Il Retaggio Perduto dei Vichinghi: Quando i Norreni conquistarono il mondo
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I norreni cosa c’entrano?
I vichinghi che poi divennero per la storia i normanni, partirono dalla Danimarca alla volta delle isole britanniche meridionali e delle coste francesi.
Quelli che esplorarono le isole britanniche settentrionali, Islanda, Groenlandia e la mitica Vinland, veleggiarono dalla Norvegia. Si mossero invece dalla Svezia coloro che si diressero verso est e poi giù fino a Costantinopoli.
Quando abbracciarono il cristianesimo all’inizio del IX secolo, i vichinghi, da pagani che erano, persero irrimediabilmente molte delle loro peculiarità, buone o cattive che fossero: incredibile, considerando la potenza della mitologia norrena di quelle lontane terre del Nord, che ancor oggi riecheggia in romanzi, film e fumetti di successo.
In queste pagine si cercherà di fornire risposte sensate ai tanti interrogativi che ancora aleggiano attorno a questa gente dell’Europa settentrionale. Come sempre lo faremo con prove alla mano, oppure con una serie di indizi probanti che possano suffragare o suggerire teorie e ipotesi sostenibili.
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Anteprima del libro
Il Retaggio Perduto dei Vichinghi - Simone Barcelli
Biografia
INTRODUZIONE
«Questi vichinghi non si possono togliere dalla circolazione in modo così sbrigativo. Possiamo odiarli o amarli, prendercela con loro o lasciarcene affascinare: trascurarli, no. Le loro tracce sono indelebili.»
Così scriveva Rudolf Portner nel 1971 in The Viking Saga, tradotto in Italia da Garzanti l’anno dopo come L’epopea dei vichinghi, divenuto nel frattempo un classico del genere.
Cover de L’epopea dei vichinghi
, edito da
Garzanti nel 1971
Già nelle puntuali osservazioni dello scrittore tedesco, che facciamo nostre, potrebbe trovarsi la ragione per cui oggi vi trovate a sfogliare questo libro.
Scrivere ancora delle gesta dei vichinghi, argomento fra l’altro all’apparenza estremamente ostico per chi conosce l’autore - perso da troppo tempo nei meandri della preistoria, della storia antica e dell’archeologia -, rappresenta quasi una sfida ma anche un atto dovuto, poiché scorrendo la copiosa pubblicistica sul tema ci si accorge che non tutto è stato sviscerato nel modo corretto.
A parte le scoperte archeologiche degli ultimi anni, di cui vi daremo puntualmente conto e che ora permettono di comprendere meglio questa gente di mare, è sempre mancata a parer nostro e di là degli inevitabili stereotipi, un quadro d’assieme e una chiarezza divulgativa che non ingeneri ulteriore confusione nel lettore.
Locandina di un’esposizione portoghese del 2017, dedicata ai vichinghi
Insomma, questi vichinghi che per almeno tre secoli, dalla fine dell’VIII all’XI secolo della nostra era, scorazzarono liberamente in lungo e in largo, chi erano? Tutti assieme, senza distinzioni, danesi, norvegesi e svedesi dell’epoca? È bene ricordare comunque che le rispettive nazioni non esistevano ancora.
Se gli scandinavi erano conosciuti soprattutto come vichinghi, perché si continua a chiamarli normanni, facendo di tutta un’erba, un fascio? I norreni cosa c’entrano?
Domande retoriche, ma non troppo, come vedremo.
Nella fase di raccolta della documentazione necessaria per redigere questo testo, ci è parso di capire che, a seconda della convenienza, questa gente è vichinga o norrena quando portatrice di terrore con sanguinose incursioni sottocosta, ma si trasforma in normanna quando è dispensatrice di civiltà.
A volte furono anche denominati diversamente dai locali: Rus’ quando si stanziarono a Kiev nell’odierna Ucraina, oppure Vareghi o Variaghi quando presero servizio da mercenari nella guardia reale dell’imperatore bizantino.
Le direttrici d’espansione dei cosiddetti popoli del Nord sono state così tante e diverse, che ci siamo chiesti più volte se avevamo a che fare con una stessa originaria etnia o se invece era opportuno fare dei distinguo.
Effettivamente, i vichinghi che poi divennero per la storia i normanni, partirono dalla Danimarca, colonizzata nel V secolo proprio da genti propriamente scandinave, alla volta delle isole britanniche meridionali e delle coste francesi. Quelli che esplorarono le isole britanniche settentrionali, Islanda, Groenlandia e Vinland, veleggiarono dalla Norvegia.
Infine, quelli che si mossero verso est e poi giù fino a Costantinopoli, venivano dalla Svezia.
Tutti comunque appartenevano al ceppo norreno.
Ci ha stupito, inoltre, che i vichinghi fossero, allo stesso tempo, guerrieri, marinai, esploratori, commercianti, pastori, poeti, legislatori e civilizzatori.
O se preferite, ancora con le parole di Rudolf Pörtner: «contadini, esploratori e colonizzatori; i marinai più audaci e i guerrieri più temuti dell’epoca; pirati e commercianti, eroi, mercanti e bricconi; capaci artigiani e organizzatori intelligenti, omicidi e artisti di genio, accesi guerrieri e freddi calcolatori, individualisti crassi e spregiatori dello stato ma figli obbedienti al ceppo familiare.»
Appare più coerente suggerire che ogni vichingo si ritagliò un proprio spazio nella comunità in cui viveva, seguendo l’ispirazione o meglio quanto tramandato dal nucleo familiare o dal clan di appartenenza.
Un fatto appare certo: quando abbracciarono il cristianesimo all’inizio del IX secolo, i vichinghi, da pagani che erano, persero irrimediabilmente molte delle loro peculiarità, buone o cattive che fossero.
Ciò è davvero incredibile, considerando la potenza della mitologia norrena di quelle lontane terre del Nord, che ancor oggi riecheggia in romanzi, film e fumetti di successo.
Mappa raffigurante l'area degli insediamenti scandinavi nell’VIII, IX X e XI secolo. Sono definite anche le aree soggette a frequenti razzie vichinghe
Anche gli impulsi culturali provenienti dal continente fecero venir meno le caratteristiche proprie dei vichinghi, che presero a essere governati da re scelti tra le famiglie più in vista, in un contesto per certi versi non dissimile dal sistema feudale già tanto in voga all’epoca.
Come affermava Regis Boyer, già professore ordinario di Lingue, letterature e civiltà scandinave presso l’Università Sorbonne di Parigi: «Nel corso di due o tre generazioni non erano più scandinavi ma, ad esempio, normanni di Normandia o russi».
In queste pagine si cercherà, per quanto possibile, di fornire risposte sensate ai tanti interrogativi che ancora aleggiano attorno a questa gente dell’Europa settentrionale.
Come sempre lo faremo con prove alla mano, oppure con una serie di indizi probanti che possano suffragare o suggerire teorie e ipotesi sostenibili.
Non abbiamo la verità in mano, ma possiamo andarci molto vicino.
L’autore
Gente della baia, o forse no
Il fiordo di Geirangerfjord (Fgmedia)
Il termine vichinghi ha un’etimologia incerta: molto popolare, anche se non pienamente corretta, quella derivante dal norreno víkingr, il cui significato può essere tradotto in ‘gente della baia’ (vík = baia, ingr = suffisso di provenienza).
La parola comparve per la prima volta in un documento inglese del 1807.
In Inghilterra i vichinghi venivano anche chiamati uomini del Nord o norreni, termini con cui all’epoca si indicavano in maniera generica tutte quelle popolazioni che provenivano dalla Scandinavia, senza distinzione per regione di appartenenza.
In seguito furono i danesi a essere chiamati normanni, con chiaro significato di uomini provenienti dal nord. Come già accennato, per gli slavi i vichinghi divennero Rus’ quando attraversarono le steppe dell’est, quelle che sono oggi Russia e Ucraina; il termine può derivare dalla storpiatura di una parola norrena simile, che indicava il ruolo di rematori.
Fonti greche e bizantine trasformarono i vichinghi giunti fino alle porte di Costantinopoli in Vareghi o Variaghi; anche in questo caso c’è un chiaro riferimento al simile termine norreno che indica coloro che hanno prestato un qualche tipo di giuramento. Questi infatti almeno dall’839 presero servizio da mercenari nella guardia reale dell’imperatore bizantino.
Frederic Durand, professore emerito dell’Università di Caen, ci spiega meglio l’intricata faccenda: «Nei testi dell’Europa occidentale i vocaboli che indicano i Vichinghi restano approssimativi quanto vari. I cronisti franchi li chiamano Normanni, termine che in senso proprio si dovrebbe riferire solo agli antichi Norvegesi. I cronisti sassoni, per esempio Widukind, parlano di Ascomanni, cosa che ha lasciato credere che le loro imbarcazioni fossero costruite in faggio (in tedesco Esche). Gli autori anglosassoni conoscevano quasi solo i Dani, ma i Celti usano i termini Gall (straniero) e Lochlannach (uomo del nord). Nei testi bizantini e arabi i Vichinghi sono chiamati Rhos o Rus, cioè genti della provincia svedese del Roslag, o ancora Variaghi dalla parola normanna Voeringjar che pare aver significato di volta in volta commercianti e mercenari. Il cronista russo Nestore usa il termine Svei, mostrando così che secondo lui i Vichinghi provenivano dallo Svealand, provincia dalla quale l’attuale Svezia deriva il proprio nome. Quanto agli stessi Scandinavi, essi a partire dal IX secolo hanno concordato sulla designazione oggi universalmente accettata: Viking e Vikingr. Il primo sostantivo è di genere femminile e indica la spedizione armata condotta per mare; il secondo è di genere maschile e designa l’uomo che vi prende parte».
Tommaso Indelli, Assegnista di Ricerca in Storia Medievale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Salerno, chiarisce qualcosa in più: «Oltre al termine Vichinghi, nelle fonti dell’epoca, le genti del Nord venivano anche indicate con l’etnonimo di Northmanni, uomini del Nord, oppure di Variaghi, Rus (Varangoi, Rhos, in greco, Rus, in slavo, Russi)».
Approfondisce la questione anche lo storico Ludovico Gatto, quando afferma che il termine Normanni o uomini del nord deriva da Norrwegr (rotta del nord) e Norrmandr (colui che segue questa rotta).
Mancanza di fonti storiche
Non disponiamo di informazioni sulla Scandinavia prima dell’XI secolo.
Nonostante tre secoli di scorribande vichinghe sottocosta e risalendo i fiumi dall’VIII all’XI secolo, la vasta regione dell’Europa settentrionale da cui provenivano gli invasori rimane confinata in un limbo.
Lo storico Felipe Fernandez-Armesto ricorda le parole di Adamo di Brema alla fine dell’XI secolo, per il quale la Svezia e la Norveglia erano «[…] un altro mondo […] rimasto fino a ora quasi sconosciuto».
Nel 1076 Adamo di Brema nel quarto libro della monumentale Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, raccontò per primo storia e geografia della misteriosa Scandinavia, grazie all’esplorazione del Nord Europa da parte di monaci e commercianti, nel processo di completa cristianizzazione appena avviato.
Fu in quel contesto che si venne a sapere che qualche decennio prima i vichinghi avevano anche scoperto una terra lontana chiamata Vinland.
Leggendo il contenuto della Saga dei groenlandesi, fu effettivamente il norvegese Bjarni Herjólfsson nel 986, partendo dall’Islanda, ad avvistare accidentalmente il continente americano; una decina d’anni dopo Leif Ericson, figlio di Erik il Rosso, facendo tesoro del racconto di Herjólfsson, raggiunse e s’insediò in America settentrionale, almeno cinque seco li prima di Cristoforo Colombo.
Una pagina del Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum
(Adamo di Brema)
Oggi sappiamo che si trattava di Terranova in Canada, come dimostrano gli scavi archeologici nell’antico insediamento vichingo de L’Anse aux Meadows, intrapresi fin dal 1960 dall’archeologa Anne Stine Ingstad col marito Helge Ingstad. Il monaco scrisse anche di una via di terra che dalla Scandinavia conduceva fino alla Grecia, attraversando quelle che sarebbero diventate la Russia e l’Ucraina di oggi, le cui genti devono tanto alle gesta vichinghe dell’epoca.
Il re di Danimarca Sweyn II Estridsson Ulfsson, sul trono dal 1047 al 1076 grazie all’appoggio della Chiesa cattolica, conosceva bene quei luoghi poiché ci aveva combattuto: disse che occorrevano più di due mesi per percorrere la sola Svezia, mentre, giusto per fare un paragone, la Normandia si girava in appena un mese.
... L’argheologa Anne Stine Ingstad, National Geographic Society
( Smithsonian Institution)
A parte il buon Adamo, per sapere qualcosa in più delle terre di provenienza dei vichinghi dobbiamo per forza di cose rifarci, come