Il mare addosso: L'isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna
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Anteprima del libro
Il mare addosso - Alessandra Murgia
Nicola Betti, Luciano Melis, Alessandra Murgia
Il mare addosso
L’isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna
Prima Edizione - dicembre 2017
ISBN 9788868511647
© arkadia editore
Nota per il lettore
Questo libro è il frutto del lavoro di diversi autori. In particolare, Oggi, Dodicimila anni fa…, Premessa, Parte I, II, V ed Epilogo sono stati scritti da Alessandra Murgia. La Parte III è di Luciano Melis. La Parte IV, infine, è di Nicola Betti.
Oggi
31 Agosto 2007:
Tutti contro l’asteroide minaccioso. Il sasso
passerà a soli 36.000 chilometri dal pianeta¹.
30 Dicembre 2009:
La Terra rischia lo scontro con un asteroide nel 2036, pronta missione russa².
Apophis è un dio del pantheon dell’antico Egitto e, più precisamente, è il dio del caos e della distruzione³. Mai nome fu più evocativo per identificare un asteroide il cui impatto col pianeta causerà la probabile estinzione di tutte le specie viventi, compresi i suoi abitanti umani, noti per avere la memoria corta e la coscienza sporca.
La collisione, sfiorata nel 2029, sarebbe probabile nel 2036⁴.
Il genere umano ha reagito alla notizia in modo contrastante: incredulità, stupore, paura, scetticismo. Gli Stati, nell’accezione giuridica che gli viene conferita, rifiutano di considerare la collisione come un problema da affrontare e non sembrano interessati a trovare un accordo per provare a scongiurare l’arrivo del giorno zero. Coloro che continuano a parlarne sono vittime di un meccanismo di delegittimazione noto in inglese come debunking⁵ e tacciati di complottismo⁶.
Dodicimila anni fa…
9804 a.C.⁷:
L’asteroide K971-M in rotta di collisione con il pianeta madre. Impatto previsto tra trentasei anni. Non è nota la posizione degli studiosi e dell’autorità rispetto al problema.
Il corpo celeste sfreccia nella volta stellare.
Gli abitanti del pianeta, rappresentanti di una civiltà globalizzata e pacifica, rispettosa dei ritmi naturali e progredita scientificamente, non riescono a credere che questo titolo annunci la fine di tutto. Oramai da migliaia di anni, dopo infiniti errori, gli esseri umani sono riusciti a stabilire un compromesso col pianeta che li accoglie, finalizzato a garantire la vita dei suoi ospiti nel rispetto delle risorse limitate che il mondo fornisce. Ovvero una politica tesa a non consumarle oltre il livello che garantirà alle generazioni future il medesimo standard di vita, assicurato anche dall’uso di materiali naturali, riciclabili e non inquinanti attraverso tecniche di manipolazione e costruzione rispettose, condivise e durature.
Dopo il primo momento di rifiuto, questo popolo evoluto spiritualmente prende atto dell’inevitabile fine. Viene individuato un comitato scientifico che, protetto in strutture costruite al di sotto della crosta terrestre, provvederà a custodire il sapere per tramandarlo ai sopravvissuti e a immagazzinare i geni di tutte le specie animali e i semi che saranno essenziali per sperare in un futuro.
La desolazione è grande, ma non tale da far perdere totalmente il senno ai rappresentanti di queste antiche popolazioni. Maestri nelle tecniche di costruzione megalitica a secco, essi decidono di aprire diversi cantieri, dislocati in varie zone del mondo, per cercare di garantirsi, alla caduta del meteorite, una possibilità di sopravvivenza. Inoltre è loro preciso obiettivo indicare alle generazioni che verranno quanto è avvenuto. Ma come? In che modo potranno trasmettere ai nipoti dei nipoti la testimonianza del loro passaggio su questa terra? In quale maniera si dovrà ricordare il cataclisma che tutto ha sovvertito? Decidono che saranno le loro opere a farlo. Opere monumentali, grandiose, che potranno resistere alla deriva dei secoli e dei millenni. Nella speranza che in un futuro lontano, un popolo altrettanto evoluto intellettualmente e spiritualmente sia in grado di decifrare il messaggio.
Solo così il passaggio sulla Madre Terra non sarebbe stato inutile poiché sapevano che avevano camminato su di essa leggeri⁸ e che le loro anime avrebbero vissuto in eterno.
Premessa
Capiamo il biasimo del lettore che legge per l’ennesima volta su un libro il nome di Atlantide: per questo chiediamo venia e, al contempo, fiducia.
E riteniamo che sia un gesto di cortesia verso il lettore fare una piccola premessa prima dell’inizio della narrazione.
Ciò che stiamo per proporvi è quella che tra noi chiamiamo la terza ipotesi
. Ciò significa che, se noi siamo i teorici della terza ipotesi, qualcun altro sostiene che vi siano almeno altre due teorie che, nello specifico, riguarderebbero la fine della civiltà sardo-nuragica a causa di un maremoto. Questo sarebbe stato determinato o da un forte terremoto (ipotesi uno) oppure dal crollo di una costa di un vulcano sottomarino (ipotesi due). I sostenitori di queste ipotesi⁹ collocano i fatti in un tempo diverso da quello indicato da Platone che, per molti e non solo per questi autori, aveva confuso gli anni con i mesi. Atlantide, dunque, non sarebbe affondata novemila anni prima del racconto del sacerdote di Sais a Solone bensì novemila mesi prima, cioè solo settecentocinquanta anni prima. Questa data ci riporterebbe, anno più anno meno, proprio al periodo in cui Thera, l’isola madre
di Santorini, saltò per aria a causa di una apocalittica eruzione vulcanica¹⁰.
A dire il vero, i sostenitori delle prime due ipotesi non escludevano che ve ne fosse una terza ma la rifiutavano per mancanza di prove.
La terza ipotesi è la caduta di meteoriti nel Mediterraneo, secondo noi avvenuta proprio nell’epoca che citano i sacerdoti egizi. E la conseguenza sarebbe stata la distruzione della civiltà sarda e delle sue meraviglie a causa di un mega-tsunami. Ma non vogliamo anticipare quello che leggerete alla fine: se gli autori per primi facessero spoiler nessuno leggerebbe mai un libro oltre le prime pagine!
Quello che ci interessa illustrare nel primo capitolo è strettamente legato a questa premessa e riguarda le incomprensioni di alcuni passaggi storici, la pervicacia con cui alcune accademie si ostinano a ritenere la storia un dogma che non si può riscrivere e la descrizione di alcuni fatti che porterebbero invece, se esaminati con metodo scientifico, alla revisione di alcune intoccabili dottrine. Purtroppo, anzi molto spesso, alcune argomentazioni che vanno al di fuori dei solchi tracciati dai grandi archeologi e/o storici del passato più che venire confutate col metodo baconiano non vengono nemmeno prese in considerazione. Il destino è la damnatio memoriae del testo apocrifo
¹¹ attraverso la distruzione della credibilità dell’autore e non attraverso la confutazione costruttiva e condivisa.
PARTE I
Una storia non compresa?
1
I siti più controversi della storia
Iniziamo, dunque, questo excursus che, come noterete, non è ordinato in alcun modo: non elencheremo i siti per ordine di importanza, per antichità storica o per iscrizione al Patrimonio unesco. Ci guida solo l’idea di legarli virtualmente in base alle dispute scientifiche che hanno generato e all’alone di mistero che ancora li circonda.
I. Il grande salto all’indietro
Che sorpresa deve essere stata per gli archeologi e gli storici, che all’epoca della sua scoperta ritenevano che le ziggurat sumere del 4000 a.C. fossero i manufatti architettonici più antichi della storia, il rinvenimento del sito di Göbekli Tepe, in Turchia, e sapere che esso risaliva almeno al 9500 a.C.! Ciò avrebbe confermato la tesi che esistessero dei centri abitati e organizzati almeno 5000 anni prima di quanto avessero pervicacemente sostenuto fino ad allora¹².
Strano destino, ma non unico, quello di Göbekli Tepe, scoperto per la prima volta nel 1963 e poi abbandonato per trent’anni¹³, più o meno fino al 1995, anno in cui il sito rivide la luce con un successivo passaggio dello scavo, nel 2006, alle università tedesche di Heidelberg e Karlsruhe. Si tratta di un monumentale santuario megalitico che contiene 40 pietre a forma di T del peso di 15 tonnellate e dell’altezza di circa 3 metri ciascuna. L’area venne abbandonata e ricoperta totalmente di terra intorno al IX millennio a.C.¹⁴. Non è dato sapere se l’intento fosse quello di preservarlo per tornarci in un secondo momento oppure quello di nasconderlo. Di fatto, gli sconvolgimenti climatici di cui parleremo in questo libro si sarebbero svolti solo millecinquecento anni prima, e non escludiamo che l’esperienza di tali catastrofi possa aver influito nell’indurre la popolazione del luogo a prendere una simile decisione. Questa conoscenza, nella zona, si è tramandata oralmente di generazione in generazione, tanto che il filosofo Georges Gurdjieff, il cui padre era un ashokh (poeta) di famiglia greco-armena stanziata in Turchia, ricorda che
Vi fu un’altra leggenda che udii da mio padre sul diluvio prima del diluvio
, che dopo questo evento acquistò per me un particolare significato. In questa leggenda veniva detto, anche in versi, che molto, molto tempo fa, qualcosa come settanta generazioni prima dell’ultimo diluvio (e una generazione era contata come un centinaio di anni), quando vi era terra arida dove ora c’è acqua e acqua dove ora c’è il deserto, esisteva sulla terra una grande civiltà […]. Gli unici sopravvissuti del più antico diluvio erano membri della fratellanza dei passati Imastun (uomini sapienti), che avevano costituito un’intera casta diffusa su tutta la terra¹⁵.
Il passo viene riportato in un interessante articolo a firma del geologo americano Robert Schoch¹⁶, il quale sottolinea anche che
Accettando la data del 2700 a.C. per Gilgamesh, se il diluvio prima del diluvio
accadde settemila anni prima, avrebbe avuto luogo nel 9700 a.C., che è esattamente la fine dell’ultima era glaciale e l’epoca delle parti più antiche di Göbekli Tepe, nonché molto vicina alla datazione di Platone della distruzione di Atlantide. È una semplice coincidenza? O gli Ashokh realmente raccontavano eventi che accaddero alla fine dell’ultima era glaciale?
In Cappadocia esistono diverse città sotterranee in grado di ospitare migliaia di persone, totalmente autonome e in ottime condizioni. La più famosa è Derinkuyu, mentre la più recente tra quelle finora scoperte è Nevşehir. È interessante sapere che Derinkuyu poteva ospitare circa 20.000 persone, si estende nel sottosuolo per 85 metri di profondità e oltre 10 chilometri quadrati, ha tredici livelli che vengono riforniti di ossigeno da pozzi di ventilazione collegati a 15.000 bocchette d’aria. L’approvvigionamento d’acqua era garantito da un fiume sotterraneo. Al suo interno, oltre alle abitazioni, sono state rinvenute scuole, botteghe e cantine per i vini. Possiamo solo immaginare quale perizia abbia richiesto lo scavo di questa città, mentre è più difficile capire quale sia stata la motivazione che abbia spinto gli uomini del tempo ad adottare questo modus vivendi. Il sistema di sicurezza adottato per sigillare
la città dall’interno, dotato di porte pesanti mezza tonnellata, fa pensare che gli abitanti volessero sfuggire a qualcosa o a qualcuno. L’archeologia ufficiale sostiene che tali costruzioni risalgano a un periodo compreso tra il XV e il IX secolo a.C. I miti locali zoroastriani¹⁷, invece, sostengono che le gallerie sotterranee vennero costruite da Yima, un re persiano, per ordine del dio Ahura Mazda, per proteggere il suo popolo da un catastrofico inverno. Come il Noè biblico, ricevette istruzioni per catturare coppie di animali e i migliori semi da ripiantare sulla Terra alla fine del cataclisma. Se è vero che per definire una datazione gli archeologi devono basarsi sulle evidenze ritrovate in loco, è altrettanto vero che queste potrebbero essere state lasciate dagli ultimi utilizzatori in ordine di tempo e non dai costruttori del sito. Se fra 10.000 anni un archeologo trovasse la batteria di un cellulare nel Foro Romano, trovereste seria l’ipotesi della sua costruzione agli anni 2000 d.C., ignorando i testi dell’epoca romana o le tradizioni orali tramandate dopo una ipotetica perdita di questi scritti?
Ma andiamo avanti.
Sempre in Turchia, un altro sito molto particolare è Çatalhöyük, abitata, secondo il team che ne cura gli scavi, tra il 7400 e il 5700 a.C. Anche in questo caso, ove si prova la retrodatazione delle città rispetto ai dati archeologici canonici, ci si aspetterebbe un maggiore approfondimento e maggiore diffusione della notizia al di fuori dell’ambiente accademico. Al contrario, il sito è stato indagato solo in minima parte¹⁸ e altrettanto poco se n’è parlato. Si è arrivati al diciottesimo livello stratigrafico e poi più nulla. Peraltro, una scoperta degli anni ’50 è stata scavata dopo oltre dieci anni¹⁹, abbandonata per trenta, e poi riscavata negli anni ’90²⁰. Gli scavi sembrerebbero, da allora, ancora in corso²¹. Una curiosità: le case erano accessibili solo dall’alto e prive di finestre. Di generazione in generazione, la costruzione del piano superiore generava un nuovo ingresso, più alto del precedente. I piani sottostanti erano, dunque, sigillati. Una sorta di Derinkuyu al contrario, insomma! Perché? Anche in questo caso per proteggersi da chi o da cosa? Gli abitanti potrebbero essere stati condizionati dal terrore che potesse ripetersi la catastrofe avvenuta qualche generazione prima? Gli archeologi lasciano libertà di interpretazione.
II. Il geologo eretico
Robert Schoch²², di cui abbiamo parlato a proposito della datazione di Göbekli Tepe, è però più famoso per un’altra retrodatazione, cioè quella della Sfinge egiziana sulla piana di Giza. Già nel 1992 il geologo americano era riuscito a convincere trecento colleghi, in occasione del congresso annuale della Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza, che l’enigmatico monumento dovesse essere retrodatato al 7000 a.C.²³. Prima di allora Schoch, insieme a John Anthony West, aveva presentato le sue prove alla Società Geologica Americana nel meeting tenutosi a San Diego il 23 ottobre del 1991²⁴, provocando un interessante dibattito. Discostandosi dai dogmi archeologici vigenti a quel tempo, Schoch ebbe il coraggio di affermare di aver trovato le prove scientifiche che l’erosione della Sfinge, nonché quella delle pareti del recinto di roccia che la circondava, non era stata affatto causata dall’azione del vento bensì da migliaia di anni di forti piogge verificatesi moltissimo tempo prima dell’Antico Regno²⁵. È riportato agli atti del meeting AAAS del 1992 che il geologo sostenesse che
Questa erosione raggiunge in alcuni punti una profondità di un paio di metri, almeno sulle pareti. È molto profonda, e molto antica, a mio avviso, e conferisce un profilo tondeggiante e ondulato.
Il geologo confermò questa teoria nel 1993, in un documentario televisivo nel quale sottolineava che le spaccature verticali tra le forme ondulate orizzontali del monumento e del recinto potevano essersi formate solo grazie all’acqua che scendeva lungo le pareti
un classico esempio da manuale di quello che accade a una costruzione di pietra calcarea quando viene sferzata dalla pioggia per migliaia di anni²⁶.
In tali occasioni pubbliche, il professore americano annientò le critiche degli archeologi, che gli contestavano l’impossibilità che gli Egiziani avessero costruito un monumento simile in età predinastica, asserendo semplicemente che se le sue tesi erano in contrasto con le loro teorie sull’origine della civiltà, allora era probabilmente giunto il momento che essi le riconsiderassero. Schoch diceva in sintesi di essersi limitato a riportare i risultati scientifici e che questi lo inducevano a concludere che la Sfinge fosse stata costruita molto tempo prima di quanto si pensasse.
Nel 2005 Schoch ha retrodatato ulteriormente l’epoca di costruzione della Sfinge, portandola alla fine dell’ultima era glaciale²⁷. Inoltre, ha confermato la causa dell’erosione dovuta a condizioni climatiche caratterizzate da alta umidità e piogge sferzanti. Ovviamente, seppure la teoria dell’erosione proposta da Schoch fosse esatta, ciò non vuol dire che la Grande Sfinge Egiziana sia stata costruita nel 12000 a.C. ma che già lo fosse quando in quello stesso periodo iniziarono le piogge che l’hanno parzialmente deteriorata.
Non dovremmo, comunque, dimenticare che la testa della Grande Sfinge Egiziana non è, come è del tutto evidente, quella coeva alla sua costruzione. È una testa più piccola, collocata lì da un faraone ambizioso che ha sostituito quella originale, che probabilmente ritraeva il muso di un leone. L’era del Leone, che va dal 10970 all’8810 a.C., è proprio quella in cui si collocano le possibili date in cui questi autori controtendenza ipotizzano sia stata costruita la sfinge. Mera coincidenza? Oppure un messaggio preciso, la volontà di indicare in modo duraturo un evento che la storia e il passare dei secoli e dei millenni avrebbe cancellato dalla memoria dell’uomo? Cosa volevano dirci gli antichi e perché il mondo continua ostinatamente a non volerli ascoltare?
Inutile dire che, negli anni ’90, la teoria di Schoch venne letteralmente snobbata. Ovviamente il paradigma archeologico/storico era sempre lo stesso: se si parla di civiltà organizzata e di architettura evoluta allora non si poteva andare più indietro del 4500 a.C. Purtroppo la datazione di Göbekli Tepe attraverso il radiocarbonio, che è arrivata a determinare con precisione l’epoca di uso del sito al Decimo millennio a.C., non era ancora avvenuta²⁸. Clamorosamente, proprio nei pressi di quel sito archeologico, a Nevalı Çori, è stata ritrovata scolpita una statua leonina molto simile alla Sfinge, anch’essa databile al 9500 a.C. circa. Onore a Robert Schoch e a chi lo ha preceduto per la perseveranza nonostante le difficoltà.
III. Antico Egitto: una relazione con le stelle
Ma se parliamo di Egitto, ovvero di revisione della storia canonica
, non possiamo dimenticare di citare un’altra tesi che contribuirebbe, se ce ne fosse ulteriore bisogno, a rafforzare la retrodatazione fornita da Robert Schoch. Ci riferiamo al grandissimo lavoro svolto da Robert Bauval, uno studioso indipendente che ha preferito l’uso dell’archeoastronomia per giungere a conclusioni convergenti con quelle di Schoch. Giusto tre anni dopo la Conferenza di San Diego in cui il geologo americano stupiva l’uditorio con le sue controverse deduzioni sulla Grande Sfinge, Bauval dimostrò che tra i monumenti della piana di Giza e il cielo stellato intercorreva una relazione che era sfuggita a tutti: la Cintura di Orione, con le stelle Alnitak e Alnilam in perfetta diagonale e quella di Mintaka, leggermente più a sinistra, sembravano proprio la copia stellare delle piramidi di Giza²⁹. Inoltre, gli altri edifici dell’altopiano e il fiume Nilo erano disposti in modo tale da fornire una rappresentazione del cielo come lo avrebbero visto gli Egizi nel 10450 a.C., cioè un vero e proprio «marchio architettonico permanente dell’Undicesimo secolo», nella felice descrizione di Graham Hancock³⁰.
Bauval ebbe per la prima volta questa interessante intuizione durante un viaggio nel deserto svoltosi dieci anni prima della pubblicazione del libro che lo ha reso celebre³¹. Anche lui continuò, ostinatamente e