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Acchiappa il tuo sogno: Una storia vera dove i sogni di tutti diventano realtà e che ci ispira a raggiungere il nostro
Acchiappa il tuo sogno: Una storia vera dove i sogni di tutti diventano realtà e che ci ispira a raggiungere il nostro
Acchiappa il tuo sogno: Una storia vera dove i sogni di tutti diventano realtà e che ci ispira a raggiungere il nostro
E-book858 pagine11 ore

Acchiappa il tuo sogno: Una storia vera dove i sogni di tutti diventano realtà e che ci ispira a raggiungere il nostro

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Info su questo ebook

Vieni, sali. Sì, dico a te che stai leggendo, siediti accanto a noi. Porta poche cose. No, non ti mettere lì, siediti al volante. Qualcosa di buono sta per succedere nelle nostre vite e approfitteremo di questo momento. Sarà un percorso per il mondo esterno che rifletterà soltanto una minima parte del via

LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2020
ISBN9789872313456
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    Anteprima del libro

    Acchiappa il tuo sogno - Candelaria e Herman Zapp

    Imagen de portada

    ACCHIAPPA

    IL TUO SOGNO

    Candelaria e Herman Zapp

    Una storia vera

    dove i sogni di tutti diventano realtà

    e che ci ispira a raggiungere il nostro

    Índice de contenido

    Portadilla

    Legales

    Prologo

    Argentina

    Cile e bolivia

    Perù

    Ecuador

    Amazzonia e Brasile

    Venezuela, Trinidad e Tobago

    Colombia

    Panama e Costa Rica

    Nicaragua, Honduras e El Salvador

    Guatemala e Belize

    Messico e Cuba

    Stati Uniti e Canada

    Alaska!!!

    Ritorno a casa

    Grazie mille!!

    Acchiappa il tuo sogno è l’avverarsi di un sogno dentro un’altro sogno e anche il frutto di un lavoro di gruppo. E’ stato tradotto dalla sua versione originale Atrapa tu Sueño pubblicata in Argentina. Questa versione in spagnolo è diventata un best seller in Argentina dopo la sua pubblicazione nel 2005.

    Tradotto da: Eduardo Nievas (ed.nievas@hotmail.it), Daniel Secchi (daniel.secchi@yahoo.es) e Maria Cristina Forte (mariacristina.forte@yahoo.es)

    Revisionato da: Luca Bau, Mariella Pisciota e Mariella Pensabene

    Disegno e programmazione: Diego Bennett, diegobenn@gmail.com

    www.facebook.com/creactivodiseno

    Disegno copertina principale: Fernando Vela, fernando@velacomunicacion.com.ar

    Disegno copertine secondarie: Ezequiel Lopez, ezequiel@adentrocomunicacion.com

    D.R. © 2016, Herman y Candelaria Zapp

    tresamericas@yahoo.com

    www.argentinaalaska.com

    Digitalización: Proyecto451

    Queda rigurosamente prohibida, sin la autorización escrita de los titulares del Copyright, bajo las sanciones establecidas en las leyes, la reproducción parcial o total de esta obra por cualquier medio o procedimiento, incluidos la reprografía y el tratamiento informático.

    Inscripción ley 11.723 en trámite

    ISBN edición digital (ePub): 978-987-23134-5-6

    Prologo

    A te, lettore, che stai per iniziare a leggere questo libro, ti avvisiamo prima che sia troppo tardi: stai attento! Questo non è un semplice libro! Questa non è la storia di un viaggio qualsiasi!

    Preferiamo avvisarti e vogliamo che la scelta sia tua. Non stai per iniziare un libro, stai per iniziare un viaggio e in questo viaggio non sarai un lettore, sarai un viaggiatore e un sognatore. A noi, due lettori ingenui, è andata così...

    Abbiamo conosciuto Herman e Cande mentre guardavamo un documentario di viaggi in tv, li hanno definiti gli acchiappa sogni e, incuriositi dalla loro storia, abbiamo letto il loro libro.

    Fin dalle prime pagine, ci siamo uniti a Herman e Cande nel loro viaggio, nel loro sogno, abbiamo smesso di essere lettori e siamo diventati viaggiatori e sognatori, come loro. Questo viaggio come ha cambiato noi, cambierà anche te.

    Sarebbe troppo semplice dire che in questo viaggio abbiamo conosciuto persone splendide che ci hanno aiutato e che sono diventate parte del sogno. Sarebbe semplice dire che ci siamo emozionati, abbiamo riso, abbiamo riflettuto e abbiamo sognato. In realtá, siamo cresciuti e al tempo stesso siamo tornati bambini, invasi da quell’emozione e dalla gioia di credere nei sogni.

    La loro storia non è un romanzo, non è una guida di viaggi, ma è una guida di vita, perchè ti insegna e ti dimostra che, se lo vuoi veramente, i sogni si possono avverare.

    Quando, con loro, arriverai alla fine del viaggio, non vorrai tornare a casa, ma non ti preoccupare perché loro resteranno con te, nel tuo cuore, nei tuoi pensieri, e a loro si aggiungerá un’energia nuova che ti spingerá a ricredere nei tuoi sogni e a volerli realizzare.

    Ci siamo offerti di tradurre questo libro non solo perchè sarebbe ingiusto non voler condividere con te queste emozioni, ma soprattutto perché noi, come loro, vogliamo che anche tu vada ad acchiappare i tuoi sogni.

    Grazie a Herman e Cande per aver risvegliato in noi il sognatore che dormiva.

    Grazie per averci dimostrato che i sogni si posso realizzare e grazie a tutti i sognatori che diventano acchiappatori di sogni.

    Con tanto affetto, Daniel e Cristina.

    Imagen de portada

    Argentina

    La nascita di un sogno

    E se andiamo in macchina?

    «E se andiamo in macchina?» chiedo senza essere pienamente convinto di quello che dico.

    È notte e siamo a letto con le luci spente. Ci siamo già dati il bacio della buona notte e ci rimane solo da dormire, ma adesso… chi dormirà di fronte a questa domanda? Resto zitto e aspetto la risposta. Tutto rimane immobile e in silenzio dentro la stanza, la brezza si calma e persino i grilli rimangono zitti aspettando che qualcuno parli.

    «Tu vai in macchina, io… vado a piedi!» mi risponde Cande un po’ seria un po’ scherzando.

    «Allora aspettami» aggiungo con un pizzico d’umorismo. Sulla domanda non aggiunge altro, preferirei lo facesse, ma rimane zitta. Almeno la sua risposta non è un no.

    È così strano, particolare e inimmaginabile viaggiare in una macchina fabbricata nel 1928… con i raggi delle ruote in legno. Il silenzio tra di noi è totale, ma non nelle nostre teste. Già le domande e i dubbi erano mille con l’idea di viaggiare zaino in spalla. Come sarà, cosa faremo, che succederà, di cosa avremo bisogno, le dogane, i documenti, i visti, le strade, i pericoli, e adesso addirittura in una macchina del 1928… con tutti i possibili problemi? Mille domande e quasi nessuna risposta. Non so con quale dubbio mi addormentai.

    Mentre riposo, Cande pensa: Mi ero quasi addormentata quando sentii la domanda. Questa nuova idea che mio marito propone mi coglie di sorpresa. Rimango a guardare le stelle che si vedono dal mio letto e mi si presentano migliaia di dubbi. Mi ripeto diverse volte la domanda tra me e me e vado col pensiero al garage di casa, dove vedo una vecchia macchina del 1928 appena acquistata, non revisionata. L’incertezza è troppa. Mancano solo due mesi alla partenza e inizieremo a realizzare il nostro sogno, ma adesso questa novità dell’auto mette in discussione tante cose. Penso e non voglio posticipare un’altra volta il sogno di viaggiare, sono già passati diversi anni, sì, già tanti. Dieci di fidanzamento, sognando un viaggio d’avventura, dieci anni pianificando che appena ci fossimo sposati saremmo partiti, ma lo siamo già da sei e a causa di paure, scuse, la casa, il lavoro e tante altre obiezioni l’unica cosa che facciamo è rimandare. No, non voglio rimandarlo ancora una volta. Questi ultimi anni sono passati più in fretta di quanto immaginavo, senza che si sia avverato ancora il nostro sogno e senza figli… che ultimamente desideriamo tanto, tantissimo, avere. Quando abbiamo iniziato a parlare di averne uno, sentendoci desiderosi e pronti, ci facevamo domande sul viaggio e sul nostro sogno. ‘E il viaggio? Se avessimo un figlio sarebbe impossibile viaggiare, ancora di più viaggiare all’avventura…’ ‘Prima avveriamo il nostro sogno e poi penseremo ai figli’ Lo avevamo deciso insieme, mesi fa. E adesso? In una macchina? E così vecchia…?

    Domande senza risposta

    Mi sveglio e continuo a farmi domande. Ci alziamo come se nessuno avesse detto nulla la sera prima, non me la sento di richiederglielo e mentre preparo una tisana di mate è Cande a rompere il silenzio.

    «E cosa facciamo con la data di partenza? Se andiamo in macchina la data è sempre la stessa?»

    La domanda mi fa rovesciare il mate. Afferro il bicchiere con la paura di bruciarmi, ne bevo un goccio per darmi qualche secondo in più e pensare a cosa rispondere.

    «Sì, la data è fissa, saremmo dovuti partire più di sei anni fa… La data è sempre il 25 gennaio del 2000.»

    La data è inderogabile, pronti o no, perché prima quando non era ancora stata fissata, gli anni sono passati uno dopo l’altro. Adesso, mancano solo due mesi a gennaio e sentiamo qualcosa dentro di noi, una certa inquietudine, una voce che non sappiamo da dove arrivi, se dall’anima o dal cuore che ci chiede di continuare, di iniziare a seguire i nostri sogni. Niente più ritardi di nessun genere.

    «E con la macchina, cosa succede se non è pronta, come facciamo a sapere se funzionerà?» C’erano tante domande alle quali Cande aveva pensato durante tutta la notte e sebbene non mi stesse dicendo di , dimostrava perlomeno interesse o curiosità.

    «Dobbiamo trovare delle ruote nuove, un meccanico che faccia una revisione, riparare il tetto, tappezzare i sedili, montare un portabagagli…» parlo mentre Cande manifesta con lo sguardo l’impossibilità di fare tutto ciò entro la data fissata, pensando anche a tutte le cose che ancora dobbiamo preparare per il viaggio. Sotto il suo sguardo smetto di elencare le riparazioni da fare alla macchina e aggiungo qualcosa di positivo per convincerla. «Potresti portare più vestiti, dormire nell’auto, fermarci dove vogliamo, arrivare dove gli autobus non arrivano e non dovremo portare zaini sulle spalle…»

    «E con i meccanici?» m’interrompe. So a cosa si riferisce, lei sa che odio andare in officina perché non so nulla di meccanica, assolutamente nulla e non capisco perché è sempre tanto costoso riparare una macchina. Non so cosa rispondere…

    «Facciamo mille chilometri di prova prima di partire, andiamo nei dintorni e se vediamo che la macchina risponde partiamo; altrimenti andiamo avanti col piano di viaggiare zaino in spalla» idea che le piace perché adesso non è lei a decidere se andare o meno in auto, ma è la macchina che decide se viene o no con noi.

    La Prova

    La domenica, una settimana prima di iniziare il viaggio, usciamo a provare la macchina e non c’è cosa migliore di andare fino al chilometro zero dell’Argentina. Così, andiamo verso l’Obelisco e il Congresso, chiedendo ad Anna, la sorella di Cande, e a suo marito Roberto di accompagnarci nel caso succeda qualcosa alla macchina.

    Già in questo breve viaggio incominciano le domande, sono varie e molte non hanno risposta.

    «E i mille chilometri di prova che dovete fare?» chiede Roberto.

    «Eh, durante la settimana continuiamo a lavorare, ci rimangono soltanto i pomeriggi e i fine settimana da dedicare alla macchina, e c’è sempre qualche pezzo di ricambio che il meccanico si porta per ripararlo…»

    «Ma perché non provate la macchina e poi valutate?»

    «È quello che stiamo facendo adesso.»

    «D’accordo, oggi può andare anche molto bene, ma tra un po’ di giorni, in piena cordigliera, potrebbe rompersi e far fallire tutto il tuo sogno.»

    «No, non preoccuparti, non falliremo» dico questo proprio mentre inserisco una marcia super rumorosa. «Entra o ti rompo tutti i denti» queste mie parole spiritose spezzano la conversazione e penso dentro di me che ha molto più valore provare e fallire che non aver mai provato.

    «Vi siete informati di cosa avete bisogno per entrare in ogni Paese a parte le mappe?» chiede Anna.

    «Abbiamo solo la mappa dell’Argentina, sicuramente in Cile ne troveremo una del Cile.»

    «Ma non vi siete fatti un percorso, per sapere dove andare e i chilometri…?»

    «Ho paura di pianificare e di verificare troppo, ho paura di vedere tutti gli inconvenienti possibili e di spaventarci. Ho già troppe paure.»

    «Come farai a concretizzare il sogno? Come troverai tutte le cose di cui avrai bisogno? Come troverai aiuto quando ti servirà? Cosa farai quando succederà qualcosa? Come risolverai i problemi?»

    Penso alle sue domande e mi rendo conto che ha ragione, non abbiamo risposte e neanche idea di come faremo, ma se non inizio non lo saprò mai, se non iniziamo non ce la faremo mai, sinceramente non so come faremo, non ho conoscenze di meccanica, né di strade né di altre lingue.

    «La verità è che non lo so Roberto, non ho conoscenze… ma ho immaginazione, che è più importante…»

    «Questa è una stupidaggine.»

    «Allora Einstein era uno stupido, visto che lo diceva lui stesso.»

    Andiamo!

    E arriva il 25 gennaio. Non sono passati due mesi, anzi sono volati due mesi. Ci sveglia il campanello sono Carlo e Nieves, una coppia di vicini che prima di andare al lavoro ci vogliono salutare, e dietro di loro arriva Gustavo. L’idea era quella di partire in mattinata ma c’è ancora tanto da fare. Arriva Juanvla, mio fratello con la fidanzata e subito lo mando a comprare delle scatole di plastica; arrivano Anna e Roberto che ci aiutano con i preparativi, poi Luis Berraz, uno dei pochi complici di questo sogno, che ci ha sempre dato una pacca di incoraggiamento sulle spalle quando più ne avevamo bisogno.

    Non arriva nessun altro a salutarci, è martedì e tutti lavorano. L’hanno fatto durante il fine settimana e anche ieri, lunedì, però tutti ci hanno salutato con la sicurezza di rivederci molto ma molto presto. Alcuni ci hanno detto a domani e i più ottimisti ci hanno dato una settimana… Qualcuno si è offerto persino di trainarci.

    Carichiamo la macchina per la prima volta, quello che sembrava che non riuscissimo a far entrare entra perfettamente; le scatole di plastica stanno alla perfezione nel bagagliaio senza lasciare spazi vuoti e le altre scatole stanno sul sedile posteriore come se fossero fatte su misura… Chiunque direbbe che avevamo calcolato e provato tutto più e più volte.

    «Cande, di’ qualcosa alla telecamera…» dice Luis mentre Juanvla filma. «Di’ qualcosa adesso che state per iniziare il sogno della vostra vita.»

    E Cande comincia a parlare.

    «Stiamo per iniziare uno dei progetti della nostra vita…non parlo più perché…» e le si spezza la voce. È tanto felice quanto ansiosa e agitata, stiamo andando via senza sapere esattamente dove, né come arriveremo né come faremo.

    Stiamo per lasciare i nostri luoghi, la nostra casa che stavamo finendo di costruire. Stiamo per lasciare i nostri amici, i familiari, i nostri lavori e le nostre piccole conquiste, persino la nostra cagnolina, che presentiva già da un mese che qualcosa stava per accadere e non era affatto contenta. Da quando è nata è sempre stata un’eccellente amica e fedele compagna, ma adesso con i suoi sedici anni, senza denti, con problemi di vista e sorda, non le farebbe bene un viaggio del genere. È per questo che con enorme dolore la lasciamo a casa.

    Salutiamo la casa con un bacio e con una pacca sulle spalle alle pareti. Adesso manca solo di fare il primo passo: quello di iniziare. Sono così nervoso e ho talmente tante paure da non sapere come farlo. Abbiamo già caricato tutto, è già tutto pronto, manca solo un po’ di coraggio. Guardo Cande che sta parlando con mio fratello, capisce che la sto osservando e mi guarda. Allora le chiedo:

    «Andiamo?»

    «Andiamo» risponde con un misto di nervi e fermezza.

    Ci avviciniamo alla macchina e apriamo la porta. Saliamo e accendiamo il motore che parte immediatamente, ci guardiamo.

    «Pronta, ciccia?» Le chiedo teneramente.

    «Pronta» risponde decisa.

    Per la prima volta, in questo primo giorno di viaggio, appoggio la mano sulla leva del cambio, metto la prima e partiamo provando qualcosa di forte dentro di noi. Mio fratello e Luis ci seguono con le loro macchine mentre passiamo a salutare dei vicini di casa che continuano a chiamarci pazzi.

    «Vai secco vai!!!» Grida il vecchio Arruti dal suo giardino e con la sua coppola ci dà il via come fosse una bandiera di partenza. Bene, sembra che siano già in tre ad avere fiducia in noi: Luis, mio fratello e il vecchio Arruti.

    Usciamo dal quartiere e alcuni hanno già perso la loro scommessa che non saremmo nemmeno riusciti a partire, però da una ruota posteriore iniziamo a sentire un brutto rumore. Scendo, non vedo nulla di particolare, continuiamo, ma il rumore persiste così come lo schiamazzo delle risate di mio fratello e di Luis. Cande si mette alla guida, io salgo sul predellino dell’auto e guardo la ruota, non vedo nulla, ci fermiamo e ci troviamo di fronte a chi non volevo proprio incontrare in questo momento: Sergio, un altro vicino del quartiere. Mi vede mentre sono sdraiato a controllare la ruota.

    «Ti avevo detto che non saresti arrivato da nessuna parte con quel catorcio…Vai a casa e smettila di scherzare con l’Alaska!» mentre lo dice muore dalle risate e io vorrei mangiarmelo.

    Continuiamo adagio, molto adagio e alla prima stazione di servizio diciamo a Juanvla e a Luis di tornare indietro, poiché da adesso in poi andremo avanti da soli. Dò un forte abbraccio a mio fratello col cuore che piange nel salutarlo, perché anche se saranno soltanto sei mesi mi sembra un’eternità. Rimangono sulla strada finché non ci perdono di vista e quando non li vediamo più cominciamo a cercare un gommista o un’officina per far controllare la ruota.

    Era per quello che volevamo essere lasciati da soli, per evitare che nel nostro primo giorno di viaggio, durante i primi chilometri, ci vedessero entrare in un’officina.

    «Strano che domenica scorsa non sia successo nulla, mentre adesso sentiamo questo rumore alla ruota» dico a Cande mentre il gommista dice che a suo parere si tratta dei raggi della ruota.

    La macchina mi sembra più rumorosa di quando siamo usciti a provarla la domenica, forse perché adesso sono attento a ogni rumore. Siamo sulla strada per la prima volta, nel primo giorno del nostro sogno e guidando una macchina d’epoca. Voglio ascoltare ogni singolo rumore per conoscere il nostro compagno di viaggio. Un subbuglio di emozioni, l’ansia e i nervi creano un cocktail di bilirubina e adrenalina che si percepisce nel ridere per qualsiasi cosa.

    «Guarda gli indicatori, controlla che la temperatura non superi i 160 °F, che l’ago si trovi sui 140, in questo fai attenzione che l’ago dell’olio non scenda sotto i 15. Controlla perché qui non ci sono lucine rosse che ti avvertono.»

    «E cos’è questo?» chiede Cande.

    «È l’indicatore della benzina ma non funziona, dovremo capire quanta distanza riusciamo a fare con un pieno e poi fare il conteggio dei chilometri sulla mappa, facendo attenzione a non superarli.»

    Adesso siamo pilota e copilota, siamo soci e tutto dipende da noi, soltanto da noi due. Guardo Cande che controlla gli orologi e poi inizia a guardare la strada, non posso credere a quello che sto facendo e proprio con lei, di cui sono innamorato da quando avevo 10 anni…

    «Cande, ti rendi conto di quello che stiamo facendo? Ti rendi conto di dove siamo?»

    «No, non ci posso credere, non me lo dire perché sono agitatissima…» mi risponde rimanendo pensierosa. A cosa starà pensando?

    La domanda di Herman mi porta di nuovo sulla strada. No, ancora non mi sembra vero, guardo la strada e mi sembra incredibile di essere seduta qui. Per tanto tempo ho sognato questo momento ed eccomi qua, a fare quello che ho sempre desiderato. So che sono molto agitata per quello che lasciamo e per non sapere cosa ci aspetta. Ci siamo liberati di tutte le cose materiali e persino della routine. Lascio la mia casa che tanto volevo e dove mi trovavo a mio agio. Lascio i miei amici, amici intimi con i quali ho condiviso la mia vita, la mia famiglia che andavo a trovare tutti i giorni, la mia cagnolina Lucy che mi faceva tanta compagnia e che veniva felice a cercarmi alla stazione quando tornavo dal lavoro. Oggi cambio tutto. Da quando ho aperto la portiera di questa macchina e mi sono seduta, mi sembra che il mondo sia mio e che allo stesso tempo mi cada addosso. Sono agitata, ma è un nervosismo pieno di libertà e di un ottimismo che mi fa pensare che si può essere liberi. Anche se un domani dovessimo tornare per qualsiasi motivo che ci obbligasse a farlo, mi sento libera, libera di essere riuscita a lasciare tutto, di andare a cercare il mio sogno. Mi sento in ansia per tutto, sono nervosa, ho paura di pensare come sarà il nostro futuro a partire da questo momento.

    «Ti rendi conto, amore mio, che lasciamo tutto?»

    «Si, lasciamo tanto e portiamo con noi così poco» gli rispondo stupito di noi stessi.

    Col suo commento e col suo silenzio Cande mi fa pensare a tante cose. Abbiamo fatto appena 20 chilometri e già mi sento un’altra persona, adesso sono quella persona che ho sempre voluto essere, quella persona che desidera sapere cosa c’è alla fine di questa strada, iniziare il cammino e conoscere luoghi diversi, popoli diversi con diverse culture, sapere cosa fanno e come vivono. Eccomi qui, seduto davanti ai comandi di una macchina che neanche conosco su una strada che mi porta verso un mondo che voglio conoscere.

    Io so della mia partenza, Dio del mio ritorno

    Siamo diretti verso Ovest sulla Strada Nazionale numero 7. Siamo partiti alle 14.30 da casa nostra nel comune di Pilar. Ci sorpassa un camion senza tanto sforzo e ci fa leggere, nel momento più opportuno, un messaggio scritto sul retro: Io so della mia partenza, Dio del mio ritorno.

    Arriviamo in un paese, San Andrès de Giles, preoccupati per la ruota che continua a fare rumore. Ci fermiamo da un gommista.

    «Se il vostro problema sono i raggi delle ruote, andate dai Croce, sono brava gente e ne capiscono.»

    Non sappiamo dove ci stia mandando, se in un’autofficina, da un tornitore o chissà…ma il brava gente ci basta per andare a trovarli.

    Mi fermo davanti a un vecchio capannone di mattoni uniti con il fango, con una sola porta in mezzo e due piccole finestre ai lati. Il fuoco è accesso ed è parte della poca luce che illumina il locale.

    Entro accecato dalla forte luminosità esterna e per un minuto non vedo nulla. La prima cosa che noto è un grande disordine: attrezzi, ruote, bastoni, ferri, pezzi di ricambio, cose da aggiustare, pezzi da ritirare e tanta cenere che forma dislivelli sul fresco pavimento di terra. Quando i miei occhi si sono abituati alla poca luce, capisco che siamo nel miglior posto al mondo per riparare le ruote: la bottega di un fabbro d’inizio secolo che si è fermata nel tempo ad aspettarci per riparare i raggi di legno delle ruota.

    «Questo si ripara facilmente, vieni, fallo con me così impari» mi dice Don Josè, come chi insegna a suo nipote a riparare la bici.

    Entro nella vecchia bottega costruita da suo padre immigrato, la stessa dove adesso lavora con i suoi due fratelli. Ancora oggi continuano a riparare ruote di carri e calessi, anche se solo per collezionisti.

    Josè e i suoi fratelli Puli e Macarti, entusiasmati, si mettono all’opera per sistemare le ruote rumorose.

    «Queste ruote hanno viaggiato molto, oltre a essere rimaste ferme tanti tanti anni... e queste due cose non sono buone» dice Don Josè con i suoi anni di esperienza. I raggi si sono ristretti e l’acqua da sola non sarà sufficiente per sistemarli, ma non preoccupatevi, con un paio di cunei le aggiustiamo.

    Si rende conto della mia faccia spaventata: stavo già immaginando che i raggi dovevano essere rifatti a nuovo... ma un cuneo di qua e un altro di là rendono le ruote silenziosissime.

    Questa bottega funge anche da club sociale del paese, dove la quota associativa è un po’ di amicizia e un po’ di yerba mate, luogo ideale per passare il tempo, bere un buon mate, guardare come si lavora, spettegolare sulle novità. E quale migliore novità se non il nostro arrivo in questo pomeriggio d’estate?

    «È da tanto che siete in viaggio?» sento la domanda alle mie spalle mentre affino un pezzo di legno con una mola.

    «Forse non mi crederà ma oggi è il primo giorno di viaggio, siamo partiti due o tre ore fa…»

    «E avete già questi problemi? Così non arriverete molto lontano.»

    Continuo a lavorare con il pezzo di legno, il commento non è molto piacevole ma mi sto già abituando a sentire commenti del genere.

    «Perché lo fate?» ci chiede Don Josè.

    «È il nostro sogno» rispondo, e suona strano, come qualcosa di poco serio.

    «Un sogno…allora ascolta te stesso, non sentire questo scemo che di sogni non sa nulla; se chiedi il parere agli altri sui tuoi sogni sentirai parlare gente che sa come vivere la vita degli altri, ma non ha idea di come vivere la propria. Sentirai soltanto dei ma, ti diranno sì, bello, ma…» mi dice mentre prepara i cunei per metterli tra i raggi. «Solo tu e soltanto tu sai cosa sei capace di fare, e ricorda che coloro che meno fanno sono quelli che più criticano. Se ti criticano è perché stai facendo qualcosa» continua a parlare mentre infila un cuneo con una sola martellata. «Questa ruota adesso è una bomba! E questo sogno di chi era?» chiede incuriosito Don Josè.

    «Di tutti e due, è nato da tutti e due, immagini che siamo insieme da quando eravamo bambini, abbiamo scoperto tutto insieme, avevamo un enorme futuro davanti e in questo futuro abbiamo iniziato a immaginare un viaggio che si è trasformato nel nostro sogno» risponde Cande.

    «Leggevamo libri di Marco Polo, James Cook, Magellano, viaggiatori che andavano in nave, a cavallo, in bicicletta, in jeep. Libri di gente che faceva immersioni o che scalava le montagne e pensavamo: E perché noi no? Se gli altri hanno la propria avventura, perché noi no?» gli racconto consegnandogli l’ultimo cuneo tagliato e proseguo: «Ebbene, eccoci qua, dicono che la vita sia un libro in bianco e noi siamo partiti per riempire un po’ di pagine.»

    «Si… la vita è un viaggio e voi iniziate il viaggio della vostra vita.»

    Finiamo di riparare i raggi delle ruote e facendo ancora un altro giro di mate continuiamo a chiacchierare. Più tardi Puli ci fa strada in bicicletta fino al parco del paese dove ci possiamo accampare. Ci mettiamo un po’ di tempo a montare la tenda che ci hanno prestato, è la prima volta che la usiamo e nella nostra prima cena fuori casa, abbiamo Puli come ospite. Deve aspettare che troviamo le cose, che capiamo come accendere la bombola e come usare il coltello per aprire una lattina… per mangiare finalmente una minestra buonissima e coricarci sul nostro nuovo letto con uno stile di vita nuovo.

    «Che grande giornata oggi! Al mattino sono andato a restituire un alternatore difettoso, che mi aveva venduto un signore, alla fine me ne ha dato uno migliore e mi ha anche regalato dei tubi per le ruote di una Ford T che si potrebbero riutilizzare. Anna e Roberto ci hanno prestato la loro tenda, lo scaldino, il termos e non so quante altre cose. Adesso questi fabbri si sono arrabbiati perché abbiamo insistito per pagarli…» comincio a chiacchierare quando siamo già dentro la tenda, senza voglia di addormentarmi, mentre Cande inizia le sue prime annotazioni sul diario.

    «Sì, sono stati tutti fantastici. Sai quanti chilometri abbiamo fatto in questa grande giornata? Cinquantacinque, ci siamo fatti quasi più amici che chilometri…»

    «Non ti preoccupare, abbiamo sei mesi per arrivare.»

    Avevamo calcolato sei mesi per andare dall’Argentina, nel sud del Sud America, fino alla fine di questa strada nel lontanissimo Nord, in un posto sulla mappa segnato come Alaska, nome che suona meraviglioso, tra casa nostra e l’Alaska ci sono centinaia di luoghi da conoscere e più di 20.000 chilometri da percorrere. Sei mesi per noi, sei mesi che sembrano un’eternità, non avevamo mai preso così tanto tempo per noi. Credo che ci sia stata soltanto una volta da quando ci siamo sposati che siamo partiti per un mese ed era per il nostro viaggio di nozze… Mi addormento pensando a qualche momento della nostra luna di miele.

    Quanti chilometri a litro?

    La macchina tossisce accennando di spegnersi e immediatamente controlliamo le lancette degli indicatori, tutti nella norma. Ci guardiamo chiedendoci cosa sia stato, trascorrono venti secondi di silenzio e la macchina torna a fare la stessa cosa, un’altra volta e ancora un’altra e… kaputt. Ci fermiamo sull’orlo erboso della strada.

    «Sarà rimasta senza benzina?» chiede Cande nel bel mezzo della Pampa piatta dove le parole non hanno eco.

    «Speriamo, preferisco questo piuttosto che qualche problema al motore» aprire il cofano e cercare di decifrare perché non funziona è ancora fuori dalla mia portata e conoscenza. Così invece di andare verso il motore, vado verso il retro, apro il serbatoio e mentre lo faccio sento già il vuoto. Cerco un ramo da mettere dentro ma nella Pampa non ci sono alberi se non si piantano, allora trovo un cactus secco, con le sue spine riesco a misurare un centimetro scarso di benzina «Sì, siamo rimasti senza benzina» do il mio rapporto meccanico.

    «Ma…allora quanti chilometri stiamo facendo con un litro? Dovevamo arrivare perfettamente e senza problemi a Chañar Ladeado

    «A quanto siamo?»

    «Più o meno a venti chilometri, visto che abbiamo fatto benzina appena entrati nella provincia di Santa Fe e siamo già passati per Firmat venti o trenta minuti fa…»

    «Bene, sembra che non abbiamo fatto bene il calcolo; ora vado in quella tenuta a chiedere se hanno benzina.»

    La macchina si è fermata a pochi metri da una staccionata aperta, escono i cani per ricevermi sotto il sole del cammino. Continuo a camminare cercando l’ombra degli eucalipti senza togliere lo sguardo dal cane più piccolo, non sono quelli grandi che mi preoccupano, che abbaiano a fatica in questo pomeriggio caldo, ma questo piccolino che cerca di mordere i miei talloni. Il grido di un uomo fa zittire i cani e andando l’uno incontro all’altro ci diamo il buon pomeriggio. Guarda dietro di me e vede alle mie spalle la macchina sulla strada.

    «Si è stancata la vecchietta?» chiede.

    «Più che stanca è affamata e non vuole andare avanti se non gli diamo il liquido prezioso» rispondo mentre guardo di sbieco il cagnolino, che è sempre molto interessato ai miei talloni.

    «Io sto andando in paese, non le offro benzina perché ho solo gasolio, vado a fare degli acquisti e se ha tempo andiamo.»

    «Tempo ne ho, le sarei grato se mi portasse» ci presentiamo mentre saliamo sul suo camioncino e una volta in strada verso il paese, da buon uomo di campagna, inizia il suo discorso parlando del clima.

    «Pare che il caldo non voglia mollare.»

    «Per fortuna noi non lo avvertiamo mentre guidiamo, ci rinfreschiamo col parabrezza aperto.»

    «Col parabrezza aperto? Come sarebbe?»

    «Il parabrezza si apre in avanti, è la nostra aria condisoffiata l’uomo si fa una breve risata.»

    «Si apre in avanti? E a quanto andate?»

    «Da quando siamo partiti andiamo a quaranta chilometri all’ora, stiamo facendo il rodaggio dopo molti anni di non uso, ma appena le passeranno l’artrite e la ruggine andremo più veloce. Per adesso la stiamo conoscendo.»

    «A quaranta chilometri l’ora… E quanto ci ha impiegato dalla capitale fino qua?»

    Mi rendo conto che tutto quello che dico lui lo ripete come se volesse registrarlo, sicuramente questa sera saremo argomento di conversazione suo e della sua famiglia.

    «Siamo al terzo giorno di viaggio, ma stiamo andando con calma…»

    «Tre giorni? E… andate lontano?»

    «Fino in Alaska, se Dio vuole.»

    «Ah…» questa volta non ripete la mia risposta. Può darsi che non mi creda, che non sappia dove si trovi l’Alaska, o che pensi lo stia prendendo in giro. Allora la conversazione sulla macchina si interrompe e passiamo a chiacchierare dei buoni e cattivi raccolti in campagna. Ritorniamo alla macchina, gli presento Cande mentre scarico il bidone con la benzina e lui esamina la macchina.

    «Se ho fatto bene il calcolo, stiamo facendo circa cinque chilometri con un litro» dice Cande mostrandomi il suo libretto con somme e divisioni dei chilometri. Immaginavo che consumasse meno, cinque chilometri a litro è pochissimo e ciò significa tanti soldi di benzina… Guardo l’uomo che ripete ciò che stavo pensando.

    «A quaranta chilometri l’ora, con un litro di benzina ogni cinque chilometri, e fino all’Alaska…» pensa ad alta voce il contadino.

    Chiedendo permesso

    Percorriamo altri chilometri, ma la notte ci sorprende prima di ruiscire ad arrivare in qualche villaggio: dobbiamo dormire in strada o in qualche campo.

    La strada non ci convince: non ci sono né alberi né acqua e abbiamo vergogna di chiedere se possiamo accamparci in qualche tenuta. Vediamo una collina, segnale che ci può essere una casa, la cerchiamo e poi cerchiamo la strada di accesso, qualcosa che ci dica che là ci ospiteranno, ma la vergogna ci blocca quindi continuiamo per la nostra strada mentre si fa notte.

    Dobbiamo deciderci, perché essendo già notte difficilmente riusciremo a entrare… Arriviamo in un posto dove c’è una staccionata aperta e appena entrati usciamo nuovamente, lasciandoci alle spalle un uomo che ci chiede scusa dicendo che lui è solo un operaio, che è nuovo lì e che non sa se il padrone sarebbe stato d’accordo. Entriamo in un’altra proprietà, ma questa volta usciamo ancora più velocemente di prima per il malo modo con cui ci ha detto di no la persona a cui abbiamo chiesto. Decidiamo di tentare ancora una volta, altrimenti si dormirà per strada. La terza volta è la definitiva.

    Entriamo in una proprietà con una casa imbiancata con la calce, in mezzo a un bosco di pini e pioppi. La famiglia è fuori dalla casa, tutti sono appoggiati sulla recinzione come se aspettassero di vederci passare sulla strada.

    «Buonasera.»

    «Buonasera, benvenuti…» ci dicono mentre aprono la piccola porta della recinzione che circonda la casa. Indossano abiti da lavoro e sembra che tutti si diano da fare perché nessuno è più pulito dell’altro.

    «Mia moglie Estela, i nostri figli Tato, Diego e io, Hèctor Menna, ai vostri ordini…» si presenta il signore mentre si toglie il berretto e ci saluta. «Vi ho superato oggi sulla strada, stavate entrando nella tenuta della collina.» La tenuta dalla quale quasi ci hanno cacciato a calci, vorrei dirgli.

    «Che bella macchinina, è ancora in buono stato» commenta Estela dandoci l’opportunità di raccontare e anche di chiedere delle cose.

    «Siamo in viaggio verso l’Alaska con questa macchina e, siccome non la conosciamo bene, non vogliamo viaggiare di notte. Dato che si è fatto già tardi per arrivare al prossimo paese, volevamo chiedervi se ci parmettete di accamparci qui per questa notte.»

    «Certo, venite da questa parte che l’erba è molto morbida, ma se volete dentro casa c’è posto…» con grande entusiasmo tutti e due ci fanno dei segni per farci vedere l’erba del giardino e per entrare a casa loro.

    «No, non si preoccupi, qui sull’erba ci arrangiamo» dice Cande.

    Ci portano a vedere i loro conigli, le galline, gli alberi da frutta, le verdure; e per ogni cosa stanno facendo un esperimento: per i conigli, ad esempio, hanno scavato un grandissimo pozzo coperto poi con lamiere sopra le quali hanno messo della terra, predisponendo dei cunicoli d’ingresso.

    «I conigli naturalmente vivono sotto terra, è più fresco in estate e più mite d’inverno, sono sicuro che faranno più cuccioli. Questa sera vi faremo assaggiare coniglio in salmì.»

    Insieme al coniglio ci offre anche conserva di viscaccia e verdure sotto aceto, poi seguono cotolette alla milanese e un’insalata con tutte le verdure dell’orto. Per dessert pesche sciroppate e frutti dei loro alberi.

    Il mattino dopo, salutandoci, non troviamo il modo di dirgli che non possiamo portarci tanta verdura e che un barattolo di ogni conserva è già troppo. Riprendendo il viaggio pensiamo che se avessimo dormito sulla strada non avremmo avuto il piacere di conoscere questa famiglia che ci ha aperto la sua casa.

    Don Eduardo

    Entriamo nella città di Rio Cuarto e andiamo verso la casa di Picciani, conosciuto a Buenos Aires, anche lui proprietario di una Graham Paige. Non è in casa, ma ci riceve suo figlio che telefona subito ai membri del club di macchine d’epoca che velocemente cominciano ad arrivare. Raccontiamo che abbiamo bisogno di una revisione perché c’è un rumore metallico in una ruota posteriore. È sabato e non sanno chi potrà farla prima di lunedì.

    «Eduardo Estibil sarebbe il migliore, non ce ne sono altri come lui, ha 76 anni, ha corso con queste macchine e poi si è dedicato a prepararle per le gare, adesso è uno specialista nel restauro» dice uno dei membri.

    «Andiamo a trovarlo» dico con molto entusiasmo.

    «Non è possibile, è in ferie e i suoi orari vanno rispettati, nessuno può disturbarlo durante il suo riposo.»

    «Credo che dovremmo avvertirlo comunque, può darsi che si arrabbi se viene a sapere del viaggio, che avete bisogno di aiuto e che nessuno gli abbia detto nulla…» dice un altro.

    La pensano quasi tutti cosi, quindi decidono di chiamarlo e mentre lo fanno penso che se è così rigido e bravo, le sue tariffe saranno tanto alte come la stima che le persone hanno di lui.

    «Dice di andare a casa sua e che cercherà di capire quale possa essere il problema e che poi valuterà se riesce a ripararlo o no.»

    Formando una carovana di quattro auto andiamo a casa sua. L’uomo anziano lascia l’ombra fresca della sua tettoia e senza alcun segno di gioia, sale sul predellino chiedendomi di fare andare la macchina per vedere girare la ruota. Dopo pochi metri mi fa segno di fermarla, scende, si avvicinano i membri del club e scuotendo la testa e voltandomi le spalle dice:

    «Così non può andare avanti» riesco a sentire. La faccia dei soci dimostra dispiacere come se facessero parte di questo sogno fin dall’inizio.

    «Si può fare qualcosa?» chiede uno lasciando tutti in silenzio con gli sguardi fissi sull’uomo esperto.

    Eduardo osserva la macchina, poi la ruota che causa problemi, ci guarda e dice al gruppo:

    «Dobbiamo andare a prendere il mio aiutante.»

    Bastano queste parole per far sì che tutti si rendano disponibili a farlo.

    Quando alza la saracinesca dell’officina, scopro tre automobili magnificamente restaurate, in un ambiente impeccabile, l’aiutante è ben vestito con tuta e occhiali. Tutto mi dice che fare aprire un’officina così durante le ferie mi costerà molto. Sicuramente riparerà la nostra macchina, ma non so se potremmo continuare il viaggio con le tasche vuote. Mentre il suo aiutante toglie la ruota il signor Eduardo taglia un pezzo di lamiera per creare una sorta di distanziale, che installa subito facendo sparire il rumore. Poi trova altri problemi come una perdita d’olio dal motore, un difetto a un cuscinetto e… una cosa qua, un’altra cosa là… vorrei si fermasse, perché sennò per pagare il conto dovremmo lasciare la macchina.

    Quelli del club escono per non disturbare. Uno di loro porta Cande a comprare rullini fotografici e per un momento mi lasciano da solo con Eduardo che, mentre aggiusta i freni inginocchiato, approfitta per dirmi:

    «Un viaggio di questi non si fa così» dice guardandomi negli occhi. «Bisogna partire organizzati, col motore a nuovo, frizione nuova… cuscinetti nuovi» parla con sincerità e competenza in quel che dice, «non con una macchina in queste condizioni. Inoltre per una macchina di questa marca devi portare dei pezzi di ricambio, perché non li troverai…» non mi dà una bella diagnosi.

    Cosa potrei dirgli? Ha ragione su tutto, ma sento che le mie motivazioni sono molto più forti. Penso e sento che non c’è da preoccuparsi per i pezzi di ricambio, bisogna preoccuparsi della vita… perché quella sì che non ha pezzi di ricambio.

    «Eduardo… grazie del consiglio. Vede, non so come dirglielo ma è l’unica cosa che ho, se io facessi tutto quello che dovrei fare non ce la farei mai. Come farò… non ho idea, l’Alaska è lontana e questa macchina forse non è quella adatta, ma se non è la macchina, sarà il momento non indicato, o la mancanza di soldi, o qualcos’altro… Mio nonno guidava il bestiame in Patagonia per migliaia di chilometri attraversando fiumi, montagne, deserti, nevicate e lui una volta mi disse che ogni volta che iniziava un viaggio non pensava ai chilometri che mancavano, ma guardava solo il chilometro successivo. Non penso all’Alaska perché mi terrorizza, penso solo al prossimo paese.»

    Eduardo non risponde, prosegue il suo lavoro, lui sa che ha ragione, ma mi intriga sapere cosa pensa su quello che mi ha sentito dire. Chiama il suo aiutante, lo manda a comprare un nuovo controdado per la ruota, il quale scappa subito col suo incarico. L’uomo anziano cammina verso il tavolo da lavoro pulendo con uno straccio due rondelle, lasciandole lucide sul tavolo. Fa un respiro profondo e mi dice:

    «I migliori ricordi che ho delle mie corse non sono di quelle che ho vinto, ma di quelle in cui ho partecipato con una macchina assemblata e preparata con quello che potevo, con quello che mi avevano dato. Quelle corse in cui di notte, mentre tutti i piloti dormivano, io ero sotto la macchina per ripararla. Gli altri piloti contavano su una scuderia che li seguiva con tutto l’occorrente, io dipendevo dalla buona volontà del meccanico del paese. Ho perso molte corse e comunque sento di averle vinte, non sono arrivato per primo al traguardo, ma non sai la sensazione di trionfo che si prova, anche solamente nell’arrivare» le sue parole si spezzano in una miscela di sentimenti e ricordi. Prende una boccata d’aria e, con una fermezza che sovrasta le lacrime, aggiunge: «anche se al traguardo non c’era più nessuno ad aspettarmi.»

    «Padrone, guardi: ho trovato lo stesso controdado, uguale…» l’aiutante rompe il silenzio e l’emozione, facendoci tornare al lavoro.

    Insieme all’aiutante entrano gli altri soci che hanno programmi per noi. Intervista in radio, cena al club, serata da Picciani e per domani raduno di macchine presso il benzinaio all’uscita della città per una carovana di commiato.

    L’Alaska è il traguardo ma in ogni paesino è un trionfo.

    «Quanto le devo Don Eduardo?» chiedo con timore.

    «Una cartolina dall’Alaska.»

    Tra le montagne

    Lasciamo dietro la carovana di macchine e iniziamo un’altra giornata di viaggio. Viaggiando circondati da un paesaggio con vallate e montagne, attraversiamo uno dei nostri primi fiumiciattoli; al bagnarsi le ruote nel ruscello, sentiamo un rumore strano. Superato il fiumiciattolo ci fermiamo, torno a prendere dell’acqua e poi la butto su una ruota anteriore e noto che l’acqua evapora velocemente, la superficie è calda, evidentemente c’è qualche problema. Sarà un cuscinetto che vuole abbandonare il viaggio? Continuiamo fino ad arrivare a una casa, mentre sentiamo i cigolii della ruota. Cominciamo a smontare la ruota in strada. Dopo pochi secondi il padrone di casa si affaccia da dietro la recinzione e ci invita a lavorare nel suo giardino: incredibile! Ha una Ford A modello 1928. Eugenio Soler è il proprietario dell’unica auto d’epoca del paese e se ne intende di meccanica.

    Smonto la ruota seguendo le sue indicazioni e quando vede il cuscinetto dice che dobbiamo assolutamente sostituirlo. Mi fa smontare l’altra ruota e consiglia la stessa cosa. Ci invita a mangiare sul lungofiume, panini giganti con la cotoletta alla milanese, lungo il fiume e a dormire a casa sua in attesa del lunedì.

    Andiamo fino alla città di San Luis con il suo pick-up, quando entriamo nel negozio di cuscinetti più grande che c’è e appoggiamo sul tavolo i nostri, uno dei commessi arriccia il naso guardandoli e dice:

    «No, non li abbiamo, di quelle misure non si fabbricano più.» Comunque lo misura e cerca sui cataloghi, ma niente. «Non ho la più pallida idea di dove potete trovarli.»

    Nel frattempo entra in negozio il suo socio, che aveva sentito la nostra conversazione. Guarda i cuscinetti da dietro le spalle del suo collega e gli chiede:

    «Hai guardato tra quelle vecchie scatole che ci diede quel vecchietto che aveva chiuso il suo negozio anni fa?»

    Dopo alcuni minuti usciamo dal negozio con due cuscinetti vecchissimi, ma mai utilizzati, dentro la loro scatola originale. Non abbiamo pagato nulla perché anche loro li avevano ricevuti in regalo.

    E così partiamo verso la cordigliera con cuscinetti nuovi, tante riparazioni eseguite e la voglia di attraversare la nostra prima frontiera nel percorso.

    «Sono preoccupata. Sarà sempre così? Siamo partiti da cinque giorni e tre li abbiamo persi a riparare la macchina.»

    «Sì, lo so, ma hai visto? Tutto è andato alla perfezione.»

    «Ho paura lo stesso, perché se questo succederà spesso come faremo negli altri paesi dove non conosciamo né la gente né il posto? Come faremo se tutto questo ci capita sulla cordigliera o nel deserto che tra pochi giorni attraverseremo?»

    «Vedremo, so che questo non è un buon inizio ma forse è già tutto finito qua.»

    Saluto all’Aconcagua

    Si avvicina una grande prova in questo viaggio e abbiamo i nervi a fior di pelle. Sul parabrezza si disegnano montagne che ai piedi sembrano insormontabili. La cordigliera delle Ande è davanti a noi e dobbiamo attraversarla. Chiedo alla montagna il suo permesso e iniziamo la salita, tra cime altissime, la strada è serpeggiante e ripida; la macchina, fuori forma a causa degli anni, sale molto lentamente e attraversa le tantissime gallerie che il cammino ci propone, ho paura si possa fermare in qualsiasi momento. Tutti e due la incoraggiamo urlando su, su come se fosse una persona e Cande si aggrappa al cruscotto come per volerla aiutare. Forse pensa che in quel modo sia meno pesante o che ciò la renda più leggera. Siamo tesi, non ci sono tanti paesini da queste parti e per le salite dipendiamo molto dalla spinta che prendiamo nelle discese.

    Il paesaggio è così bello che a ogni curva, e davanti a ogni montagna, Cande vuole fermarsi per fare delle foto, ma io preferisco non farlo perché poi sarebbe troppo difficile far partire la macchina. Non si fa nessun problema dato che saliamo con tanta lentezza che lei scende, corre per portarsi in avanti, fa le foto, filma e torna a salire in macchina.

    Tra le montagne giganti vediamo un piccolo colle, a forma di cono, che ci fa stare in silenzio per il rispetto che impone. È piccolo ma con un gran valore, che non sono né minerali, né oro, né argento, ma qualcosa di più prezioso. Sulla sua vetta c’è una croce e attorno ci sono le tombe degli andinisti che, nel loro tentativo di raggiungere la vetta del vicino Aconcagua, hanno perso la vita.

    Questi uomini sacrificarono la propria esistenza, ma non erano soldati, non ricevevano degli ordini, potevano tornarsene indietro quando volevano senza essere chiamati traditori. Non sarebbero stati chiamati eroi se avessero raggiunto il loro obiettivo, ma per me lo sono. Hanno dato la vita per la vita stessa, cercando un sogno: nessuno gli aveva detto di andare, nessuno gli avrebbe detto nulla se non fossero andati, ma avevano quella voce interiore che diceva loro di farlo, che dovevano correre dei rischi, perché quanto più uno rischia più vivo si sente. Se non fossero venuti a scalare l’Aconcagua oggi sarebbero vivi, ma quanto vivi? Non cercavano di superare la montagna, cercavano di superare se stessi. Tanti uomini si sono inoltrati in mare e sono scomparsi, molti uomini sono partiti per terre lontane con una meta che non hanno mai raggiunto, altri non sono mai tornati. Ho un po’ di paura, ma ho più paura di non provarci, di rimanere con la voglia di vivere. Preferisco morire cercando di vivere che morire senza aver vissuto.

    Ambasciatori

    «No, senza il permesso non potete far uscire la macchina.»

    «Quale permesso?»

    «Lei sa bene di quale permesso sto parlando, il permesso per poter fare uscire una macchina da collezione dal paese in quanto patrimonio nazionale. Se ha qualche dubbio, vada a parlare col capo» dice l’impiegato indicandomi l’ufficio.

    Sapevamo di quale permesso stava parlando, un permesso rilasciato dalla Dogana, necessario per portare fuori dal paese qualsiasi macchina fabbricata prima del 1940. Una pratica super burocratica e complicata da fare, che non consente l’uscita di macchine d’epoca dal paese per la loro successiva vendita. Una pratica che include: quotazioni, foto delle parti della macchina, nota informativa del Ministero della Cultura sulla sua storia e altre informazioni e altre carte… carte che non abbiamo mai fatto.

    Cande mi augura buona fortuna, mi dà un bacio affettuoso e mi avvio verso l’ufficio. Abbiamo una paura terribile di sentirci dire di no, stiamo per andare in Cile e proprio alla prima frontiera abbiamo già dei problemi. Ieri nella città di Mendoza, Tini e suo fratello Alfredo, mentre facevano una revisione completa alla macchina col loro meccanico, ci hanno raccontato che in molti hanno tentato di uscire dal paese ma sono dovuti tornare indietro perché non avevano il permesso.

    Busso alla porta con tutta la fede del mondo che non sarei uscito con un no come risposta, entro sicuro e calmo pregando Dio di darmi le parole giuste. Sono già nove giorni di viaggio, 1262 chilometri di guida e un mucchio di cose che ci sono capitate, non ci possono dire di no proprio adesso.

    «Lei è quello della macchina d’epoca? Di che marca è?» mi chiede il capo appena entro in ufficio.

    «È una Graham Paige modello 1928…»

    «Io ho due macchine d’epoca, una Ford A e una Chevrolet. E dove dici che andate?»

    «Se Dio vuole e lei lo consente, fino in Alaska» l’uomo abbassa lo sguardo pensieroso, cosa che gli ruba solo cinque secondi.

    «Vai pure» rimango stupito in piedi di fronte a lui, non avrei mai immaginato che sarebbe stato così semplice ottenere il .

    «La ringrazio di cuore, lei non sa com’è importante per noi quello che stiamo facendo e inoltre c’è già molta gente dietro a questo sogno, lei è uno di loro.»

    L’uomo approva muovendo la testa, si alza in piedi e mi dà una forte stretta di mano. Quando mi avvicino alla porta mi dice una cosa così importante che sento come se mi avesse messo due elefanti sulle spalle:

    «Andate, ma non dimenticatevi mai di una cosa: voi sarete i nostri ambasciatori.»

    Non so cosa dire. Uscendo chiudo la porta mentre nella testa batte questa nuova nomina. Da una parte sento qualcosa di bello, ma dall’altra una responsabilità enorme che non so se riusciremo ad onorare. Ogni azione, movimento, opera e parola, ogni cosa che faremo o diremo da ora in poi rappresenterà tutte le persone del Paese da cui proveniamo.

    Candelaria vede la mia faccia da buon compleanno che non riesco a mascherare e subito si rende conto che abbiamo il permesso per continuare il viaggio.

    «Andiamo in Cile!» inizia a gridare mentre mi abbraccia «Sapevo che ci avrebbero dato il permesso, ero sicurissima!» continua a urlare e si mette a cantare una canzone popolare: «"Cuando pa’ Chile me voy, cruzando la cordillera…"»

    «Come mai tanto sicura?» interrompo il suo canto.

    «Perché tutto sta andando liscio, la gente ci appoggia salutandoci per strada, i camionisti ci suonano il clacson. Mi sento già come la regina del carnevale che non fa che salutare.»

    «E io? Mi sento il Papa.»

    Scoppiamo a ridere.

    Chi affronta l’ignoto scopre tesori

    «Seguiteci adesso» due uomini interrompono la nostra felice chiacchierata. Vestiti di verde, su un’etichetta si legge Gendarmeria.

    «Sì, vi seguiamo ma non andate a più di 120 chilometri l’ora, in montagna andiamo molto piano» Cande risponde tra le risate e riprende a cantare mentre sale sulla Graham. «"Cuando pa’ Chile…"»

    Luis Gaitan e Marcello Bustamante ci avevano conosciuto a Puente del Inca e ci avevano invitato a dormire presso il distaccamento della Gendarmeria.

    Ci hanno aspettato alla dogana e adesso ci guidano. Sebbene il posto sia piccolo ci trattano come dei Re. Ci danno la stanza del capitano, ci facciamo una bella doccia e ci cucinano una minestra buonissima senza permetterci di aiutiarli. Il mattino seguente, con molta timidezza davanti alla telecamera che abbiamo portato per filmare, ci salutano.

    «Bene, eeee…, siamo qua a Las Cuevas, a 3800 metri sopra il livello del mare, stiamo condividendo con due amici una cena molto grandevole» dice Marcello.

    «Voglio dire che per noi è un onore avervi qua perché voi, in un modo o nell’altro, sarete i nostri rappresentanti in diverse parti del mondo, diciamo che è più che un onore darvi l’addio dal paese» ci dice Luis guardandoci negli occhi. «Godetevi quest’ultima ora nel vostro Paese sentendovi qui come a casa vostra.»

    Lasciamo l’Argentina con questo saluto meraviglioso e col ricordo di persone che non ci avevano mai visto prima e che nonostante ciò ci hanno dato una mano per iniziare questo sogno.

    Nove giorni fa lasciavamo la nostra casa, adesso lasciamo il nostro Paese e andiamo verso qualcosa di sconosciuto. Ma chi affronta l’ignoto scopre tesori, ed è proprio per trovare i nostri tesori che andiamo avanti.

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    Cile

    Tra l’oceano e le Ande

    Una porta verso l’ignoto

    Siamo entrati in Cile! Per noi è un vero successo, significa essere arrivati nel primo paese fuori dal nostro e anche nella parte più alta della cordigliera delle Ande. Adesso dobbiamo scendere per una strada chiamata, a ragione, strada delle chiocciole dato che è piena di curve ed estremamente ripida. Vediamo delle macchine in panne ai lati della strada che aspettano si raffreddi il motore. Dall’alto il panorama delle montagne è così imponente che Cande scende a filmare cercando inquadrature della macchina con lo sfondo della cordigliera imponente. Continuo a scendere mentre Cande mi filma prendendo curve e contro curve del cammino serpentino. Quando arrivo alla fine e alzo lo sguardo, lei è un piccolo puntino e tornare indietro a prenderla potrebbe provocare la fusione del motore. Le faccio segno di scendere.

    «Está pana?» mi chiede un signore da una macchina con targa cilena: sono solo a 30 chilometri dall’Argentina e già non capisco cosa mi dicono, pensavo parlassimo la stessa lingua.

    «Mi scusi ma non capisco…»

    « Se si è rotta l’asinella … Cachai po?» rimango ancora col dubbio su cosa mi dice. Siccome no ho un asino con me, suppongo che l’asinella sia la macchina.

    «No, sto soltanto aspettando mia moglie. Grazie.»

    «Ah! Quella che arriva camminando è la sua polola

    «Sì, è lei» rispondo senza sapere se polola è qualcosa di positivo o di negativo.

    «Tai po» mi dice e se ne va.

    Il primo incontro con una persona fuori del mio paese mi dimostra che parliamo la stessa lingua ma con parole differenti; mi chiedo: come sarà con quelli che parlano una lingua totalmente diversa?

    Mentre penso e aumento i miei dubbi vedo Cande scendere da una macchina.

    «Lui è Esteban e lei è la sua fidanzata. Vanno in ferie a Viña del Mar, mi hanno dato un passaggio perché ho fatto l’autostop.»

    Arriviamo a un paese chiamato Los Andes, dove pernottiamo la prima notte. Poi andiamo a visitare Santiago del Cile, giriamo musei, piazze e parchi, cercando sempre un posto sicuro dove parcheggiare la macchina, non si sa mai cosa può succedere.

    A causa di un rumore proveniente dal cambio, ci siamo messi a cercare un collezionista di macchine d’epoca di cui avevamo avuto l’indirizzo a Mendoza. Lui dice che può aiutarci e sebbene i suoi lavoratori di fiducia siano in ferie, li fa chiamare e velocemente tre meccanici entusiasti si mettono a fabbricare il pezzo di ricambio. Pensavo che ci avrebbero odiato per il disturbo ma sbagliavo.

    Una sera a Concòn, dopo Viña del Mar, compriamo delle empanadas per andare a mangiare sulla spiaggia. Nell’arrivarci, siamo illuminati solo dalla fioca luce di una mezzaluna. Con noi portiamo un marsupio, una piccola borsa nella cintura, dove teniamo tutti i nostri documenti personali, quelli della macchina e tutti i soldi, poco più di duemila dollari. Per paura che ce lo rubino lo nascondiamo sotto un carrellino chiuso, che vende cibo da asporto. Mangiamo le empanadas e trascorriamo una bellissima serata ascoltando le onde infrangersi sulle rocce; arrivano anche dei cani in cerca di cibo a farci compagnia e giochiamo con loro sulla sabbia morbida.

    Il giorno dopo ci svegliamo un po’ più tardi del solito, alle nove circa. Stiamo cercando qualcosa da comprare per colazione quando Cande mi dà dei soldi da mettere insieme agli altri nel marsupio…

    «Il marsupio!!! Ci siamo dimenticati del marsupio!!!» grido disperato a Cande mentre corro verso la spiaggia. Corro come un pazzo, pensando a mille cose contemporaneamente, che sciocchezza abbiamo fatto, come abbiamo potuto dimenticare il marsupio con tutto dentro. Come siamo stati capaci di fare un errore così grave!

    Arrivo in spiaggia senza fiato e non è più il posto desolato che abbiamo lasciato ieri sera, adesso è pieno di gente. Inoltre, la marina sta effettuando esercitazioni con un elicottero, con un grande motoscafo, con marinai a terra e tanti curiosi. Vado stremato verso il carrellino in cerca del marsupio ma non trovo nulla. Sento che il mondo mi crolla addosso, che tutto è perso. Sono totalmente demoralizzato e allo stesso tempo sono arrabbiato, furibondo con me stesso, come ho potuto essere così stupido!

    Arriva Cande, vede la mia faccia che arriva a terra e fra i nervi e la voglia di trovare soluzioni mi dice:

    «Cerchiamo, può essere che qualcuno abbia preso i soldi lasciando le altre cose…»

    Ci dirigiamo in direzioni diverse, Cande va verso l’unico ristorante che c’è, magari qualcuno l’ha lasciato lì. Mentre cammino tra la gente, non posso credere che abbiamo messo tutto in un unico posto, perché non abbiamo lasciato qualcosa in macchina…? E adesso cosa facciamo? Perché questo inizio così brutto dopo soltanto quindici giorni di viaggio? Perché deve finire in questo modo e così presto? Sarà che Dio non vuole che facciamo questa cosa? A pensarci bene, Dio non ha niente a che fare con i nostri stupidi atti. La gente non mi guarda mentre bestemmio, sono tutti concentrati sull’elicottero dal quale salgono e scendono i militari; chiedo, ma nessuno ha visto nulla.

    Faccio ancora qualche passo, vado avanti tra la gente e vedo qualcosa di blu sulla sabbia gialla, si trova a solo tre metri alle spalle di un gruppo di curiosi, corro a guardare e… si! Eccolo lì! È il nostro marsupio! Lo alzo disperato, è tutto morsicato, sicuramente sono stati i cani di ieri notte, apro con le mani tremanti per l’ansia e trovo tutto intatto, tutto!!!

    Penso solo a ringraziare Dio. Com’è possibile che nessuno l’abbia visto? Come è possibile che siano passate tante ore da quando l’avevamo lasciato e si trovi intatto, con tutto dentro? Corro verso Cande alzando il marsupio. Quando mi vede fa un salto e un urlo di gioia, attirando l’attenzione dei curiosi. Per festeggiare andiamo nel migliore ristorante a mangiare frutti di mare di fronte all’oceano, sforiamo il budget della giornata ma non ci importa nulla.

    Man mano che andiamo verso nord, il paesaggio diventa più arido. Ci sorpassa un vecchio fuoristrada che ha bisogno di tante riparazioni. Ci si affianca e l’autista ci fa dei segni, ai quali rispondiamo salutando. L’uomo ci sorpassa e ci fa vedere un melone dal suo finestrino, pensiamo ce lo voglia vendere e allora facciamo segno di non volerlo. L’uomo accelera e se ne va ma più avanti lo vediamo che ci aspetta sul ciglio della strada col melone in mano. Ci fermiamo pensando di dirgli no grazie, non vogliamo comprare il melone.

    «Benvenuti! Permettete che vi regali questo melone, come benvenuto al mio paese» ci dice e mentre ringraziamo aggiunge: «Dove andate con questa macchina?»

    «Alla fine della strada»

    «Dove?»

    «In Alaska» specifica Cande.

    «E dove si trova questo posto?»

    «Dove l’orizzonte, il cielo, il mare e la terra si uniscono.»

    Dopo aver salutato e già di ritorno sulla strada ci rendiamo conto che né lui né noi ci siamo presentati, sembra che per lui sia stato sufficiente sapere che non eravamo della sua terra e per noi, che lui fosse un ambasciatore del suo paese.

    Costeggiamo il Pacifico passando

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