoli. Anche la sua bellezza è al contrario, è brutta. Il suo fascino non genera desiderio, ma paura; il suo bacio non è vita, ma morte, ed è disgustoso. La strega domina la natura ma non si nutre dei suoi frutti, li rinnega: per questo ha bisogno del sangue umano. È questa la sua invidia.

    La voce della strega

    Stazio nella Tebaide descriveva il loro gemere notturno, la sgradevole voce che suscitava incubi. Il sostantivo strix proviene dalla stessa radice del verbo stridere, che vuol dire produrre un rumore inarticolato e inquietante, privo di armonia. Nelle sirene la presenza del suono primordiale ha un carattere illusorio e ipnotico. Per le strigi, l’aspetto ipnotico deriva non dalla seduzione del suono, ma dal panico che produce e che ha effetti paralizzanti. Nell’arte occulta, associa alla voce il suo caratteristico sguardo. La voce si abbassa, diventa misteriosa, si trasforma in un borbottio di formule quasi incomprensibili e, mentre bisbiglia la sua malia, gli occhi si appuntano sulla vittima e la trasformano. Per cui la tradizione, focalizzando l’attenzione sullo sguardo, ha trasmesso l’immagine della strega che ammalia tramite gli occhi – che in realtà guidano e indirizzano l’incantamento pronunciato a bassa voce. Il fascino è dunque divenuto semplice malocchio.

    Streghe a Roma: inganno della perfida Duronia

    La dea della libertà a cui i romani dedicarono templi a Roma, veniva raffigurata come una donna con un gatto ai piedi, recante uno scettro in una mano e un berretto frigio nell’altra. Sul monte Aventino, luogo paludoso in cui sostavano spesso uccelli diretti al Tevere o di transito per mercanti di ogni nazionalità, sorgeva uno dei suoi templi. Il suo nome deriverebbe dall’antica denominazione di un tempio dedicato a Diana. La leggenda narra che Remo scelse il luogo per avvistare da lì gli uccelli che avrebbero sancito la vittoria di uno dei fratelli per il predominio del territorio. Così, il colle dominato da Diana battezzò la nascita della città eterna; vi sorgeva infatti, oltre alla caserma della IV coorte dei vigili e agli edifici termali, la sede del tempio della Luna e di quello di Diana, edificati da Servio Tullio.

    Proprio per la sua posizione e la presenza di un emporio con grande circolazione di merci e di stranieri, vi si edificarono altri santuari dedicati a divinità orientali. Vi si trovava anche il tempio dedicato a Cerere e legato al mondo degli inferi, dove era celebrato un importantissimo rito di purificazione che inaugurava la stagione dei Saturnali e del Natale del Sole Invitto; esso consisteva nell’apertura di un fosso, il Mundus Cereris, nei giorni stabiliti del 24 agosto, del 5 ottobre e dell’8 novembre. Questa apertura circolare rappresentava l’intero universo e metteva in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti. Per mezzo del rituale, le anime dei defunti potevano ritornare nel mondo dei vivi. Il tempio fu protagonista di un prodigio avvenuto nel 182 a.C.² durante una notte di primavera. A un certo punto un impetuoso colpo d’aria scardinò una delle porte del tempio della Luna, che andò a sbattere contro quello di Cerere. Il vento disseminò inoltre rovina in molti luoghi sacri e profani, abbatté statue e creò scompiglio generale.

    I consessi stregoneschi erano particolarmente potenti, tant’è che i romani tentarono con una pubblica legge di arginarli e distruggerli: il senatoconsulto emanato alle idi di ottobre del 186 a.C., de Bacchanalibus, li vietava espressamente, pena la morte; la Repubblica romana intendeva così mettere fine a riti del genere, su cui Tito Livio narra nella IV deca della sua opera una storia nera³.

    Un adolescente di nome Ebuzio, orfano di padre, viveva a Roma sotto la tutela della madre Duronia, una vera e propria strega, e del patrigno Rutilio. I due amanti conducevano una vita lussuriosa e dissipata, dilapidando l’eredità del giovane Ebuzio. Per nascondere il misfatto agli occhi della legge, spinsero il ragazzo a essere iniziato ai riti bacchici. Il ragazzo aveva però una giovane innamorata, una servetta che si era data alla prostituzione, tale Ispala Fecennia. La ragazza aveva nei suoi confronti il più tenero degli atteggiamenti, tanto da aver fatto testamento in suo favore. Tra i due giovani non c’erano segreti e quando Ebuzio confessò a Ispala che era necessario interrompere i loro rapporti per dieci giorni, come la madre gli aveva ingiunto di fare prima di partecipare al rito, lei lo scongiurò di rifiutarsi. Gli rivelò che durante i baccanali si facevano cose turpi e criminali, si commetteva ogni genere di delitto e lei stessa ne era stata testimone quando, ancora schiava, la sua padrona l’aveva obbligata ad accompagnarcela. La ragazza, diventata poi liberta, aveva subito interrotto quel tipo di situazioni, a suo dire orribili.

    Spaventato da tali rivelazioni, Ebuzio decise di non seguire la madre, suscitando il furore di Duronia. Questa lo accusò di essere caduto vittima di un incantesimo della liberta e lo cacciò di casa. Il ragazzo, disperato e sconvolto, si recò da una zia che abitava sul monte Aventino, il luogo più esoterico di Roma. La zia Ebuzia era una donna saggia, di età avanzata, con molta esperienza di vita, e suggerì al nipote di denunciare la madre e il patrigno al console Postumio. Il magistrato, nel sentire il racconto del giovane, rimase di stucco e, dopo un’iniziale incredulità, volle accertarsi della veridicità dei fatti ordinando alla suocera di chiamare a testimoniare la stessa Ebuzia. In una vicenda di donne, erano loro a condurre i giochi. Postumio ebbe così i particolari della natura di tali riti e della setta che li praticava. Interrogò subito dopo Ispala Fecennia, testimone oculare e adepta – o strega – pentita. Non appena vide le insegne pubbliche, la ragazza fu presa dal panico. Postumio le ordinò di narrare quello che avveniva di notte nel bosco di Stimula – nome latino di Semele – presso l’Aventino, durante i riti bacchici. La ragazza rimase in silenzio, tremante. Il console e la suocera Sulpicia allora la convinsero, assicurandole l’impunità. Ella, infatti, si rifiutava di parlare per paura della vendetta dei capi della setta e parimenti della punizione dall’autorità dell’Urbe, poiché anch’ella era colpevole di aver partecipato ai riti. Rincuorata dalla promessa di protezione, svelò la natura dei baccanali, offrendo un chiaro squarcio di quello che in seguito si sarebbe trasformato in un sabba.

    Dapprima le donne si recavano al santuario, di notte, per le iniziazioni che avevano luogo tre volte all’anno. Una sacerdotessa campana, tale Pacullia Amnia, aveva apportato delle modifiche incrementando le riunioni notturne fino a cinque volte al mese. I riti erano promiscui, uomini e donne si davano al sesso e alle orge, etero e omosessuali; il vino veniva versato copioso e, ubriachi, tutti danzavano scompostamente. La volgarità pervadeva tutto, ben lungi dall’originaria atmosfera di ebbrezza sacra. Era un vero cedere agli istinti più bassi che sconvolgevano l’essere umano. Gli strepiti e le urla erano coperti dai ritmi frenetici e dallo schioccare delle nacchere e dei cembali percossi. Gli uomini accolti nella setta erano tutti giovinetti, per cui più facilmente traviabili e pronti a sottomettersi allo stupro. Chi si opponeva veniva sacrificato o, per meglio dire, assassinato. Nei baccanali erano banditi il pudore e ogni legge. E, cosa peggiore, non c’era distinzione tra buoni e cattivi: vi si trovava gente d’ogni risma, ladri, falsari, lenoni, omicidi.

    La confessione lasciò a bocca aperta tutti, inorriditi. Come promesso Fecennia, sinceramente pentita, fu accolta nella casa di Sulpicia, dove venne protetta. Ebuzio fu condotto in altra casa, quella di un cliente di Postumio. Quest’ultimo, invece, si recò in senato e rese partecipi della sconvolgente verità i padri coscritti. Consapevole dei pericoli che la Repubblica romana correva in tali consessi, il senato divulgò l’editto che da quel momento vietava severamente rituali del genere. Vennero eseguite indagini per identificare sacerdoti e adepti, non solo nella cerchia dell’Urbe, ma in tutta Italia. Furono distribuiti premi ai delatori e a coloro che fornivano informazioni utili, facilitando la scoperta degli affiliati alla setta: una vera e propria caccia alle streghe ante litteram. Furono scoperti e accusati, tra uomini e donne, settemila individui, processati e condannati a morte o incarcerati, secondo la gravità delle loro colpe. I templi furono rasi al suolo. Un vero e proprio terrore si diffuse per tutta Roma e molti fuggirono, temendo l’accusa. Gli edili della plebe furono obbligati a tenere sotto sorveglianza le case dei vari quartieri sia di giorno che di notte. Nel II sec. a.C. i baccanali erano già divenuti festini infernali che non escludevano alcuna classe sociale. La repubblica doveva temere il potere eversivo di simili consessi: più che maligno, era rivoluzionario. Sovvertire i valori, significava sovvertire la società, i suoi quadri istituzionali, militari, religiosi.

    Così, concludeva Tito Livio, l’integrità dello Stato fu salvata.

    Note

    1 Aulo Gellio, Notti Attiche, IX, 4.

    2 Tito Livio, Storia di Roma, LX, II, 2.

    3 Tito Livio, Storia di Roma, Id. XXXIX.

    Le tre cattive muse di Nerone

    Dal mito alla storia, si concretizza l’inquietudine. Tre vite clamorose che si concludono nel sangue, dopo averne sparso molto, consacrano gli animali mitologici a cui sono legate. Siamo nel I sec. d.C., un periodo particolarmente sanguinario, sotto il regno di Nerone. Tre figure femminili, appartenenti a ceti sociali diversi e con obiettivi personali differenti si aggirano intorno alla figura sinistra dell’imperatore, precedendolo di poco o vivendo accanto a lui e dopo di lui. La rovina per loro e per chi sta loro intorno è dietro l’angolo, ma nel frattempo il mondo e la storia diventano un giocattolo da utilizzare per acquietare il loro appetito, sedare la loro ambizione e uccidere. Locusta la strega, Messalina la sirena, Agrippina ambiziosa circe cambieranno i destini di molti uomini. Simboli non solo della corruzione di un tempo preciso, ma di una condizione femminile che, trasformata e portata all’eccesso, si manifesta in pieno nella storia, campo di battaglia aperto al naturale e al soprannaturale.

    Ciascuna di esse non fece altro che seguire la propria natura. Quelli che la storia definisce – con unico schema – errori tattici o strategici, non furono tali. Non esisteva in tutte loro strategia, ma semplice tattica dipendente dall’istinto che le dominava. Chi ebbe grandi progetti fu sempre tentata di cedere alla propria natura. Ognuna portava morte secondo la dote di cui era stata fornita dagli dèi, il mostro interiore, che le fu anche fatale, perché gli dèi decisero che così sia loro sia gli uomini sperimentassero in terra la potenza della loro volontà. O forse c’è dietro un’altra verità: anche loro dominate dal mostro ebbero la possibilità del libero arbitrio che doveva condurle al bene supremo, vincendo se stesse, o al male assoluto, cedendo. Dietro le loro vicende maledette si nascondono però personaggi angelici. Le storie di Atte, di Ottavia, di Arria fanno da contraltare alla ferocia delle altre, per disegnare scorci di vita e di storia che uniscono alla potenza dei fatti la speranza che guida da millenni l’umanità.

    Valeria Messalina, la sirena che incantò Roma

    Marzo. Roma, 25 d.C. Le giornate invase dal sole risuonavano del ritmo delle armi lucide che preparavano lo spirito dei combattenti. I coltivatori avevano ripreso il lavoro nei campi; non era più il tempo di soldati e parsimonia, Roma era diventata una culla di bambagia per ricchi rampolli e nuovi speculatori; pericolosa come non mai.

    In quel clima avvelenato e corrotto visse una ragazza bellissima e nobile, un incanto per gli occhi e una facile pedina per la politica di un gruppo di uomini senza scrupoli, che fece di lei il suo scudo, fino a perderla: Valeria Messalina.

    Buoni auspici, bellezza, ricchezza

    L’infanzia di Messalina, figlia di due illustri patrizi, Valerio Messalla Barbato e Domizia Lepida, trascorse felice in una lussuosa villa sul Palatino. Roma risplendeva di templi e di bordelli e i ricchi onoravano le antiche tradizioni tanto quanto si dedicavano a piaceri proibiti, che rendevano lussuriose le loro notti, mentre da tempo ormai si combatteva una efferata lotta politica interna. Gli imperatori erano vittime e carnefici allo stesso tempo in un sistema di grandi interessi che coinvolgeva e sconvolgeva l’antico mondo. Da una parte c’erano i privilegi dell’élite romana tradizionale, dall’altra gli interessi economici di una nuova classe di speculatori, di cui i liberti erano l’espressione più eclatante. Stimati e disprezzati insieme per le enormi ricchezze che erano stati in grado di accumulare e perché ormai facevano parte integrante del tessuto sociale di Roma e delle sue famiglie, i liberti pullulavano ovunque.

    A loro era affidata la cultura e anche la formazione intellettuale dei ricchi rampolli. Come ogni fanciulla di rango, Messalina riceveva un’istruzione di livello e imparava a conoscere la storia e la mitologia della gens cui apparteneva. Ma nei lunghi pomeriggi capitolini, accanto allo snodarsi delle vicende degli Enobarbi e di Castore e Polluce, un’altra storia si svolgeva sotto i suoi occhi scuri…

    Primi amori

    Tra i molti servitori della casa di suo padre, spiccava un liberto adolescente, Valerio Threpto. Messalina era allora la ragazzina più ammirata di Roma, ma il quindicenne liberto incarnava per lei tutto quello che si poteva desiderare, e tra tutte le altre virtù egli aveva il fascino della grecità. Non aveva dieci anni e si sentiva già proiettata nell’amore tanto da esserne svuotata. La prepotente natura di sirena si rivelava. Quell’amore aveva la stessa potenza distruttrice di Roma.

    Come tutte quelle cose che hanno l’apparenza di sogno e nascondono dolori disumani, un giorno il bel Valerio Threpto fu trovato morto. Improvvisamente. Così quell’amore delizioso e puro diventava, come ogni cosa bella, perduto e lontano. Valerio Threpto entrava nel mondo malinconico della mitologia, lasciando prostrata la giovanissima amante. L’ingenuo tepore dell’amore si era trasformato nell’incubo del lutto. Messalina sperimentava lo strappo dalla vita, che l’avrebbe accompagnata da allora in poi. Del suo amante adolescente non le restò che il rimpianto. Fece iscrivere una tavoletta a memoria eterna del sentimento che sbocciava morto. Cadde nella disperazione più profonda, quando apparve nella sua vita un giovane vivandiere, un liberto di ventinove anni, che serviva in casa Messalla. Vedendola così triste, ne fu commosso e provò lui con la sua tenerezza a darle consolazione. Egli le fece una promessa: giurò che il futuro le avrebbe offerto altri amori e una famiglia sua, dei figli, un marito e anche degli amanti. Messalina fu improvvisamente colma di nuova speranza e alzò sul giovane i suoi occhi ardenti. Accettava la sfida con la vita.

    La passione per il giovane uomo doveva però essere di nuovo fatale. Una misteriosa malattia colpì il suo nuovo amante e

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