Mavigret - Un Infermiere e il suo sogno
Di Mauro Forte
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Anteprima del libro
Mavigret - Un Infermiere e il suo sogno - Mauro Forte
Capitolo 1
Vita da infermiere
Era un sabato di fine agosto e faceva il turno di notte, dalle ventuno alle sette di mattina. Era irrequieto, Giuseppe, i pensieri gli martellavano la testa senza dargli tregua.
Doveva farli smettere, ma non sapeva come.
Poi i suoi occhi si posarono sulla stampante nell’ufficio del reparto e capì. Andò a prendere dei fogli, estrasse la penna che teneva sempre nel taschino della divisa e iniziò a scrivere.
Le parole vennero da sole, pagine e pagine. Era tutto quello che aveva accumulato per anni e anni.
Era la sua vita.
Non avrebbe saputo dire perché accadde proprio quella sera, proprio in quel momento.
Aveva trent’anni e sette mesi.
Forse il cervello traboccava d’informazioni ed era giunto il momento di liberarsene, imprimendole su dei fogli bianchi, dandogli così una forma reale, vera, concreta.
Nella mente balenò l’idea che quelle pagine sarebbero potute diventare un libro, dove riversare ogni frustrazione, ogni lacrima, come ogni soddisfazione, ogni risata, ogni gioia. Non era sicuro di esserne capace, era una cosa a cui non aveva mai pensato, ma voleva provarci.
Cominciò come se stesse scrivendo la storia di qualcun altro, il protagonista gli assomigliava e nello stesso tempo era diverso, perché era come guardarsi da un’altra prospettiva.
Ma era la sua storia.
Non aveva la benché minima idea di dove quell’ispirazione improvvisa l’avrebbe portato, l’unica cosa che sapeva è che non poteva e non voleva fermarsi.
Era l’inizio di un’avventura, lo sentiva, un’avventura che lo avrebbe reso un uomo libero e sicuramente più felice di quanto non fosse in quel momento.
Era un infermiere, da sette anni precario, il suo contratto gli veniva rinnovato ogni sei mesi, ma a volte lo lasciavano per lunghi periodi a casa, in attesa.
Una lunga snervante attesa, specie per chi, come lui, aveva la voglia e la forza di lavorare. Le risposte erano sempre le stesse dal 2008: Eh, ma c’è la crisi! Vedrai che l’anno prossimo le cose cambieranno e arriverà una stabilizzazione, un concorso, vedrai!
Gli anni passavano, le stabilizzazioni non arrivavano e i concorsi erano sempre più difficili, partecipavano decine di migliaia d’Infermieri, gli iscritti con gli anni si accumulavano, diventando una selezione quasi impossibile da superare. La maggior parte delle volte, a causa dell’elevato numero di partecipanti, facevano una preselezione, che prevedeva quesiti di cultura generale, matematica, fisica, arte, geografia e poco, molto poco, di infermieristica. Il superamento diventava una sorta di quiz televisivo e il vincitore era considerato davvero fortunato. C’erano domande del tipo quando era nato Montale o Van Gogh
, secondo lui avrebbe avuto più possibilità di vincere Chi vuol essere milionario
che superare la preselezione del concorso. Inoltre, i partecipanti erano Infermieri con venti e più anni di carriera e per i giovani era iniquo ogni confronto, Giuseppe lo sapeva bene. Di concorsi ne aveva fatti tantissimi e ogni volta si pagava una tassa d’iscrizione prima ancora di partecipare. Ma non era l’unica spesa, non per lui e per molti altri come lui.
Giuseppe abitava al sud e i concorsi erano sempre al nord. Una volta dovette fare mille chilometri di viaggio e al costo dell’andata e ritorno si sommarono le spese per l’albergo e qualche panino da mangiare. Era come un viaggio della speranza e, spesso, rimaneva soltanto quella. Se si superava la preselezione, bisognava affrontare la prima prova, quindi partire nuovamente, così ancora per la seconda, fino all’esame orale. Quando andava male, invece, come quella volta all’Asl, in cui avevano indetto un concorso, si tenevano i dieci euro versati, che per almeno ventimila iscritti non erano affatto pochi. Annullando il concorso rimandavano nella disperazione quei poveri ragazzi che speravano nel cambiamento della propria situazione, economica, lavorativa e sociale. Per non parlare dei concorsi truccati che, come molte volte si sente al telegiornale, se sono scoperti fanno annullare tutto, ma se non avviene saranno i soliti raccomandati ad occupare i posti liberi.
Queste erano le cose che pensava Giuseppe e che alimentavano il suo livore.
Non poteva più perdere tempo, così un giorno decise che si sarebbe impegnato al massimo, studiando giorno e notte, che avrebbe cercato di capire i concorsi con delle possibilità e senza preselezione.
E lo fece. Si impegnò, studiò, e alla fine riuscì a superarne uno.
Era in graduatoria, poteva ottenere il tanto agognato contratto a tempo indeterminato.
Giuseppe alzò la testa dal foglio, se avesse fatto un calcolo di tutto il denaro speso per pagare le tasse universitarie, le case in affitto quando doveva stare fuori per studiare o per gli esami, i viaggi per i concorsi e tutte le altre varie, era sicuro che ci sarebbero voluti altri dieci anni di lavoro per recuperare l’investimento
. Dentro di sé si chiese se ne fosse valsa la pena e la sua risposta fu assolutamente no.
Guardò indietro e avanti a lui, c’era solo lavoro e sacrificio, al fine di cosa? Di raggiungere l’agognata pensione?
Ripensò a un suo collega, Giovanni, ormai di una certa età. Aveva sessantacinque anni, ma era ancora lì, in attesa del pensionamento.
Il reparto di Rianimazione dove lavoravano era suddiviso in sei stanze, ognuna aveva due pazienti e un Infermiere che si prendeva cura di loro. Di notte, nel silenzio, sentiva sempre risuonare i passi di Giovanni, che vagava avanti e indietro, del tutto immerso nei suoi pensieri, nel lungo corridoio che si trovava al centro, tra le stanze di degenza da un lato e i locali in cui c’era la scorta dei farmaci dall’altro. C’erano anche una piccola cucina, la guardiola degli Infermieri e un magazzino con le varie attrezzature, ma durante la notte era tutto buio. Si spegnevano le luci per permettere ai pazienti che si erano risvegliati dal coma, ed erano in fase di recupero, di riposare.
Giovanni aspettava che passasse l’ultimo mese, prima dell’agognata pensione, dopo quarantadue anni passati a lavorare, una vita trascorsa in un Ospedale a prendersi cura dei pazienti.
Solo che, mentre all’inizio era bravo e concentrato nel suo lavoro, ora era così stanco e sfinito che non riusciva più ad assistere i ricoverati, anzi, provava per loro come un senso di rifiuto. A volte non applicava neppure la terapia, come era suo compito, proprio come se non gli interessasse più niente di nessuno, completamente svuotato.
Giuseppe aveva provato a parlargli una volta, ma poi aveva capito che era inutile e di certo non l’avrebbe denunciato per negligenza, mancavano pochi giorni alla sua libertà
. C’erano lui e altri colleghi che svolgevamo anche le sue mansioni.
A Giuseppe in un certo senso faceva pena, perché era un uomo spento e si chiedeva se sarebbe riuscito almeno a godersi la sua pensione. Osservandolo, pensava sempre a sua nonna Maria, anche lei era stata un’Infermiera.
Capitolo 2
Nonna Maria
Nonna Maria era un affetto costantemente presente nel suo cuore. Solo al pensarla Giuseppe si raddolciva e le sembrava di vederla davanti a sé.
Paffuta e morbida, ma con un’espressione severa disegnata sul viso, da sembrare sempre arrabbiata, aria che si scioglieva ogni qual volta parlava del suo lavoro.
Era stata un’Infermiera, proprio come lui, forse era stata proprio lei la sua ispirazione. La sua vita non era stata affatto facile, presto segnata da un doloroso lutto. Era rimasta vedova prestissimo, a soli ventisette anni e con tre figli a carico.
Il padre di Giuseppe era uno di quelli, infatti non aveva conosciuto il proprio genitore perché quando accadde il triste fatto non aveva che un anno e mezzo, così anche Giuseppe, proprio come lui, di quel nonno non aveva che ricordi