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Tutta una vita
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E-book273 pagine3 ore

Tutta una vita

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Info su questo ebook

Fine anni '20; nella vecchia casa di campagna immersa nel verde della pianura emiliana, Pietro, umile contadino, sta vivendo gli ultimi giorni della sua lunga e tribolata vita; ormai ha superato i 70 anni e sente che la fine sta arrivando.

Solo, bloccato su un letto, mentre il suo mondo sta andando avanti e sembra averlo dimenticato, rivede a volte lucidamente a volte in modo più confuso tutta la sua vita

Sono ricordi che si perdono nel tempo, velati di malinconia e tristezza; ricordi di chi si rende conto che il suo tempo ormai è passato, raccontati con la semplicità della gente umile e poco abituata a lunghi e complicati discorsi
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2021
ISBN9791220318396
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    Anteprima del libro

    Tutta una vita - Mirco Benati

    1

    - Maledetto sole, che neanche a Luglio – brontola Peppino mentre si toglie il pesante cappello e col fazzoletto, che tiene immancabilmente legato al collo, si asciuga il sudore.

    Alza gli occhi al cielo; non una nuvola, non un filo d’aria a portargli un po’ di refrigerio; sconsolato si china a raccogliere il grosso fiasco e beve un lungo sorso d’acqua, poi se ne versa un po’ su una mano e si bagna più volte il viso e la testa.

    Ancora uno sguardo all’erba, tanta, troppa, ancora da falciare; un orizzonte verde che sembra non finire mai. Rassegnato prende la cote dalla cintura e con fare esperto, la passa più volte sui due lati della vecchia falce; quindi, a testa bassa, si rimette al lavoro.

    La fatica è tanta; le braccia indolenzite e le fitte lancinanti alla schiena sono lì a ricordarglielo, ma lui non si lamenta, non si è mai lamentato; in fondo quello è il suo mondo, l’unico che conosce, quella è la sua vita, la stessa di suo padre, la stessa di suo nonno e a dirla tutta lui lì ci sta pure bene; nel silenzio e nel verde della sua campagna si sente in pace con se stesso e finalmente sereno.

    Il grido, lontano, di un ragazzo lo distoglie dai suoi pensieri

    - Pepino!

    - Pepino!

    Alza gli occhi e si guarda intorno cercando di capire da che parte venga la voce; è Menico, il giovane figlio del boaro

    - mo a sun chè - sono qua; cos’è che c’hai da sbraiare?

    Il ragazzo lo raggiunge di corsa, il fiatone gli impedisce quasi di parlare

    - a m’ha dèt la Maria, mi ha detto la.….Maria di venirvi a chiamare, dice di…. venire a casa; dice… che ci siamo, che è quasi ora!

    - finisco qua e arrivo

    - ma la Maria la diis…

    - mo si va bene! tè intanto vai a casa, digli che arrivo!

    Butta quasi con rabbia la falce a terra

    - un altro figlio, un’altra bocca da sfamare e qui ci sono solo io a spaccarmi la schiena; speriamo almeno che stavolta sia un maschio – borbotta - se no chi mi aiuta a me in campagna.

    Sarebbe stato il quarto figlio dopo soli sei anni di matrimonio e gli altri tre erano state tutte femmine

    Fa per avviarsi, ma poi si ferma; troppo prezioso quell’attrezzo per abbandonarlo lì, alla mercé di tutti; torna indietro e si china a raccogliere la falce

    - è meglio che tè vieni a casa con me

    Peppino, all’anagrafe Giuseppe, si asciuga nuovamente il sudore; raccoglie il fiasco per un ultimo sorso ristoratore, si mette l’arnese in spalla e si incammina, di buon passo.

    - sono qua; allora? El bèle né? È già nato?- chiede a nonna Maria ferma davanti alla porta, come se lo aspettasse.

    - ancora no Pepino, mo secondo mè ci manca poco

    Gli sfugge un moto di stizza

    - ancora no? Mo s’ag mètel, quanto ci mette! c’ho da lavorare in campagna io!

    - sti òm, questi uomini – brontola la Maria scuotendo la testa – il tuo posto adesso è qui, la campagna può aspettare, nisun t’la porta via, nessuno te la porta via!

    - e cosa ci faccio qui?

    - te spèt, aspetti! E se ne hai voglia puoi dire una preghiera che male non ti fa

    Nonostante non sia sua madre, ma solo la moglie, la terza, di suo padre, la Maria, con quel atteggiamento autoritario e quella sua faccia che pare sempre arrabbiata, lo ha sempre messo un po’ a disagio

    La donna si gira per rientrare in casa brontolando a voce alta

    - lo sanno loro, i bambini, quand’è ora di venire al mondo, non stanno micca ai tuoi ordini, loro! – si volta – e, che ti vada bene o no, ci mettono il tempo che ci vuole

    Peppino abbassa gli occhi, quasi a scusarsi

    - già…mè….allora a’m mèt chè, allora mi metto qua

    Va a sedersi sulla vecchia panca, all’ombra della grande quercia e torna ad asciugarsi la fronte di nuovo sudata; tira fuori il mezzo toscano e prova ad accenderlo, ma dopo qualche inutile tentativo decide di lasciar perdere e lo rimette in tasca; guarda in alto, verso la finestra; dall’interno arrivano le voci concitate della Maria e di un'altra donna, probabilmente la levatrice.

    Perso nei suoi pensieri neanche si accorge dell’arrivo della figlia, fin quando lei, strattonandolo, lo riporta alla realtà

    - babbo babbo!

    - cosa c’è Virginia?

    - babbo perché la nonna non vuole che vado in casa dalla mamma?

    - Vieni qui - le dice allungando le braccia - quando sarai grande lo capirai, per adesso è meglio che te ne stai qui con me; là dentro non c’hanno micca bisogno di noi.

    - babbo… ma cosa c’ha la mamma? sta male?

    - No Virginia – le dice accennando un sorriso – stai tranquilla la mamma sta bene

    - mo allora perché urla come…. se la picchiano?

    - perché……perché….- difficile trovare le parole giuste per spiegare certe cose ad una bambina così piccola e poi lui con le parole non ci ha mai saputo fare, quelle sono cose da donne - comunque non ti preoccupare; nessuno sta facendo del male alla tua mamma.

    - mo allora perché sbraia così tanto? – insiste lei guardandolo dal basso in alto con quei suoi occhietti dolci - È arrabbiata con me?

    - No – sorride Giuseppe, accarezzandole la testolina bionda - non è arrabbiata con te e nemmeno con me; diciamo che… - sbuffa, ci sarebbe voluta sua moglie, lei avrebbe trovato il giusto modo per dirglielo, ma lui…. - diciamo….diciamo che è andata a prendere il tuo fratellino; forse non lo trova e lo sta chiamando ad alta voce.

    Per niente convinta, la bambina si siede sulla panca, a fianco del padre, in silenzio, guardando ogni tanto in alto verso la finestra, il visino serio e preoccupato, mentre Giuseppe, con l’intento di tranquillizzarla, le stringe forte una mano fra le sue.

    Il tempo intanto passa ma dall’interno ancora non esce nessuno; Giuseppe continua a spostare lo sguardo dalla bambina alla finestra; prova nuovamente ad accendersi il mezzo sigaro, cercando di nascondere un’apprensione crescente, mentre la piccola, accanto a lui, ogni tanto lo guarda, anche se ora pare più tranquilla

    - babbo posso andare a giocare o volete che sto qui con voi?

    - vai, Virginia, vai pure.

    La bambina si alza sorridendo e corre via, felice, a riunirsi agli altri bambini mentre lui la segue con lo sguardo benedicendo e invidiando la spensieratezza dei suoi tre anni.

    Un urlo, l’ennesimo, lo fa sobbalzare;

    - dai Eulalia, tenete botta.

    Era stato suo padre a volere che prendesse moglie, lui neanche ci pensava; era stato sempre il vecchio Luigi a decidere che l’Eulalia era quella giusta; ne aveva parlato con Michele Borghi che era stato ben felice di maritare quella figlia, neanche tanto bella, che a venticinque anni rischiava di restargli in casa per sempre.

    Avevano combinato tutto i due vecchi e solo a cose fatte li avevano fatti conoscere

    Ripensa a quel giorno, il giorno in cui l’aveva vista per la prima volta; lui seduto che si rigirava nervosamente il cappello fra le mani; lei, che dopo aver portato un fiasco di vino e i bicchieri, si era rifugiata, come a volersi nascondere, nell’angolo più buio e nascosto della stanza; entrambi ad occhi bassi, timidi e silenziosi

    Si sentiva a disagio lì, su quella sedia che sembrava avesse gli spilli, si sentiva fuori posto; non capiva perché suo padre volesse a tutti i costi fargli prendere moglie; che bisogno c’era, pensava, lui stava bene così.

    - ormai sei un uomo Peppino e un uomo c’ha bisogno di una donna – gli aveva detto serio un giorno – e la figlia di Borghi va bene

    - ma …se non mi piace? Non l’ho mai vista, non so neanche che faccia c’ha

    - la faccia? La faccia non è importante Peppino, è la testa che conta, quella sì e lei c’ha la testa giusta

    - ma…- provò a protestare

    - Peppino dacci un taglio! Sono tuo padre, lo so mè cos’è meglio per te e la fiola ed Boregh per te la va bein, la figlia di Borghi per te va bene

    Fu solo alla fine, arrivati ai saluti che, alzandosi per andarsene, il suo sguardo aveva incrociato casualmente quello di lei; era stato un attimo, aveva subito abbassato gli occhi ma gli era parso che gli avesse sorriso

    Pochi mesi dopo, senza quasi conoscersi, si erano sposati e oggi doveva ammettere che suo padre aveva avuto ragione; l’Eulalia, di qualche anno più vecchia, col suo carattere timido e il modo di fare pacato, si era dimostrata una buona moglie oltre che una gran lavoratrice e lui alla fine si era affezionato.

    Ancora un urlo; guarda in alto, questa volta però gli è sembrato diverso, quasi liberatorio; ma è solo quando poco dopo sente il pianto disperato di un bambino che capisce che è finita; finalmente.

    Passano altri interminabili minuti poi finalmente nonna Maria si affaccia sulla porta; Giuseppe si alza e le va incontro

    - grazie a Dio è andato tutto bene Peppino, tuo figlio e tua moglie stanno bene

    - Figlio?

    - Si Peppino, figlio; l’è propria un bel mascin; sei contento?

    - Certo Maria, certo che sono contento…. mo lo ero anche se era una femmina

    - mo va là che vi conosco voi uomini, se non c’avete il maschio……. Lasa perder va là

    Giuseppe distoglie lo sguardo; sa bene che la Maria ha ragione

    - Posia, Posso… tornare in campagna adesso?

    - senza neanche vederlo?

    - magari quando torno…

    - no! Tè adesso vai su, da tua moglie!

    - dite che posso?

    - Devi, però mi raccomando, fai piano che l’Eulalia adesso c’ha un gran bisogno di tirare fiato.

    Spento il mozzicone e rimesso in tasca quel poco che ne resta, Giuseppe sale le scale e si avvicina timidamente alla porta semichiusa della camera da letto, indeciso se entrare.

    - Venite Peppino - gli dice lei con un filo di voce vedendolo fermo sulla soglia – cos’è che fate lì impalato?

    Si avvicina timidamente di qualche passo

    - Com’è che…. state Eulalia?

    - Sto bene,…. sono solo un po’ stanca, ma sto bene.

    - E… il bambino?

    - Anche lui sta bene, mi ha detto la levatrice che c’ha tutte le robe al posto giusto.

    - Bene…bene

    - Pepino, non rimanete li, su venite qui, sedetevi vicino a me

    Giuseppe si siede sul lato del letto, stando ben attento a non toccarla per paura farle male.

    - Avete visto che ce l’ho fatta a darvi un maschio, voi che c’avevate paura, che riuscissi a sfornare solo delle femmine.

    - Mo cosa dite – mente -…a me… mi andava bene lo stesso.

    - Peppino - gli dice lei prendendogli una mano – mo andè là che io vi conosco, lo so bene quanto ci tenevate che fosse un maschio.

    Giuseppe abbassa gli occhi con un sorriso.

    - Già; adesso però devo tornare in campagna, vi lascio riposare.

    - Ma non volete neanche prenderlo in braccio vostro figlio?

    - Io….è meglio di no; magari un'altra volta.

    Lei, che lo conosce e sa com’è fatto, non insiste e gli sorride.

    - Certo Peppino, come volete.

    Si alza dal letto e fa per uscire

    - Peppino…aspettate ancora un momento, restate ancora un poco qui con me.

    - Ma ha detto la Maria che dovete riposarvi.

    - Mi riposerò più tardi.

    Restano per un po’ in silenzio; nessuno dei due sa cosa dire.

    - allora? com’è che lo chiamerete il vostro piccolo erede? – gli chiede lei

    - non lo so….non ci ho ancora pensato.

    - magari potreste chiamarlo Luigi, come vostro padre; a lui farebbe piacere.

    - no Eulalia, basta coi nomi dei vecchi; voglio un nome diverso, un nome importante, non come i soliti.

    - E allora che nome vorreste dargli?

    - non lo so… certo, se penso alla vita misera che lo aspetta, a quanto sarà dura, faticosa, che neanche se lo immagina…. Pover putèin, dovrà essere duro, tenace, anche cattivo, dovrà essere forte per sopportare le bastonate che la vita gli darà, ma poi dovrà rialzarsi e riprendere a camminare; duro e forte come….. come una pietra.

    Alza gli occhi verso la moglie; ora sta sorridendo

    - ecco Eulalia, ho deciso; si chiamerà Pietro, Pietro Benati.

    Tanti, tanti anni dopo

    Quartirolo di CarpiGiugno 1927

    Mi raccomando, Pietro, niente strapazzi; dobbiamo far passare questa febbre; statevene a letto e cercate di riposare – mi dice serio il dottore, dopo avermi visitato – non siete più un ragazzino.

    - mmm – bofonchio infastidito,

    - su, non fate il testone come al solito; - dice guardandomi mentre richiude la borsa - ve lo dico per il vostro bene.

    - mo và bein! Dove volete che vada.

    Scuote la testa; ormai mi conosce, è il mio dottore da trent’anni, da quando siamo venuti qui; siamo diventati vecchi insieme.

    - beh, io adesso devo proprio andare – dice girandosi verso mia moglie - se riesco torno domani verso sera.

    - domani sera? E io devo restare qui fino a domani sera? – gli rispondo piccato – c’ho da andare in campagna mè.

    Si gira nuovamente verso di me

    - non pensateci nemmeno Benati, c’avete un’età e il vostro corpo ve lo sta dicendo; dovete farvene una ragione, che lo vogliate o no – accenna un sorriso che sa di presa in giro - siete diventato vecchio, caro mio, e i vecchi…..

    Mi volto dall’altra parte; non lo voglio più vedere ne ascoltare; non sopporto che mi dicano che sono diventato vecchio

    - mo cus’ela c’la facia lè? su, non fate il bambino – mi rimprovera bonariamente l’Adele, una volta rimasti soli

    - lasèm bein ster Adele

    - se il dottore dice che, per guarire, dovete stare a letto e non affaticarvi saprà bene quel che dice! – continua lei - e non state a preoccuparvi per la campagna, ci sono i vostri figli, ci pensano loro.

    - al gà sol dal bali quel lè, c’ha solo delle balle quello lì! – protesto.

    L’Adele si avvicina e con una pezza bagnata mi terge la fronte calda e sudata

    - vorrete micca saperne più di lui?

    - mmm

    - oh ma che brontolone che siete!

    - brontolone….lo saprò se sto male o no! Mia quel lè!

    Mia moglie Adele è con me da cinquant’anni e mi conosce; sa che quando sono così rovescio qualunque cosa dica non va bene; inutile discutere; fa finta di non sentire e si allontana scuotendo la testa.

    - beh, io vado – mi dice senza voltarsi mentre apre la porta - vi lascio aperto, se avete bisogno di qualcosa chiamatemi.

    2

    Mi girano ancora per la testa le parole di quello là siete diventato vecchio, fatevene una ragione

    Vecchio….ma se fino all’altro giorno stavo in campagna dalla mattina alla sera! Vecchio io? sarà diventato vecchio lui con quegli stupidi occhialini da professore schiacciati sul naso e quello sguardo da so tutto io; ma che vada al diavolo!

    Mi giro e rigiro nervosamente per il letto; c’ho una rabbia addosso….

    Adesso gli faccio vedere io se sono vecchio!

    Faccio per alzarmi ma mi gira la testa; cerco di aiutarmi coi gomiti, ce la devo fare; altro che vecchio! ma per quanto mi sforzi proprio non ce la faccio; oggi mi sento uno schifo.

    Che fine ha fatto tutta la mia forza, io che fino all’altro giorno mi mettevo un sacco di grano sulle spalle e via che neanche me ne accorgevo!

    Uno non diventa vecchio in due giorni!

    Mi lascio andare, stremato; la stanza continua a girare tutt’intorno, sempre più forte e mi viene da vomitare; mi giro e per poco non casco giù dal letto; che vergogna! mi vengono gli occhi lucidi; per fortuna che sono qui, da solo.

    Guardo sconsolato verso la finestra, è là il mio posto, micca sdraiato qui come un salame; alzo la testa, o almeno ci provo, ma dalla prigione in cui sono rinchiuso la mia campagna neanche si vede, solo il grande albero e dietro, a fare da sfondo, il blu intenso del cielo

    Ho la testa che mi scoppia, sarà questo caldo insopportabile, sarà la febbre….che ne so, qua dentro non c’è aria, non si respira;

    Provo a chiudere gli occhi, vorrei dormire ma non ci riesco; come si fa a dormire mentre là fuori….ci sono tante robe da fare.

    Non sono micca uno da stare a letto io! e poi….se sto qui impalato a guardare il soffitto la testa si mette a viaggiare per conto suo e cominciano a venirmi i pensieri, capita sempre più spesso negli ultimi tempi, e coi pensieri, inarrestabili e dolorosi, arrivano i ricordi; ricordi di un altro mondo, un mondo che non c’è più.

    Ricordi di tutta una vita.

    3

    Della mia infanzia, ormai così lontana, me ne sono portato dietro tanti di ricordi; ricordi belli, ricordi brutti, ricordi tremendi.

    Li ho chiusi tutti in un cassetto, dentro di me e ho cercato di dimenticare; dovevo andare avanti; ma ora che sono vecchio quel cassetto non sta più chiuso, forse perché è diventato troppo pieno e allora, specie nei giorni più tristi, quelli più bui,

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