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Storie curiose da un mondo in cortocircuito
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Storie curiose da un mondo in cortocircuito
E-book118 pagine1 ora

Storie curiose da un mondo in cortocircuito

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Info su questo ebook

Questo volume, contiene una raccolta di componimenti brevi o brevissimi, con le tematiche più disparate, che suscitano sorriso, paura, sbigottimento e spesso immedesimazione, raccontano un mondo contemporaneo con mille sfaccettature e stranezze, analizzano personaggi talvolta fantastici, molto spesso famigliari o parte integrante della società. Un filo comune unisce queste storie dal mondo in corto circuito: una vena costante di ironia e grottesco, che rende la lettura un viaggio in un universo spiazzante e curioso.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2020
ISBN9788831684590
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    Anteprima del libro

    Storie curiose da un mondo in cortocircuito - Luca Giovanni Caneva

    Al­len

    CIN­GO­LA­TI VS EDEN 10-0

    Pro­fu­mo di bo­sco in fio­re, un usi­gno­lo si po­sa su una fo­glia umi­da per be­re goc­ce di ru­gia­da, le far­fal­le sven­to­la­no le lo­ro ali spez­zan­do i rag­gi del so­le po­sa­ti sul­la pla­ci­da ve­ge­ta­zio­ne, i co­lo­ri de­gli al­be­ri di­ven­ta­no sem­pre più mu­te­vo­li con l'avan­za­re dell'au­tun­no e la­scia­no sul ter­re­no il lo­ro man­tel­lo di pe­ta­li in­gial­li­ti, che ren­de la cam­mi­na­ta un so­gno ri­las­san­te, su quel dol­ce tap­pe­to mor­bi­do. Ra­pi­di e fur­ti­vi, due sco­iat­to­li dal ful­vo pe­lo scu­ro, sal­ta­no tra le ra­di­ci, qua e là rin­cor­ren­do­si, al­la ri­cer­ca di un ve­lo­ce spun­ti­no, men­tre dal suo ni­do amo­re­vo­le una gaz­za, scru­ta at­tor­no, in at­te­sa di par­ti­re a fa­re prov­vi­ste per la sua pic­co­la pro­le.

    La pa­ce in­con­tra­sta­ta del fit­to sot­to­bo­sco, im­prov­vi­sa­men­te, vie­ne vio­len­ta­ta a mor­te dal ru­mo­re di die­ci gi­gan­te­schi bull­do­zer, che avan­za­no for­sen­na­ti uno a fian­co all'al­tro, con un ur­lo col­let­ti­vo di fer­ra­glia as­sas­si­na, ab­bat­ten­do ogni al­be­ro e spia­nan­do il pa­ra­di­so na­tu­ra­le, che fi­no a po­co pri­ma, ago­gna­va so­lo di vi­ve­re un al­tro gior­no di pa­ce. Do­po il pas­sag­gio dei ma­xi mo­stri ben­na­ti, ri­man­go­no ma­ce­rie, ul­te­rior­men­te ri­mos­se da squa­drac­ce di ta­glia­le­gna e gros­si ca­mion, su cui gli al­be­ri di­vel­ti ven­go­no ca­ri­ca­ti, fi­no a che in po­chi at­ti­mi la me­ga au­to­stra­da di col­le­ga­men­to ve­lo­ce ha ot­te­nu­to il suo pas­sag­gio, e dal gior­no suc­ces­si­vo il can­tie­re per la sua co­stru­zio­ne, pren­de­rà vi­ta.

    Quan­ta sof­fe­ren­za im­po­ne il no­stro pro­gres­so...

    DAM­MI UNA ZAP­PA E LA VI­TA SA­RA' ME­RA­VI­GLIO­SA

    Gior­gio Ma­ria Fi­li­ber­to Gu­sta­vo Di Bre­to­gna, era il de­si­gna­to ere­de al tro­no del­la più an­ti­ca mo­nar­chia del mon­do, no­ta per le ope­re fi­lan­tro­pi­che a fa­vo­re dei pap­pa­gal­li­ni di Cep­pa­gat­ti e del­le ostri­che ver­di dell'iso­la ocea­ni­ca di Zap­pa­cor­no. Ama­ti pro­fon­da­men­te dai lo­ro sud­di­ti che, an­che se gra­va­ti da pe­san­ti da­zi e tas­se, che per­met­te­va­no una vi­ta sfar­zo­sa ad una ric­ca cor­te di nul­la­fa­cen­ti, si fre­gia­va­no di vi­ve­re nel pae­se con l'ul­ti­mo Re an­co­ra ri­co­no­sciu­to uni­ver­sal­men­te, Este­gi­dio III Di Bre­to­gna spo­sa­to con la Re­gi­na Isa, ex fo­to­mo­del­la, ex bal­le­ri­na, ex aspi­ran­te show girl, ex aspi­ran­te can­tan­te, ex aspi­ran­te.

    Gior­gio, co­sì lo chia­me­re­mo da ora in­nan­zi, era fi­glio uni­co, non par­ti­co­lar­men­te al­to, non par­ti­co­lar­men­te bel­lo, non par­ti­co­lar­men­te in­tel­li­gen­te, non par­ti­co­lar­men­te e ba­sta.

    Don­ne, mai vi­ste in vi­ta sua, la vi­ta di cor­te lo co­strin­ge­va a fre­quen­ta­re una se­rie di per­so­nag­gi quan­to mai di­stan­ti dal­la sua per­so­na, fal­si, pre­con­cet­ti e op­por­tu­ni­sti, ma lui ot­tem­pe­ra­va i suoi im­pe­gni mo­nar­chi­ci me­glio che po­te­va, ov­via­men­te con­tro vo­glia.

    L'uni­ca per­so­na che ama­va fre­quen­ta­re e con cui tra­scor­re­va mol­to tem­po, era il ca­po giar­di­nie­re Astol­fo, un vec­chio si­gno­re con una fol­ta bar­ba ros­sa che cu­ra­va l'im­men­sa area ver­de che cir­con­da­va l'an­ti­co ca­stel­lo in ci­ma al­la col­li­na, la mo­de­sta di­mo­ra del­la ca­sa­ta, vi­si­bi­le da ogni an­go­lo del re­gno. Con il giar­di­nie­re par­la­va vo­len­tie­ri, per­ché era una per­so­na sin­ce­ra e schiet­ta, ric­ca di sag­gez­za e buo­nu­mo­re, a cui chie­de­va pa­re­re pri­ma di fa­re ogni co­sa, su qual­sia­si ar­go­men­to lo tro­va­va pron­to e pre­pa­ra­to a sug­ge­ri­re so­lu­zio­ni e con­si­gli, es­sen­do Gior­gio estre­ma­men­te in­si­cu­ro e an­sio­so.

    Ado­ra­va se­gui­re Astol­fo nel suo quo­ti­dia­no la­vo­ro nei giar­di­ni di fa­mi­glia, e ap­pren­de­re ogni se­gre­to del suo me­stie­re, che fos­se la po­ta­tu­ra, la ra­sa­tu­ra dei pra­ti o co­me cu­ra­re i fio­ri e le pian­te, e nel cor­so de­gli an­ni tal­vol­ta, ave­va svol­to qual­cu­no di que­sti com­pi­ti sot­to lo sguar­do com­pia­ciu­to del vec­chio che non le­si­na­va mai nuo­vi sug­ge­ri­men­ti e spie­ga­zio­ni re­la­ti­vi al giar­di­nag­gio.

    Spes­so il pa­dre di Gior­gio, lo ave­va ri­chia­ma­to ad oc­cu­par­si di più agli af­fa­ri di fa­mi­glia e smet­te­re di tra­scor­re­re tut­to il suo tem­po al se­gui­to del vec­chio, ma il gio­va­ne ave­va un ca­rat­te­re chiu­so e re­frat­ta­rio a fre­quen­ta­re quel­la ple­to­ra di por­ta­bor­se lec­ca­pie­di e pu­sil­la­ni­mi, che ron­za­va at­tor­no al ca­stel­lo e al­la ca­sa­ta rea­le più po­ten­te di sem­pre.

    In­som­ma, Gior­gio so­gna­va di ave­re una vi­ta nor­ma­le fuo­ri dal ca­stel­lo e di fa­re il giar­di­nie­re, ma­ga­ri in un po­sto do­ve nes­su­no sa­pes­se chi era e do­ve avreb­be po­tu­to da­re sfo­go al­le pro­prie aspi­ra­zio­ni di co­strui­re i giar­di­ni più bel­li e sfar­zo­si, con fio­ri mul­ti­co­lo­re, pian­te ri­go­glio­se e fon­ta­ne, la­ghet­ti, pic­co­li ri­ga­gno­li, che avreb­be­ro at­tra­ver­sa­to di­ste­se di pra­ti a per­di­ta d' oc­chio, in cui an­zia­ni, bam­bi­ni e fa­mi­glie in­te­re avreb­be­ro go­du­to i frut­ti del suo ama­to la­vo­ro.

    Chia­ra­men­te le sue aspi­ra­zio­ni an­da­va­no a col­li­de­re con quel­lo che la ca­sa­ta gli im­po­ne­va, per con­sue­tu­di­ne, es­sen­do ol­tre­tut­to uni­co fi­glio del Re, il suo de­sti­no era se­gna­to, avreb­be ere­di­ta­to la co­ro­na e avreb­be gui­da­to il pae­se quan­do il pa­dre sa­reb­be pas­sa­to a mi­glior vi­ta.

    Este­gi­dio, l'ama­to Re, ave­va già una cer­ta età, qual­che ac­ciac­co e pro­ble­mi di sa­lu­te, cam­mi­na­va con il ba­sto­ne, ma il suo pi­glio era an­co­ra fie­ro e au­to­ri­ta­rio sia con i sot­to­po­sti che con la sua ama­ta fa­mi­glia, che co­man­da­va a bac­chet­ta e a cui non per­do­na­va ogni più pic­co­lo er­ro­re.

    Un gior­no nel cor­so di uno sfar­zo­so ri­ce­vi­men­to uf­fi­cia­le nel ca­stel­lo rea­le, si dif­fu­se una no­ti­zia che avreb­be in po­co tem­po scon­vol­to il re­gno e i suoi sud­di­ti...

    La scom­par­sa del prin­ci­pi­no Gior­gio, vi­sto an­da­re in ba­gno dal­la mam­ma e poi mai più rien­tra­to al ri­ce­vi­men­to, do­ve era at­te­so un suo di­scor­so uf­fi­cia­le, in cui avreb­be do­vu­to an­nun­cia­re tas­se an­co­ra più pe­san­ti per gli abi­tan­ti del re­gno, che avreb­be­ro fi­nan­zia­to la co­stru­zio­ne di una gi­gan­te­sca sta­tua del Re Pa­dre, sul­la col­li­na an­ti­stan­te il ca­stel­lo, con con­se­guen­te ab­bat­ti­men­to di una doz­zi­na di ca­se di po­ve­ri brac­cian­ti.

    Le con­get­tu­re più di­spa­ra­te fu­ro­no fat­te sul­la scom­par­sa, chi par­la­va di se­que­stro di per­so­na, chi di fu­ga d'amo­re, su­bi­to esclu­sa, chi di cri­si mi­sti­ca che po­te­va ave­re col­pi­to il prin­ci­pi­no e por­tar­lo a com­pie­re ge­sti in­con­sul­ti, op­pu­re un al­lon­ta­na­men­to vo­lon­ta­rio per mo­ti­vi oscu­ri ai più, es­sen­do sta­to Gior­gio sem­pre mol­to ava­ro di ester­na­zio­ni su se stes­so.

    Ave­va sem­pre svol­to i suoi com­pi­ti con di­li­gen­za, ob­be­di­to agli or­di­ni del Re e ot­tem­pe­ra­to al­le in­com­ben­ze che il suo ruo­lo ri­chie­de­va, an­che se mol­ti lo con­si­de­ra­va­no pri­vo del­la giu­sta per­so­na­li­tà per rac­co­glie­re l'ere­di­tà del pa­dre e i più ma­li­gni sup­po­ne­va­no fos­se omo­ses­sua­le, per via del pi­gro di­sin­te­res­se per qual­sia­si don­na di al­to ran­go, che gli era sta­ta nel cor­so de­gli an­ni pre­sen­ta­ta a sco­po di fi­dan­za­men­to. In real­tà Gior­gio si sen­ti­va sof­fo­ca­to dal mon­do di cor­te, do­ve era una ani­ma per­sa in un fiu­me di ipo­cri­sia dif­fu­sa, ed era re­frat­ta­rio a sta­bi­li­re re­la­zio­ni con per­so­ne che non ave­va­no nul­la da con­di­vi­de­re con lui, ec­cet­to il vec­chio Astol­fo, che ri­ma­ne­va l'uni­co pun­to fer­mo nel­la sua tri­ste vi­ta, e a cui ave­va aper­to il suo cuo­re e con­fi­da­to ama­rez­ze ed aspi­ra­zio­ni.

    La fu­ga dal ca­stel­lo fu ra­pi­da e pas­sò inos­ser­va­ta, per­ché gra­zie agli an­ni in cui ave­va se­gui­to i la­vo­ri di giar­di­nag­gio, Gior­gio ave­va im­pa­ra­to ogni pas­sag­gio, sen­tie­ro o cu­ni­co­lo del­la im­men­sa te­nu­ta rea­le e riu­scì ad usci­re sen­za che né te­le­ca­me­re, ne ser­vi­zio d'or­di­ne po­tes­se­ro in­ter­cet­tar­lo.

    Ave­va ru­ba­to dal gran­de ca­pan­no de­gli at­trez­zi al­cu­ni abi­ti dei brac­cian­ti che la­vo­ra­va­no quo­ti­dia­na­men­te al ser­vi­zio del Re, e do­po es­ser­si ca­la­to un cap­pel­lac­cio sul­la te­sta si in­cam­mi­nò ver­so il vil­lag­gio più vi­ci­no, do­ve Astol­fo, ave­va or­ga­niz­za­to di ospi­tar­lo in una abi­ta­zio­ne di un suo ca­ro ami­co, lon­ta­na dal­la stra­da prin­ci­pa­le, in cui avreb­be po­tu­to ri­ma­ne­re fi­no a quan­do de­si­de­ra­va. Quan­do il gio­va­ne rag­giun­se con cir­co­spe­zio­ne il suo ri­fu­gio, co­min­ciò con­tem­po­ra­nea­men­te a pen­sa­re a una so­lu­zio­ne per uscir­ne al più pre­sto, per­ché se al ca­stel­lo si sen­ti­va in gab­bia, ades­so la si­tua­zio­ne non era mi­glio­ra­ta, se non per il

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