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Palla Curva al College
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E-book364 pagine5 ore

Palla Curva al College

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Info su questo ebook

Chi ha ucciso la professoressa Abby Monroe?


Quando Kellan Ayrwick torna a casa in occasione della festa di pensionamento di suo padre, trova un cadavere nella tromba delle scale della Diamond Hall. Sfortunatamente, Kellan ha un legame con la vittima, così come molti membri della sua famiglia.


Nel frattempo, il programma atletico del college riceve donazioni misteriose, un blog denuncia suo padre e qualcuno tenta di cambiare i voti degli studenti. C'è qualcosa che non quadra, nel campus, ma nessuno dei fatti sembra correlato.


Con l'aiuto della sua eccentrica nonna, Kellan cerca di tenersi alla larga dallo sceriffo e di risolvere il mistero nel quale si trova coinvolto. Riusciranno a trovare l'assassino prima che colpisca ancora?

LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2021
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    Anteprima del libro

    Palla Curva al College - James J. Cudney

    1

    Non sono mai stato a mio agio su un aereo. La mia natura sospettosa dava per scontato che la magia che teneva sospesi questi velivoli nel cielo avrebbe cessato di esistere per il capriccio di qualche sopraffino stratega. Ascoltare il ronzio dell’elica cambiare velocità – o sperimentare quei vuoti d’aria sobbalzanti e misteriosi chiamati turbolenze – equivaleva a morte imminente in un aggeggio di alluminio destinato ai guai. Trascorsi l’intero volo con la mascella serrata, le mani aggrappate ai braccioli e gli occhi incollati allo schienale del sedile di fronte al mio, sperando con impazienza che il diligente custode dell’aldilà non mietesse un’altra vittima. Nonostante la mia straordinaria abilità nel comprendere il funzionamento di qualsiasi cosa meccanica, e sebbene Nana D si ostinasse a definirmi brillante, ero decisamente pieno di dubbi su questo mezzo di trasporto. Il mio istinto mi suggeriva che sarei stato più al sicuro precipitando dalle cascate del Niagara nudo all’interno di un barile.

    Dopo essere atterrato all’Aeroporto Internazionale di Buffalo Niagara in un deprimente pomeriggio di metà febbraio, noleggiai una Jeep per percorrere i restanti centocinquanta chilometri verso sud dirigendomi in Pennsylvania. Diversi centimetri di neve compatta mista a ghiaccio sporco coprivano l’unica strada che portava alla sperduta città in cui ero nato. Braxton, uno dei quattro incantevoli paesini circondati dalle Wharton Mountains e dalla Foresta Nazionale di Saddlebrooke, sembrava impenetrabile alle forze esterne.

    Mentre cambiavo corsia per evitare una zona scivolosa, il numero di mia sorella illuminò lo schermo del cellulare. Misi in pausa i Maroon 5 sulla mia playlist di Spotify, accettai la chiamata e iniziai a lamentarmi. «Ricordami perché sono di nuovo qui.»

    «Senso di colpa? Amore? Noia?» ipotizzò Eleanor ridacchiando.

    «Stupidità?» Desiderando qualcosa di sostanzioso per soffocare i rumori rabbiosi che riecheggiavano dal mio stomaco, presi un biscotto con gocce di cioccolato da una borsa sul sedile del passeggero. L’enorme tazza di caffè al caramello salato – gratuita, per gentile concessione di una graziosa barista dai capelli rossi che aveva spudoratamente flirtato con me – non sarebbe stata sufficiente da sola. «Per favore salvami da questa tortura!»

    «Non succederà, Kellan. Avresti dovuto sentire la mamma quando ho suggerito che avresti potuto non farcela. Inventa sempre scuse per non tornare a casa più spesso. Questa famiglia ha bisogno di lui qui! Non preoccuparti! L’ho calmata» gridò Eleanor per sovrastare il rumore di diversi piatti e bicchieri che risuonava in sottofondo.

    «Si è già dimenticata che ero qui a Natale?» Un altro biscotto finì nella mia bocca. Ero impotente di fronte ai dolci – la mia unica kryptonite. Ecco perché da sempre pensavo che avrebbero dovuto essere uno degli alimenti principali del genere umano. «Di due visite a casa nell’arco di sei settimane una è di troppo, secondo me.»

    «Come hanno fatto i nostri cari fratelli a inventare scuse accettabili per saltare il più grande evento sociale della stagione?» chiese Eleanor.

    «Ho rinunciato a competere con loro anni fa. È facile farla franca quando non deludi i tuoi genitori come il resto di noi.»

    «Ehi! Non farmi deprimere perché tu non puoi sfuggire alla imbarazzante sindrome del figlio di mezzo.» Eleanor mi mise in attesa per gestire il reclamo di un cliente.

    Mia sorella minore aveva compiuto trent’anni il mese prima, compleanno infelice, visto che non aveva ancora incontrato l’uomo giusto. Aveva anche insistito sul fatto di non stare assomigliando sempre di più a nostra madre, nonostante ogni ora di ogni giorno relegasse quegli sprazzi di immaginazione nell’oblio. A dire il vero, Eleanor era l’immagine sputata di Violet Ayrwick, e tutti ne erano consapevoli tranne loro. Gemelline, come Nana D le scherniva sempre facendo una vocetta infantile. Eleanor sarebbe stata sicuramente presente alla festa di pensionamento di nostro padre, dato che non c’era la benché minima possibilità al mondo che io andassi da solo a quella perdita di tempo e denaro. Il festeggiato era stato il rettore del Braxton College negli ultimi otto anni, ma all’età di sessantacinque anni Wesley Ayrwick si era dimesso da quell’ambito ruolo.

    Eleanor tornò in linea. «A Emma stava bene che questa volta venissi da solo?»

    «Sì, l’ho lasciata dai genitori di Francesca. Non potevo farla stare a casa da scuola di nuovo, ma ci vedremo su FaceTime ogni giorno.»

    «Sei un padre straordinario. Non so come fai a tirare avanti da solo» replicò Eleanor. «Allora, chi è la donna che hai intenzione di incontrare mentre questo fine settimana ci onori della tua presenza?»

    «Abby Monroe ha portato a termine una serie di ricerche per il mio capo, Derek» dissi, maledicendo il produttore esecutivo viscido e festaiolo del nostro pluripremiato programma televisivo, Dark Reality. Dopo aver informato Derek che dovevo tornare a casa per un impegno familiare, lui mi aveva generosamente suggerito di aggiungere qualche giorno extra per rilassarmi prima che in redazione tutto esplodesse, quindi mi aveva assegnato un’intervista alla sua ultima fonte. «Non sai chi possa essere?»

    «Il nome mi suona familiare, ma non riesco a ricordarmi chi sia» replicò Eleanor tra un urlo al cuoco e un’esortazione a fare in fretta. «Su cosa stai lavorando?»

    Dark Reality, un programma televisivo in stile inchiesta giornalistica che aggiungeva drammaticità ai crimini della vita reale, trasmetteva episodi settimanali pieni di colpi di scena, come nei reality show e nelle soap opera. La prima stagione aveva esaltato le imprese di due serial killer, Jack lo Squartatore e il Vampiro, portando lo spettacolo in cima alle classifiche come serie al debutto. «Questo fine settimana devo leggere la sceneggiatura della seconda stagione… la caccia ai fantasmi e i roghi delle streghe nella cultura americana del diciassettesimo secolo. Ho davvero bisogno di trovarmi un nuovo lavoro. O di uccidere il mio capo.»

    «Le strisce da carcerato non ti starebbero bene.» Eleanor mi prendeva spesso in giro.

    «Figurati, sono troppo bello.»

    «Non lo metto in dubbio. Sentiamo cosa ne pensa Nana D prima che io ti demolisca per aver detto qualcosa di così patetico. Magari questa Abby è normale, chi può dirlo?»

    «Con la fortuna che ho io, sarà un’altra vittima amareggiata e derisa, giustamente intenta a farsi giustizia per qualunque trauma colossale Derek le abbia inflitto» risposi con un sospiro. «Io dico che è un’altra mina vagante.»

    «Quando devi farle l’intervista?»

    Era stata mia intenzione fissare un pranzo con questa Abby, in modo da acquisire le nozioni base su di lei, ma ero arrivato al pelo al gate, infognato nella tiritera del volo last minute. «Speriamo domani, se non abita troppo lontano. Derek sostiene che viva nella Pennsylvania centrale. Quell’uomo non ha il concetto di spazio o distanza.»

    «Qui sta diventando affollato. Devo andare. Non riesco a cenare con voi stasera, ma ci vediamo domani. Non ammazzare nessuno finché non parliamo di nuovo. A presto!»

    «Solo se tu non avveleni i clienti.» Chiusi la chiamata, implorando gli dei di riportarmi a Los Angeles. Non sopportavo lo stress, e divorai gli ultimi due biscotti rimasti. Data la mia ossessione per i dolci, la palestra non era mai stata eludibile. Facevo esercizio fisico tutti i giorni a meno che non fossi malato o in vacanza, e questo viaggio non apparteneva a una delle due categorie. Non ci sarebbero stati spiagge, bungalow in riva al mare o mojito. Quindi, non mi sarei divertito.

    Percorsi la strada tortuosa con il riscaldamento impostato su morte-da-sauna e le spazzole dei tergicristalli in modalità maniacale passivo-aggressiva per mantenere il parabrezza libero da nevischio e ghiaccio. Era pieno inverno e tutto il mio corpo tremava, e non era una buona cosa, visto che i miei piedi avrebbero avuto bisogno di frenare in caso di cervi o alci. Sì, erano bestie comuni, da quelle parti. No, non ne avevo colpito nessuno. Non ancora.

    Niente di meglio di quel momento per proporre un incontro ad Abby. Quando rispose, non rimasi sorpreso dalla sua ingenuità riguardo all’approccio subdolo del mio capo.

    «Derek non mi aveva detto che avrei incontrato qualcun altro. Hai un cognome, Kellan?» si lamentò dopo che avevo già spiegato chi ero nel primo minuto della chiamata.

    «Ayrwick. Kellan Ayrwick, assistente alla regia nella seconda stagione di Dark Reality. Pensavo che potremmo rivedere la ricerca che hai preparato e discutere la tua esperienza lavorativa nell’industria televisiva.»

    Il silenzio rimase sospeso per alcuni secondi. «Ayrwick? Come... beh... non ci sono degli Ayrwick che lavorano al Braxton?»

    Rimasi momentaneamente sbalordito da come una groupie potesse sapere qualcosa del Braxton. Poi ipotizzai che frequentasse il college o che in passato fosse andata a scuola con uno dei miei fratelli. «Vediamoci domani a pranzo. Vogliamo fare all’una?»

    «No. Non sono pronta a parlare questo fine settimana. Pensavo di prendere un volo e raggiungere Derek nei prossimi giorni. È il momento sbagliato.»

    «Non possiamo incontrarci per una breve presentazione?» Derek sapeva sicuramente come scegliere le persone melodrammatiche. Riuscivo a immaginarmela mentre si arricciava i capelli e sbatteva le palpebre con gli occhi vacui, nonostante non sapessi che aspetto avesse.

    «Sono molto presa da un’inchiesta esclusiva su un crimine nella contea di Wharton. Potrebbe essere qualcosa da proporre a Derek per... beh, è troppo presto per dire qualcosa.» La sua voce si fece debole. Probabilmente aveva dimenticato come usare il telefono o aveva accidentalmente disattivato l’audio.

    «È quello che gli ha proposto per una futura stagione di Dark Reality? Sono interessato ai crimini veri e al giornalismo investigativo. Forse potrei aiutarti con il tuo scoop.» Una volta realizzato che viveva nella mia stessa contea, provai in tutti i modi a incastrare un appuntamento.

    «Sei uno dei figli di Wesley? Ne ha un’intera sfilza.»

    La mia bocca si aprì di quattro centimetri buoni. Nana D si sarebbe messa a contare le mosche che ci entravano, visto quanto tempo rimase spalancata. Chi era questa ragazza? «Non vedo come sia rilevante, ma sì, è mio padre. Frequenti la Braxton, Abby?»

    «Se la frequento? No, però ci sono un po’ di cose che devi sapere se lavoreremo insieme.» Rise istericamente, emettendo veri e propri grugniti.

    «Fantastico, quindi possiamo vederci domani?» Il tono di quella donna mi infastidiva, ma forse l’avevo giudicata male basandomi sui gusti stereotipati di Derek. «Anche solo mezz’ora per instaurare un rapporto di lavoro. Conosci il Pick-Me-Up Diner?» Eleanor gestiva il locale, quindi avrei avuto una scusa per allontanarmi se Abby fosse diventata troppo difficile da gestire. Mia sorella avrebbe fatto in modo che un cameriere versasse una scodella di zuppa addosso ad Abby, per poi rinchiuderla in bagno mentre io mi davo alla fuga. Non c’era niente che mi piacesse di meno delle persone sciocche, incapaci o insulse. Ne avevo avuto abbastanza di loro dopo aver frequentato una tizia di una confraternita anni prima. Se avessi incontrato un’altra sciacquetta losangelina, avrei lasciato che la famiglia di Francesca, i Castigliano, prendesse il controllo della situazione. Un attimo. Come non detto, non ho mai pronunciato queste parole ad alta voce.

    «No, scusami. Sarò molto impegnata a indagare su tutte le sciocchezze che accadono qui intorno. Ci vediamo al campus domani sera.»

    Scossi la testa per la frustrazione e la confusione. La sentii chiaramente soffocare di nuovo una risata sgradevole. Se non era una studentessa, cosa ci faceva al campus? «Cosa intendi per domani sera

    «La festa per il pensionamento di tuo padre.»

    Derek mi sarebbe stato debitore di un favore bello grosso per questo calvario. Se non fosse stato attento, le avrei dato il suo vero numero di cellulare e non quello falso che inizialmente lui le aveva dispensato.

    «Come fai a sapere...» Il telefono emise un rumore sgradevole quando lei si disconnesse.

    Continuai sulla strada principale fin dentro il cuore di Braxton, suonando il clacson mentre passavo davanti al Danby Landing, il frutteto biologico con annessa fattoria di Nana D. Ero particolarmente legato a Nana D, cioè mia nonna Seraphina, che avrebbe compiuto settantacinque anni a fine anno. Continuava a minacciare di mettersi sulle ginocchia Marcus Stanton, il consigliere della nostra città, per sculacciarlo, e di insegnare a quello scemo come dovrebbero essere fatte le cose nella società attuale. Tenerla sotto controllo era diventato il mio secondo lavoro dopo l’incidente in cui aveva rischiato di passare la notte in prigione. In mancanza di documenti ufficiali lei avrebbe continuato a negarlo, ma ero stato io quello costretto a convincere lo sceriffo Montague a rilasciare Nana D. Speravo di non dover mai più litigare faccia a faccia con la nostra super affascinante rappresentante delle forze dell’ordine, anche se fosse stato necessario per salvare Nana D dalla galera. Ero certo che quella fosse stata una carta da giocare una volta sola.

    Il sole era scomparso quando parcheggiai la Jeep davanti alla casa dei miei genitori e corsi verso il bagagliaio per prendere le mie borse. Dato che la temperatura era scesa sotto lo zero e la neve ghiacciata mi colpiva selvaggiamente, mi precipitai verso la porta d’ingresso. Sfortunatamente, il destino optò per la rivincita su alcune passate imprudenze e rispose con una vendetta paragonabile alle piaghe bibliche. In una frazione di secondo scivolai su una lastra di ghiaccio come una ballerina impacciata con indosso un paio di scarpe da clown e caddi di schiena.

    Mi scattai un selfie mentre ridevo sul terreno ghiacciato, per far sapere a Nana D che ero arrivato a Braxton. Adorava ricevere foto e vedere che mi rendevo ridicolo. Non riuscii a decifrare la sua risposta, dato che i miei occhiali si erano appannati e ora ci vedevo peggio del signor Magoo. Cercai un lembo della camicia di flanella non toccato dal nevischio che cadeva o dall’imbarazzante schianto al suolo e li asciugai. Uno sguardo alla foto che le avevo inviato mi fece scoppiare nella più assurda delle risate. I miei capelli biondo scuro, solitamente ben tagliati, erano cosparsi di foglie, e i quattro giorni di barba che avevo sulle guance e sul mento erano ricoperti di neve. Mi rispolverai e corsi sotto la protezione della veranda coperta a leggere ciò che mi aveva scritto.

    Nana D: Quello sulla tua testa è uno straccio sporco e bagnato? Sei vestito come un teppista. Mettiti un cappotto. Fuori fa freddo. Mi manchi!


    Io: Grazie, Capitan Ovvio. Sono caduto sul vialetto. Pensi che di solito vada in giro conciato così?


    Nana D: Ehi, intelligentone, non dovevi essere tu quello brillante? Hai rinunciato alla vita o è lei che ha rinunciato a te?


    Io: Continua così e non verrò a trovarti questo fine settimana. Dovresti essere una dolce nonnina.


    Nana D: Se è quello che vuoi, vai alla casa di riposo e prenditi in affitto una vecchietta. Magari potreste condividere una purea di piselli, della gelatina verde e un gustoso bicchiere di Ovomaltina. Potrei anche pagare io.

    Dopo aver ignorato la sfacciataggine di Nana D, mi passai le mani gelate tra i capelli ed entrai nell’atrio. Sebbene l’involucro originale della casa fosse un edificio con la semplice struttura di una baita di legno, i miei genitori avevano aggiunto molte stanze, alcune delle quali in due ali laterali che racchiudevano la massiccia struttura. I soffitti, alti almeno quattro metri, erano ricoperti da infinite tavole di cedro con nodi nei punti giusti. Una graziosa tinteggiatura verde militare rivestiva tre delle pareti, e l’ingresso si apriva in un gigantesco soggiorno, caratterizzato da un camino rivestito in pietra e decorato con mobili antichi fatti a mano che i miei genitori si erano procurati viaggiando per tutto lo stato. Mio padre si era appassionato all’idea di mantenere inalterata l’autenticità di una baita in tronchi tradizionale, mentre mia madre aveva preteso tutte le comodità moderne. Se solo Jonathan e Drew di Fratelli in Affari avessero potuto vedere i risultati dei loro stili combinati... Eleanor e io amavamo definirlo Stile Capanna Royal Chic.

    Lasciai cadere le borse a terra e gridai: «C’è qualcuno in casa?» Sobbalzai quando la porta dello studio di mio padre si aprì cigolando e la sua testa sbucò dalla fessura. Forse avevo in mente il paranormale e l’occulto, conscio che la prossima stagione di Dark Reality avrebbe fatto malauguratamente parte del mio prossimo futuro.

    «Sono solo io. Bentornato» rispose mio padre, aspettando che mi avvicinassi allo studio. «Tua madre è ancora al Braxton, sta chiudendo la lista finale delle ammissioni per i corsi del prossimo anno.»

    «Come si sta in pensione?» gli chiesi camminando lungo il corridoio verso di lui.

    «Non sono ancora in pensione» ribatté mio padre con un sogghigno. «Ho finito di scrivere il mio discorso per la festa di domani sera. Interessato a un’anteprima?»

    Dire di no mi avrebbe reso un pessimo figlio. A Natale io ed Eleanor ci eravamo promessi che ci saremmo sforzati di più. Ma io oggi volevo essere un pessimo figliolo – no, sto scherzando! «Certo, deve essere emozionante. Hai avuto una carriera munifica, papà. Sarà senza dubbio un esempio perfetto di eccellenza oratoria.» Mio padre adorava quando ampliavo il mio vocabolario per allinearlo al suo. Rabbrividii pensando alle gare di spelling di tanto tempo prima.

    «Sì, credo che lo sia.» Mio padre socchiuse gli occhi e si grattò il mento. Senza dubbio stava giudicando il mio aspetto trasandato. Mi ero dimenticato di radermi ed ero finito col sedere per terra. A volte preferivo un look disordinato. A quanto pareva, anche quella barista all’aeroporto, però…

    Mi avvicinai lentamente alla sua scrivania, studiando le rughe che gli si formavano intorno alle labbra. «Tutto bene, papà? Sembri un po’ sciupato.»

    «Sì… ho solo dei pensieri che mi frullano per la testa. Niente di cui preoccuparti, Kellan.» Annuì e mi strinse la mano – saluto standard tra i maschi della famiglia Ayrwick. Alto quasi due metri, mi superava solo di cinque centimetri, ma i geni dominanti degli Ayrwick lo facevano sembrare gigantesco. Longilineo e muscoloso, non si era allenato un solo giorno in vita sua, ma non ne aveva mai avuto bisogno. Il suo metabolismo era più attivo di quello di un purosangue e mangiava solo il cibo più sano. Io invece avevo avuto la fortuna di ereditare i geni recessivi dei Danby, ma non era il caso di parlare adesso di quel crudele lascito.

    «Sono un buon ascoltatore, papà. Dimmi cosa sta succedendo.» Sentii la sua mano ossuta allontanarsi e guardai il suo corpo accomodarsi sulla logora poltrona di pelle giallo senape davanti alla libreria. Era l’unica cosa che possedeva che mia madre non avesse ancora sostituito – solo perché lui aveva minacciato il divorzio. «È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che abbiamo parlato.»

    Mio padre guardò fuori dalla finestra. Aspettai che il suo sopracciglio destro si contraesse, segnalando l’arrivo di una litigata, ma quell’arco elegante non si alzò mai. «Abbiamo dei problemi al Braxton con un blog. Un mucchio di articoli o post, come li chiamate di questi tempi... spazzatura, direi io.» Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della poltrona. «Non è così che immaginavo le mie ultime settimane prima del pensionamento.»

    Soffocai una risata, sperando di non alzare un altro muro tra di noi. Si era aperto un po’ più del solito, e non importava se avesse usato i termini sbagliati per spiegare il diffondersi di notizie false che si era venuto a creare al Braxton. «Cosa c’è scritto su questo blog?»

    «Qualcuno ha da ridire sul modo in cui ho finanziato alcune aree del college. Sostiene che sto favorendo il Dipartimento di Atletica assegnando loro più fondi del dovuto.» Mio padre incrociò le gambe e unì le mani a coppa. I pantaloni di velluto a coste blu navy e i mocassini marroni che indossava sembravano fuori posto.

    Era il suo modo di prendere sul serio la pensione? Di solito lo vedevo in giacca e cravatta, o occasionalmente con un paio di Dockers e una polo a maniche corte quando incontrava gli amici al country club per una partita di golf. Speravo che non significasse che presto avrebbe indossato i jeans. Lo shock di vederlo improvvisamente abbracciare la normalità avrebbe potuto mandarmi nella fossa ancor prima di quell’aereo maledetto.

    «Il blogger sta attaccando te in particolare o l’amministrazione del Braxton in generale?»

    Mio padre digitò rapidamente alcune parole sulla tastiera dell’iPad e mi consegnò il dispositivo. «Questo è il terzo post in due settimane. I link al resto degli articoli sono in fondo.»

    Non era da mio padre preoccuparsi di quel tipo di sciocchezze, ma era diventato più sensibile alle opinioni altrui man mano che invecchiava. Sembrava l’opposto di quello che pensavo accadesse normalmente quando si invecchiava. Nana D era la prima a dire quello che pensava o a ridere quando gli altri dicevano qualcosa di negativo su di lei. Quasi si rallegrava delle loro critiche al suo comportamento. Io non vedevo l’ora di invecchiare e dire tutto quello che volevo come faceva lei!

    Iniziai a leggere il post più recente. L’attenzione esplicita alle azioni di mio padre fu la cosa che mi allarmò maggiormente.

    Wesley Ayrwick, con i suoi modi arcaici ed egoistici, ha sferrato un altro colpo al fine di eradicare il vero scopo dell’esistenza del Braxton. Il suo continuo sostegno a un dipartimento sportivo in difficoltà, a discapito di un’adeguata istruzione della nostra amata popolazione studentesca, mi rende impossibile farmi da parte. Una recente donazione a sei cifre è stata consegnata con noncuranza al Grey Sports Complex per migliorare le infrastrutture tecnologiche dell’impianto di atletica, rinnovare il campo da baseball e procurarsi un pullman all’avanguardia per i giocatori in trasferta verso i campi avversari. Allo stesso tempo, i Dipartimenti di Comunicazioni, Scienze Umane e Musica vanno in sofferenza a causa di software ridotto al minimo, attrezzature che cadono a pezzi e mancanza di spazi innovativi per le esibizioni dal vivo. Alla richiesta di spiegazioni sulla decisione di destinare solo il dieci per cento della donazione anonima a favore delle attività sportive, il rettore Ayrwick ha affermato che le squadre aspettavano da più tempo e che rischiavano di non essere in grado di competere nella imminente stagione sportiva. È la terza volta in due mesi che tali favoritismi si ripetono, il che spiega chiaramente perché la petizione per rimuovere Ayrwick dal suo incarico prima della fine di questo semestre stia guadagnando slancio. Speriamo di poter dire addio a questa polena corrotta prima che la nave del Braxton si allontani troppo dalla giusta rotta. La pensione deve aver già preso piede nel cervello del vecchio idiota, o forse è solo uno dei peggiori rettori che abbiamo mai avuto. Il mio augurio più sincero è che il ricordo di Wesley Ayrwick sia morto e sepolto entro la fine di questo semestre.

    «Cosa ne pensi?» mi chiese esitante.

    Una rapida lettura dei post precedenti rivelava sentimenti simili, tutti concentrati su mio padre per un senso percepito di ingiustizia per le generose donazioni elargite al Braxton. L’ultima riga sembrava una minaccia di morte, ma forse la mia immaginazione si era scatenata un po’ troppo da quando avevo appreso la sorprendente verità sul ramo Castigliano della mia famiglia. «Chi è il donatore anonimo? Sei tu ad aver deciso dove allocare i fondi?»

    Mio padre arricciò il naso e alzò un sopracciglio. «No, lo sai meglio di me. Quando il donatore è anonimo, nemmeno io devo conoscerne l’identità. A volte il benefattore fa una richiesta specifica su come distribuire il denaro. Posso offrire suggerimenti in base alla mia esperienza come amministratore, ma alla fine è il Consiglio di Amministrazione, affiancato dal Comitato per il budget, a decidere dove vanno a finire i fondi.»

    «Mi sembra di capire che hai una certa influenza.» Entrai nel corridoio per lasciare le chiavi e il portafoglio su una panca lì presente. «È giusto che la donazione sia andata al Dipartimento di Atletica?»

    Il cipiglio di mio padre indicava la sua irritazione per la mia mancanza di sostegno incondizionato. «Sì. Anche se sono d’accordo che lo scopo di un’istruzione come la nostra sia prepararsi alla vita nel mondo reale, studiare e apprendere un mestiere o un’abilità, è fondamentale anche sviluppare relazioni interpersonali e aprire gli occhi e la mente a qualcosa di più della sola nozionistica.» Andò alla finestra, scuotendo la testa, chiaramente distratto da qualcosa. «Lo sport crea cameratismo, lavoro di squadra e amicizie. Fornisce opportunità al college e alla comunità di collaborare per il sostegno dei propri studenti. Crea una base più solida e un futuro più forte.»

    Non potevo obiettare al suo ragionamento e meditai sul passato mentre mi toglievo le scarpe. «Hai espresso il concetto piuttosto bene. Ti credo, papà. Non per cambiare argomento, ma avevo una domanda su una certa Abby Monroe. Ha detto di frequentare...»

    Non mi sentì mai visto che la porta del suo studio si chiuse sbattendo. Ero a casa da dieci minuti e avevo già detto la cosa sbagliata. Tra la nostra intelligenza fuori dagli schemi e i tratti arroganti e testardi, nessuno di noi riusciva a cedere né sviluppare una relazione normale. Non avrei mai imparato a legare con l’indomito Wesley Ayrwick. Almeno potevo contare sulla mia arguzia e sul mio viso diabolicamente bello per far sì che le cose sembrassero andare meglio!

    Trascinai i bagagli nella mia vecchia camera da letto, di cui mia madre si era presa cura amorevolmente covando la sciocca idea che avrei potuto tornare a vivere a casa. Pensava davvero che un trentaduenne avrebbe desiderato dormire in una stanza ancora tappezzata di poster di Jurassic Park e Terminator? Prima di sistemarmi per dare un’occhiata ai materiali dello show di Derek, scesi di corsa per mangiare qualcosa. Quello che era successo nello studio mi aveva lasciato zero voglia di cenare con i miei genitori. Avevo appena girato l’angolo quando sentii la voce di mio padre al telefono di casa.

    «Sì, ho letto l’ultimo post. Sono consapevole della nostra situazione, ma ne abbiamo già discusso. Il licenziamento non è un’opzione.»

    Sembrava che quei post stessero causando un bel po’ di problemi, ma mio padre prima si era comportato come se non sapesse chi c’era dietro il blog.

    «Capisco, ma non ho intenzione di rivelare questo segreto. Sto zitto solo per non nuocere al Braxton. Se scoprono la verità, troveremo la soluzione migliore. Per adesso, posso navigare per un po’ in cattive acque. Devi calmarti» consigliò mio padre.

    Sembrava che quel blogger stesse dicendo la verità a proposito di loschi raggiri. Possibile che mio padre fosse coinvolto in una situazione potenzialmente illegale o immorale?

    «Avresti dovuto pensarci prima di adottare un approccio ridicolo per… aspetta un minuto… no, ascoltami… non minacciarmi, o sarà l’ultima cosa che farai» gridò con rabbia.

    Quando riattaccò, mi infilai in cucina. Tra il legame dell’elusiva Abby Monroe con il Braxton, lo spietato blogger che denunciava pubblicamente mio padre e la chiamata ostile che avevo appena sentito, questo fine settimana avrebbe potuto rivelarsi più ricco di eventi del previsto.

    2

    Quando il sabato mattina mi riscossi, avevo la bocca impastata. La stanza era buia e dall’angolo più lontano proveniva un rumore sordo. Mi misi seduto sul letto, andai a sbattere la testa contro una mensola di legno e diedi di matto pensando di essere diventato cieco e che un opossum si fosse intrufolato in camera. Ci misi poco a realizzare che quel suono sgradevole era il sibilo dei radiatori che fornivano il tanto necessario calore alla stanza.

    Una volta svanito lo shock iniziale per ciò che mi circondava, mi stiracchiai e grugnii allo scricchiolio nella parte bassa della schiena, dovuto all’aver dormito sul materasso più duro a memoria d’uomo. Tra il jet lag dovuto al volo notturno e il fuso orario, mi ero addormentato presto ma mi ero svegliato più volte durante la notte. Controllai il cellulare solo per scoprire che mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Fu in quel momento che vidi anche un messaggio di mio padre che mi rimproverava per non aver riportato Emma a casa con me. Dall’ora di invio, capii che era stato spedito la sera precedente, poco dopo che avevo

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