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La vedova del soldato: Harmony History
La vedova del soldato: Harmony History
La vedova del soldato: Harmony History
E-book231 pagine3 ore

La vedova del soldato: Harmony History

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Info su questo ebook

The Yelverton Marriages 2
Inghilterra, 1814
Tra Alaric Defford, Visconte Stratford, e Mrs. Marianne Turner è attrazione al primo sguardo, ma le loro differenze di classe rendono impossibile qualsiasi legame tra un lord altezzoso e la vedova di un soldato. Costretto da un incidente a rimanere immobile in casa del fratello di Marianne, Alaric si sente sempre più attratto da lei, eppure il senso dell'onore lo trattiene dal farle proposte sconvenienti. Una volta guarito, le offre un impiego sotto il proprio tetto, come dama di compagnia della nipote Juno. In questo modo spera di riuscire a tenere sotto controllo la tentazione e, con il tempo, di vincere le resistenze della donna ostinata e coraggiosa che ha imparato ad amare.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2020
ISBN9788830516960
La vedova del soldato: Harmony History
Autore

Elizabeth Beacon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La vedova del soldato - Elizabeth Beacon

    successivo.

    1

    Alaric Defford, Visconte Stratford, notava a malapena la campagna intrisa di pioggia che stava attraversando a cavallo, e le colline velate dalle nubi che emergevano lentamente dalla foschia.

    Maledetta pioggia!, imprecò tra sé, spinto a proseguire da un'urgenza implacabile.

    Trovare sua nipote era tutto quello che contava, e la pioggia della notte precedente gli aveva fatto perdere ore preziose. Aveva trascorso il tempo camminando avanti e indietro in un granaio ai margini della strada, impaziente di scorgere uno spiraglio di luce. Come poteva dormire, quando sua nipote si era persa in un diluvio? In quella stagione le notti erano brevi, e la pioggia era finalmente cessata, ma a quell'ora Juno poteva vagare per le colline, sola, sperduta e bagnata fino al midollo. Anche se avesse trovato rifugio in casa di estranei, sarebbero stati gentili, con lei, o ne avrebbero approfittato per ottenere del denaro?

    Scosse il capo per scacciare dalla mente il pensiero che la nipote potesse essere trattenuta da furfanti intenzionati a chiedere un riscatto, o giacesse da qualche parte, ferita e in preda alla febbre, e avesse bisogno di lui. Era doloroso pensare di averla tradita ancora una volta.

    Come aveva potuto pensare di lasciare Juno alle cure di sua madre, mentre si recava a Parigi per assistere il Duca di Wellington nel suo nuovo incarico di ambasciatore britannico in Francia? Anche se i realisti – e persino alcuni ex bonapartisti – corteggiavano il duca, Parigi era pur sempre la capitale di Bonaparte. Alaric non capiva come qualcuno potesse ritenere sicuro mandarci uno dei nemici dell'imperatore sconfitto. Non era il momento di pensare alla politica, però. Juno era la sua priorità. Per fortuna, il suo agente londinese l'aveva avvisato che c'era qualcosa che non andava, a casa sua, così stava già tornando indietro quando Juno era fuggita.

    E chi potrebbe biasimarla, quando la sua vita era intollerabile e tu eri impegnato a sentirti importante altrove, Stratford? Che tutore affidabile ti sei dimostrato!

    Non c'era da stupirsi che la nipote orfana fosse fuggita per raggiungere la sua ex governante, Miss Grantham, che ora viveva nella cittadina ancora addormentata che si intravedeva in lontananza.

    Ormai Alaric non poteva più sfuggire alla verità. Da quando aveva ereditato il titolo, aveva trascurato sua nipote per recarsi in posti in cui non voleva davvero andare e fare cose che non aveva bisogno di fare, soltanto per sfuggire alla madre e a tutto il freddo e l'amarezza che aveva lasciato nella sua vita. Era un vero codardo, concluse, guardando la sonnolenta cittadina dell'Herefordshire che si stava avvicinando.

    Poteva capire perché Juno avesse scelto di rifugiarsi in quel posto tranquillo, così lontano dall'elegante Mayfair. Miss Grantham doveva esserle sembrata la migliore alleata, in un momento di crisi. Per quattro anni si era presa cura di lei e le aveva fatto da guida, quando lui non c'era. La sua unica nipote non aveva pensato di rivolgersi a lui in cerca di aiuto, quando Lady Stratford aveva deciso di darla in moglie, contro la sua volontà, a un ricco nobile di mezza età, disposto a pagare bene per una moglie giovane e la prospettiva di avere un erede.

    «Sul mio cadavere!» giurò Alaric, mentre l'impazienza e il senso di colpa gli facevano sembrare interminabile la distanza che lo separava da Broadley. Il cavallo doveva farsi strada tra i solchi e le buche allagate, e sarebbe stato sconsiderato e crudele spronarlo. Come osavano due aristocratici egoisti cercare di imporre un'unione così ripugnante a una giovane timida e innocente? Quando aveva organizzato il debutto in grande stile di Juno, finanziando un nuovo guardaroba elegante per lei e per sua madre, Alaric non aveva mai pensato di obbligarla a sposarsi contro la sua volontà. Desiderava solo che conoscesse persone della sua età, che le insegnassero a prendere la vita meno sul serio. Che si facesse degli amici e capisse che, sotto la patina scintillante, il ton era composto da esseri umani con i difetti, le virtù e le debolezze di tutti.

    Il debutto era un rito di passaggio, aveva ragionato, un'esperienza che Juno avrebbe dovuto attraversare comunque, quindi meglio farlo subito, piuttosto che trasformarlo in un temuto calvario. Non voleva si mormorasse che c'era qualcosa che non andava, nell'unica figlia dell'ultimo Visconte Stratford, se la famiglia rimandava il suo ingresso in società.

    Sapeva che Juno era una giovane intelligente, che sapeva essere brillante e disinvolta, quando si sentiva a suo agio in compagnia, perché l'aveva sentita ridere e chiacchierare con Miss Grantham mentre passeggiavano nel parco e nei giardini di Stratford. In certi momenti, lui stesso era riuscito a vincere la sua diffidenza e la sua timidezza, ma non si conoscevano abbastanza da sentirsi a loro agio, insieme. Cosa di cui non poteva incolpare che se stesso, come di molte altre cose che non erano andate bene, nella vita di Juno, quando lui era stato impegnato altrove.

    Ormai aveva raggiunto la periferia della cittadina. Per fortuna, era abbastanza piccola da consentirgli di trovare facilmente il centro, così guidò il cavallo, stanco e infangato, fino al cortile di una locanda di posta, dove diede una mancia a un garzone ancora assonnato perché si prendesse cura dell'animale come meritava, dopo tanta fatica.

    «Conosci Milton Cottage?» domandò al giovane, che osservava i suoi abiti inzaccherati grattandosi il capo, come se non avesse mai visto niente di simile.

    «Sì.»

    «Dove si trova?» L'impazienza e la preoccupazione resero duro il tono di Alaric. Si sarebbe buttato sul primo mucchio di fieno per dormire una settimana intera, ma non poteva farlo finché non si fosse assicurato che Juno era sana e salva.

    «Laggiù.» Il giovane indicò una zona di case dall'aspetto più dignitoso a est della città.

    «Quale via?» domandò Alaric, non volendo perdere tempo a chiedere in ogni casa lungo la strada.

    «Sul lato della collina verso Silver Square. Vedete quel gruppo di piccole case quasi fuori città, vicino al palazzo più alto?» Alaric annuì. «Milton Cottage è più o meno al centro.»

    «Grazie.» Alaric gettò al garzone un'altra moneta, prima di avviarsi più in fretta che poteva. Il sole si stava alzando, finalmente, ma non poteva attendere un'ora più rispettabile per sapere se Juno era al sicuro con la sua ex governante.

    Era difficile definirla una piazza. L'unica casa degna di una seconda occhiata era la costruzione più grande, che occupava l'intero lato sud dello slargo, con una fila di case più basse ad angolo retto su entrambi i lati. L'altro lato si apriva alla vista della pianura, dove si potevano intravedere le colline lontane. Probabilmente era un bel panorama, in una giornata limpida. Quel giorno, solo pochi raggi di sole penetravano dalle nubi rimaste dopo il temporale notturno. Alaric socchiuse gli occhi contro il bagliore mentre picchiava il batacchio di lucido ottone abbastanza forte da convincere chi di dovere ad alzarsi dal letto e aprire.

    Stava per bussare di nuovo, incurante di disturbare il sonno di persone rispettabili, quando udì dei movimenti dall'interno, seguiti dal rumore del catenaccio che scivolava e di una chiave che girava nella serratura. Finalmente, mormorò tra sé, fissando torvo il piccolo spiraglio che si era aperto, dal quale due occhi azzurri lo fissavano con diffidenza.

    Alaric batté le palpebre per assicurarsi che non fosse una visione evocata dalla stanchezza, ma la donna era sempre lì, e lo fissava come se fosse la cosa peggiore che potesse capitarle aprendo la porta in qualsiasi momento del giorno, per non parlare di quell'ora mattutina. Santo cielo, cosa gli prendeva? Non era mai stato il tipo da adocchiare con bramosia le cameriere e approfittare di loro in un angolo buio. Eppure, anche mentre si ordinava di distogliere lo sguardo e di ricordare il motivo per cui si trovava lì, non poteva fare a meno di fissare la donna come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto e non riuscisse a saziarsi della sua vista.

    Un raggio di sole filtrava nel corridoio da una porta aperta alle sue spalle e faceva brillare come oro i capelli color miele. Alta e flessuosa, aveva gli occhi di un azzurro chiaro che ricordava i nontiscordardimé. La donna ricambiò il suo sguardo, battendo le palpebre alla luce del mattino.

    Doveva aver dormito nell'abito scuro che indossava, e i capelli, ancora sciolti sulle spalle, gli facevano venir voglia di allungare la mano per scoprire se erano davvero morbidi come sembravano. Il viso era un ovale perfetto, con lineamenti delicati e un naso altezzoso, ma era soprattutto la bocca ad attirare lo sguardo di Alaric come una calamita, facendogli desiderare cose del tutto fuori luogo. Si sforzò di respingere l'idea di baciare quelle labbra invitanti, mentre si chiedeva come una donna dall'aria così determinata potesse prendere ordini e fare da serva a presunti superiori. Come sarebbe stato bello baciare quella bocca morbida e ancora segnata dal sonno, fino a cancellare le differenze tra un aristocratico e una semplice cameriera, e provare la sensazione di aver finalmente trovato il posto al quale era destinato!

    Ancora mezza addormentata, Marianne Turner si era svegliata del tutto udendo bussare con insistenza alla porta, ed era corsa ad aprire prima che, chiunque fosse, bussasse di nuovo. Per un istante la speranza che fosse la giovane scomparsa aveva avuto la meglio sulla stanchezza, ma poi la ragione le aveva detto che la mano che aveva azionato il batacchio era troppo forte. Con un sospiro di delusione, aveva aperto la porta, cercando di fare il minor rumore possibile.

    «Era ora!» borbottò una profonda voce maschile non appena lei ebbe schiuso il battente.

    Vedendo lo sconosciuto sulla soglia, Marianne scosse la testa, incredula. La faceva passare per incapace perché non era accorsa più in fretta, quando era lui a essere un gran villano, presentandosi a quell'ora del mattino.

    «Che cosa pensate di fare, tempestando la porta di una signora al canto del gallo? Sveglierete tutta la strada.» Marianne batté le palpebre di fronte all'uomo non rasato e sporco di fango che stava sulla soglia come se avesse tutto il diritto di andare dove voleva e svegliare chiunque senza curarsi dell'ora. Lo fulminò con lo sguardo e si rese conto che c'era un bel po' da guardare. «Dovete pur avermi sentita trafficare con il catenaccio. Non sapete che cosa sono le buone maniere?» chiese.

    «Non con i domestici incapaci. Ora sbrigatevi a farmi entrare e dite a Miss Grantham che devo parlarle» ordinò l'uomo, come se si aspettasse di vederla scattare ai suoi comandi.

    «No.» Marianne si rifiutò di lasciarsi intimorire dalla sua arroganza e dal suo fisico imponente.

    Per fortuna, lo sconosciuto non poteva sapere che Fliss Grantham non era al piano di sopra, pacificamente addormentata nel suo letto, ma era rimasta bloccata dalla tempesta sulle colline intorno a Broadley. Il fratello di Marianne, Darius, era andata a cercarla, e la cameriera di Miss Donne gli aveva spiegato che c'era una capanna di pastori in cui avrebbero potuto trovare rifugio dal diluvio. In cuor suo Marianne era stata felice: adesso i due avrebbero dovuto ammettere la potente attrazione che li legava. Dopo una notte da soli sulle colline, si sarebbero dovuti sposare, ed era una buona ragione per sentirsi allegra, quel mattino. Solo che quel maleducato sconosciuto, con la barba lunga e gli abiti sciupati dal viaggio, aveva spinto uno stivale infangato nell'ingresso, mentre lei stava pensando a Fliss e a Darius, quindi adesso non poteva sbattergli la porta in faccia.

    E poi c'era la giovane pupilla di Fliss, Juno Defford, che non era ancora rientrata dopo una notte di pioggia torrenziale. Marianne aveva cose molto più importanti da fare che chiedersi che aspetto avrebbe avuto quell'arrogante se si fosse mostrato pulito e ben rasato, anche se non poteva negare di trovarlo affascinante. «Andate a fare un bagno e a radervi, poi tornate a un'ora più opportuna» ordinò con impazienza. «Ma solo se avete intenzione di fare domande in modo civile. La vostra pretesa che siamo tutti ai vostri ordini è indisponente, senza contare che abbiamo già abbastanza preoccupazioni.»

    Abbassò lo sguardo al suo piede, nella speranza che lui lo ritraesse, ma non fu così fortunata. Evidentemente quell'individuo era privo di buone maniere, e non aveva alcuna considerazione per la riservatezza di una signora. Cercò di non battere le palpebre di fronte allo sguardo d'aquila con cui la stava esaminando, ma era molto alto, e Marianne non era abituata a guardare un uomo così dal basso. Osservò la sua struttura imponente sotto gli abiti sporchi e arricciò il naso per fargli capire cosa pensasse del suo aspetto impresentabile.

    I lineamenti erano scolpiti e aristocratici, e i baffi gli conferivano l'aria di un pirata, o di un duellante implacabile. Sembrava un guerriero, piuttosto che un ricco gentiluomo, come facevano pensare il suo accento e la qualità dei vestiti, nonostante la sporcizia. Quasi lo preferiva così, perché le veniva da stringere i pugni per l'indignazione di fronte ai nobili ricchi e alla moda, che davano per scontato il lusso di cui godevano, quando così tante persone non possedevano altro che stracci.

    «Devo parlare subito con Miss Grantham» dichiarò lui con l'alterigia di un sovrano. Quando lei non replicò, aggiunse, con una voce profonda che le trasmise un brivido lungo la spina dorsale: «Di affari personali. Fatemi la cortesia di farmi entrare senza ulteriori indugi, poi andate a riferire a Miss Grantham che sono qui. Non importa se è vestita o no, è urgente».

    «No di certo» rifiutò Marianne, incrociando le braccia al petto per chiarire che non sarebbe andata da nessuna parte.

    Sarebbe rimasta lì finché non si fosse svegliata mezza città, se necessario, e non aveva intenzione di riferire a quello sconosciuto arrogante che Fliss era stata fuori tutta la notte con un uomo che adesso sarebbe stata costretta a sposare, se voleva salvare il suo buon nome.

    Lui continuava a fissarla, apparentemente determinato a non muoversi di lì finché non avesse ottenuto ciò che voleva. Marianne provò un moto di compassione per le ombre scure sotto gli implacabili occhi azzurri e le linee di stanchezza ai lati della bocca. Sembrava che avesse combattuto contro gli elementi e la stanchezza per arrivare fin lì. Non era abbastanza bagnato da far pensare che si fosse trovato fuori in piena tempesta, ma sembrava che non avesse dormito molto da giorni.

    Per un breve istante le ricordò Daniel, il suo ex marito, dopo troppi giorni di marcia serrata, ma non era il momento di intenerirsi o rimpiangere ciò che aveva perduto, e quell'uomo non aveva bisogno della sua pietà. Il ricordo di quanto si era sentita esausta, dopo giorni al seguito dell'esercito nella Penisola Iberica, non l'avrebbe aiutata a essere obiettiva nei suoi confronti. E quello sconosciuto arrogante non aveva nulla in comune con il galante e gentile sergente Daniel Turner. Ricordò a se stessa che gli abiti sporchi che indossava erano della migliore qualità, e nessuna quantità di denaro gli dava il diritto di presentarsi all'alba in casa di una signora rispettabile e dare ordini perentori.

    «Andate alla locanda e dormite un po'» lo esortò in tono brusco. «Se cadrete sulla soglia, almeno i mozzi di stalla e il locandiere potranno portarvi nel fienile. Se crollerete qui, dovremo lasciarvi sul posto finché non vi sveglierete.»

    «Immagino pensiate di difendere la riservatezza della vostra padrona, ma la vita di una giovane donna potrebbe dipendere dal fatto che facciate ciò che vi chiedo» la informò lui con esagerata pazienza, come se si trattenesse dallo spazzarla via come una mosca fastidiosa.

    «Non sono una cameriera, sciocco» ribatté Marianne, sentendo crescere l'irritazione. Doveva aver valutato gli abiti spiegazzati e i capelli in disordine per decidere che non valeva niente.

    «Chi siete, allora?» abbaiò lui con impazienza.

    «Un'amica di Miss Grantham e della sua ex governante, Miss Donne, e voi state violando la sua intimità presentandovi a un'ora impossibile, chiedendo di vedere una signora che vive sotto il suo tetto.»

    «Al diavolo l'intimità!» L'uomo fece un sospiro di esasperazione. Sembrava deciso a spingerla da parte per svegliare tutta la servitù e aprire tutte le porte che incontrava finché non avesse trovato Fliss dietro una di quelle. E non avrebbe trovato altro che una stanza vuota, con un letto ben fatto. Marianne non poteva permetterlo.

    «Ditemi dove abitate, signore, così potrò organizzare un'invasione mattutina in casa vostra e vedere quanto lo apprezzerete» lo rimbeccò, facendo del proprio meglio per non batter ciglio quando lui la guardò con aria di sfida.

    «Stratford Park» rispose in tono impaziente.

    Oh, no, doveva essere il Visconte Stratford, zio e tutore di Juno Defford, oltre che ex datore di lavoro di Fliss! Si sarebbe dovuta rendere conto che solo lui poteva presentarsi a Broadley a quell'ora del mattino, facendo pesare tutta la propria autorità, quando qualcuno non si affrettava a obbedire ai suoi ordini. Si supponeva che fosse a Parigi, per dare del filo da torcere ai Francesi, e invece eccolo lì sulla soglia di Miss Donne, a dare del filo da torcere a lei.

    «Così siete voi l'idiota che ha dato origine a tutto questo pasticcio.» Marianne gli lanciò un'occhiata torva, che diceva cosa pensasse di lui, per aver trascurato una giovane donna affidata alle sue cure.

    «Può darsi» replicò lui con aria stanca, sfilando un guanto per passarsi la mano sugli occhi.

    «Siete davvero Lord Stratford?» gli chiese Marianne, inarcando un sopracciglio per fargli capire che il suo titolo non la impressionava.

    «Sì, e voi mi state ancora impedendo di entrare. Chiunque siate, pare sappiate molte cose di me, anche se non ci siamo mai incontrati, prima d'ora, quindi sarete anche al corrente del fatto che la mia missione è di fondamentale importanza, e devo supporre che mi stiate ostacolando di proposito.»

    «Pensate cosa vi pare, ma non ho intenzione di svegliare tutto il personale, che ha avuto abbastanza preoccupazioni, ieri, a causa di ciò che avete fatto alla vostra sfortunata pupilla.»

    «Allora

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