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L'ultima terra oscura
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E-book274 pagine3 ore

L'ultima terra oscura

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (195 pagine) - Per penetrare nello sterminato edificio dello Sevastrom avevano mandato un sensitivo e un mercenario: sarebbero riusciti a sventare il complotto? Un'avventura dal ritmo serrato dalla maestra italiana del science fantasy. PREMIO ITALIA 1990


L'intera delegazione commerciale del Gafai è scomparsa all'interno del Savastrom, l'immenso palazzo dal quale il Doma governa su Alwayr in simbiosi con il computer Artes. Ma l'intrigo che c'è dietro va ben oltre, fino a un tentativo di invasione: sarà il mercenario Phalls, con l'aiuto di Dolane il mago – l'ultimo uomo che possa interfacciarsi con Artes – a doversene occupare. Un romanzo giocato sul ritmo e sul meraviglioso, da un'autrice che riesce a combinare elementi della fantascienza e del fantasy in una narrazione che non dimentica mai la profondità del fattore umano, creando personaggi indimenticabili.


Mariangela Cerrino è nata a Torino. Esordisce come autrice a diciassette anni con la Casa Editrice Sonzogno di Milano, per la quale pubblica, con lo pseudonimo di May I. Cherry, una ventina di romanzi ambientati nell'epopea americana che si avvalgono delle copertine di G. Crepax. Si avvicina alla fantascienza e alla fantasy all'inizio degli anni '80. Collabora con racconti a Omni, a Futura per la Peruzzo Editori, alla collana Millemondi Mondadori, all'Enciclopedia della SF per Fanucci e aSolaris, oltreché a quotidiani e a settimanali. Con le Edizioni Nord ha pubblicato il romanzo L'ultima terra oscura (vincitore del Premio Italia 1990) e la raccolta di racconti Gli eredi della luce, poi riproposta nel 2008 nella collana MondadoriUrania Fantasy con il titolo Cronache dell'Epoca Mu.

Grande appassionata di storia e archeologia, è autrice per Longanesi di una trilogia di romanzi sugli Etruschi: I cieli dimenticati (1992), La via degli Dei (1993), La Porta sulla Notte (1995). Il primo e il terzo volume si aggiudicano nuovamente il Premio Italia. L'intero ciclo, raccolto in un unico volume di circa mille pagine, è stato pubblicato in Germania con un notevole successo tanto da raggiungere la quarta edizione.  Nel 1998 la trilogia è proposta in una versione ridotta nel ciclo Rasna, la saga del popolo Etrusco, Edizioni TEA. Questa versione nel 2001 è stata tradotta in Spagna. Sempre per Longanesi ha scritto il Ciclo dell'anno Mille, una serie di romanzi storici tradotti in Germania.

Nel 2008 esce per Armenia, in un unico volume di ottocento pagine, la trilogiaLisidrandaL'albero del mondoLe terre dell'animaLa coppa della vita, un fantasy per adulti che trae ispirazione dai miti e dalle antiche tradizioni religiose della Terra.

Nel 2010 Alàcran pubblica il romanzo storico Il Margine dell'Alba, incentrato sulle lotte di religione fra Cattolici e Valdesi nel XVI secolo, mentre Susalibri Edizioni ripropone il Ciclo dell'Anno Mille. Nell'ottobre 2012 per Rizzoli esce Absedium, Il Vento di Alesia, romanzo storico sulla Guerra di Gallia dal punto di vista dei Galli.

In ebook sono disponibili: La trilogia di Lisidranda (Delos Books), Il Ciclo dell'Anno Mille (Delos Books), Absedium, Rizzoli.

LinguaItaliano
Data di uscita27 apr 2021
ISBN9788825416008
L'ultima terra oscura

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    L'ultima terra oscura - Mariangela Cerrino

    9788867756155

    La morte non esiste: esisto io che sto morendo.

    (Andrè Malraux)

    Parte prima

    L'Ultimo Mago in Alwayr

    Capitolo primo

    Dolane restò sull'alta terrazza del Coromist di Ylan, incurante della gente che gli passava accanto e dell'aria della sera che rinfrescava. Nel tardo pomeriggio una pioggia leggera aveva pulito il cielo, e il sole era tornato a brillare prima di inabissarsi e sparire, ingoiato dai vapori della Città Bassa oltre il Canale di Stinge.

    L'urlo delle ciminiere riusciva a coprire il rumore della folla, divorata dai sessanta piani del Coromist e diluita sulla pista a spirale che portava alle botteghe, ai ristoranti, ai locali di ritrovo.

    A quell'ora la gente di Alwayr viveva frenetica, trascinandosi da un Coromist all'altro, cercando, prendendo, pagando a caro prezzo qualunque cosa: cibo, sonno, amicizia, compagnia, sesso e forse amore.

    Dolane si mosse. Lì, nel buio, non era più al sicuro: nemmeno lui, nemmeno un Mago.

    Passò vicino a un gruppetto di giovani temerari, stretti assieme in atteggiamento di sfida, e sentì il loro sguardo ostile e curioso pesargli sulle spalle. Sfidare la sorte nelle ore buie sulle alte terrazze dei Coromist era un passatempo diffuso, un gioco e una battaglia. Prendere o essere presi.

    Dolane non aveva nessun segno particolare che potesse farlo riconoscere: anche se la gente forse se lo aspettava ancora, i Maghi non rispettavano più l'antico obbligo di portare le insegne.

    Un Mago.

    Dolane rabbrividì impercettibilmente: che senso aveva essere un Mago in Alwayr? I suoi poteri ereditati e coltivati gli permettevano di entrare in simbiosi con qualunque macchina evoluta e questo lo rendeva se non altro tollerato, in un paese dipendente dalle macchine come Alwayr, dove ogni congegno era autoriparante ma dove nessuno era più in grado di intervenire sulla programmazione, se non con una simbiosi temporanea dell'uomo con la macchina. Così gli accadeva di dover intervenire sulle Macchine Guida dei Coromist, su quelle delle fabbriche e dei blocchi abitativi. In tutti gli altri paesi, che avevano respinto e disattivato le Macchine Guida da generazioni, non c'era posto per lui. L'unico rifugio era il Ghetto dei Maghi, nell'antica Sustria, dove un tempo aveva studiato, e dove non avrebbe mai potuto fare altro.

    Ma quella capacità di simbiosi non era l'unico dono del suo retaggio: un Mago poteva entrare in una mente e forzarvi emozioni, visioni, paure e sogni, e con la stessa facilità poteva rubarli; un vero Mago poteva individuare le persone nell'ombra captando le vibrazioni dell'aria e la loro carica elettrica, ma quelle non era cose che venivano insegnate, nemmeno nel Ghetto dei Maghi, perché erano stati proprio quei poteri che avevano portato alla persecuzione dei maghi e al loro esilio molto tempo prima.

    Così Dolane sentì facilmente, prima che si muovessero, la presenza dei giovani. Erano quattro, forse cinque; le loro emozioni gli pervenivano come un torrente in piena, scivolando nel buio, maligne. C'era ansia, una certa dose di paura, un'inquietudine viva, e voglia di distruggere.

    Si irrigidì un poco, continuando a camminare. Sentiva quelle emozioni invadergli ogni fibra e il fatto che non cambiasse direzione dava la misura di quanto lo avevano toccato.

    Due si erano mossi, cercando di aggirarlo. Gli altri aspettavano nell'androne delle scale che portavano alla piattaforma degli elevatori. Un cartello invitava la gente di Alwayr a non sostare sulle terrazze al cadere della notte, e le lettere luminose tremolavano, nel buio.

    Spiritosi! pensò Dolane il Mago, scivolando coma un'ombra tra i muri screpolati.

    Ma c'era qualcos'altro. Percepiva una mente acuta al lavoro: tesa, non lontana. Forse una trappola.

    – Dove vai, bello? – esclamò uno dei giovani, facendosi avanti per sbarrargli il passo.

    Dolane si fermò, le mani in tasca, gli occhi verdi impenetrabili: il ragazzo non si rendeva conto della potenziale pericolosità dell'uomo che aveva di fronte.

    Era un giovane del Quartiere dei Fiumi, di Aslobiw, a giudicare dal cuoio rigido della cintura e dalla foggia dei capelli divisi sulla fronte e adorni di nastri. Forse era venuto con la sua banda a cercare le emozioni della Città di Mezzo, e dei Coromist sfavillanti di luci e di ritrovi: un bel programma, per un giovane di Aslobiw.

    – Tu che cosa dici? – fu la sua risposta. Rimase immobile, in attesa, e avvertì un guizzo di interesse nell'altra mente che lo stava osservando. Non era un Mago: lo avrebbe riconosciuto. E tuttavia era una mente pronta e forte. E voleva lui.

    – Quelli come te non dovrebbero girare soli. Non lo sai, bello? Dov'è la tua banda? Dov'è il tuo capo? – esclamò il giovane.

    – Chi ti dice che abbia una banda e un capo? – rispose Dolane.

    – Tu non sei un guerriero; devi per forza avere una banda e un capo – insistette l'altro.

    – Le apparenze ingannano – replicò Dolane – nessuno ti ha insegnato che quello che vedi può non essere vero, e che talvolta ciò che non vedi è reale?

    Il giovane impugnò la catena che gli pendeva come ornamento dal polso destro. Alle sue spalle gli altri si fecero avanti, pronti. Sfiorandola con il pensiero Dolane sentì la lunga lama dei loro coltelli. Di scatto si mosse all'indietro, girandosi e sorprendendo i due che cercavano di attaccarlo alle spalle. Le loro mani restarono sull'impugnatura delle armi con le dita rigide. Il giovane capo alzò la catena. Dolane gli lasciò compiere il gesto, e quando lo vide con il braccio a mezz'aria lo colpì sul petto indifeso. Un solo colpo: le dita aperte e rigide nell'antico rituale di lotta sustriana. Il giovane crollò in ginocchio, boccheggiando.

    Dolane intimò agli altri di non muoversi.

    – Torna nel quartiere dei Fiumi e restaci: non troverai nulla, qui – gli ordinò quindi.

    – Che ne sai di quello che voglio trovare!

    – So quello che puoi perdere: la vita, per esempio.

    – Che ti importa? Tu ci uccideresti volentieri – replicò il giovane.

    Dolane annuì. Il giovane non aveva torto; era così che andavano le cose. Come poteva spiegargli che in quel caso si sbagliava?

    Allentò la stretta mentale che aveva su di lui, ma non quella sui suoi compagni.

    – Vattene. I tuoi amici ti seguiranno non appena sarai fuori dal Coromist: non ti fermare.

    – Come fai a essere certo che ti obbedirò? – controbatté il giovane con aria di sfida.

    – Prova a non farlo.

    Il giovane si sollevò a fatica. Si sentiva come se il sangue gli si fosse fermato nelle vene, e avvertiva l'intorpidimento doloroso di tutto il corpo.

    – Che cosa mi hai fatto?

    – Ti ho colpito… e ti ho battuto – gli spiegò Dolane.

    – Nessuno mi ha mai battuto!

    – Te l'ho detto. Talvolta anche ciò che non vedi è reale: vattene.

    Il tono della sua voce si era abbassato. Il giovane girò sui tacchi e infilò le scale, ma nessuno dei suoi compagni tentò di liberarsi dalla presa del Mago per seguirlo. Già non era più un capo.

    – Come si chiama? – chiese Dolane al giovane più vicino. Era esile e portava una maschera sul viso, come le donne e come i giovani che volevano sembrare femmine. Forse era davvero una ragazza.

    – Maces – mormorò il giovane, con una voce acuta, imprecisa, nervosa.

    Dolane li lasciò.

    – Via, tutti e quattro – ordinò.

    Si mossero, passandogli davanti e rasentando il muro. Dolane avvertì gli sguardi di alcune persone che si erano attardate sulla terrazza, e che forse avevano pregustato il combattimento, la sfida, la paura.

    L'altra presenza era sempre lì. Vigile.

    Dolane aspettò un poco e quindi tornò sulla terrazza aperta.

    Adesso era notte fonda su Alwayr. Le nubi erano tornate a distendersi, e i fuochi verdi, misti al fumo delle ciminiere lontane, oltre il Canale di Stinge, coronavano l'orizzonte come un'aurora fuori tempo.

    Si appoggiò al parapetto, lasciando che il vento gli arruffasse i capelli. Aveva lasciato che lo sfidassero, e questo non era un comportamento da Mago. La lotta con quei giovani gli aveva dato piacere, e c'era stato un momento in cui avrebbe voluto davvero annientarli.

    Annientamento.

    Si girò lentamente. Adesso lo sconosciuto di cui aveva avvertito la presenza era uscito dall'ombra protettiva dell'arcata dov'era rimasto nascosto per tutto il tempo. Era un uomo non più giovane, sottile, basso, con radi capelli biondi, e la pelle chiara arrossata, come se non fosse abituato all'aria. Gli occhi azzurri erano duri e affilati come lame.

    – Perché? – fu tutto quello che Dolane chiese, senza muoversi e senza abbassare lo sguardo.

    L'altro ebbe un gesto lieve, una specie di scusa formale, automatica.

    – Non capisco – replicò prudente.

    Dolane abbozzò un sorriso: il primo di tutta la sera.

    – Maces non avrebbe lasciato il Quartiere dei Fiumi se qualcuno non lo avesse pagato per farlo. Era la sua prima uscita; era inesperto e aveva paura.

    – Pure coincidenze – sentenziò l'uomo con una voce asciutta, dura come il suo sguardo.

    – Io non credo alle coincidenze – rispose Dolane.

    – È giusto. Allora diciamo che avevo bisogno di accertare alcune cose, per me molto importanti.

    – Se sono davvero un Mago? – chiese divertito Dolane.

    – Sei l'ultimo Mago in Alwayr. Lo so bene, ma avevo bisogno di sapere quanto dei diritti e dei doveri della tua Corporazione è rimasto in te.

    – E l'hai saputo?

    L'altro ebbe una pausa per un istante, poi si girò a guardare il buio. Il brusio della folla nell'intreccio dei passaggi e le luci scintillanti degli altri Coromist non arrivavano fin lì.

    – Sì – mormorò – sì.

    Dolane percepì la tristezza, fredda e asettica come le botteghe dei Coromist.

    – Che cosa vuoi da me?

    – Mi chiamo Alcombie – gli rispose.

    – Questa non è una risposta.

    – Lo so. Sei mai stato nel Savastrom? Hai mai visto il Doma?

    – I Maghi non fanno più parte della Guardia Assoluta del Doma: da molte ere, credo – rispose Dolane.

    – Ecco, è quello che sono io – asserì l'uomo.

    – Guardia Assoluta del Doma?

    – In un certo senso.

    – Il Doma ha bisogno di me? – chiese Dolane.

    – Alwayr ha bisogno di te. Strada facendo, ti spiegherò.

    – Strada facendo per dove? – chiese ancora Dolane.

    L'uomo finalmente sorrise: una specie di sorriso sulle labbra sottili con una parvenza di luce improvvisa negli occhi freddi.

    – Con te qualunque gioco è inutile, vero? Andiamo a casa mia, al Magel. Sei mai stato al Magel? – gli chiese a bruciapelo.

    – Qualche volta – rispose Dolane.

    Alcombie gli fece cenno di muoversi senza toccarlo. La terrazza sembrava vuota, e tuttavia Dolane percepiva pensieri come fuochi improvvisi, e piccole violenze e paura sussurrate.

    Ormai i giochi della notte erano fatti. Restavano le lunghe ore in attesa dell'alba: gli spettacoli, la musica, i sogni.

    Dolane passò in mezzo alla gente di Alwayr come un fantasma, e Alcombie scivolò dietro di lui altrettanto estraneo.

    Capitolo secondo

    La Città Alta prosperava sulla Collina del Magel tanto che, guardandola dalla baia, sembrava tutt’uno con gli edifici abbarbicati gli uni sugli altri per tutti e dodici i suoi livelli. In cima, come una corona, la sovrastava la piramide a sette livelli del Savastrom. I viali erano ancora pieni di gente, uomini che potevano dimostrare la propria identità, la propria casta dì appartenenza, il sicuro lavoro dell’indomani, la legittimità del loro vagabondare notturno: quanti potevano dire altrettanto, nel Quartiere dei Fiumi o a Stinge?

    Una leggera ma insistente acquerugiola aveva preso a cadere mentre si dirigevano verso la stazione.

    – Perché non prendiamo un veicolo invece del tauten? – bofonchiò Dolane, mentre l’acqua cominciava a cadergli nel collo.

    Alcombie si fermò girandosi – Come? – esclamò.

    – Mi sembri sincero; perfino il tuo stupore sembra spontaneo – disse il Mago con un lieve sorriso.

    – E da questo che cosa deduci? – ribatté Alcombie.

    – Non lo so: forse sei una nuova specie di Mago, o forse sei davvero sincero.

    Alcombie sostenne brevemente il suo sguardo e poi sorrise indicandogli la stazione del tauten e l’apertura luminosa che portava giù, ai tunnel di transito dei veloci convogli che servivano, sia in profondità che in superficie, tutti i quartieri.

    – Intendevi un veicolo della Guardia Assoluta? – chiese al Mago. – No, è troppo impegnativo, per quello che ho in mente di fare.

    Era quello, il punto: l’unica informazione che gli interessava. Ma l’uomo la celava saldamente. Che cosa aveva in mente di fare?

    Per il momento Dolane si rassegnò. La fretta era una cattiva consigliera.

    Alcombie registrò a suo nome il pagamento dei biglietti. Dolane percepì i dati della sua tessera luminosa, mentre la inseriva nel codificatore.

    Alcombie Harrodine

    Helsnore 24 hdf – Magen 4

    Codice identità: Z423 Corpo: Guardia Assoluta

    Grado: Comandante Qualificazione 1° Operativo: Sicurezza

    Identità Confermata

    Alcombie riprese la tessera.

    – L’hai registrata nella tua mente, Mago? – chiese, con finta indifferenza.

    – Lo sai bene che l’ho fatto.

    – Già.

    Senza più parlare aspettarono il tauten che li avrebbe portati a Magel. Al mago il silenzio non dava fastidio. C’era abituato, inoltre quel piccolo uomo irradiava un’aura di sicurezza e di autorità. Doveva essere avvezzo all’obbedienza.

    Nella stazione non c’era molta gente. Non a quell’ora e non verso il Magel. Quando arrivò, il tauten era del tutto vuoto. Per il primo lungo tratto, prima di sbucare nei giardini della Baia di Magel, correva sottoterra, intersecando decine di altre gallerie e di altri tauten luminosi. A Magen 12 si liberava dal tunnel sbucando nel verde bruciato dei giardini. Frammenti di pioggia arrivavano fin lì, strappati dal vento alle nubi perenni sulla Città di Mezzo.

    Seduto sulla sua poltroncina, Alcombie parve rilassarsi.

    – Sei armato? – chiese all’improvviso.

    Dolane gli sedeva di fronte e non staccò lo sguardo dall’ampia finestra, dove i giardini correvano via senza che potesse vederli.

    – Sai bene che lo sono. Come Mago ho il diritto di portare l’arma della Corporazione – fu la sua risposta.

    – Hai mai ucciso?

    – Uccidere non è usanza dei Maghi.

    – Così non hai mai ucciso.

    Dolane questa volta girò il viso per guardarlo. – No – rispose.

    – Può accaderti di doverlo fare.

    – Lo so.

    Alcombie assentì gravemente. Adesso il tauten rallentava, inerpicandosi lungo i primi contrafforti del Magel.

    Dolane non era mai stato a Magen 4: troppo in alto, troppo vicino al Potere. Di certo l’altro lo sapeva, ma non gliene importava nulla.

    La stazione d’arrivo era molto meno vistosa di quelle della Città di Mezzo, e anche più piccola. Quando sbucarono nella notte Dolane avvertì l’aria fresca e pulita dell’alta quota, e un vento leggero, che spazzava la strada senza trovare rifiuti.

    Non c’era nessuno. La strada saliva ancora, facendo una curva.

    – È molto tranquillo, qui – mormorò Dolane.

    – E soltanto apparenza. Non sempre quello che si vede è reale. Ma non devo essere io a insegnartelo, non è così?

    Dolane sorrise. L’altro era diventato meno teso. Dopotutto quello era il suo quartiere: doveva sentirsi al sicuro, lì.

    L’edificio era una costruzione piccola e bassa, tra il verde marrone degli alberi e le foglie cadute tutt’attorno, che avevano formato uno spesso tappeto scricchiolante.

    Alcombie lo precedette all’interno, accese le luci e gli indicò una comoda poltrona. La stanza era piccola, raccolta, con alte finestre aperte, ma non c’era niente attorno che facesse pensare a una abitazione.

    L’uomo tuttavia aveva detto casa. E aveva pensato casa.

    Alcombie versò in due bicchieri un po’ di vino scuro, brillante.

    – Qualcosa non va? – mormorò porgendoglielo.

    – Mi sto chiedendo se questo posto ha così poco di te perché non ci vivi, oppure perché sei tanto abile da non lasciare in giro i tuoi pensieri.

    – Ambedue le cose, temo. Questa è davvero la mia casa, ma non ci passo tutto il tempo che vorrei. Per quanto riguarda i miei pensieri, non è davvero il caso di lasciarli in giro incustoditi.

    Adesso sorrideva, ma solo con le labbra: gli occhi erano specchi freddi.

    – Mi hai fatto sorvegliare abbastanza per sapere su quale Coromist potevi trovarmi e hai pagato Maces e la sua banda soltanto per vedere le mie reazioni. Valgo davvero tanto?

    – Se questo è un modo indiretto per conoscere la mia opinione su di te, la risposta è sì: vali moltissimo.

    – Che cosa sai davvero di me? – chiese il Mago.

    – Sei nato a Glysendia, trent’anni fa. Hai avuto la tua educazione alla Scuola dei Maghi di Sustria. Istituto discutibile, ma indubbiamente utile: l’hai abbandonato tre anni fa, venendo a vivere qui. Sei regolarmente iscritto, paghi le tasse ed eserciti con scrupolo e onestà la tua professione. Sei un uomo pulito. Hai rapporti sessuali regolari e normali secondo l’uso di Alwayr, ma nessun legame fisso. Non hai nemmeno amicizie, ma questo fa parte dell’etica di un Mago, se non sbaglio.

    – Conosci anche le mie tariffe, suppongo – ribadì Dolane.

    – Assolutamente in regola. Te le raddoppierò, per questo lavoro.

    – Quale lavoro?

    – Uno semplice, per cominciare. Andare a prendere un uomo, non importa come, e portarmelo qui. Vivo.

    – Vuoi farmi credere che la Guardia Assoluta non dispone di uomini capaci di farlo? – chiese Dolane.

    – Certo, la Guardia Assoluta dispone di molti uomini. Ma a me serve un Mago.

    Spinse verso di lui la scheda, con i caratteri in rilievo che brillavano lievemente. Dolane l'immagazzinò nella mente senza quasi vederla, e tuttavia la prese, e sfiorò con la punta delle dita l’immagine dell’uomo. Era giovane quanto lui; anzi, più giovane di un anno, si corresse. I capelli neri erano cortissimi, gli occhi blu, le labbra imbronciate… attorno a lui aleggiava un’aura di morte.

    Elvere Phails

    Codice identità: YY22h. Corpo: Mercenari

    Grado: Combattente

    Ultimo incarico: Gafai Rientrato 42.22.05

    Indirizzo attuale: Blocco 45hg Stinge

    Recapito permanente: Orwena Palace, Basse di Stinge

    – È lui che vuoi? – domandò Dolane.

    – Sì.

    – Non è molto che è rientrato.

    – E un guerriero abile, ma è spietato e crudele. È un solitario.

    – E vive nel Quartiere di Stinge? Difficile essere solitari in quel posto.

    – Da quando è tornato, abita lì. Ma è sempre in giro alla ricerca di cibi raffinati e belle donne.

    – E si dedica a questa ricerca con tenacia, scommetto – commentò Dolane.

    – Così pare.

    Dolane si alzò, si mosse. Ancora non riusciva a sottrarsi al disagio di una casa tanto spoglia di emozioni.

    – Quando te lo devo portare? Domani?

    – No. Subito.

    – Nel Quartiere di Stinge, di notte? – esclamò

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