Mani nere e cuor d'oro
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Anteprima del libro
Mani nere e cuor d'oro - Guido Fabiani
Mani nere e cuor d'oro
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1905, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728195222
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
http://www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
Capitolo I.
Il mio ingresso nel mondo.
La mamma mi accomodò un fardello in cima a un bastone, mi diede una corona, pochi soldi racimolati a furia di privazioni, e « va — mi disse affidandomi a Tonio, un ragazzone alto due volte me; — che Iddio ti accompagni! Pensa a me, com’io penserò a te, e torna con qualche soldo ».
La baciai commosso, e mi affrettai a svoltar l’angolo perchè non mi vedesse piangere. Certo deve aver pianto amaramente anche lei, perchè mi voleva tanto bene!
— Ih! — fece Tonio, e me lo ricordo ancora come se i cinquant’anni che son passati fossero un giorno. — Ih!.. se piangi fai fortuna, te lassicuro! Hai ragione che sei bambino; se no, riderebbero i sassi! Fatti core, via! la vita è così. E poi, non faceva lo spazzacamino anche tuo padre? Questo mestiere l’abbiamo dunque nel sangue e dobbiamo sopportarlo lieti.
Era vero: mio padre faceva, in vita, lo spazzacamino: andava lontano, nelle città, conducendo seco, quasi sempre, una frotta di monelli come me, e ritornava a casa assai di rado e per poco. Io non ero mai andato con lui, perchè troppo piccino: lo attendevo con la mamma, pregando ed aiutandola nelle faccende di casa, o nel raccogliere pe’ boschi fragole o funghi, a seconda delle stagioni. Quelle attese erano lunghissime: duravano mesi e mesi. Ma una ve ne fu più lunga di tutte… tanto lunga che dura ancora! Io, non vedendo più giungere il babbo, interrogavo la mamma, che, inquieta, poverina, diceva di tratto in tratto: « Ah, purchè non gli sia toccato qualche disgrazia! » Un brutto dì, ella fu chiamata dal parroco… Tornò in casa piangendo disperatamente così che, vedendola, piansi anch’io senza conoscerne il motivo. Lo seppi più tardi: babbo era morto nel guadare un fiume. Il poveretto, onde portare a casa quanti più danari poteva, non adoperava mai nè cavalli nè barche, ma veniva a piedi, e, se trovava i torrenti o i fiumi gonfi, li attraversava a nuoto.
Quando penso al dolora di quella povera donna, allo schianto del suo cuore, mi vengono le lacrimo agli occhi anche adesso che son vecchio.
E pensate poi quale altro affanno ella dovette provare nello staccarsi da me, suo unico figlio, suo unico bene!
Pure, era necessario ch’io partissi: così, in due, non si poteva vivere; per me, non c’era in paese lavoro fruttuoso; e un mestiere dovevo apprenderlo, chè la mamma poteva mancarmi ed io non avrei saputo come campare. Aggiungete che tutti i frugoli della mia età e condizione, se n’andavano per il mondo, e tutti tornavano, neri sì, ma sani e con un bel gruzzoletto.
A convincere mia madre ed a farla un po’ rassegnata, Tonio aveva contribuito assai. Egli aveva appreso il mestiere col mio povero babbo, il quale, tutte le volte che con mamma aveva parlato di lui, se n’era mostrato contento. Babbo soleva dire che lo teneva come figlio, perchè era buono come il buon pane: figuratevi quindi se mamma non doveva avere in lui la più illimitata fiducia!
Prima di partire avevo fatto per dieci o dodici giorni, parecchi esercizi, sotto la guida di Tonio: egli m’aveva insegnato ad arrampicarmi nell’interno delle canne da fumo, a grattar la fuliggine, a spazzarla giù, a gridare dall’alto dei camini — e, a sentir lui, promettevo di diventare espertissimo.
Infatti, egli si valse di me alla prima occasione.
Il paese che incontrammo primo sulla nostra via, era posto sull’alto d’un piccolo colle, donde si scorgeva grande parte d’una immensa vallata. Ogni volta che Tonio passava di là, si fermava a spazzare i camini, cominciando dalla casa del parroco. Quelli erano, diceva, i danari occorrenti alla prima parte del viaggio. Anzi il mio povero babbo soleva dire che il buon Dio aveva creato a posta quel paese per venire in aiuto degli spazzacamini. Se mio padre diceva così — pensai — doveva conoscere la gente che ivi abitava; e chi sa che il parroco non si fosse ricordato del mio caro morto.
Ma quale non fu il mio stupore e il mio dolore, allorchè, entrati in canonica, Tonio disse al prete ch’ero suo fratello!
Perchè, quella bugia?
Il buon prete ci fece ugualmente buon viso.
— Sali tu, mi disse Tonio; io non istò tanto bene, quest’ oggi.
— Povero ragazzo! — osservò il prete accarezzandomi una guancia. — E sarai capace d’andar fin lassù?
Questo dubbio quasi mi offese: « Gnorsì! » esclamai con sicurezza; e mi accinsi al lavoro, non senza però un certo rammarico, poichè il vecchio aveva intanto offerto a tutti e due un bel pane bianco e alcune fette di salame. Avrei certo preferito indugiarmi a mangiare; ma sarebbe stato un mostrarmi ghiotto, e non volli!
Il camino era molto alto e molto sporco; tanto sporco, anzi, che sembrava non l’avessero pulito da tre anni, cioè da quando era morto il babbo mio. Ciò mi insospettì che Tonio non l’avesse mai spazzato bene; e, persuaso che occorresse rimediare al mal fatto, impiegai, nel ripulirlo, un tempo assai maggiore di quello che Tonio desiderasse.
Quando scesi, il prete non era in cucina: aveva dovuto correre in chiesa per le funzioni. Tonio aveva la faccia imbronciata e l’occhio acceso.
— Benvenuto! — fece con voce irosa. — Se fai così con tutti i camini, poveri noi! In un anno non si servono tre villaggi!
— Oh, Tonio! sapessi com’era sporco!..
— Fai come il tuo babbo, tu, che guadagnava pochi soldi al giorno e crepò senza averne messi da parte! Ah, sì! ti voglio proprio mantenere per nulla!.. Io facevo tre volte tanto lavoro in un dì, guadagnando il triplo.
— Ma… non pulivi a dovere.
— E che importa? Intanto i soldi erano nella mia tasca.
Questo discorso mi addolorò. « I lavori, van fatti bene — mi diceva la mamma, quando sferruzzava calze per commissione — se no, i danari sono rubati ». Dunque, pensavo io, Tonio, che non lavora bene, ruba… Eppure mamma dice che Tonio è un bravo ragazzo!
Avevo fame, e gli domandai:
— E il pane?
— Te lo darò per via; ora non abbiamo tempo da perdere.
Così, mi toccò pulire a digiuno tutti i camini del villaggio!
Capitolo II.
Notte di paura - Un incendio.
Appena fuori dell’ abitato, pieno d’appetito, anzi di fame, chiesi al mio compagno: — Tonio! o non mi dài nulla da mangiare? —
Egli cavò allora dalla sacca un mezzo pane, avanzo di quello che il prete gli aveva dato per me, e me lo porse.
— E la mia parte di salame? — feci io, che non mi volevo rassegnare al pan solo.
— L’avrà mangiata il gatto! —
E dopo aver sorriso tristamente, Tonio prese a zufolare un’aria delle nostre montagne, mentre ci incamminavamo per una strada che discendeva alla pianura. Quella sera, mi convenne adunque mangiare pane e lacrime: un ben magro cibo!
La prima notte passata lontano da casa mia, quasi solo, all’aperto, non potrò dimenticarla più: Gli echi del monte ripeterono i vari rintocchi dell’Ave Maria della sera, mentre la tenebra scendeva fra le viuzze odoranti di timo e di fieno tagliato. Tutto in breve rientrò nel silenzio. Camminavamo l’uno presso a l’altro, senza parlare. Tonio, aveva acceso la pipa, una pipaccia nera e puzzolente, e, ad ogni tratto, l’aria che spirava verso me, mi portava a ondate il fumo acre e cattivo, che mi avvolgeva, che mi penetrava nella gola e nei polmoni, facendomi tossire.
Ciò mi aveva distolto per un momento dai tristissimi pensieri che m’eran venuti, giacchè nel cuore avevo sempre la mamma e la casetta da me lasciata; stavo anzi maledicendo in cuor mio la pipa di Tonio, allorchè questi, ad un tratto, si fermò e mi trattenne. All’ incerto chiarore dell’ ultimo crepuscolo, riflettuto dalla strada bianchiccia, gli vidi negli occhi e nel viso l’espressione del più vivo terrore.
— Che hai?
Mi pose la mano sulla spalla. Poi, chinatosi verso me, sussurrò;
— Non vedi là, innanzi a noi?
— Che c’è?
— Laggiù, laggiù…
— Nulla…
— Nulla?.. Sono le streghe della montagna!
— Eh, baie! sono alberi, quelli!
— Alberi? L’ho fatta cento volte questa via e non ne ho mai veduti, in quel luogo.
— Non li avrai osservati.
— Sono le streghe, ti dico!
— O Tonio, vuoi vedere? Io ti precederò di venti passi, e tu mi verrai dietro.
— Bravo, faremo così.
Ma il mio non saziato appetito mi suggerì subito una piccola furberia: bisognava pure ch’io facessi pagare in qualche modo a Tonio il mio coraggio! Di punto in bianco, mi feci dunque audace:
— Sì, faremo così; ma tu intanto fa una cosa: dammi un altro po’ di pane. Sono tanto debole che se son davvero le streghe, invece di fuggire svengo.
Tonio trasse il pane e me lo diede. Io lo afferrai, o via di corsa, lieto, sbocconcellandolo in fretta.
Non vi stupite se non avevo e se non ebbi paura: non ho mai sofferto questa malattia dell’animo; e se dico il vero, lo vedrete più innanzi. La mamma, gloria a lei!, mi aveva dimostrato come uno e uno fan due che le streghe non esistono e che i morti non tornano. Chè, se i morti tornassero, io avrei almeno potuto avere la gioia di vedere