Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Paradiso Scomparso del Dio Enki
Il Paradiso Scomparso del Dio Enki
Il Paradiso Scomparso del Dio Enki
E-book330 pagine6 ore

Il Paradiso Scomparso del Dio Enki

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

gli sciamani della Mesopotamia,
il mistero di una lingua
e la ricerca dei libri scomparsi
di Ziusudra.
tra Giardino dell’Eden,
Diluvio e immortalità
 Ci sono storie che vanno raccontate.
 Quella di Enki, divinità ancestrale delle acque e della saggezza, la cui figura ci è stata tramandata dalle cronache mesopotamiche, rientra a pieno titolo in questo novero. Il dio dei Sumeri è anche sinonimo di vita, poiché fu proprio lui con la compagna  Ninhursag, a creare l’Adamu, il primo uomo della specie sapiens.
 Il corpus mitologico che riguarda questa divinità,    racchiude anche ampi echi che verranno poi ripresi dal Genesi, proprio per le vicende che riguardano da vicino Enki, e sempre da assoluto protagonista: la creazione dell’uomo, il giardino paradisiaco in cui vive con la sua compagna, il presunto peccato originale, il diluvio universale, la confusione delle lingue e la     ricerca dell’immortalità.  
Mettersi sulle tracce di questa divinità, significa rac- contare migliaia di anni del passato dell’umanità,   ancor prima che le vicende di Enki fossero messe per iscritto dai Sumeri e che il diluvio spazzasse via quasi del tutto il genere umano.
 
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2021
ISBN9788869375903
Il Paradiso Scomparso del Dio Enki

Leggi altro di Simone Barcelli

Correlato a Il Paradiso Scomparso del Dio Enki

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Il Paradiso Scomparso del Dio Enki

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Paradiso Scomparso del Dio Enki - Simone Barcelli

    ​BIOGRAFIA

    ​Introduzione

    Ci sono storie che vanno raccontate. Quella di Enki, divinità ancestrale generalmente associata alle acque e alla saggezza, la cui figura ci è stata tramandata dalle cronache mesopotamiche, rientra a pieno titolo in questo novero. Il dio dei Sumeri è anche sinonimo di vita, poiché fu proprio lui con la compagna Ninhursag, a creare l’ Adamu , il primo uomo della specie sapiens .

    Fra l’altro, le gesta del dio sumerico sono ricordate anche nelle culture che si stabilirono successivamente nella cosiddetta Terra fra due fiumi: per gli Accadi, Enki diventerà, ad esempio, Ea.

    Il corpus mitologico che riguarda questa divinità, racchiude anche ampi echi che verranno poi ripresi dal Genesi, proprio per le vicende che riguardano da vicino Enki, e sempre da assoluto protagonista: la creazione dell’uomo, il giardino paradisiaco in cui vive con la sua compagna, il presunto peccato originale, il diluvio universale, la confusione delle lingue e la ricerca dell’immortalità.

    Lo studio delle gesta attribuite ad Enki, mi permette fra l’altro di investigare anche sulle terre che scambiavano prodotti con i popoli della Mesopotamia: dopo aver sviscerato i rapporti commerciali che l’Egitto dei faraoni intratteneva con la mitica Terra di Punt (in un libro pubblicato dall’Editore nel 2018), eccomi quindi a dar conto su altri luoghi altrettanto misteriosi, cioè le terre di Dilmun, Marhashi, Magan e Meluhha, partner commerciali di Sumer, e della Mesopotamia in genere, dalla metà del III alla prima parte del II millennio a.C.

    Mettersi sulle tracce di questa divinità, significa quindi raccontare migliaia di anni del passato dell’umanità, ancor prima che le vicende di Enki fossero messe per iscritto dai Sumeri.

    Anche grazie all’opera di Beroso, sacerdote caldeo vissuto nel III secolo a.C., siamo in grado di ricomporre per sommi capi le straordinarie vicende di questo dio e dei suoi messaggeri, già prima del diluvio che spazzò via quasi del tutto il genere umano.

    Il racconto che state per leggere inizia con gli Oannes, i saggi Apkallu inviati sulla Terra da Enki per civilizzare il genere umano. Erano considerati con Enki i custodi dei Me, i princìpi dominanti dell’universo, conservati nell’Apsu, il regno del dio delle acque.

    Da lì cercherò di ricostruire sommariamente il pantheon mesopotamico, seguire le gesta di figli e fratelli di Enki, raccontare dei luoghi in cui avveniva la sua idolatria e scoprire, infine, queste misteriose terre da lui visitate, una delle quali potrebbe essere quella da cui provenivano le cosiddette Teste nere, cioè i Sumeri.

    Infine, darò conto dei libri scritti prima del diluvio da Ziusudra (il Noè della mitologia sumerica) su espressa indicazione di Enki, per preservare la storia dell’umanità fino a quel momento. Questi misteriosi testi sono scomparsi nelle pieghe della storia, con la stessa sorte toccata ai Sumeri, svaniti nel nulla alla fine del III millennio a.C.

    Un lungo e avvincente viaggio attende quindi il lettore: il passato torna per una volta d’attualità con le incredibili storie narrate dai popoli mesopotamici, talvolta riscontrate da scavi archeologici documentati.

    Non mancherò di far squillare la voce di coloro che hanno cercato, come me e prima di me, magari invano, di sbrogliare la matassa.

    Bando alle chiacchiere, è giunto davvero il momento di metterci sulle tracce del dio Enki.

    ​OANNES, L’APKALLU DEL RE

    I frammenti di Beroso

    Ritratto verosimile di Beroso

    (Mirko Rizzotto, opera propria).

    Nel primo anno fece la sua comparsa, da una parte del Golfo Persico che confinava con Babilonia, un animale dotato di ragione, che veniva chiamato Oannes. L’intero corpo dell’animale era simile a quello di un pesce; e sotto una testa di pesce aveva un’altra testa, e di sotto anche piedi, simili a quelli di un uomo, uniti inferiormente alla coda di pesce. Anche la sua voce e la sua loquela erano articolate e umane; e una raffigurazione di lui si è conservata sino a oggi. Quest’essere, di giorno era abituato a conversare con gli uomini; ma in quel tempo non prendeva cibo, e insegnava loro le lettere, e scienze e ogni sorta di arte. Insegnava loro a costruire case, a fondare templi, a compilare leggi e spiegava loro i principi della conoscenza geometrica. Insegnava loro a distinguere i semi della terra e come raccogliere i frutti. In breve, li istruiva in tutto ciò che poteva contribuire a ingentilire i modi e a umanizzare il genere umano. Da quell’epoca, tanto universali furono i suoi insegnamenti che nulla di importante è stato aggiunto a quanto fu insegnato da lui. Quando il sole tramontava, era costume di quest’essere rituffarsi in mare, e dimorare tutta la notte nell’acqua; era infatti anfibio. Dopo questo, apparvero altri animali simili a Oannes, dei quali Beroso promette che parlerà quando affronterà la storia dei re. Beroso scrisse inoltre sulla generazione dell’umanità, e sui suoi diversi modi di vita, e sulla sua società civile.

    Questo è uno dei resoconti che ci ha tramandato lo storico Alessandro Poliistore, vissuto nella prima metà del I secolo a.C., che a quanto pare era soprattutto un compilatore, cioè trascriveva quel che altri avevano scritto in passato.

    Il testo proposto è contenuto in Ancient Fragments dell’antiquario Isaac Preston Cory, un nutrito compendio di frammenti provenienti da storici del passato, pubblicato nel 1826.

    Una seconda edizione dell’opera ( Cory's Ancient Fragments of the Several Carthaginian, Babylonian, Egyptian and Other Authors), apparsa nel 1876, fu curata dallo storico Edward Richmond Hodges, che aggiunse altri brani dell’antichità, compresa la King List di Manetone. Materiale analogo era già stato pubblicato nel 1871 in The student's manual of Oriental history. A manual of the ancient history of the East to the commencement of the Median wars di François Lenormant e E. Chevallier.

    Per quel che riguarda il resoconto in questione, si tratta di un frammento, appartenente quindi a un lavoro più esteso, scritto all’inizio del III secolo a.C. (forse tra il 290 e il 288 a.C.) dal caldeo Beroso, un astronomo che professava il sacerdozio per conto del dio babilonese Marduk.

    L’opera in tre volumi, scritta in greco, che si chiamava Babyloniaká (Storia di Babilonia) e fu dedicata al re Antioco Sotere I (280-261 a. C.), andò perduta, ma ci è pervenuta, in modo parziale, grazie ai richiami di storici successivi, l’ultimo dei quali il bizantino Giorgio Sincello, vissuto nell’VIII secolo d.C., che a sua volta riportava gli scritti di Beroso già ripresi nei testi del collega Alessandro Poliistore.

    Altri frammenti provenienti dallo scritto originale di Beroso, furono inseriti da Giuseppe Flavio, Eusebio di Cesarea e Abideno nelle rispettive opere.

    Abideno, uno storico greco forse vissuto nel I secolo d.C., realizzò una Storia dell’Assiria andata perduta, ma alcuni frammenti sono giunti a noi col tramite di storici successivi (Eusebio, Cirillo, Giorgio Sincello e Giuseppe Giusto Scaligero). Pure lui si avvalse degli scritti di Beroso:

    Ed ecco quanto concerne il regno dei Caldei. Si dice che il primo re del paese sia stato Aloro, che lasciò scritto di essere stato designato da Dio a essere il pastore del popolo: egli regnò dieci sari. Ora, si stima che un saros sia 3600 anni, un neros 600 e un sossos 60. Dopo di lui Alaparo regnò tre sari; gli successe Amillaro, della città di Pantibiblo, che regnò tredici sari; al suo tempo un semidemone, chiamato Annedoto, molto simile a Oannes, venne fuori una seconda volta dal mare. Dopo di lui regnò dodici sari Ammenone, della città di Pantibiblo; poi Megalaro, della stessa città, diciotto sari; poi Daos, il pastore, governò per dieci sari: era di Pantibiblo; al suo tempo vennero fuori dal mare quattro personaggi di forma duplice, i cui nomi erano Euedoco, Eneugamo, Eneubulo e Anemento. Dopo queste cose venne Anodafo, al tempo di Euedoresco. Poi ci furono altri re, l’ultimo dei quali fu Sisitro (Xisutro). Ci furono quindi in tutto dieci re, e la durata dei loro regni fu di centoventi sari.

    Anche Apollodoro di Atene, vissuto nel II secolo a.C., lasciò ai posteri quanto scritto da Beroso:

    Questa è la storia che ci è stata trasmessa da Beroso: Egli ci dice che il primo re fu Aloro di Babilonia, un caldeo; egli regnò dieci sari; gli successero Alaparo e poi Amelone, che veniva da Pantibiblo; poi Ammenone il caldeo, al cui tempo apparve il Musaro Oannes, l’Annedoto, dal Golfo Persico [Alessandro Poliistore, anticipando l’evento, dice che egli apparve il primo anno; Apollodoro ne colloca la comparsa dopo quaranta sari; mentre Abideno fa comparire il secondo Annedoto dopo ventisei sari .] Successe poi Megalaro, della città di Pantibiblo, che regnò diciotto sari; e dopo di lui Daono, il pastore, di Pantibiblo, regnò dieci sari; al suo tempo (egli dice) apparve di nuovo, dal Golfo Persico, un quarto Annedoto, che aveva la stessa forma dei precedenti, ossia la forma di un pesce mescolata con quella di un uomo. Regnò poi Euedoresco, della città di Pantibiblo, per la durata di diciotto sari. Al suo tempo apparve un altro personaggio, il cui nome era Odacon, dal Golfo Persico come gli altri, simile ai precedenti, con la stessa forma complessa intermedia fra quella di un pesce e quella di un uomo. [Tutti questi, dice Apollodoro, riferirono in modo particolareggiato e circostanziato su tutto ciò di cui Oannes li aveva informati. A proposito di tutte queste apparizioni Abideno non fa alcuna menzione.] Regnò poi Amempsino, un caldeo di Laranchae, che governò per otto sari. Alla morte di Otiarte, suo figlio Xisutro regnò per diciotto sari. Al suo tempo ci fu il Grande Diluvio.

    Il componimento di Beroso, forse ancora integro nel II secolo a.C., fu completamente trascurato dai copisti cristiani, intenzionati a velare la tradizione mesopotamica, come avvenne d’altronde anche con quella egiziana sviscerata dal contemporaneo Manetho – Manetone, la cui storia d’Egitto, l’ Aegyptiaca , è andata parimenti perduta per quel che concerne il testo originario.

    I pastori astronomi

    Beroso, sacerdote del dio Marduk, era quindi un caldeo.

    Il termine Caldei significa ‘conoscitori delle stelle’ e anche per questo a quei tempi furono tacciati di essere ciarlatani perché, oltre a essere scribi, come sacerdoti si dedicavano all’astrologia e alla divinazione.

    Furono senz’altro dei precursori e si dibatte tuttora sul fatto se abbiano talora superato il sapere degli astronomi greci.

    Alcune tavolette d’argilla ci inducono a pensare che l’astronomia e le altre scienze sviluppate dai Babilonesi fossero prerogativa della casta sacerdotale dei Caldei, proveniente dall’Arabia orientale o dalla Siria (in questo caso, si tenga conto che il rito caldeo prevedeva l’uso della lingua siriaca), che si stanziò nel meridione della Mesopotamia, soprattutto a Nippur, Ur e Uruk, all’incirca nel XIV secolo a.C.

    I Caldei, fino allora sempre soggiogati agli Assiri, secondo Giovanni Pettinato non vivevano solamente di pastorizia come si conviene a nomadi o seminomadi, ma controllavano evidentemente le vie commerciali e l’intero commercio del Golfo Persico e dell’Arabia meridionale. Anche l’archeologa Joan Louise Oates della Cambridge University, suggerisce che i Caldei, oltre ad avere grandi mandrie di cavalli e bovini, avevano il controllo degli itinerari meridionali, garantendo il regolare rifornimento di generi di lusso esotici per le classi più agiate.

    Alla fine del VII secolo a.C., dopo l’assedio di Ninive e la cacciata degli Assiri, iniziò un periodo di trascrizioni più preciso, che fa pensare a un’ottimizzazione delle osservazioni, sistematiche e accurate, che scaturirono in un miglior computo del tempo.

    È attestata in quel frangente la prima suddivisione del cerchio in trecentosessanta gradi, determinata dalla corretta osservazione del moto del Sole.

    Anche i dati riferiti alle eclissi lunari sono più precisi ed è proprio dei Caldei la prima registrazione del fenomeno il 19 marzo 721 a.C., considerata tuttora affidabile.

    Già con l’avvento di Nabonasser nel 747 a.C., la scienza astronomica aveva dato segno di profondi cambiamenti. Tolomeo riconobbe in seguito che si attestano a questo periodo le prime osservazioni valide.

    L’unico rimprovero mosso ai Caldei è che non giunsero mai a comprendere la geometria e la trigonometria.

    La Tavola delle Nazioni, ricompresa nel decimo capitolo del Genesi, indica i Caldei come discendenti di Arpachshad, nipote di Noé.

    Poiché i Caldei non si convertirono mai al cristianesimo, in un documento redatto alla fine del I secolo d.C., la Didaché o Dottrina dei Dodici Apostoli, considerato comunque apocrifo, venne addirittura proibito ai cristiani di mescolarsi con loro, e il termine generico assunse da quel momento un carattere sostanzialmente sprezzante se non dispregiativo.

    Verso la fine dell’VIII secolo d.C., i Caldei di Harran, poiché continuavano ad adorare i corpi celesti e rifiutavano la conversione all’islamismo, furono osteggiati anche dal califfo Al Ma’Mun.

    Per tale ragione, fu loro consigliato di professarsi sabei (un gruppo stanziato tra l’Anatolia meridionale e la Siria, praticante un credo ispirato al giudaismo), come riferisce il matematico Al-Khwarizmi nell’830, epoca in cui era al servizio del califfo:

    I caldei sono anche conosciuti come sabei, il nome ‘sabei’ è stato attribuito loro ai tempi del Califfo Al Ma’Mun.

    Pure lo storico Ibn Al-Nadim, settant’anni dopo, asserisce che

    A quel tempo lo sceicco disse loro: ‘quando Al Ma’Mun farà ritorno dal suo viaggio, ditegli: Noi siamo i sabei, dato che questo è il nome di una religione che Allah, possa il Suo nome essere sempre glorificato, menziona nel Corano. Professate questa religione e sarete salvati da essa.

    Infine, un’altra testimonianza contemporanea ai fatti appena narrati è quella lasciataci dallo storico Hamzah Al-Issfahani:

    Ciò che oggi rimane dei caldei sono le due città di Harran e Rhoa, sappiamo che al tempo del Califfo Al Ma’Mun rinunciarono al loro nome e presero quello di sabei.

    Come scrive Pietro Laureano, architetto urbanista e consulente Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo, la setta pagana dei Sabei di Harran, operante già dal III millennio a.C., faceva risalire la sua tradizione mistica a Hermes e negli ultimi secoli del I millennio della nostra era, furono proprio loro a tradurre in arabo opere di filosofia, matematica e astronomia aramaiche, greche, persiane e siriane.

    In tal modo parte del sapere fu conservato, dopo che, con l’editto di Giustiniano del 529 d.C., era stata sancita la soppressione della scienza e della filosofia antica, che portò anche alla distruzione della biblioteca di Alessandria.

    Un diluvio universale

    Beroso e Manetone furono i primi a scrivere del diluvio, di dinastie antiche, di divinità che risorgevano, di mostri, giganti e uomini-pesce.

    Infatti Beroso, nella storia babilonese, narrava del periodo che va dalle origini al diluvio, compresa una lista di governanti, rilevando di fatto la dipendenza della cultura ebraica da quella mesopotamica, soprattutto dei Caldei.

    Beroso scriveva così del diluvio, come tramandatoci da Alessandro Poliistore:

    Alla morte di Ardate [Shuruppak] , gli successe il figlio Xisutro [probabilmente una traslitterazione greca di Ziusudra, protagonista della versione sumera] , che regnò diciotto anni. Al suo tempo ci fu il Grande Diluvio, la storia del quale viene riferita in questo modo. Il dio Crono [Enki] gli apparve in una visione e gli dette notizia che il quindicesimo giorno del mese Daesia, ci sarebbe stato un diluvio, dal quale l’umanità sarebbe stata distrutta. Gli ingiunse perciò di affidare a uno scritto la storia del principio, progresso e termine di tutte le cose, fino al presente, e di seppellire questi documenti in luogo sicuro nella Città del Sole a Sippara; e di costruire una nave e di prendere con sé i suoi amici e parenti; e di portare a bordo tutto ciò che fosse necessario per sostenere la vita, e di prendere anche tutte le specie di animali che o volano o vagano sopra la Terra; e di fidarsi completamente. Avendo chiesto alla divinità verso dove doveva navigare, gli fu risposto: Verso gli Dèi.

    La traduzione dall’accadico dei caratteri cuneiformi incisi sulle oltre ventimila tavolette d’argilla rinvenute a Ninive nella biblioteca che fu del re Assurbanipal (oggi conservate al museo del Louvre , a Parigi), compilate durante i regni di Sargon II e Sennacherib alla fine dell’VIII secolo a.C., hanno confermato gli scritti del sacerdote caldeo.

    La Lista reale sumerica (‘Quando la regalità discese dal cielo’), un testo sumerico realizzato alla fine del III millennio a.C., narra effettivamente che prima del diluvio, ci furono otto re che regnarono complessivamente per 241200 anni.

    Lista Reale sumerica (Pubblico dominio)

    Tredici tavolette risalenti al 2350 a.C. rappresentano, nel loro insieme, quel che resta della versione più antica del poema comunemente detto l’ Epopea di Gilgamesh.

    La popolarità di cui ha sempre goduto questa saga in tempi antichi, come racconta l’esperto in mitologia comparata Theodor Herzl Gaster, vissuto nel secolo scorso, è attestata «dal fatto che – oltre all’edizione principale allestita per la biblioteca del re Assurbanipal (669-628 a.C.), ora conservata al British Museum di Londra – ne possediamo, sia pure in forma frammentaria, anche una più antica versione assira, una ittita e perfino una hurrita; e vi è anche un intero ciclo di più antiche leggende sumere che trattano delle avventure dell’eroe, e alcune scene dell’epopea si ritrovano perfino su dei sigilli cilindrici che risalgono al III millennio a.C. Per l’antico Vicino Oriente, infatti, l’epopea di Gilgamesh era quello che l’ Iliade e l’ Odissea erano per il mondo greco, e molte frasi e brani di essa sono spesso rielaborati da scrittori di epoca più tarda, così come uno scrittore moderno potrebbe oggi rielaborare e far sue delle espressioni tolte dalla Bibbia o da Dante.»

    Una tavoletta d’argilla dell’Epopea

    di Gilgamesh,conosciuta anche come Tavoletta del Diluvio, British Museum (Babelstone, opera propria)

    Gli storici si trovarono di fronte a un incredibile racconto fotocopia del diluvio universale, fino a quel momento citato solamente dal Genesi , in cui però nomi e luoghi erano differenti.

    L’eroe del diluvio, in questa saga babilonese, è Utnapishtim (traduzione in accadico dal sumerico Ziusudra, quindi del tutto assimilabile), un antenato del semidio Gilgamesh (figlio della dea Ninsun, ‘signora delle mucche selvagge’, e del sovrano Lugalbanda): quest’ultimo è alla sua ricerca perché, dopo la morte del fido compagno Enkidu, intende farsi dire il segreto della sapienza per far rivivere l’amico. Durante l’incredibile incontro, Utnapishtim riferisce a Gilgamesh che era stato il dio Ea (Enki) ad avergli fornito precise informazioni per la costruzione del mezzo anfibio sul quale doveva portare in salvo il seme di tutte le creature viventi.

    Le loro intenzioni (quest'ultimo) però le rivelò

    ad una capanna:

    "Capanna, capanna! Parete, parete!

    Capanna, ascolta; parete, comprendi!

    Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,

    abbatti la tua casa, costruisci una nave,

    abbandona la ricchezza, cerca la vita!

    Disdegna i possedimenti, salva la vita!

    fai salire sulla nave tutte le specie viventi!

    La nave che tu devi costruire

    le sue misure prendi attentamente,

    eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza;

    tu la devi ricoprire come l'Apsu".

    Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:

    "L'ordine, mio signore, che tu mi hai dato,

    l'ho preso sul serio e lo voglio eseguire.

    Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?"

    Enki aprì la sua bocca,

    così parlò a me il suo servo:

    "Tu, o uomo, devi parlare loro così:

    'Mi sembra che Enlil sia adirato con me;

    perciò non posso vivere più nella vostra città

    non posso più porre piede sul territorio di Enlil.

    Per questo voglio scendere giù nell'Apsu, e là abitare

    con il mio signore Enki.

    Su di voi però Enlil farà piovere abbondanza,

    abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci.

    Egli vi regalerà ricchezza e raccolto.

    Al mattino egli farà scendere su di voi focacce,

    di sera egli vi farà piovere una pioggia di grano".

    L’assiriologo Martin Worthington, di stanza all’Università di Cambridge presso il St John’s College , ha recentemente suggerito che nelle parole pronunciate da Ea (Enki) in questa circostanza, possa esserci anche la prima fake news della storia, consistente nella menzogna che sarebbe piovuto cibo dal cielo.

    In sostanza, la frase incriminata, secondo l’accademico, conterrebbe un doppio significato, cioè una pioggia di cibo dal cielo, ma anche l’avvertimento dell’arrivo di piogge torrenziali se Utnapishtim avesse costruito l’Arca: «un chiaro esempio di manipolazione delle informazioni e del linguaggio [...] Potrebbe voler mantenere una chiave di lettura legata alla capacità d’interpretazione, lasciando a chi legge la responsabilità della propria scelta [...] gli dei babilonesi sopravvivono solo perché la gente li nutre. Se l’umanità fosse stata spazzata via, gli dei sarebbero morti di fame. Il dio Ea, dunque, manipola il linguaggio e induce in errore le persone a fare la sua volontà perché serve al suo interesse personale».

    Il filologo Martin Litchfield West ha suggerito che il contenuto della saga di Gilgamesh è stato certamente influente per la successiva redazione dell’ Odissea, poiché è evidente la somiglianza tra i viaggi di Gilgamesh e quelli di Odisseo.

    Il racconto originale da cui pare traggano spunto tutti gli altri è oggi riconosciuto come appannaggio dei Sumeri e narra quanto realmente accaduto alla città di Ur, la patria di Abramo (patriarca in Genesi e Profeta di Dio nel Corano, la cui figura storica, generalmente, non viene considerata per mancanza di prove) in Mesopotamia, letteralmente sommersa dalle acque.

    In un reperto rinvenuto a Eridu, che comunemente si fa risalire al XVII a.C., si narra dell’ultimo re sumero della città di Shuruppak, Ziusudra (‘Colui che ha visto la vita’), avvisato dal dio Enki dell’imminente diluvio; il sovrano costruisce quindi un’imbarcazione e si mette in salvo.

    In quel tempo Ziusudra, il re, l'unto

    costruì un riparo rotondo.

    In umiltà, fervida preghiera, timore

    stando ogni giorno costantemente...

    ogni giorno gli appariva la parola...

    ... gli dei al muro...

    Ziusudra stando sul fianco alscoltò:

    «Stai presso il muro, a sinistra!

    Che io dica la parola presso il muro, la parola mia ricevi

    L'orecchio tuo alla mia purificazione.

    Un altro testo più recente, anche se realizzato nel XVIII secolo a.C., cioè il poema assiro-babilonese Atram-hasis ( Atrahasis ), racconta delle peripezie di Atram-hasis, il cui nome significa ‘di straordinaria saggezza’, corrispondente a Ziusudra e Utnapishtim, e non si discosta molto dal racconto sumerico appena accennato, anche se in questo caso è una narrazione chiaramente semitica. Vi si narra di un’epoca

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1