La Divina Commedia di Dante: Inferno
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Dante Alighieri
Dante Alighieri (1265-1321) was an Italian poet. Born in Florence, Dante was raised in a family loyal to the Guelphs, a political faction in support of the Pope and embroiled in violent conflict with the opposing Ghibellines, who supported the Holy Roman Emperor. Promised in marriage to Gemma di Manetto Donati at the age of 12, Dante had already fallen in love with Beatrice Portinari, whom he would represent as a divine figure and muse in much of his poetry. After fighting with the Guelph cavalry at the Battle of Campaldino in 1289, Dante returned to Florence to serve as a public figure while raising his four young children. By this time, Dante had met the poets Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia, and Brunetto Latini, all of whom contributed to the burgeoning aesthetic movement known as the dolce stil novo, or “sweet new style.” The New Life (1294) is a book composed of prose and verse in which Dante explores the relationship between romantic love and divine love through the lens of his own infatuation with Beatrice. Written in the Tuscan vernacular rather than Latin, The New Life was influential in establishing a standardized Italian language. In 1302, following the violent fragmentation of the Guelph faction into the White and Black Guelphs, Dante was permanently exiled from Florence. Over the next two decades, he composed The Divine Comedy (1320), a lengthy narrative poem that would bring him enduring fame as Italy’s most important literary figure.
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Anteprima del libro
La Divina Commedia di Dante - Dante Alighieri
Dante Alighieri
La Divina Commedia di Dante: Inferno
Pubblicato da Good Press, 2022
goodpress@okpublishing.info
EAN 4064066076467
Indice
Inferno Canto I
Inferno Canto II
Inferno Canto III
Inferno Canto IV
Inferno Canto V
Inferno Canto VI
Inferno Canto VII
Inferno Canto VIII
Inferno Canto IX
Inferno Canto X
Inferno Canto XI
Inferno Canto XII
Inferno Canto XIII
Inferno Canto XIV
Inferno Canto XV
Inferno Canto XVI
Inferno Canto XVII
Inferno Canto XVIII
Inferno Canto XIX
Inferno Canto XX
Inferno Canto XXI
Inferno Canto XXII
Inferno Canto XXIII
Inferno Canto XXIV
Inferno Canto XXV
Inferno Canto XXVI
Inferno Canto XXVII
Inferno Canto XXVIII
Inferno Canto XXIX
Inferno Canto XXX
Inferno Canto XXXI
Inferno Canto XXXII
Inferno Canto XXXIII
Inferno Canto XXXIV
Inferno Canto I
Indice
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben chi vi trovai,
dirò de laltre cose chi vho scorte.
Io non so ben ridir com i vintrai,
tant era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi chi fui al piè dun colle giunto,
là dove terminava quella valle
che mavea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor mera durata
la notte chi passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a lacqua perigliosa e guata,
così lanimo mio, chancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi chèi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che l piè fermo sempre era l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar de lerta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi mpediva tanto il mio cammino,
chi fui per ritornar più volte vòlto.
Temp era dal principio del mattino,
e l sol montava n sù con quelle stelle
cheran con lui quando lamor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì cha bene sperar mera cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
lora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che mapparve dun leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che laere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura chuscia di sua vista,
chio perdei la speranza de laltezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne l tempo che perder lo face,
che n tutti suoi pensier piange e sattrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove l sol tace.
Mentre chi rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol dAnchise che venne di Troia,
poi che l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
chè principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami l lungo studio e l grande amore
che mha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se lo mio maestro e l mio autore,
tu se solo colui da cu io tolsi
lo bello stilo che mha fatto onore.
Vedi la bestia per cu io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
chella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo campar desto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo mpedisce che luccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui sammoglia,
e più saranno ancora, infin che l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che lavrà rimessa ne lo nferno,
là onde nvidia prima dipartilla.
Ond io per lo tuo me penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
cha la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch i fu ribellante a la sua legge,
non vuol che n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e lalto seggio:
oh felice colui cu ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò chio fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov or dicesti,
sì chio veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Inferno Canto II
Indice
Lo giorno se nandava, e laere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
mapparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.
O muse, o alto ingegno, or maiutate;
o mente che scrivesti ciò chio vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù sell è possente,
prima cha lalto passo tu mi fidi.
Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.
Però, se lavversario dogne male
cortese i fu, pensando lalto effetto
chuscir dovea di lui, e l chi e l quale
non pare indegno ad omo dintelletto;
che fu de lalma Roma e di suo impero
ne lempireo ciel per padre eletto:
la quale e l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u siede il successor del maggior Piero.
Per quest andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas delezïone,
per recarne conforto a quella fede
chè principio a la via di salvazione.
Ma io, perché venirvi? o chi l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri l crede.
Per che, se del venire io mabbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se savio; intendi me chi non ragiono».
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec ïo n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.
«Si ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell ombra,
«lanima tua è da viltade offesa;
la qual molte fïate lomo ingombra
sì che donrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand ombra.
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch io venni e quel chio ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:
O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto l mondo lontana,
lamico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
chio mi sia tardi al soccorso levata,
per quel chi ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò cha mestieri al suo campare,
laiuta sì chi ne sia consolata.
I son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui.
Tacette allora, e poi comincia io:
O donna di virtù sola per cui
lumana spezie eccede ogne contento
di quel ciel cha minor li cerchi sui,
tanto maggrada il tuo comandamento,
che lubidir, se già fosse,