La Scoperta de l'America - L'Antico Caffè Greco di Roma
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«Cosi, riunendo la precisione della forma metrica alla precisione del linguaggio, io ho potuto fare un'opera che è stata intesa parte a parte (e io lo so, perché recitando i miei sonetti vedo in volto i miei uditori) a Napoli come a Roma, e sarà intesa parte a parte a Milano come a Venezia» (1894) Un "petit chef-d'œuvre", un piccolo capolavoro, come giustamente scrisse Henri Montecorboli presentando ai lettori francesi quello che in Italia fu il caso letterario dell'anno 1894, il poemetto di Cesare Pascarella (1858-1940) che in una incantevole e coerente sequenza di cinquanta sonetti racconta in romanesco "La scoperta de l'America"; o meglio: la sua storia magistralmente riletta e narrata in un'osteria, tra la bevuta di un bicchiere e un altro di vino, da un "Romano de Roma" in un misto, rimasto inconfondibile, di erudizione sui generis e di ironica, sagace e malinconica fantasia popolare. SOMMARIO: Un "petit chef-d'œuvre", un piccolo capolavoro... - La scoperta dell'America - Il Caffè Greco - Villa Gloria. LETTURE CRITICHE Ugo Ojetti, Colloquio con Cesare Pascarella - Dino Mantovani, Poeti romaneschi: Cesare Pascarella - Henri Montecorboli, Un poème italienne sur la découverte de l'Amérique - «Caras y Caretas» (Buenos Aires, 1899). OPERE GIOVANILI Er Fattaccio - Cose der monno - Er morto de campagna - La serenata - Sonetti - LE COLLANE "IN/DEFINIZIONI" E "CON(TRO)TESTI"
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La Scoperta de l'America - L'Antico Caffè Greco di Roma - Cesare Pascarella
Indice
Copyright
SOMMARIO
Un petit chef-d'œuvre
, un piccolo capolavoro...
NOTE
LA SCOPERTA DE L'AMERICA
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XVI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
XXXVIII
XXXIX
XL
XLI
XLII
XLIII
XLIV
XLV
XLVI
XLVII
XLVIII
XLIX
L
NOTE
IL CAFFÈ GRECO
VILLA GLORIA
***
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
NOTE
LETTURE CRITICHE
Ugo Ojetti, Alla scoperta dei letterati: Cesare Pascarella
Dino Mantovani, Poeti romaneschi: Cesare Pascarella
Henri Montecorboli, Un poème italienne sur la découverte de l'Amérique
«Caras y Caretas» - 9 Septiembre de 1899
OPERE GIOVANILI
ER FATTACCIO
I. COME FU
II. L'OSTE
III. DAVANTI A L'OSPEDALE
IV. ER VETTURINO
V. UN ANNO DOPO
COSE DER MONNO
I
II
III
ER MORTO DE CAMPAGNA
I
II
III
IV
V
LA SERENATA
I
II
III
IV
V
NOTE
SONETTI
LI PAJACCI
LA TRAGEDIA
ER SERPENTE A SONAJI
N'USANZA NOVA
ER FAUSTO
ER LOMBETTO2
LA GINNASTICA EDUCATIVA
IO... E L'ASINO MIO
LA SOCIETÀ DE L'ASFITICHI
LE FORZE
LA MUSICA NOSTRA
LI BIJETTI DE VISITA
L'ALLUSTRASCARPE FILOSOFO
LI PRINCIPII
'NA PREDICA DE MAMMA
ER CORTELLO
LI GIORNALISTI
ER TRASPORTO FUNEBRE
ER TERNO
ER MAESTRO DE NOTO
I
II
III
LA COMPARSA
I
II
ER CALLISTA
I
II
NOTE AI SONETTI
LE COLLANE IN/DEFINIZIONI
E CON(TRO)TESTI
Copyright
Copyright © Pieffe Edizioni, 2015
© Fabrizio Pinna, 2015
Tutti i diritti riservati; a norma di legge, senza autorizzazione è vietata la distribuzione e riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo.
I edizione e-Book: ottobre 2015
ISBN 978-88-99508-02-9 (e-Pub)
ISBN 978-88-99508-03-6 (Azw3)
Titolo: Cesare Pascarella, La scoperta dell'America. L'antico Caffé Greco di Roma. Villa Gloria
Con Scritti critici di Dino Mantovani, Ugo Ojetti e Henri Montecorboli
In copertina: Theodor de Bry, Colombo incontra i Taínos (ca. 1594)
Collana CONTRO/TESTI n. 1
Pieffe Edizioni
Sede legale: via Gramsci 5 - 17031 Albenga (SV)
pieffe.edizioni@albengacorsara.it
http://www.albengacorsara.it
Contro/Testi 1
Cesare Pascarella
La scoperta dell'America
Il Caffè Greco - Villa Gloria
Sonetti
Pieffe Edizioni
SOMMARIO
Copertina
Copyright
Pagina Titolo
SOMMARIO
Un petit chef-d'œuvre
, un piccolo capolavoro...
La scoperta dell'America
Il Caffè Greco
Villa Gloria
LETTURE CRITICHE
Ugo Ojetti, Colloquio con Cesare Pascarella
Dino Mantovani, Poeti romaneschi: Cesare Pascarella
Henri Montecorboli, Un poème italienne sur la découverte de l'Amérique
«Caras y Caretas» (Buenos Aires, 1899)
OPERE GIOVANILI
Er Fattaccio
Cose der monno
Er morto de campagna
La serenata
Sonetti
Un petit chef-d'œuvre
, un piccolo capolavoro...
«Eppure... sotto a tutto quer celeste,
Ma, dico, dimme un po', chi lo direbbe
Che ce cóveno sotto le tempeste?» (XV)
«Cosi, riunendo la precisione della forma metrica alla precisione del linguaggio, io ho potuto fare un'opera che è stata intesa parte a parte (e io lo so, perché recitando i miei sonetti vedo in volto i miei uditori) a Napoli come a Roma, e sarà intesa parte a parte a Milano come a Venezia» (1894)
Un petit chef-d'œuvre
, un piccolo capolavoro, come giustamente scrisse Henri Montecorboli¹ presentando ai lettori francesi quello che in Italia fu il caso letterario dell'anno 1894, il poemetto di Cesare Pascarella (1858-1940) che in una incantevole e coerente sequenza di cinquanta sonetti racconta in romanesco La scoperta de l'America²; o meglio: la sua storia magistralmente riletta e narrata in un'osteria, tra la bevuta di un bicchiere e un altro di vino, da un Romano de Roma
in un misto, rimasto inconfondibile, di erudizione sui generis e di ironica, sagace e malinconica fantasia popolare³.
In questo Pascarella seguiva la sua mai sconfessata poetica, con arte nel tempo affinata dalle prime prove giovanili degli esordi di un decennio prima nel vivace clima culturale della Roma umbertina⁴: «Ora, vedi - chiariva lui stesso in un'intervista rilasciata in quei mesi a Ugo Ojetti⁵ -, uno dei canoni fondamentali per far della poesia dialettale, secondo me, è quello di far parlare il popolano; altrimenti la naturalezza, la verosimiglianza, che è la prima condizione di vita di quella poesia, manca. E questo dico sopra tutto per i poeti romaneschi, che a Roma, fuori del popolo, non si parla in dialetto, ma in una lingua incerta, ingannevole, letterariamente falsa. Il popolano, il popolano deve parlare; lui, in prima persona! Deve descrivere, deve narrare, deve commovere ma con le parole sue, con i pensieri suoi, con i gesti suoi, parlando a' suoi pari. E io non ho mai in un sol sonetto sconfessata questa regola».
Partito alla ricerca di un linguaggio poetico⁶ più concreto e diretto rispetto anche alla lingua letteraria italiana del suo tempo, puntando su una specifica metrica a lui congeniale (Io credo che il sonetto sia la forma strofica più corrispondente - anche in una serie di molti componimenti simili - a quella precisa chiarezza della lingua
), Pascarella si dedicò a un lungo, meticoloso lavoro sulle espressioni e lo stile ("su la Scoperta de l'America ho lavorato quasi otto anni!") che, con un uso molto più sfumato dei cliché tipici e spesso scurrili del genere⁷, lo porterà agli esiti felici del poemetto, ma anche alle difficoltà poi incontrate nel portare a termine la sua ultima opera poetica, il poema romanesco più vasto che ideò Pascarella in quegli stessi anni, la Storia nostra, rimasto infatti solo incompiuto e frammentario (fu pubblicato postumo nel 1941; doveva essere formato da 350 sonetti, ma si conservano manoscritti 267 testi, alcuni solo abbozzati).
Sarebbe futile ritornare oggi sulla querelle avviata nel primo Novecento intorno al carattere dell'epos popolare proposto da Pascarella, da alcuni critici
interpretato invece - anche per polemica anti-carducciana - come mera cronaca tradotta in un vernacolo linguisticamente un po' annacquato. Come già a suo tempo rilevò Dino Mantovani, «Pascarella è poeta non soltanto romano ma italiano, perché il suo dialetto riesce chiarissimo, piacevole, efficace a qualunque abitante della penisola: e se non è la lingua, poco ci corre. Il dialetto romano potrebbe essere lingua nazionale al pari del toscano. Se gli scrittori del Trecento, dice l'Ascoli nella classica introduzione del suo Archivio glottologico, invece di esser toscani fossero stati romani, la nostra lingua letteraria, di cui essi posero i fondamenti, si sarebbe atteggiata su l'uso di Roma anziché su quello di Firenze»; semplicemente, ha ben riassunto più di recente Maria Letizia Manegatti⁸, ne La scoperta de l'America «La scelta del romanesco, con l'irruzione degli elementi naturalistici, non è piegata nella direzione di una letteratura municipale: la tematica affrontata, la grandezza dell'ingegno italiano, fonda una sorta di dignità epica costruita dal basso. I modi dialettali, i riferimenti a luoghi romani, l'uso di anacronismi o di storpiature risultano comunque attenuati rispetto al grande modello belliano».
Dopo il crescente successo nazionale e internazionale, presso il cosiddetto grande pubblico la fama di Pascarella iniziò ad affievolirsi nel periodo della Grande Guerra, quando per l'acuirsi della sua sordità dismise del tutto le letture pubbliche e la partecipazione ai circoli letterari, sebbene nelle cronache culturali continuasse spesso a essere richiamato come contrappunto - o antagonista ideale - del più giovane Trilussa, temperamento poetico romanesco in fondo molto diverso⁹. Nel secondo Novecento ad offuscare entrambi è stato poi il prevalere a lungo per la poesia dialettale di un riduttivo paradigma sostenuto, pro domo sua, da Pier Paolo Pasolini (1922-1975) - e passivamente accolto sino a pochi anni fa, prima che si inaugurasse una nuova storiografia letteraria meno naif e più seria, persino da molti accademici - che vedeva nell'espressione lirica la sola e unica via legittimamente praticabile nella modernità, relegando quindi arbitrariamente ai margini tradizioni di segno realistico-narrative, ora invece più correttamente riconosciute nel loro autonomo, e spesso alto, valore poetico, seppure apparentemente meno praticate o eclatanti¹⁰. In questo senso è dunque oggi forse più facile ritornare ad apprezzare pienamente anche un poeta come Pascarella, il quale nella sua opera - peraltro quantitativamente esigua - ha comunque raggiunto esiti di eccellenza difficilmente discutibili, come appunto avviene con il poema, qui riproposto alle lettrici e ai lettori, de La Scoperta de l'America.
*** Per i testi de La Scoperta de l'America, Villa Gloria - con la presentazione
di Giosuè Carducci (1835-1907) -, e delle corone giovanili di sonetti, si segue l'edizione inclusa in Cesare Pascarella, Sonetti (stampa riveduta e corretta dall'Autore), Torino-Roma, Casa editrice nazionale (Roux e Viarengo), 1906 (la I ed. era uscita nel 1900); per il testo de Il Caffé Greco, il riferimento è Cesare Pascarella, Prose (1880-1890) - (Edizione curata, integrata e sola riconosciuta dall'Autore), Torino, STEN, 1920.
L'articolo critico di Dino Mantovani è tratto da Id., Letteratura contemporanea, Torino, STEN, 1903 (I ed.; III ed. 1913); la conversazione
fu invece originariamente stampata in Ugo Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Milano, F.lli Bocca, 1895 (I ed.; II ed. 1899); per il saggio francese il riferimento è: Henri Montecorboli, Un poème italienne sur la découverte de l'Amérique, «La Nouvelle Revue», T. 88, Mai-Juin 1894, pp. 424-430; infine, di «Caras y Caretas», un popolare settimanale argentino fondato dallo scrittore e giornalista Fray Mocho (pseudonimo di José Sixto Álvarez, 1858-1903) e pubblicato a Buenos Aires nel periodo 1897-1941, si riproducono l'annuncio di una sua lettura pubblica e un disegno/sonetto autografo che Pascarella donò alla rivista in occasione della sua performance bonaerense nel 1899. Per le edizioni a stampa, recenti e meno recenti, delle opere di Pascarella oggi disponibili si rimanda invece direttamente all'Iccu e alla schedatura del catalogo nazionale online: http://www.sbn.it/
Fabrizio Pinna, 22 ottobre 2015
NOTE
[1] Id., Un poème italienne sur la découverte de l'Amérique, «La Nouvelle Revue», T. 88, Mai-Juin 1894, pp. 424-430, in cui si leggono le prime traduzioni in francese di alcuni sonetti di Pascarella. Henri (Enrico) Montecorboli, letterato italo francese, drammaturgo; nato a Livorno nel 1839, la famiglia migrò a Marsiglia dove Henri si formò culturalmente fin da bambino, mantenendo però stretti rapporti con l'Italia, di cui scrisse come giornalista culturale in collaborazioni a varie riviste francesi; morì nel 1916. Merita ancora di essere letto anche il primo studio complessivo pubblicato in Francia, che si deve, qualche anno dopo, a Émile Haguenin (1872-1924), Les Romains et leur poète: Cesare Pascarella, «Revue des deux Mondes», T. CLIV, 15 Juillet, 1899, pp. 420-440 (volendo, le due riviste sono anche consultabili in riproduzione digitale in Gallica, il sevizio online della Biblioteca Nazionale di Francia: http://gallica.bnf.fr/). Sulla «RddM» come rivista di mediazione
culturale franco-italiana in quell'epoca, benché in alcuni punti da rettificare in base alla storiografia più recente rimane tuttavia importante lo studio di Luisa Mangoni (1942-2014), Una crisi di fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino, Einaudi, 1985 (I ed.). Da questo particolare angolo di visuale si possono leggere anche François Livi, Tra avanguardia e classicismo. La letteratura italiana nelle riviste parigine all'inizio del Novecento (1900-1915), in Massimo Rizzante e Carla Gubert (a cura di), Le riviste dell'Europa letteraria, Trento, Editrice Università degli Studi di Trento, 2002, pp. 23-48 e Roberta Trice, Lo spirito europeo e la letteratura italiana. Con Benjamin Cremieux tra il 1910 e il 1943, Ventimiglia, Philobiblon, 2005.
[2] Dopo il fortunato lancio editoriale a Roma con la prima lettura pubblica tenuta nella primavera del 1894 al Circolo degli Artisti, «Il successo del poema fu tale da sancire la fama di Pascarella su scala nazionale, complici anche le sue doti di fine dicitore, abile nel volgere con naturalezza fra toni drammatici e comici. La scoperta de l’America fu declamata alla Scala di