Funambola
Di Josomersim
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Anteprima del libro
Funambola - Josomersim
dell’aeroporto.
Caffè nero bollente
Mi sveglio e mi adagio sulla tavola apparecchiata dalla sera prima, gocce di succo di melograno ne segnano il passaggio, briciole di tabacco. La tensione che sento sulle spalle proprio non ce la fa ad andare via. Mi adagio e comincio a sorseggiare una tazza di caffè nero bollente e in bocca si fa spazio il sapore pesante di questa miscela, nera come il buco che ho in testa.
La casa ha i segni di un viaggio appena terminato.
Io ho i segni di chi pare che quel viaggio lo abbia fatto a piedi scalzi.
Eppure di giorni ne erano passati diversi.
Un disordine che, per la prima volta, riesce quasi ad innervosirmi. Decido di provare a mettere in ordine. Sposto di qualche centimetro la tazza del mio caffè, appallottolo degli scontrini poggiati sulla tavola e li lancio, in un mancato canestro, nel cestino poco distante da me. Il mio è un chiaro tentativo fallito e allora provo ad iniziare dalla valigia e quando tento di aprirla faccio non poca fatica nell’intento. Sembro una scassinatrice che prova ad aprire una cassa con chissà quale tesoro, invece quella valigia nasconde solo un mucchio di vestiti sporchi e il mio quaderno di viaggio. Riesco nell’impresa di spalancarla. Il mio sguardo si posa su quel taccuino giallo e riesco solo a interessarmi al suo contenuto.
Improvvisamente non esiste più disordine capace di innervosirmi. La tensione sulle mie spalle svanisce e quasi nemmeno me ne accorgo. Era forse a quel quaderno che evitavo di arrivare da quando lo avevo gelosamente custodito in quella valigia. Dal mio ritorno avevo consapevolmente evitato di aprire quella borsa, nonostante fosse chiaro che i vestiti non potevano rimanere sigillati là dentro per sempre.
Tutto sembrava diventare più chiaro. Ce l’ho in mano e le mie sono le movenze di chi crede di avere qualcosa di esplosivo da maneggiare. Scivolo vicino al letto e rimango con lo sguardo fisso su quella copertina. Si spegne il mio cervello e smetto di pensare. Lentamente mi immergo nella lettura di quelle pagine, di quei dialoghi.
Puppi e lampare
Quando ho conosciuto Livia mi trovavo nella sua isola. Facevo uno di quei viaggi che si fanno quando senti la necessitá di ritrovarti, perché qualcosa di negativo ti ha destabilizzato o quando fai a botte con certi conflitti e sai che, se mai li affronterai, nessun viaggio potrà essere il viaggio di chi dice: «parto per ritrovarmi».
Io ho comunque trovato qualcosa o, molto più, ho trovato qualcuno, ho trovato Livia.
Vagavo per una vecchia tonnara con gli occhi sul panorama e la mente sui miei perché. Facevo delle foto al mare e non mi curavo di quello che avevo intorno. Non lo feci fino al punto di investire io una ragazza in bicicletta.
Questo fu il mio incontro-scontro con Livia.
Scusami non ti avevo visto!
Eh, me ne ero accorta…
Ti sei fatta male?
No, la mia bici forse un po'!
Perdonami!
Mi fece un effetto strano quella ragazza, minuta com'era sembrava buffa su quella bici così grande. Le feci un sorriso imbarazzato e mi scusai una decina di volte, quasi come se Livia non avesse orecchie per sentirmi.
Ho capito, tranquilla, è tutto ok. Non sei di queste zone?
Incalzò Livia, distogliendomi finalmente dall' imbarazzo di quello scontro.
No, diciamo che sono in vacanza.
E dove sono gli altri vacanzieri?