Sotto lo stesso cielo
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Anteprima del libro
Sotto lo stesso cielo - Emanuela Esposito
tutto.
VITE SPEZZATE
L’aereo aveva appena iniziato la manovra di atterraggio e le nuvole che erano sembrate tanto vicine oramai erano in alto. Avrebbe voluto restare lassù, sopra quel cielo infinito e qualunque suo pensiero portarlo il più lontano possibile, chissà, magari sopra a una di quelle nuvole.
Gli sportelloni si spalancarono e le hostess annunciarono che l’atterraggio era terminato e che finalmente sarebbero tutti scesi per dirigersi a casa.
Alessandro aveva il viso incollato al finestrino e, mentre immaginava di trovare una faccia familiare, vedeva in quelle persone la gioia di abbracciare il proprio caro che li attendeva. Dentro di sé però provava un grande dolore, avrebbe voluto piangere, sfogarsi, prendersela con qualcuno.
Merano era una città bellissima, ma lui voleva restare nella sua terra, che cosa ci faceva un ragazzo di mare in piccolo paese di montagna? Con suo nonno non aveva passato più di qualche giorno insieme, a parte qualche settimana durante le vacanze estive. Inoltre caratterialmente erano diversi, non riuscivano mai a trovare un accordo, ogni cosa che diceva sembrava o che non gli interessasse o che non fosse d’accordo, in tal caso avrebbe rinunciato.
Più ci pensava e più era pentito della sua scelta, il profumo di salsedine, la sabbia, i gabbiani che annunciavano l’arrivo dell’estate, tutto questo non l’avrebbe più sentito… se solo quel terremoto non ci fosse mai stato. Appena chiudeva gli occhi, anche per un istante, tutto gli tornava in mente… stava per impazzire.
Merano che cosa aveva più di Taranto? Non aveva quei profumi, non aveva quei sorrisi così spensierati, così belli, e le signore anziane che stavano sull’uscio della porta mentre lavoravano a maglia (forse per quel nipotino in arrivo, come la signora Lucia, sua vicina di casa ma anche amica di famiglia), oppure i ragazzi che cantavano le canzoni popolari durante le sagre di paese, quella passeggiata incantevole sul lungomare dove si trova Villa Peripato, la famosa piazza Garibaldi, la chiesa di San Domenico Maggiore, i resti del Tempio Dorico, i palazzi Pantaleo e d’Ayala Valva e tanto altro…
Ogni angolo lo conosceva come le sue tasche, peccato che ora tutto questo non c’era più, solo macerie, un cumulo di macerie.
Non voleva crederci, quanto dolore nel vedere le vite spezzate di molte persone, chi avrebbe aiutato don Gino a raccogliere i soldi per la parrocchia? Oppure a preparare la festa del paese con i fuochi e tutti i dolci tipici delle loro tradizioni?
La sua famiglia era morta lì, in quel terremoto e adesso nessuno poteva accoglierlo se non suo nonno.
Tutti quei momenti li avrebbe conservati nel cuore, ogni via, angolo, e sorriso di quelle persone che per anni l’avevano accompagnato nella crescita e serenità, sarebbero rimasti per sempre dentro di lui. Perché sono proprio i ricordi che a volte ci aiutano a ricordare chi siamo e da dove veniamo.
«Perché? Perché quel terremoto? Perché adesso?», se lo continuava a ripetere nonostante si fosse ripromesso di non farsi domande. La sua casa, la sua scuola, la chiesa, tutto era morto, distrutto per sempre. Quella sera tante lacrime erano state versate, e con loro le grida si erano levate al cielo. Solo una domanda risuonava nella testa delle persone sopravvissute: «Perché, Dio? Perché?».
Sembrava la scena di un film del 2013, disperazione, delirio, paura, panico… e dopo? Solo lo smarrimento di chi si era trovato solo.
Quella notte le scosse continuarono e la polvere delle macerie entrava nelle menti delle persone offuscandole. Che shock fu per lui scoprire che tutta la sua famiglia era rimasta sotto. Non li avrebbe più abbracciati, non avrebbe più sentito dire: «Ciao Alessandro, che cosa vuoi per colazione?». Non ci sarebbe più stato il bacio del buongiorno né quelle risate attorno al tavolo durante l’ora di cena, dove ognuno raccontava la sua giornata.
Nello scavare sotto quella che una volta era stata la loro casa, si procurò parecchi tagli alla mano e gli abiti che indossava erano tutti sporchi.
Una signora che aveva perso i suoi figli disse ai vigili del fuoco una frase che lo fece molto riflettere: «Io non so se per ogni cosa