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Viaggio verso l'Amore, libro 3 : La mia star: Viaggio verso l'Amore, #3
Viaggio verso l'Amore, libro 3 : La mia star: Viaggio verso l'Amore, #3
Viaggio verso l'Amore, libro 3 : La mia star: Viaggio verso l'Amore, #3
E-book240 pagine2 ore

Viaggio verso l'Amore, libro 3 : La mia star: Viaggio verso l'Amore, #3

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Info su questo ebook

A New York, un regista si accorge del luccichio nello sguardo di Morgana e le dà una parte nel suo film.

Durante le riprese, Morgana conosce James, un affascinante attore che decide di fare il viaggio per Hollywood con lei.

Ed eccoli partiti in decappottabile: migliaia di chilometri per sedurla…

Un fidanzato star del cinema… È un sogno!

Morgana si innamorerà di lui?

Riuscirà a dimenticare Enzo, il suo domatore di belve?

Alla fine, troverà il grande amore?

Nell’ultimo libro di Viaggio verso l’amore il legame di amicizia fra Morgana e Maeva diventa ancora più forte quando le due amiche partono per l’America. Hanno entrambe vissuto momenti difficili durante l’adolescenza e il “road trip” negli Stati Uniti è un modo per liberarsi da tutti i brutti ricordi. Il loro sogno: vedere il Gran Canyon. Nella natura vergine, in contatto con la terra, su di loro avviene un incantesimo…

Il viaggio la porterà da New York a Memphis – dove salirà fra le nuvole – , poi da Santa Fe a Tijuana, in Messico, dove soddisferà il desiderio di sensazioni forti.

Alla fine, il trio Morgana-Maeva-James arriverà a Los Angeles, la Città degli angeli, per la prima del film girato a New York. Per Morgana, che ha sempre amato il cinema e, soprattutto, l’idea di vivere la vita come un grande film, è l’apoteosi. Quindi, dovrebbe essere felice, appagata, ma le manca qualcosa…

Morgana troverà il coraggio per andare fino in fondo al suo sogno di vero amore?

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita3 apr 2021
ISBN9781071595213
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    Anteprima del libro

    Viaggio verso l'Amore, libro 3 - Annie Lavigne

    New York, New York, 17 agosto

    Una decina di ore prima, avevo lasciato l’Austria, dove si era conclusa la mia incredibile avventura con il circo Dracul, con cui avevo percorso l’Europa dell’Est per tutta l'estate. Avevo scoperto i retroscena del circo e ciò che il capo faceva subire a Maeva, ed eravamo scappate.

    Io che volevo crearmi ricordi, me ne ero fatta, di belli e di meno belli. Avevo incontrato un ragazzo incredibile, che mi aveva toccato il cuore, ma mi ero spaventata e lo avevo piantato lì.

    Mi aveva mentito, nascosto la verità, per dare una possibilità al nostro amore che stava nascendo. Lo avevo perdonato? Sì, perché volevo vivere con leggerezza, come una farfalla. Le mie ali non sopportavano il peso della rabbia e del rancore.

    Tuttavia, avevo bisogno di schiarirmi le idee, di cambiare aria, di rimanere un po’ da sola con me stessa. Così, avevo cambiato città, paese, continente!

    Be’, non ero sola, ero con Maeva, ma non mi sarei aggrappata a lei come a un ragazzo, perdendo di vista me stessa, dimenticando chi sono per trasformarmi in ciò che lui vuole che io sia, per plasmarmi in base alla sua visione di me...

    Partivo alla scoperta del mondo (diciamo dell’America) per ritrovare me stessa: Che cosa voglio davvero? Chi sono nel profondo?

    Avevo appena messo il piede sul suolo americano, negli Stati Uniti, dove non sarei più stata né Morgana la parigina, né Morgana la bohémienne, ma una nuovissima Morgana, senza titolo e senza etichetta.

    Il vento magico che mi aveva portata fino qui mi mormorava all’orecchio che ero pronta per un altro viaggio.

    Un altro sogno.

    Un’altra strada da percorrere.

    Un altro mistero da svelare.

    Che cosa avrei scoperto in queste terre?

    Ero sotto il cielo azzurro, il mio cielo, sempre azzurro anche quando attraversavo il grigiore, pronta ad andare avanti senza esitare, pronta ad andare in fondo alle mie esperienze, alla scoperta dei sogni e di me stessa.

    Verso l’inizio della serata, posai i miei piedi vagabondi a New York in compagnia della mia amica Maeva, che mi aveva permesso di vivere la mia avventura fra gli zigani.

    Io e Maeva avremmo realizzato il nostro sogni di vedere il Gran Canyon. Ma non volevamo andarci subito. Come Jack Kerouac, volevamo vivere on the road, sulla strada, e percorrere in auto i tremilaseicento chilometri che separavano New York da Las Vegas.

    Volevamo anche vivere la nostra epopea verso Ovest, alla scoperta del Nuovo Mondo, come i primi coloni che avevano attraversato i grandi spazi che dividono la costa orientale dell’Oceano Pacifico, per sentire il vento della libertà.

    «Mi porterai negli Stati Uniti? » mi aveva chiesto Maeva a Praga.

    Glielo avevo promesso.

    Ed eccoci lì.

    All’aeroporto John F. Kennedy, prendemmo un’auto a noleggio: una Volkswagen New Beetle decappottabile rossa. Rossa, perché il rosso era il colore della passione, dell’azione, dell’esuberanza, dell’amore... E volevamo vivere con passione io e la mia bella zigana.

    Quando ci mettemmo in viaggio, il sole tramontava dietro gli alti grattacieli della Big Apple, la Grande Mela, come veniva soprannominata.

    – Allora, come la chiamiamo la nostra nuova amica? chiesi a Maeva.

    – Chi?

    – Be’, l’auto. Le dobbiamo dare un soprannome, essere gentili con lei, per essere amiche fino a Las Vegas senza problemi, capisci?

    – Capisco, capisco... Allora, la chiamiamo... Edith!

    – Perché Edith?

    – Che domande, Morgana. Per Edith Piaf! «Quand il me prend dans ses bras, il me parle tout bas, je vois la vie en rose. Il me dit des mots d’amour, des mots de tous les jours, et ça me fait quelque chose...» si mise a cantare. Non ti fa pensare al tuo bel Enzo!

    Scoppiai a ridere:

    – Per adesso, è piuttosto: «Non, rien de rien, non, je ne regrette rien, ni le bien qu’on m'a fait, ni le mal, tout ça m’est bien égal. Non, rien de rien, non, je ne regrette rien. C’est payé, balayé, oublié

    Je me fous du passé!» cantai insistendo sull’ultima frase.

    – Be’, d’accordo, a quanto vedo hai ancora bisogno di tempo! esclamò Maeva ridendo. Ma sei d’accordo a chiamarla Edith? Sono cresciuta con le sue canzoni, mia madre le ascoltava in continuazione. Quella donna cantava la libertà e l’amore.

    – Edith, è l’ora dell’avventura!

    – «Le ciel bleu sur nous peut s’effondrer...» Dai, canta con me, Morgana!

    La mia voce si unì a quella della mia amica e con il cuore colmo di gioia facemmo rotta verso Las Vegas.

    – «Et la terre peut bien s'écrouler. Peu m'importe si tu m’aimes, je me fous du monde entier. Tant que l’amour inondera mes matins, tant que mon corps frémira sous tes mains. Peu m’importent les problèmes, mon amour puisque tu m’aimes...»

    Percorremmo la ventina di chilometri tra l’aeroporto JFK e l’isola di Manhattan cantando a squarciagola. Che piacere guidare con i capelli a vento!

    – Parli inglese? chiesi a Maeva.

    – Sì’, l’ho imparate viaggiando. Per me è addirittura più facile da parlare del francese. E tu?

    – L’ho studiato al liceo... Ma l’ho imparato soprattutto memorizzando le parole delle mie canzoni preferite e ascoltando i film americani.

    – Allora, d’ora in poi, parleremo solo inglese, va bene?

    Ero d’accordo e non dicemmo più una sola parola in francese.

    Da lontano, riuscivamo a vedere le torri di Manhattan, simbolo della potenza economica americana. New York si avvicinava, il rumore dei clacson, il rumore delle  sirene... La sua effervescenza si insinuava pian piano dentro di noi, rendendoci febbrili, impazienti...

    Impazienti di cosa? Di scoprire che cosa ci aspettava qui, di vivere la nostra avventura, di godere della felicità che speravamo trovare per le strade d’America.

    Anche se si dice che la felicità va cercata dentro di sé, noi riponevamo tutte le nostre speranze in questa avventura che ci proiettava in un nuovo scenario, in cui forse le vecchie ferite sarebbero guarite con più facilità.

    Pensavo a tutte queste cose e alla mia amica, che sapevo ferita, distrutta dentro.

    – Maeva... Vuoi che chiediamo aiuto... Per te?

    – Perché?

    – Be’... Per quello che hai vissuto. Se fossimo al liceo, ti manderebbero dallo psicologo...

    – Sono davvero molto felice di non essere più al liceo, allora! Tirare fuori tutti i miei problemi davanti a un perfetto sconosciuto, no grazie!

    – Comunque, se hai bisogno di parlare...

    – Tu ci sei, sì, certo, Morgana.

    Non sapevo che cosa dirle. Non sapevo quali fossero le parole che avrebbero potuto farla stare bene, tranquillizzarla, guarirla.

    – Ti trovo in forma, nonostante tutto...

    – Perché mi sono procurata un piccolo sdoppiamento cosciente della personalità.

    – Che cosa?! Che cosa intendi?

    – Be’... La ragazza che ha fatto tutte quelle cose con quegli uomini, l’ho sistemata per bene in una bella stanza rosa con palloncini e unicorni sui muri, con cioccolato e gelato a volontà e una televisione che trasmette di continuo film per ragazze... E ho chiuso a chiave la porta. Tutte queste cose sono successe a lei, non a me. Io sono la Maeva che ha avuto un’infanzia felice con i suoi genitori, in una bella roulotte che percorreva le strade d’Europa. È l’altra che ha perso i genitori in un incidente stradale e che... Insomma, lo sai. Lei ha una vita difficile, non io.

    Mi chiedevo se fosse sana una cosa del genere e, soprattutto, se avesse funzionato nel tempo.

    – Ad ogni modo, se un giorno o l’altro Maeva dovesse riemergere e avesse bisogni di un’amica...

    – Sì, Morgana, te la presenterò!

    Maeva parlò con un tono così allegro e leggero che pensai solo che andasse tutto bene per lei. Dopo tutto, chi ero io per giudicare i suoi metodi per affrontare il dolore? Forse aveva trovato la soluzione, la sua soluzione.

    Mentre guidavamo, osservavo con attenzione il paesaggio che mi scorreva davanti agli occhi: grattacielo, taxi gialli, grattacielo, taxi gialli, grattacielo... E un mucchio di uomini e donne impegnati a ripercorre gli stessi passi del giorno prima.

    Che piacere essere una turista, una viaggiatrice. Mi sentivo come un essere a parte, come se tutte queste persone si fossero trovate in un acquario e io dall’altra parte del vetro a osservarli.

    Che piacere essere una scopritrice, una ricercatrice. Ma che cosa cercavo per l’esattezza? Qual era la mia ricerca?

    Cerco il Graal che è sepolto nel mio essere, pensai mentre entravamo nella città rumorosa.

    Cercavo il diamante grezzo, il gioiello nascosto dentro di me...

    Ero alla ricerca di me stessa.

    Mentre Maeva guidava l'auto per le vie della città, tirai fuori la videocamera e iniziai a filmare. Non sapevo ancora che cosa ne avrei fatto di tutte queste immagini e di tutti questi pensieri, ma mi piaceva molto documentare il viaggio.

    Paesaggio: illuminato da una miriade di luci e di neon su uno sfondo di palazzi che grattano il cielo.

    Flora: lampioni, segnali stradali e semafori crescono in abbondanza.

    Fauna: eterogenea, a volta aggressiva, a volte letargica, che avanza sui marciapiedi in una bolla di indifferenza.

    Maeva fermò l’auto nel parcheggio di un hotel dell’Upper East Side di Manhattan, vicinissimo a Central Park. Alla reception, i dipendenti non sembravano abituati a ricevere giovani viaggiatrici in jeans e maglietta. Il facchino prese i nostri zaini e li posò su un carrello, poi ci chiese di seguirlo in camera.

    Dopo avergli lasciato una piccola mancia, Maeva richiuse la porta dietro di noi ed esclamò:

    – Fantastico!

    – Sì, che eleganza! Potremmo incontrare Paris Hilton o...

    – No, ti prego! Adesso, le star siamo noi.

    L’Upper East Side era un quartiere molto esclusivo e la stanza costava un occhio della testa, ma era solo per una notte. Avevo ricevuto un’eredità di cinquantamila euro e volevo vivere nel lusso, anche se solo per poco.

    Nel suo testamento mia madre aveva riportato che desiderava che vivessi tutti i miei sogni. Questo viaggio in America era uno dei miei sogni.

    – Che cosa facciamo questa sera? mi chiese Maeva.

    – Fiesta!

    Dopo dodici ore di volo, volevo divertirmi. Con il fuso orario per noi erano le quattro del mattino. Eppure, non avevo nessuna voglia di dormire. Ero a New York, nella città che non dorme mai!

    Volevo fare la stessa cosa.

    2

    Fuori, le temperature sfioravano i trenta gradi, anche se il sole era tramontato da più di un’ora. Da alcuni giorni, la canicola si era insediata su tutto l’est del paese. Davanti all’hotel, nel parco, alcuni bambini (e anche alcuni adulti dall’animo giovanile) sguazzavano in una grande fontana, e le loro risate calorose si mischiavano ai rumori sgradevoli della strada.

    Fin dal mio arrivo nella città degli eccessi e delle ambizioni più folli, mi sentii pervasa da un’energia elettrizzante. Volevo vedere tutto, provare tutto, assaggiare tutto. Assaporare la vita e tutto ciò che aveva da offrirmi, mordere la Grande Mela con gusto!

    Con indosso dei prendisole colorati, come due belle dee zigane, io a Maeva andammo alla ricerca di un posto in cui divertirci. Ero euforica, gli occhi spalancati per non perdermi nulla dello spettacolo urbano che si svolgeva davanti ai miei occhi.

    I marciapiedi erano affollati quasi come in pieno giorno e andavamo a zig-zag fra i passanti, mano nella mano come le due inseparabili amiche che eravamo.

    Guardai un istante Maeva e il suo sorriso mi scaldò il cuore. Era felice. Lì, in quel preciso istante, era felice, e lo ero anche io. Mi piaceva pensare che ero stata io a tirarla fuori dall’inferno in cui si trovava e che quindi ero responsabile della fiamma di gioia che brillava nel suo sguardo. Mi rendeva felice pensare che l’avevo aiutata, che l’avevo... Salvata.

    Sì, lo so che è del tutto egoista da parte mia, ma ognuno di noi fa il possibile per essere felice, giusto?

    Ci fermammo davanti a un night-club. Decine di persone facevano la fila per entrare. Un buttafuori lasciava passare i clienti abituali, mentre gli altri aspettavano in fila indiana.

    – Ci vorranno ore per entrare, brontolai. Andiamo da un’altra parte.

    Maeva fissava il buttafuori, un ragazzone dalla carnagione scura e dai capelli color ebano, che doveva spararsi steroidi per riuscire ad avere una massa muscolare così voluminosa.

    – Aspetta, vado a parlare con lui.

    – Ma no, non servirà a nulla. Ti dirà solo di fare la fila come tutti gli altri.

    – Ma non lo sai, mia bella Morgana, che noi non siamo tutti gli altri?

    Inutile discutere, Maeva si dirigeva già verso il frigorifero ambulante, Mentre mi avvicinavo lenta a loro, temendo l’umiliazione, vidi la bestia sorridere. Origliai e riconobbi l’accento rom.

    No, non è possibile... È un gitano!

    Ed ecco che la mia amica e il bouncer iniziarono a parlare in romani, la lingua dei nomadi, e si misero addirittura a ridere, come se fossero stati due vecchi amici che si ritrovavano.

    Straordinaria Maeva! Una vera maga che non ha paura di nulla...

    Mi sbalordiva. Penso che volessi che mi influenzasse un poco, che mi trasmettesse un po’ della sua audacia, della sua sicurezza.

    – Benvenute, disse il newyorchese aprendoci la porta del locale.

    La zigana fece l’occhiolino a suo «fratello di sangue» ed entrammo, con un sorriso da un orecchio all’altro.

    – Come hai fatto a capire che era zigano? le chiesi mentre ci dirigevamo verso la pista da ballo.

    – Lo stile, lo sguardo, il portamento... Assomiglia ai miei cugini!

    – Non a Enzo...

    Il pensiero mi venne in mente senza avvisare e le parole mi uscirono dalla bocca da sole. Mi ero detta che non avrei pensato a lui durante il viaggio ed ecco che un parte di me che non controllavo mi faceva tornare in mente la sua immagine. Chiusi gli occhi per un istante e riuscii quasi a sentire il suo odore di pino e di limone, a sentire le sue mani grandi sul mio corpo...

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