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Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero
Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero
Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero
E-book653 pagine10 ore

Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero

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Info su questo ebook

Ormai ventiquattrenne, a distanza di dieci anni dalle vicende che lo videro protagonista nel Medioevo, ritorna Gioacchino, in questo terzo e ultimo episodio di una straordinaria saga firmata da Salvatore Uroni. Il protagonista, suo malgrado, sarà coinvolto in situazioni che, su piani diversi, lo metteranno a confronto con fatti e personaggi che ne completeranno la maturazione, sia spirituale che umana. Vicende straordinarie ed eventi misteriosi daranno vita ad incontri inimmaginabili e nel contempo drammatici ed altamente pericolosi per la sua vita. In un mondo alle soglie di un cambiamento epocale ed in piena crisi sociale, politica e religiosa, dove nulla è più come prima, Gioacchino scopre di essere nel mirino di una misteriosa setta guidata da un oscuro quanto potente personaggio che progetta lo sterminio dell’umanità.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2020
ISBN9791280130020
Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero

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    Anteprima del libro

    Armageddon - Salvatore Uroni

    A R M A G E D D O N

    Gioacchino e la setta del Sole Nero

    Salvatore Uroni

    Titolo: Armageddon: Gioacchino e la setta del Sole Nero

    Autore: Salvatore Uroni

    Collana: Telestèrion

    ISBN versione e-book: 979-12-80130-02-0

    Edizioni Aurora Boreale

    © 2020 Edizioni Aurora Boreale

    Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato

    edizioniauroraboreale@gmail.com

    Questa pubblicazione è soggetta a copyright. Tutti i diritti sono riservati, essendo estesi a tutto e a parte del materiale, riguardando specificatamente i diritti di ristampa, riutilizzo delle illustrazioni, citazione, diffusione radiotelevisiva, riproduzione su microfilm o su altro supporto, memorizzazione su banche dati. La duplicazione di questa pubblicazione, intera o di una sua parte, è pertanto permessa solo in conformità alla legge italiana sui diritti d’autore nella sua attuale versione, ed il permesso per il suo utilizzo deve essere sempre ottenuto dall’Editore. Qualsiasi violazione del copyright è soggetta a persecuzione giudiziaria in base alla vigente normativa italiana sui diritti d’autore.

    L’uso in questa pubblicazione di nomi e termini descrittivi generali, nomi registrati, marchi commerciali, etc., non implica, anche in assenza di una specifica dichiarazione, che essi siano esenti da leggi e regolamenti che ne tutelino la protezione e che pertanto siano liberamente disponibili per un loro utilizzo generale.

    «L’uomo moderno vive nel sonno;

    nato nel sonno, egli muore nel sonno».

    (Georges Ivanovič Gurdjieff)

    «I piccoli segreti sono i più difficili da mantenere.

    Per quelli grandi basterà sempre l’incredulità della gente».

    (Herbert Marshall McLuhan)

    Questa è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, località, avvenimenti sono immaginari o

    usati in chiave fittizia e qualsiasi riferimento a persone, vive o

    morte, a fatti o a luoghi realmente esistenti

    è puramente casuale

    RINGRAZIAMENTI

    L’opera che ho creato e scritto, dal titolo Armageddon – Gioacchino e la setta del Sole Nero, per la complessità della trama e dei riferimenti ad avvenimenti e personaggi della storia antica e recente che contiene, è il risultato di un lungo percorso di ricerca e studio per attingere ad informazioni utili a realizzare quel mix di fantasia e realtà necessario per consentire ai personaggi di muoversi nello spazio tempo idoneo allo svolgimento degli avvenimenti che li ha visti protagonisti.

    Per raggiungere il traguardo del completamento del racconto, ringrazio tutte le persone amiche con le quali mi sono confrontato per avere una maggiore comprensione dei temi trattati e di tutti coloro che, indirettamente, attraverso le loro esperienze, mi hanno fornito utili indicazioni per la strutturazione della storia.

    Ringrazio il maestro Carlo Grechi per il prezioso contributo profuso per la realizzazione della copertina, artisticamente illustrata, pregna, nei colori, nei simboli e nella grafica, di significati profondi.

    In ultimo, ma primo per importanza, ringrazio la Divina Ispirazione nell’avermi scelto, quale umile strumento, per dare vita e corpo a questa opera, affinché possa dare ai lettori, attraverso i contenuti, e i messaggi di cui è portatrice, godimento e stimoli per una proficua riflessione.

    Salvatore Uroni

    Capitolo I

    «Ricordo tutto: luoghi, persone, dialoghi, lucidamente, come se i fatti accaduti allora si fossero svolti pochi minuti fa. Fatti incredibili, al limite dell’inverosimile. Oggi, nell’attesa che mi separa dall’ultimo atto che conclude quelle vicende, e nei quali sono stato coinvolto, mi scorrono, davanti agli occhi, le immagini di quei giorni convulsi come se fossero le scene di un film. Giorni cadenzati dal susseguirsi di avvenimenti, ora inaspettati e sorprendenti, ora colmi d’inquie-tudine e disperazione, che mi trascinarono fino alle soglie del panico e della paura di morire».

    Tutto iniziò tre anni fa. Era il 24 maggio del 2020, da un paio di mesi avevo compiuto 24 anni. Quel giorno rimasi a casa per studiare la tesi da presentare a ottobre, all’esame di laurea per il conseguimento del dottorato in lingue antiche: ebraico, greco e latino. Ricordo che, insieme a mio padre, Carlo, seguivo la diretta televisiva sull’elezione del nuovo Papa. Il conclave si protraeva già da diversi giorni e i cardinali non riuscivano a far convergere i voti necessari su un nome che mettesse d’accordo le varie correnti che si contrapponevano all’interno del Sacro Collegio: ciò aveva suscitato sconcerto nel mondo cattolico e non solo.

    Lo speaker intanto continuava a dare notizie sull’evento:

    «…Adesso passiamo la linea alle previsioni meteorologiche e dopo la pubblicità ci ricollegheremo con piazza S. Pietro per seguire l’esito della diciannovesima votazione dei cardinali chiusi in conclave nella cappella Sistina; vedremo se questa volta la fumata sarà bianca e non nera come le precedenti. Linea alle previsioni meteo».

    Mia madre, Luisa, dalla cucina, ci avvertì che il pranzo sarebbe stato pronto in pochi minuti. Nell’attesa chiesi a mio padre le possibili cause che ritardavano l’elezione del Papa:

    «Figliolo, nulla è mai trapelato dalle mura vaticane riguardo a possibili divergenze sulla scelta del futuro Papa. Che ci siano disaccordi è testimoniato dal fatto che i cardinali si trovano a votare per la diciannovesima volta. E questo non è un buon segnale per la Comunità cristiana».

    Intanto il collegamento da piazza S. Pietro era stato ripristinato, e di nuovo ci giunse la voce del telecronista:

    «Un saluto a tutti i telespettatori da piazza S. Pietro. Ancora pochi minuti di attesa e sapremo l’esito del voto dei cardinali. Gli occhi di tutto il mondo sono puntati sul comignolo del camino più famoso di tutti i tempi che scaricherà, direttamente dalla cappella Sistina, il fumo che annunzierà l’esito della votazione del Sacro Collegio. Questo conclave, che ormai dura da dieci giorni, nel suo prolungarsi ha suscitato più di un interrogativo. Molti si chiedono: perché mai, dopo dieci giorni, ancora non è stato nominato il nuovo pontefice? Le divisioni e i contrasti sono così forti da non consentire la scelta di un prelato che rappresenti un equilibrio tra le diverse correnti di pensiero che li animano? Queste domande serpeggiano soprattutto tra i fedeli che non riescono ad immaginare una chiesa in preda a lotte intestine tra fronti contrapposti. Abbiamo chiesto un parere al professor Anastasio Chiaronetti, vaticanista ed esperto di diritto canonico, sulle cause di questo stallo. Professor Chiaronetti, come interpreta questa incertezza sulla nomina del nuovo capo del cattolicesimo, e che tanta ansia sta suscitando nell’animo dei fedeli di tutto il mondo?».

    «Buongiorno a tutti. Sì, quello che lei dice sulla mancata nomina del nuovo successore di Pietro, sta generando più di un interrogativo e molto sconcerto tra i fedeli, che paventano disaccordi insanabili nel Sacro Collegio…».

    «Ecco, secondo lei, da cosa possono nascere questi contrasti o disaccordi, come li chiama lei?».

    «Guardi, le cause che stanno creando difficoltà nel far convergere su un nome il gradimento di tutto il conclave, risiedono nelle questioni che da anni, ormai, assillano, e hanno fatto tremare fino alle fondamenta, il cattolicesimo e le sue istituzioni rappresentative, co-involgendo anche la figura del Papa. Tra le più importanti questioni cito la difficile crisi enomica e finanziaria che da due anni imperversa negli Stati Uniti e che ha colpito principalmente l’Europa causando la frammentazione della Comunità Europea e il crollo della BCE, e i cui effetti si riverberano nelle relazioni internazionali generando il rischio, molto concreto, di una conflagrazione generale a colpi di bombe atomiche. Un effetto della crisi è la risorgenza delle linee di separazione confessionali che sembravano sul punto di essere superate, sulla scorta di un ideale di ecumenismo interreligioso, favorito dal Concilio Vaticano II. Altro tema scottante, che certamente produce un confronto duro tra i prelati riuniti in conclave, e quello della corruzione, arrivata anche ai piani alti della gerarchia vaticana e lo scandalo dello IOR; poi le accuse provate di pedofilia che hanno coinvolto, non soltanto parroci e diaconi, ma anche vescovi e cardinali, pur con diversi gradi di responsabilità, che tanto sconcerto e sdegno hanno suscitato nell’animo dei fedeli. Non dimentichiamo che a causa di questi fatti infamanti, le istituzioni vaticane sono state obbligate a umilianti patteggiamenti e condannate a risarcimenti milionari alle vittime di queste perversioni. Molte perplessità e commenti molto critici da parte di movimenti e associazioni cattoliche, suscita questa cultura modernista che si è impossessata di buona parte delle gerarchie ecclesiastiche, dedite a stili di vita lussuosi e mondani, che ne fanno, agli occhi dei fedeli, una casta privilegiata in totale disaccordo con il messaggio evangelico e…».

    «Mi scusi professore, ma devo interromperla, perché del fumo sta uscendo dal comignolo. Eccolo adesso si vede benissimo… È nero… È nero! È ancora nero!! Da piazza S. Pietro si leva alto il lamento dei fedeli che, con trepidazione, aspettavano il tanto atteso annuncio. Ma il fumo nero, che ora esce copioso, ha frustrato queste aspettative rimandando a questa sera la speranza che la ventesima fumata che fuoriuscirà dal comignolo sia, finalmente, bianca. Regìa? Il professor Chiaronetti, è ancora in linea? Dalla regìa ci dicono di sì. Ecco professore, sembra che quanto da lei affermato poco fa, trovi conferma in questa ulteriore fumata nera…».

    «… È evidente che questa ennesima votazione, andata a vuoto, testimonia di un clima, all’interno del Sacro Collegio, non proprio pacifico. Il momento è difficile sia per tutta la Comunità cristiana sia per le istituzioni che la rappresentano. La mancata elezione del nuovo pontefice, segnala uno scontro tra i cardinali, divisi tra l’ala modernista, fautrice di una dottrina meno rigida e più favorevole ai tempi attuali, e il fronte dei tradizionalisti, più legati alla Chiesa spirituale e al messaggio evangelico. Ecco, il perdurare dello scontro evidenzia un certo equilibrio tra le forze contrapposte e rischia di minare l’unità stessa della Chiesa cattolica con evidenti ricadute negative in questo momento di grande crisi politica, sociale ed economica che affligge l’umanità intera. Ciò ingenera ansia e preoccupazione che viene avvertita a livello mondiale, non solo tra il popolo dei fedeli, ma anche tra i governi delle nazioni non cattoliche e…».

    «Professor Chiaronetti, mi scusi, ma la devo interrompere. Mi dicono dalla regìa che è pronta la pubblicità. La ringraziamo per il suo intervento, e se lei è d’accordo ci risentiremo questa sera alle 19, ora in cui ci sarà la nuova fumata, speriamo quella decisiva. Da piazza S. Pietro un saluto a tutti i telespettatori, che invitiamo a sintonizzarsi sul nostro canale tv per la diretta che inizierà alle 18.30, con i commenti di esperti e di gente comune, chiamati a dire le proprie impressioni sull’andamento di questo conclave. Linea alla pubblicità».

    La voce di mia madre distolse la nostra attenzione dal telegiornale avvisandoci che il pranzo era pronto. A tavola li informai che nel pomeriggio sarei andato a casa di Martina per incontrarmi con i miei compagni d’università, Simona e Bruno. Mi avevano chiesto di aiutarli a superare alcune lacune in ebraico e greco in vista della prossima sessione d’esami. In quell’occasione mia madre, a cui non sfugge nulla, mi chiese:

    «Bene, Gioacchino. A proposito, Martina è quella ragazza che è venuta a casa nostra la volta scorsa per ripassare con te il greco?».

    «Sì, mamma».

    «Bella ragazza. Mentre le spiegavi sembrava pendesse dalle tue labbra. Poi quegli sguardi… Facevano capire che è invaghita di te».

    Le risposi con un certo imbarazzo:

    «Eemh…tu credi? Io nemmeno ci ho fatto caso».

    «Ma va là! A chi credi di darla a bere. Uno come te che scruta e osserva tutto peggio di Sherlock Holmes, non si accorge di una ragazza che lo guarda in un certo modo?».

    La mia risposta fu breve, non volevo rinverdire la sofferenza che mi procurava la mancanza di Cecilia ed il senso di colpa che mi rodeva l’anima al pensiero di averla abbandonata al suo destino nella mia avventura nel medioevo. Capivo le preoccupazioni dei miei genitori al riguardo e ancora una volta li rassicurai.

    «Hai ragione. Martina, oltre che bella, è una bravissima ragazza, molto sensibile e buona d’animo, non si dispiacerebbe se le facessi la corte, e so che non mi direbbe di no se le manifestassi l’interesse a mettermi con lei. Ma questo non è possibile, e lei lo sa, perché le ho confidato di essere sentimentalmente legato a una ragazza che ho incontrato alcuni anni fa, e di cui mi sono follemente innamorato. Le ho raccontato anche della sua improvvisa scomparsa, senza che mi lasciasse capire dove fosse andata. Martina sa che, malgrado la delusione e la sofferenza, i miei sentimenti per lei non sono mai cessati e che la fortuna, il caso, la provvidenza, un giorno mi daranno l’opportunità rivederla. Mi dispiace averle frustrato le aspettative, ma, in virtù dell’amicizia che ci lega, non potevo illuderla. Lei ha capito e, da amica quale è, mi ha espresso parole di conforto. Comunque questa storia la sapete anche voi e mi dispiace procurarvi preoccupazioni. Ma vi assicuro che sto bene e sono convinto che col tempo potrò ritrovare la serenità d’animo necessaria per riallacciare rapporti con una ragazza».

    «Scusami, non volevo metterti a disagio. Ma è passato tanto tempo, anni, da quando ci hai confidato di questo rapporto con questa ragazza e della delusione che hai provato dal momento della sua inaspettata sparizione. Da allora, per me e papà, vederti a casa triste e depresso, ci ha preoccupato e ci preoccupa non poco. Vorremmo vederti spensierato e sorridente, come tutti i ragazzi della tua età. Vederti uscire più spesso con i tuoi compagni d’università, invece di stare chiuso in casa sempre a studiare. Esci soltanto per recarti all’associazione di volontariato per l’assistenza a persone anziane sordomute e nelle biblioteche per le tue ricerche. Poi, quando capita, vai a Norma da nonna Matilda per perfezionare lo studio delle lingue antiche nelle quali nonna è preparatissima. Gioacchino, i sentimenti che provi per questa ragazza, che ci hai detto si chiama Cecilia, non possono essere la tua prigione. Ti devi convincere che ormai lei non c’è più. Tu hai una vita davanti, progetti da realizzare, persone da amare…».

    Non mi andava di continuare quel discorso e tagliai corto:

    «È vero, mamma. Sono d’accordo con te. Vedrai che mi passerà. Ora però devo andare, prenderò l’autobus e poi la metro, sennò rischio di arrivare tardi a casa di Martina. Il pranzo era ottimo. Ci vediamo stasera, sarò a casa prima della diretta dal Vaticano. Ciao».

    Uscii di casa con la testa affollata di pensieri, tutti riconducibili a Cecilia, e sotto un sole abbacinante raggiunsi la fermata dell’autobus su via Aurelia. L’autobus che doveva portarmi alla stazione della metro Cornelia arrivò dopo una decina di minuti. Durante il viaggio rimasi impressionato nel vedere all’incrocio di piazza Irnerio auto della polizia e furgoni blindati di militari, tutti in assetto anti sommossa. Anche l’ingresso della metro Cornelia era sorvegliato da soldati con il fucile mitragliatore in mano. Raggiunsi la linea della metro posta 40 metri sotto il piano stradale e impiegai buoni venti minuti per arrivare sull’Appia, alla fermata Colli Albani che si trova a circa duecento metri dalla casa di Martina. Sotto la calura attraversai la piazza e finalmente arrivai a destinazione. Martina mi accolse con un largo sorriso, dicendomi che gli altri erano già arrivati. Ricordo che lungo il corridoio passammo davanti alla cucina e dentro c’era la madre. La madre aveva un debole per me e, come sempre, mi abbracciò facendomi un sacco di complimenti. Io sono un timido di natura e tanta esuberanza mi fece diventare un po’ rosso. Sapevo che la signora avrebbe visto di buon occhio il mio fidanzamento con la sua unica figlia.

    Martina, vedendo il mio disagio, corse in mio soccorso:

    «Mamma, non mettere a disagio Gioacchino»., e lei: «Perché? Che ho fatto di male? L’ho soltanto abbracciato, e fatto dei complimenti. Gioacchino è proprio un bravo ragazzo e…»., la signora si bloccò, forse stava per dire: «… e mi piacerebbe che si mettesse con te», ma per fortuna non lo disse invitandoci a raggiungere Bruno e Simona. A casa di Martina sono di famiglia, mi trattano come se fossi un loro figlio. Ho conosciuto lei e i suoi genitori fin dal primo anno di liceo classico e dopo cinque anni di scuola superiore, e quasi cinque d’università, la loro cordialità e la stima nei miei confronti non è mai cambiata: sono bravissime persone e mi fa sempre piacere incontrarle. Quel pomeriggio lo studio fu abbastanza impegnativo e nel vedere Bruno e Simona, gli dissi:

    «Ciao ragazzi. Tutto a posto? Siete pronti ad affrontare i greci e le dodici tribù d’Israele?».

    Ricevendo la risposta ironica di Bruno:

    «Hai detto bene, Gioacchino. Studiare il greco e l’ebraico è come affrontare le falangi greche o dare l’assalto alle mura di Gerusalemme. Ahahahah».

    «Ma no, Bruno, bisogna saperle prendere. Le lingue antiche sono come le persone, se ne capisci lo spirito diventano amiche e si fanno subito comprendere».

    Simona intervenne nello scambio di battute:

    «Se lo dici tu che hai tutti trenta e lode, deve essere vero. A proposito mi è giunta voce che stai preparando la tesi sulla Bibbia e sulla interpretazione che ne dà Gioacchino da Fiore, è vero?».

    «Simona, scusa, chi te l’ha detto?».

    Simona indicò con lo sguardo Martina, l’unica a cui l’avevo confidato, con la promessa che non ne facesse voce a nessuno. Martina mi guardò con la faccia contrita e allargò le braccia:

    «Gioacchino scusami, scusami. Lo so, non ho mantenuto la promessa, ma non ho resistito alla voglia di dirlo alla mia amica più fidata, facendole promettere che non l’avrebbe detto a nessuno».

    «Infatti, fedele alla promessa, l’ha detto davanti a Bruno!».

    «Oh ragazzi! Non mi mettete in mezzo», fece Bruno colto di sorpresa. E continuando:

    «È vero che soltanto ora apprendo questa novità, ma ti prego Gioacchino non ne fare una questione, perché da questa bocca non uscirà nulla, sarò muto più di un pesce».

    «Ok ragazzi, lo sapete soltanto voi che sto preparando la tesi sulla interpretazione della Bibbia che ne dà Gioacchino da Fiore, e per questo dallo scorso anno ho iniziato a consultare testi ebraici, greci e latini della Bibbia. Però vi prego, che rimanga qui, se diventasse di dominio pubblico, ne sarei molto infastidito».

    La questione si chiuse lì ed iniziammo a studiare. Nel tardo pomeriggio li lasciai che ancora studiavano, mi premeva rientrare a casa prima della diretta televisiva dal Vaticano. Declinai l’invito di Martina ad uscire il giorno dopo con loro perché nella mattinata, essendo sabato, sarei stato impegnato con il servizio di volontariato civile. Infatti, come ogni sabato, accompagnavo la signora Rosina, sordomuta fin dalla nascita, a fare spesa al supermercato. Nel pomeriggio, invece, sarei andato con i miei genitori a Norma a trovare nonna Matilda, per trascorrervi il fine settimana. Il ritorno a casa fu veloce. Trovai papà già davanti al televisore: stava seguendo la telecronaca in diretta da piazza S. Pietro.

    Dopo i saluti, mi sedetti sul divano in attesa del responso maturato tra i cardinali. Il telecronista stava trasmettendo delle interviste ad alcuni fedeli, ma venne interrotto dalla regìa, commentando:

    «Mi dicono dalla regìa che non c’è tempo per altre interviste perché manca poco alle diciannove, l’ora in cui dal camino della cappella Sistina dovrebbe uscire il fumo con la risposta che tutto il mondo aspetta. Passo immediatamente la linea ai colleghi della postazione fissa puntata sul camino. Linea ai colleghi della postazione due».

    «Grazie collega. Eccoci qui, cari telespettatori, con le telecamere puntate sul tetto del palazzo vaticano da dove, tra pochi secondi, assisteremo alla ventesima fumata che ci svelerà cosa i cardinali, chiusi nel segreto della cappella Sistina, hanno deciso. Le diciannove sono scoccate da pochi secondi e gli occhi di tutto il mondo stanno scrutando il tetto da cui si erge il comignolo, per capire, anche dal minimo accenno di fumo, cosa sia accaduto in questa ennesima consultazione. Tutti gli astanti che affollano piazza S. Pietro, hanno la testa alzata in direzione del comignolo e quasi si avverte la tensione che suscita in loro questa interminabile attesa. Un brusìo si alza dalla piazza, forse, tra i fedeli, c’è un attimo di perplessità dovuta al ritardo con il quale viene dato l’annuncio. Al momento, e sono trascorsi già un paio di minuti, dal camino della Sistina non fuoriesce nulla. Il brusìo tra la folla aumenta d’intensità, l’assenza del fumo senz’altro alimenta un’inquietudine e pone una domanda: Perché questo ritardo? Cosa può essere accaduto? No, aspettate… dal camino inizia a fuoriuscire qualcosa…Sì, sì, è fumo… È fumo, ed è bianco… É bianco. Il cattolicesimo ha il suo nuovo capo spirituale. Cari telespettatori, la colonna di fumo si è fatta molto consistente e s’incolonna veloce verso il cielo ad annunciare a tutto il mondo che la Chiesa ha eletto il successore di Pietro. La piazza è impazzita. La folla grida di gioia e applaude verso il camino. Sembra quasi un ringraziamento che i cristiani rivolgono a tutto l’olimpo cattolico per aver fugato, finalmente, le ansie e le paure che hanno scosso anche i più tenaci tra i credenti…».

    La mia curiosità, a quell’annuncio, aumentò. Era forte il desiderio di sapere quale fazione avesse avuto il sopravvento nell’elezione del nuovo pontefice. Sapevo che tra la fumata e l’annuncio ufficiale e formale a tutto il mondo c’era tutta una procedura da seguire. Questa procedura prevede che nel segreto della cappella Sistina, il cardinale eletto Papa, accetti la nomina davanti a tutti i prelati del Sacro Collegio per passare, ad accettazione avvenuta, nella camera lacrimatoria, attigua alla cappella, per la vestizione. Incollati al televisore, continuammo a seguire il commento del telecronista:

    «Amici telespettatori… è accaduto che il nuovo Pontefice sia stato eletto alle ore 19 e cinque minuti, in questo 24 maggio del 2020, giorno dell’Ascensione per la chiesa cattolica di rito romano. Ebbene, l’elezione del nuovo Papa avviene lo stesso giorno in cui la cristianità festeggia l’Ascensione di Gesù in cielo per andare a sedersi alla destra del Padre. Un messaggio simbolico potente che in molti tenteranno di decifrare facendo ricadere sul nuovo Papa chissà quali implicazioni sia per la sua persona che per la Chiesa cattolica tutta. Signore e signori, la fumata bianca è accompagnata dallo scampanìo a festa delle campane della Basilica di S. Pietro che si propaga per tutta Roma per annunciare la lieta novella, e già si sentono gli scampanii di tutte le chiese di Roma unirsi alle campane vaticane. Le grida di giubilo continuano ad alzarsi da piazza S. Pietro».

    Insieme a miei genitori rimasi davanti al televisore a seguire le immagini che arrivano da piazza S. Pietro. Il cronista urlava al microfono: «…È incredibile! È incredibile quello che sta accadendo in piazza S. Pietro. I fedeli si stanno accalcando sotto al sagrato della basilica e già inneggiano al nuovo Papa, e le grida di giubilo si alzano verso loggia centrale della Basilica da dove il protodiacono leggerà la formula di rito in latino che ufficialmente comunicherà, all’orbe terracqueo, l’avvenuta elezione e il nome del successore di Pietro».

    In quei giorni circolavano nomi di possibili papabili, ma in ossequio al detto che recita: Chi entra Papa esce Cardinale, scoprii che nessuno dei nomi apparsi sulla stampa rispondevano al Papa eletto. Intanto il giornalista proseguiva nella sua telecronaca:

    «…Amici telespettatori, è incredibile lo spettacolo di folla plaudente e osannante che si sta svolgendo in piazza S. Pietro, piena fino all’inverosimile. È colma anche via della Conciliazione, fin quasi a Castel S. Angelo. Tutti guardano il balcone dal quale il protodiacono annuncerà al mondo il nome del sovrano supremo dei cattolici. Ancora qualche decina di minuti e sapremo chi è il nuovo papa".

    In realtà all’annuncio del protodiacono mancava più di mezz’ora e in quello spazio di tempo mia madre mi disse di andare ai cassonetti della differenziata a gettare i rifiuti. Presi i sacchetti e m’avviai verso l’uscita di casa seguito da Billy, il nostro cane, e Lilù, la nostra gattina. Il cane e la gatta sono molto legati, e spesso giocano tra di loro; capita che quando Billy si sdraia, la gatta s’addormenta tra le sue zampe. Faceva lo stesso Minù, la nostra prima gatta che è venuta a mancare ai nostri affetti a causa delle mie disavventure medievali. I cassonetti si trovavano a circa trecento metri da casa. Durante il tragitto mi sopravvennero una ridda di ricordi. Il passeggiare con il cane e la gatta riportò alla mente il mio andare per le strade di Ninfa insieme a Cecilia, e poi i suoi palazzi, il mercato e l’incontro con l’omaccione a cui pestai il piede ricevendone uno schiaffone, e poi ancora le rampogne di Cecilia per i rischi che le feci correre. Il ricordo di quegli avvenimenti mi fece sorridere, ma fu un attimo perché il suo posto fu preso da uno scoramento che mi strinse il petto come una morsa, e la fitta si tradusse in parole che fuoriuscirono dalla bocca senza che lo volessi:

    «Cecilia, amore mio, dove sei? Perché non accade un miracolo? Dio fai in modo che girando l’angolo la trovi improvvisamente davanti ai miei occhi».

    Billy capì la mia disperazione e mi guardò abbaiando il suo conforto. Quando girai l’angolo scorsi una persona, ma, con mia delusione, non vidi Cecilia, ma un signore che conoscevo da molti anni perché abita quasi dirimpetto a casa mia. Nel cassonetto stava gettando bottiglie di plastica.

    Arrivato ai cassonetti lo salutai, quasi forzatamente:

    «Buonasera, Dino», a cui lui rispose: «Buonasera, Gioacchino».

    Salutò anche Billy e Lilù ricevendone un latrato e un miagolìo di risposta. Iniziai a gettare, con forza, le bottiglie di vetro nel cassonetto facendole schiantare sulle altre con gran fracasso. Era il modo con il quale tentavo di scaricare la rabbia e la frustrazione che mi pervadevano. Dino, che mi conosce fin da quando sgambettavo davanti a casa sua, sembrò aver compreso il mio stato d’animo e mi chiese: «Gioacchino, sei arrabbiato?".

    «Sì, Dino. Sono arrabbiato perché non si avvera ciò che più desidero, e la delusione mi arriva sempre con la stessa risposta:

    "Caro Gioacchino, il tuo desiderio è impossibile a realizzarsi. Non è giusto!».

    «Gioacchino, io non so quale sia questo desiderio, che, da come dici, è utopistico il solo pensarlo; però ti posso assicurare che i desideri, spesso, nella loro irrealtà creano una gabbia entro la quale non facciamo che nutrire la nostra sofferenza».

    «Dino, parli come nonna Matilda. Anche lei la pensa come te».

    «Ah tua nonna, a proposito, come sta? Quando viene a trovarvi? Mi piacerebbe molto rivederla, con lei intavolo dialoghi molto interessanti sulla filosofia, sul medioevo e su altro ancora. Veramente in gamba quella donna».

    «Nonna viene di rado a casa nostra. Non ama il caos e il fracasso della città, soprattutto di questi tempi, e preferisce rimanere nella quiete del suo casale nelle campagne di Norma. Piuttosto siamo noi che domani pomeriggio andiamo da lei».

    «Ah, come la invidio. Allora domani portale i miei saluti. È una persona che ammiro molto. Mi raccomando Gioacchino, quieta il tuo animo. Non dare sazio alla rabbia e alla depressione, così facendo permetti a loro di rubarti anche i ricordi più belli».

    Ci lasciammo con un saluto e avviandomi verso casa il conforto delle parole di Dino durò poco. La cupezza s’impossessò di nuovo del mio animo, il pensiero di Cecilia non mi abbandonava. Il sole si stava avviando al tramonto e le prime ombre si allungarono dalle case del quartiere Aurelio. Un venticello arrivava sbarazzino da ponente donandoci un po’ di frescura. Al rientro trovai la televisione ancora accesa in attesa delle riprese in diretta. Infatti poco dopo lo speaker iniziò a parlare:

    «…Cari telespettatori, eccoci di nuovo in collegamento con piazza S. Pietro. Mancano una manciata di minuti alle venti e tra poco, come previsto dal cerimoniale vaticano, il protodiacono si affaccerà dal balcone della Basilica per annunciare a tutte le nazioni del mondo il nome del cardinale eletto successore di Pietro e il nome con il quale sarà chiamato da pontefice. Qualche minuto prima del collegamento è stata calata dal balcone una grande bandiera con i colori giallo e bianco, simbolo dello stato pontificio…».

    Io e miei genitori, a quell’annuncio, ci mettemmo davanti alla tv, curiosi di sapere chi fosse stato eletto. Nell’attesa sorseggiavo del succo di frutta. Il telecronista continuava a parlare. Quasi gridava, come se stesse commentando una partita di calcio:

    «Ecco, ecco, anche voi, che state davanti alla televisione, potete vedere che una figura si è affacciata al balcone, ed è seguita da due prelati in porpora rossa, certamente due cardinali. È l’ora… È l’ora che il mondo intero stava aspettando. Il protodiacono si accinge a rivelarci il nome del nuovo Pontefice!».

    Dal televisore sentimmo risuonare le parole del protodiacono:

    «Fratribus et Sororibus per orbem terrarum. Annuntio vobis gaudium magnum. Habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Argenium Sancte Romanae Ecclesia Cardinalem Florentino qui sibi nomen imposuit Joachinum I».

    Subito seguito dal commento del cronista:

    «Cari telespettatori, avete appena sentito la dichiarazione in latino, come da tradizione, che ufficializza l’avvento al soglio pontificio del cardinale Argenio Florentino, un italiano, un outsider che non rientrava nella lista dei papabili. Un’autentica sorpresa…».

    Mentre il telecronista continuava a blaterare, io restai annichilito, come se qualcosa, una forza misteriosa, all’annuncio del nome del cardinale eletto Papa mi avesse bloccato all’improvviso. Restai con il bicchiere a mezz’aria e sibilai un’imprecazione appena percebile:

    «Mondo… gatto…»., che però attirò l’attenzione dei miei, suscitando in loro una preoccupazione:

    «Gioacchino, che ti prende? Perché sei rimasto impalato, con lo sguardo stralunato e il bicchiere a mezz’aria?».

    La voce di papà mi scosse da quello stato, e farfugliai una scusa: «No… no… non è nulla papà… Forse il succo di frutta».

    «Ecco, te lo dico sempre di non bere roba gelata», disse mia madre. Le diedi ragione e subito dopo mio padre mi fece notare:

    «Gioacchino, hai sentito che felice coincidenza? Il nuovo Papa ha preso il tuo stesso nome!».

    Gli risposi che l’omonimìa che legava il mio nome al Papa, in effetti, mi aveva suscitato uno straniamento. Questa mia risposta suscitò le perplessità di mia madre:

    «È perché ti ha stranito? Tutto sommato mi sembra che il tuo nome accostato a quello del Papa non può che essere di buon auspicio, non credi?».

    Le risposi che quel nome era, certamente, un accostamento fortunato. Le parole di mamma e papà non mi avevano affatto tranquillizzato e sentivo un’inquietudine serpeggiare da capo a piedi. Non mi turbò solo il nome che il Papa aveva assunto, mi creò un’an-sia anche maggiore il suo nome di battesimo: Argenio. Assomigliava troppo a un nome che conoscevo fin troppo bene. Mentre i pensieri m’invadevano il cervello, sorseggiai un altro po’ di succo. Il telecronista continuava a strillare: «… Eccolo… Eccolo il nuovo capo dello Stato del Vaticano… Ecco la guida delle Comunità cattoliche di tutto il mondo. Dalla piazza si alza un boato di voci e applausi… Finalmente tutto il mondo vedrà il viso del pontefice. Dai, dai Calogero… fai un primo piano sul balcone… fai un primo piano sulla faccia del Papa».

    Io, mamma e papà eravamo ritti in piedi con gli occhi puntati sul televisore e seguivamo l’inquadratura della telecamera che avvicinava sempre più il balcone e la figura del Papa, fino a renderlo grande abbastanza per vederlo in viso. A quella vista il sorso di succo di frutta cha stavo ingoiando mi andò di traverso e quasi mi strozzai. Iniziai a tossire fino a diventare cianotico. Mamma, colta di sorpresa, fece uno strillo:

    «Aaah! Gioacchino… Che ti succede? Carlo, Carlo dagli delle pacche sulle spalle, svelto, svelto! Gioacchino! Gioacchino! Oh Mamma mia! Oh Madre Santa!».

    Papà intervenne subito e mi assestò tre pacche sulle spalle liberandomi dall’ingorgo liquido che mi ostruiva la respirazione; continuai a tossire, ma in compenso iniziai a respirare e, piano piano, mi ripresi. Mamma mi guardava: il suo viso era una maschera di paura, preoccupatissima, mi disse:

    «Gioacchino, che paura mi hai fatto prendere. Il tuo viso era rosso paonazzo e gli occhi quasi ti scappavano dalle orbite. Ora, per fortuna, non sei più tanto rosso, anzi sei bianco più di uno straccio. Ma cosa ti è accaduto?».

    Anche papà disse la sua:

    «Figliolo, anche a me hai fatto prendere uno spavento da far rizzare i capelli. Non capisco cosa ti ha preso. La telecamera aveva appena inquadrato il viso del Papa e di botto hai cominciato a tossire in maniera così violenta da farmi temere il peggio. Ora siediti e prendi un po’ di fiato, poi ci spieghi che ti è successo».

    Tra gli sguardi preoccupati dei miei e qualche colpo di tosse, riprendemmo a seguire la telecronaca:

    «… Professor Chiaronetti, è in linea?».

    «Sì, sono qui. Buonasera a tutti i telespettatori… Professore, immagino abbia seguito la telecronaca e quindi sappia il nome del cardinale eletto Papa. Ecco, le chiedo: il cardinal Florentino era compreso nella lista dei papabili?».

    «Guardi, assolutamente no! Devo confessare che è stata un’autentica sorpresa».

    «Professore, spieghi ai telespettatori perché il nuovo Pontefice, che ricordo ha preso il nome di Gioacchino I, coglie lei, e tutti gli esperti che seguono le vicende vaticane, di sorpresa, e quale corrente vincitrice del Conclave, rappresenta il cardinal Florentino?».

    «La nomina del cardinal Florentino a Papa deve essere stata frutto di un confronto durissimo tra i porporati chiusi in conclave. Egli rappresenta l’ala tradizionalista del Cattolicesimo; l’ala che, oltre a rispettare la morale e la tradizione millenaria della Chiesa, pone a suo fondamento il messaggio Cristico contenuto nei Vangeli e gli insegnamenti di S. Francesco e di Gioacchino da Fiore, per citare, tra i tanti, due campioni della fede che massimamente si sono adoperati per dare voce al messaggio d’amore contenuto nei Vangeli. Una nomina sorprendente se si pensa a cardinali del calibro di coloro che sono a capo delle regioni ecclesiastiche della Lombardia, della Campania, del Piemonte e altri ancora, compreso diversi nomi di cardinali stranieri del Nord Europa e del Sud America».

    «E quale incarico ricopriva, fino a ieri, il cardinal Florentino?».

    «Il cardinale era a capo della regione ecclesiastica dell’Umbria, che per quanto meno importante e potente delle diocesi regionali sopra citate, non dimentichiamo che fu la terra natale di S. Francesco e di Santa Chiara, e dove sorgono i santuari dedicati al fondatore dei frati francescani e del santuario di Santa Rita da Cascia».

    «Secondo lei, la nomina a Papa di un tradizionalista messaggero della spiritualità evangelica, casualmente effettuata nel giorno dell’Ascensio-ne, una ricorrenza dalla fortissima valenza simbolica e spirituale, andrà a sanare le probabili divisioni tra i cardinali all’interno del conclave e della Curia vaticana?».

    «Innanzitutto, non credo che l’elezione del nuovo Papa nel giorno dell’Ascensione sia casuale. Nelle vicende umane ci sono dei risvolti che trascendono il materialismo e la ragione che lo sostiene, risvolti che non siamo in grado di comprendere e che agiscono a prescindere da ciò che l’umanità nel suo insieme realizza nel suo procedere. Coloro che hanno dato voce a questi processi invisibili, ma presenti nel corso della storia umana, sono stati denigrati e tacciati di superstizione. Comunque ritornando alla sua domanda, le rispondo che è mia convinzione che Gioacchino I non è stato eletto all’unanimità, e i cardinali della corrente modernista, pur sottomettendosi formalmente al responso elettorale e al riconoscimento del nuovo capo dello Stato Vaticano, nonché all’autorità di cui è investito in quanto successore di Pietro al soglio pontificio, opporranno certamente una forte resistenza alle scelte che farà Gioacchino I. Questa elezione avrà pesanti ripercussioni nelle gerarchie vaticane e non ho dubbi riguardo ad eventuali ostilità che si manifesteranno nel corso di questo papato che reputo di difficile gestione. Coincidenza vuole che questo 24 maggio oltre che festeggiare l’Ascensione segna anche l’entrata in guerra dell’Italia nel conflitto mondiale del 1915-18. Due date dalle fortissime valenze simboliche».

    «Che cosa vuole significare, professore?».

    «Ripeto, la data racchiude in sé una forte valenza simbolica, e senza enfatizzarla troppo, mi dà l’impressione che l’avvento di una figura che si propone di far ritornare la Chiesa cristiana alle sue radici spirituali, sarà fortemente osteggiata con una guerra sotterranea e senza esclusione di colpi».

    «Professore, lei sta prefigur…».

    Mio madre distrasse la nostra attenzione dal dialogo tra il professore e il cronista:

    «Gioacchino, come stai? Puoi parlare?».

    «Sì…mamma… ora sto molto meglio… e…».

    E vedendomi ancora affannato, mi disse:

    «Aspetta, vedo che continui a deglutire, non parlare. Il tuo viso ha già ripreso un po’ di colore. Non ti affaticare, non ti sforzare a parlare. Rilassati ancora un po’, intanto ascoltiamo le parole del Papa. Dovrebbe parlare a momenti, le telecamere hanno puntato l’obiettivo sul palazzo apostolico. Sentiamo il cronista».

    «Cari telespettatori, fino ad ora il Papa è stato osannato, e continua ad esserlo, da tutti i presenti in piazza S. Pietro. Dall’inquadratura adesso potete vedere due assistenti sistemare il microfono sul davanzale del balcone. Ecco, il Papa è pronto! Amici telespettatori, state per ascoltare il primo discorso ufficiale di Papa Gioacchino I».

    Alla voce del cronista si sostituì la voce del pontefice che ascoltammo con grande attenzione:

    «Fratelli. Sorelle. Benedico tutti voi, qui in piazza S. Pietro, tutti i romani e tutto il popolo italiano. Benedico tutte le Comunità cristiane in qualunque luogo esse si trovino nel mondo. Un saluto e la mia benedizione a tutti i fratelli e a tutte le sorelle delle altre confessioni che, pur nominando il Padre Nostro con altri nomi, ne condividono l’amore infinito e si adoperano per realizzare tra i popoli relazioni improntate alla pace, al reciproco rispetto e alla piena realizzazione della dignità dell’uomo in quanto figlio di Dio. Fratelli… Sorelle… abbracciandovi tutti voglio manifestarvi conforto e affetto, ed è in forza di questo affetto che non posso tacere, già fin da adesso ed a pochi minuti dalla mia nomina, che questi sono tempi durissimi… che l’umanità vive una crisi drammatica dalle conseguenze facilmente immaginabili per la civiltà così come, fino ad oggi, l’abbiamo conosciuta. In quanto figli di Dio, dobbiamo agire tutti, ora, in qualunque parte del mondo, pregando e invocando l’amore tra i popoli e le nazioni tutte. Noi tutti, uomini e donne, abbiamo l’obbligo di vivere in armonia e in pace con tutte le creature viventi, e rispettando la nostra amata Terra, che ci ospita e ci dà il necessario per sostenerci e vivere, sapendo che condividiamo un destino comune all’interno del perfetto ordine divino costituito e a cui noi dobbiamo tendere. È con grande gioia e amore che mi faccio carico del grande fardello che il Padre Nostro mi ha assegnato nel condurre, insieme ai cardinali, ai vescovi, al clero secolare e al popolo di Dio tutto, la Santa Madre Chiesa, che tanto ha sofferto negli ultimi anni, verso acque quiete e meno burrascose di quelle che oggi ci troviamo ad affrontare. Davanti a voi faccio atto di fede e m’impegno, con il conforto delle vostre preghiere, dell’aiuto di Dio, di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi tutti, ad operare perché finalmente si avvicini il regno dell’Amore e dello Spirito, come Dio stesso ci ha indicato attraverso la testimonianza del suo figlio Gesù che non ha esitato ad affrontare il sacrificio della Croce per amore dell’umanità. Fratelli… Sorelle… Io vi abbraccio e vi benedico tutti, portate con voi, ovunque vi troviate, l’amore che nasce dal cuore, andate in pace: in nomine Patris et Filii et Spiritui Sancti. Amen».

    Ricordo che i miei furono molto colpiti dalle parole del Papa:

    «Accidenti, Luisa. In due minuti il nuovo Papa ha detto cose che non ho mai sentito dagli altri Pontefici nello stesso frangente».

    «Sì, Carlo. Anch’io ascoltandolo non ho potuto fare a meno di subire un’affascinazione potente, magnetica».

    Anche il cronista subì lo stesso effetto sorpresa e si rivolse al professor Chiaronetti per chiedere lumi:

    «Professore… Professor Chiaronetti è ancora in linea?».

    «Sì, sì… sono qui!».

    «Ha sentito quello che ha detto Gioacchino I, nel suo primo discorso ufficiale?».

    «Sì ho sentito benissimo, e devo dire che questo Papa, un sessantenne, segna una rottura con i discorsi dei precedenti Pontefici che, appena insediati, si sono limitati a benedire e a salutare i fedeli. Il tono e il peso delle parole che ha detto nell’atto di fede non lasciano dubbi sull’urgenza d’intervenire su una situazione internazionale tesissima, arrivata al culmine di una tensione che rischia di trascinare il mondo in una terribile guerra nucleare che dissolverebbe, in poche ore, l’umanità e la vita sul nostro pianeta. Gioacchino I avverte il dramma e la tragicità del momento e da subito mette sul chi va là coloro che spingono verso la guerra e chiama, invece a raccolta, la comunità cristiana innanzitutto, ma anche i popoli delle altre nazione a fare fronte comune per manifestare la contrarietà ad un epilogo così tragico per le sorti dell’umanità. Inoltre, il Pontefice, quando afferma: «…la Chiesa cattolica, che tanto ha sofferto negli ultimi anni, verso acque quiete e meno burrascose di quelle che oggi ci troviamo ad affrontare…» manda un segnale forte a tutti coloro che la rappresentano, dentro e fuori le istituzioni vaticane, che darà il via a un nuovo corso che faccia a meno di una mondanità segnata da lussi e privilegi, e, soprattutto, da una sequela di scandali che l’hanno marcata più come centro di potere temporale corrotto che come punto di riferimento etico e spirituale nel solco del messaggio evangelico. Prevedo tenaci resistenze al nuovo corso da parte dell’ala modernista, al momento molto forte in tutte le rappresentanze della Curia vaticana, che si riteneva maggioranza dentro questo conclave e convinta di eleggere un suo rappresentante al soglio pontificio per completare l’opera di…».

    «Professor Chiaronetti, ci scusi, ma dobbiamo interromperla! Dalla regìa ci dicono che la pubblicità deve andare immediatamente in onda, per cui la ringraziamo, con l’auspicio di risentirla nelle prossime trasmissioni. Grazie professore. Linea alla pubblicità!».

    La pausa pubblicitaria, consentì ai miei genitori di accertarsi delle mie condizioni: «Figliolo, come ti senti?».

    «Ora sto molto meglio, papà. Quel brutto momento è passato, ed è certo che non berrò più roba gelata. Ora scusatemi vado un attimo in bagno, sento il bisogno di bagnarmi il viso con acqua fresca".

    Mia madre non convinta delle mie rassicurazioni, mi chiese:

    «Sei sicuro di stare meglio? La tua faccia mi sembra ancora sconvolta, vuoi che ti accompagno?».

    Le risposi che non c’era bisogno e m’avviai verso il bagno. Nei pochi passi che mi separavano dal suo ingresso sentii ancora mamma commentare la paura che si era presa. Chiusi la porta del bagno e mi piazzai davanti allo specchio fissato nel muro sopra il lavandino. Aprii il rubinetto dell’acqua facendola scorrere. Poi mi guardai allo specchio e malgrado fossi meno agitato, portavo sul viso i segni del quasi soffocamento: aveva ragione mamma ero ancora stravolto. Il pensiero corse subito al momento in cui avevo fissato la faccia del Papa, e fu lì, in quell’attimo che mi venne a mancare il respiro facendomi andare di traverso il succo di frutta. Com’è possibile che ci sia una tale somiglianza? Pensai. E continuando nella riflessione: È vero che l’età è quella di un sessantenne, ma il viso è lo stesso, come pure i capelli corti e scuri, non ha la barba corta come quell’altro, ma ho riconosciuto benissimo le fattezze della sua faccia asciutta e spigolosa, e ancora il suo modo pacato ma sicuro e incisivo di parlare; ed è nel riconoscere quella figura che ho trattenuto a stento in gola, strozzandomi, un pensiero che gridava «no, non può essere lui. Non può essere Arsenius!».

    In preda allo stupore cominciai a dare voce ai pensieri:

    «No, Gioacchino, non può essere la stessa persona che hai incontrato nel medioevo, ormai più di seicentotrentanni fa. Certo la somiglianza è impressionante, ma nulla più: questo è un normalissimo cardinale appena eletto Papa e…».

    La voce di mia madre che mi avvisava della cena pronta interruppe quella ridda di pensieri e domande. Prima di uscire dal bagno, mi risciacquai il viso per risvegliarmi dallo shock che mi aveva quasi tramortito. Mi diressi verso la cucina accompagnato dai dubbi e dal viso di Gioacchino I. La televisione era ancora accesa e il conduttore annunciava un fatto di cronaca:

    «Ed ora passiamo ad un tragico epilogo avvenuto in provincia di Latina. Linea al nostro corrispondente…».

    Alla notizia, mamma scattò con il telecomando in mano, quasi imprecando: «Non è possibile che questi idioti di giornalisti, tutti i santi giorni, a pranzo e a cena trasmettano tragedie, ammazzamenti e corpi straziati dalle guerre. Sono certa che lo fanno apposta per renderci indifferenti alla violenza e alle tragedie. Ora vi sistemo io!".

    Puntò il telecomando in direzione del televisore come se fosse una pistola, e troncò la voce del cronista che stava commentando l’inci-dente: «Un tragico epilogo ha avuto la scomparsa del ventiduenne di Norma avvenuta ieri sera tra le ventuno e la mezzanotte. Il suo corpo è stato ritrovato in mattinata da una pattuglia delle guardie forestali in un fosso nelle vicinanze della provinciale che da Latina porta a Cisterna. Il giovane di cui sono state comunicate le iniziali del nome C.G…».

    «Ecco, ora possiamo mangiare in santa pace», sentenziò mamma, soddisfatta d’aver silenziato il televisore. Durante la cena la nostra conversazione s’incentrò sull’avvenimento del giorno e sui possibili scenari che l’inaspettata elezione del Papa potevano manifestare, per di più avendo contro larga parte del conclave e della curia vaticana. Dopo aver espresso varie opinioni sull’argomento, a cui partecipai con brevi e misurate parole, papà mi chiese:

    «Gioacchino, domani mattina, se non ricordo male, hai un appuntamento con la signora Rosina. Ecco, dove la porti?».

    «Sì, ricordi bene. Domattina devo accompagnare la signora al supermercato vicino casa sua. Il responsabile del servizio di volontariato civile mi ha avvisato di questo impegno. Ed io sono ben contento di svolgerlo. Rosina è una gran simpaticona e malgrado la sua disabilità, si è diplomata alle scuole superiori ed ha una notevole preparazione umanistica con il pallino della storia che studia da autodidatta, e devo riconoscere che spesso sorprende anche me in relazione ad argomenti storici che poco conosco. È una gran chiacchierona, e possiede uno spirito allegro contagioso. Dialoghiamo sia con il linguaggio labiale che con la lingua dei segni delle mani, e devo dire che con questi linguaggi ha una dimestichezza tale da far risultare nulla l’assenza della voce e dell’udito. Ormai, dopo quasi due anni e mezzo di frequentazioni, parliamo come se fossimo due persone normali. Certo, prima di assisterla ho dovuto fare sei mesi di corso per acquisire le tecniche di lettura labiale e dei segni delle mani e poi ulteriori sei mesi presso il centro d’assistenza insieme a lei per conoscerci e affinare il nostro modo di comunicare attraverso i suoni delle parole tradotte nel movimento delle labbra, nella gestualità delle mani e nelle espressioni del viso. Inizialmente è stata dura per entrambi, ma, piano piano, abbiamo iniziato a intenderci e dopo i sei mesi trascorsi al centro ad allenarci ho potuto accompagnarla nella sua prima uscita fuori casa. Adesso, l’intesa è quasi perfetta. Parlarci è diventato normale come lo è per le persone che non hanno questo tipo di disabilità».

    I miei erano soddisfatti del mio impegno con Rosina e ci vedevano un forte argine alla mia depressione. Anch’io ero contento di vivere quell’esperienza, e da quella relazione imparai molto, soprattutto nel suo risvolto umano. Finito di cenare, mi ritirai in camera con la scusa di preparare il materiale di studio che dovevo portare il giorno dopo da nonna Matilda. La nonna, gran conoscitrice della lingua ebraica aveva il compito di testare il mio livello di apprendimento, e il suo aiuto mi avvantaggiava anche nel greco e nel latino.

    Mi ritirai in camera con la testa in ebollizione, sotto l’effetto dello sconvolgimento che mi creò la figura del nuovo Papa. L’averlo scambiato con Arsenius, mi scatenò un’agitazione e uno stupore che mi diede molto da pensare. Insieme a lui, riemersero i ricordi dei giorni trascorsi a Ninfa. Rividi le immagini di Cecilia, fra’ Venanzio, di quel bifolco di Castruccio e di quel traditore di Ganuccio e del loro padrone Stony Skull.

    Erano passati circa dieci anni da quegli avvenimenti e nell’anima, insieme alle sofferenze, albergavano anche le immagini tragiche della morte di Minù, e poi lo sguardo terrificante di StonySkull in procinto di colpirmi con la sua spada mentre alle sue spalle Ninfa bruciava. Queste ultime immagini mi perseguitavano anche nel sonno. Più volte, in quegli anni, mi svegliavo di soprassalto, sudato e con il respiro affannato. In qualche occasione avevo anche gridato, svegliando i miei genitori che preoccupati accorrevano pensando che mi fosse accaduto qualcosa. In quelle situazioni gli ho sempre mentito, accampando la scusa di sonni agitati prima degli esami oppure di brutti sogni dalle immagini per me inspiegabili. Non sempre sono riuscito a tranquillizzarli, accentuandogli la convinzione che la causa di quegli incubi fossero da ricercare nella depressione provocata dalla scomparsa di Cecilia. Anche quella notte fu inquieta e il sonno disturbato da frequenti risvegli.

    Capitolo II

    Il giorno dopo, consumata la colazione, mi diressi a piedi verso casa di Rosina. Lei, fin da quando c’eravamo conosciuti, m’impose di non chiamarla signora. Ancora oggi vive in una palazzina sulla circonvallazione Aurelia, quasi di fronte al parco di villa Carpegna; la sua casa si trova al pianterreno e le due finestre ai lati dell’ingresso le consentono di vedere chi suona al cancello che dà sul marciapiede. Quando Rosina è in casa dei segnali luminosi, sparsi in tutte le stanze, l’avvisano che qualcuno sta suonando il campanello all’ingresso. Arrivai a casa sua con un po’ d’anticipo, ma ciò non le creò nessun disturbo perché era già alla finestra ad aspettarmi.

    Rosina, come sempre, mi accoglieva abbracciandomi e baciandomi sulle guance; poi prendeva la borsa e andavamo al supermercato lì vicino. Averla al fianco mi faceva sempre piacere, era, ed è ancora oggi, una donna affascinante, non bellissima, ma attraente, come si suole dire: un tipo, e gli uomini che incontravamo gettavano, al mio indirizzo, un’occhiata quasi d’invidia. I capelli lisci, castano chiaro, le scendevano fino all’attaccatura del collo, e facevano da cornice ad un viso addolcito da guance arrotondate e da un nasino che sembrava preso da una scultura greca. Era una donna minuta, ma ben proporzionata, insomma una falsa magra.

    Il suo aspetto nascondeva l’età della donna matura quale era: rispetto ai suoi cinquantacinque anni sembrava che avesse dieci anni di meno. Io, con il mio metro e ottanta, al suo fianco sembravo un gigante, infatti, lei superava di poco il metro e sessantacinque. Ormai i vicini di casa mi conoscevano e sapevano chi ero, mentre altri, incontrandoci, ci scambiavano per madre e figlio.

    Quel giorno di tre anni fa, come consuetudine il sabato mattina, c’eravamo incamminati verso il supermercato costeggiando la circonvallazione Aurelia, sull’altro lato della strada vedevamo il parco di villa Carpegna. Dopo poche centinaia di metri arrivammo all’incrocio tra la circonvallazione e via Aurelia, in quel punto il semaforo ci consentiva di attraversare in tutta sicurezza uno degli incroci più trafficati e pericolosi di Roma. Il supermercato si trovava dall’altro lato, proprio all’angolo, tra la via Aurelia e la circonvallazione. Mentre aspettavamo mi chiese se avevo delle novità da raccontarle. Le dissi della tesi che stavo preparando per l’esame di laurea e poi della prova finale di guida veloce, che avevo sostenuto la settimana precedente, con il conseguimento del patentino d’idoneità alla guida veloce potevo fare anche le gare nei circuiti.

    Ricevetti le sue congratulazioni e la raccomandazione a guidare sempre con prudenza. Il semaforo ci dette il segnale verde di attraversamento e mentre eravamo impegnati ad attraversare la strada notai qualcosa che in apparenza sembrava normale, ma che in realtà mi suscitò qualche interrogativo. Proprio di fronte a noi, a circa venti metri sul marciapiede opposto, un uomo stava facendo delle fotografie; fin lì nulla di strano, tranne il fatto che in questa parte della città non c’è nessun monumento da fotografare, ed il tizio non stava puntando la macchina fotografica su una possibile compagna per immortalarla, visto che era solo; teneva l’obiettivo, anzi il teleobiettivo, della macchina puntato su di noi e scattava diverse foto. Io lo fissai intensamente cercando di capire chi fosse, magari qualcuno che conoscevo, invece no, non mi veniva in mente nessuno che gli rassomigliasse. Era un uomo alto, snello, forse più alto di me; un tipo robusto, ma non sembrava uno di quei palestrati esagerati; vestiva casual: t-shirt blu con una scritta I love Roma con la figura del cuore che sostituiva la O di love, jeans e scarpe da jogging. Portava grandi occhiali da sole, neri come la pece; capelli scuri fino a coprire le orecchie, ed una folta barba gli ricopriva il viso. Nell’insieme il viso - tra la barba, gli occhiali neri e i capelli lunghi - sembrava coperto da una maschera e non mi permetteva di decifrarne i tratti.

    Aveva l’aria di un turista qualsiasi capitato per caso nel posto sbagliato: il Colosseo e i Fori imperiali stavano distanti e il Vaticano non era certo dietro il caseggiato alle nostre spalle. Il tizio, che ormai ero certo ci stava fotografando, si spostò, allontanandosi da noi per circa trenta metri, ci diede un ultimo sguardo e poi si voltò avviandosi lentamente verso villa Carpegna mischiandosi ad altre persone presenti sul marciapiede. Scrutai in direzione dello sconosciuto, ormai di spalle, e non ne ricavai alcun elemento per decifrare quello strano comportamento. Rosina mi strattonò per il braccio, richiamando la mia attenzione. Mi fermai e interpretai ciò che mi disse. Osservando il suo parlare labiale, accompagnato dai segni delle mani, mi espresse gli stessi interrogativi che, poco prima, mi ero posto alla vista dello strano turista:

    «Gioacchino, ho avuto la sensazione che quell’uomo con la macchina fotografica,

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