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Twist of Fate: Edizione italiana
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E-book304 pagine4 ore

Twist of Fate: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Per essere “solo amica” di un ragazzo, devi seguire le regole auree:
1. Non toccarlo se non serve.
2. Non condividere con lui i tuoi sogni più intimi (anche se te lo chiede). 
3. Non lo baciare e sicuramente non andarci a letto.

Io e Scout Dunne siamo “solo amici” fin da bambini.
Lui è tutto ciò che si può desiderare: sexy, affascinante, sicuro di sé, il sogno erotico di ogni ragazza.
Finché non abbiamo infranto le regole.
Le abbiamo infrante nell’oceano, nel bagno di mia zia, nel mio letto…
È stata la settimana più bollente della mia vita.
Sono una delle poche persone che sa che la star della NFL vuole più di una vita di sport.
Perché siamo amici, giusto?
Non più.

Ora lui se n’è andato e io sto cercando di rimettere in sesto la mia carriera.
Mamma diceva sempre che un uomo non dà mai la precedenza ai tuoi sogni rispetto ai suoi.
Ma uno scherzo del destino?
Non si può mai prevedere.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2022
ISBN9791220703642
Twist of Fate: Edizione italiana

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    Twist of Fate - Tia Louise

    1

    DAISY

    Èun uccello gigantesco.

    Mi sistemo un ricciolo dietro l’orecchio, abbraccio l’enorme galletto di metallo e cerco di tirarlo fuori dal retro della mia Ford Bronco celeste senza graffiare la vernice.

    L’ultima volta che ho rovistato alla discarica di Owen Pepper è stato con mia cugina Joselyn, Sly per tutti, durante l’ultimo anno delle superiori. C’erano anche Scout e suo fratello J.R. ad aiutarci a spostare i rottami più pesanti.

    Mi sembra ancora di vederlo, i capelli castano-dorati che gli ricadevano sulla fronte in modo attraente, la pelle leggermente abbronzata e i muscoli che si flettevano mentre lavorava. La sua maglietta si era sollevata, rivelando il torso provocante e definito e la V che spariva dentro i jeans…

    Mi ha sorpreso a guardarlo. Poi ha sorriso e mi ha invitato al ballo. E infine mi ha baciato.

    È successo anni fa, prima che partissi per il college, prima che mi laureassi in interior design specializzandomi in antichità. Prima che mi offrissi di aiutare mia zia a trasformare la casa di famiglia del suo defunto marito a Fireside in un bed and breakfast.

    «Dove diavolo hai trovato quell’affare?» Spencer Carrollton mi guarda torvo, interrompendo il mio viaggio sul viale dei ricordi.

    È in cima ai gradini di mattoni rossi del portico anteriore della massiccia casa coloniale di zia Regina. Mi sono offerta di sistemargliela se mi avesse permesso di inserirlo nel portfolio.

    «L’ho trovato nella discarica di Owen Pepper.» Dove trovo tutti i miei tesori. Mi fermo sul marciapiede e strizzo gli occhi al cielo. «Non precipitarti a darmi una mano.»

    Il mio (spero) futuro collega è vestito con pantaloni navy e blazer marrone su una maglietta azzurra. I capelli scuri sono tagliati corti e pettinati all’indietro. Con quella mascella squadrata, ricorda Tom Ellis pronto per un pranzo a base di tre Martini, non certo qualcuno sul punto di aiutarmi.

    «Un gallo di metallo? Seriamente, Daisy. Quando ho lavorato con Miles Klaut alla Sledge House, abbiamo progettato il concetto basandoci sugli uccelli nativi del sud della Louisiana. In ogni ambiente dominava un’enorme stampa di Audubon, l’airone blu, il pellicano marrone. È comparsa su Antiques Today

    «Quella non era Fireside.» Scuoto la testa e afferro il gigantesco pennuto da cortile per il collo salendo un gradino alla volta per non cadere. È alto quanto me e i bordi taglienti mi pungono la pelle lasciata scoperta dalla canottiera e dalla salopette jeans.

    «Forse no, ma tu hai la possibilità di trasformare Fireside… E probabilmente anche il dovere morale di farlo.» Si sposta sul lato del portico e tira su con il naso. «Questo vecchio posto ha un’attrattiva pazzesca. L’interno dovrebbe essere altrettanto straordinario.»

    «Zia Regina non vuole che sia straordinario. Lo vuole accogliente. Ha detto chiaro e tondo che, solo entrando, chiunque deve sentirsi a casa, circondato dal calore.»

    «I quadretti rossi equivalgono al calore?»

    «È solo una tovaglia.» Trascino il gallo sull’ultimo gradino. «E comunque non dovremmo dare al cliente quello che vuole?»

    «Sì, ma anche evitargli passi falsi del design.»

    «Mischiare vecchio e nuovo è molto di moda, non hai sentito?»

    «Chi lo dice? Elle Décor? Non hanno anche detto che gli archi sono fuori moda? Idioti.»

    «Sto cercando di sdrammatizzare.»

    Mentre lo sollevo, il gallo mi gira tra le braccia e il becco di metallo mi graffia il bicipite. «Ahi! Merda…»

    Spencer si china per dare un’occhiata più da vicino. «Nessun taglio. Per fortuna.» Mi tira la cinghia di jeans della tuta. «Dovresti indossare le maniche lunghe, se hai intenzione di scavare nelle discariche. Ti beccherai il tetano.»

    «Non mi beccherò il tetano. Tienimi la porta.»

    «Lo porti in casa? Non è più un ornamento da giardino?»

    «Va in cucina.»

    «Seriamente, pensavo che stessi cercando di mostrare il tuo stile con questo lavoro.» Al suo tono spocchioso mi intestardisco ancora di più.

    «Ti piacerà quando avrò finito.»

    «Ne dubito. Non potrei mai aggiungere il mio nome a questa ristrutturazione.»

    «Non voglio il tuo nome su questa ristrutturazione. È mia.»

    Attraversiamo l’ingresso rivestito di pannelli di quercia e io porto il gallo per lo stretto corridoio fino alla grande cucina che ha lo stesso rivestimento, ma è più luminosa per via delle finestre.

    «Dovresti rimuovere tutti questi pannelli.» Trascina un dito sul legno.

    «Forse.» Giro intorno al tavolo e posiziono il gallo nell’angolo in fondo. «Nel negozio di mio padre ho trovato una magnifica poltroncina di velluto dorato per la suite principale.»

    «Tuo padre ha un gusto impeccabile.»

    Facendo un passo indietro, incrocio le braccia ed esamino la stanza finita. Pensili bianchi in stile rustico occupano la maggior parte delle pareti e nei punti rimasti scoperti si vede la carta da parati minimalista a fiori bianchi e rossi che si abbina alla tappezzeria delle sedie della cucina e alle tende delle finestre.

    Decido di non coprire il tavolo di pino giallo con l’offensiva tovaglia a quadri, ma lascio al centro la mia preziosa aggiunta, una teiera di porcellana Gzhel bianca e blu. Non è proprio un pezzo di antiquariato, ma sembra vintage.

    «La adoro.»

    Spencer stringe gli occhi a fessura, chiaramente sforzandosi di trovare qualcosa da dire.

    «Va bene.» Mi stropiccio il naso. «So che hai difficoltà ad ammettere la sconfitta.»

    «Non direi. Stavo cercando di trovare la parola giusta. È… inaspettato.»

    «Inaspettatamente fantastico.»

    Scuote la testa. «Ora vado. Ti passo a prendere alle sei per la cena.»

    «Ti raggiungo lì. Non mi dispiace guidare e non so quanto ci metterò.»

    «Non farmi aspettare.»

    Ho incontrato Spencer nel negozio di antiquariato di mio padre a Greenville. Stava cercando pezzi di vetro artistico Fenton e io ero in città per aiutare papà a disimballare una spedizione.

    Quando ho visto il nome Spencer Carrollton, ho capito subito chi era, uno dei migliori acquirenti di antiquariato del paese, spesso presente su Antiques Today.

    È rimasto stupito dal vasto assortimento del negozio di mio padre, così gli ho fatto fare un giro, facendo del mio meglio per mostrarmi ferrata nel mestiere.

    Poi mi ha invitato a cena e il resto è una specie di storia platonica. Non fraintendetemi, Spencer è molto bello, nel classico stile miliardario presuntuoso, ma la nostra relazione si basa più sulla competizione che sulla connessione fisica.

    Ha sette anni più di me e con il suo background e le sue conoscenze, potrebbe davvero aiutarmi a realizzare il mio sogno di diventare un’acquirente di antichità e viaggiare per il mondo alla ricerca di reperti rari.

    Quindi, mi sforzo di mantenere un rapporto amichevole tra noi.

    Lo seguo giù per i gradini e fino alla sua scintillante Tesla.

    Prima di salire si ferma e mi mette una mano sulla spalla. «Ti dirò una cosa: hai l’occhio di tuo padre.»

    Inarco le sopracciglia. «È un complimento notevole, considerando tutte le tue lagne di oggi.»

    I suoi occhi nocciola si soffermano sul mio viso. «Non farmi aspettare troppo stasera.»

    «Promesso.»

    Il suo sguardo insistente mi fa desiderare di avere una macchina mia, anche se sono affezionata alla Ford Bronco dell’anteguerra che mi ha dato papà e che ha solo un telo come tetto.

    «Non posso credere che ceneremo in un locale che si chiama Tuna Tiki.»

    «È il miglior sushi in circolazione.»

    Infilo le mani ai lati della salopette gigante e Spencer mi rivolge un’altra occhiata intensa. Mi schiarisco la gola, pronta a tornare alla Bronco e ai miei restanti tesori in attesa nel retro.

    «Ci vediamo tra qualche ora.» Mantengo un tono leggero.

    «Bene.»

    Mi fingo occupata finché non se n’è andato. Non mi dispiace cenare con Spencer se mi porterà al lavoro dei miei sogni. Non mi interessa uscire con qualcuno in questo momento e lui lo sa. Voglio prima far decollare la mia carriera.

    Tiro fuori un cartello di metallo dipinto a mano che avevo regalato a mio padre. Dice: Si prega di lavarsi le mani prima di tornare al lavoro. Lo metterò nel bagno al piano di sotto. Oggi ne ho trovato un altro, color blu marino, che dice: Spiaggia, 2 miglia. È invecchiato e divertente e considerando che Oceanside Beach è una quindicina di chilometri da qui, è perfetto.

    Zia Regina mi ha dato un budget generoso, ma mi sto impegnando a rimanere di molto al di sotto. Ne ho a disposizione ancora più della metà e mi resta solo la suite principale da finire.

    Lasciando il cartello della spiaggia alla porta d’ingresso, porto quello più piccolo nel bagnetto a metà del corridoio. Una scala costeggia il muro fino al secondo piano, dove si trovano tutte le camere da letto. Cosmo, l’enorme gatto tigrato di mia zia, sta dormendo al suo solito posto sul quarto gradino dal basso.

    «Ehi, gattone!» Mi abbasso su un ginocchio e lo accarezzo sul collo.

    Lui solleva il mento e socchiude gli occhi facendo le fusa. Sto per rimettermi al lavoro quando un colpo alla porta posteriore mi fa sobbalzare.

    Sono l’unica a vivere qui dal giorno di San Valentino, quando mia zia si è risposata, e non aspetto visite.

    «Sly?» Una voce maschile e profonda rimbomba nella cucina e subito scatto in piedi, lisciandomi le mani sul davanti della tuta sporca e spingendo indietro i capelli. «C’è nessuno in casa?»

    La voce diventa più forte man mano che si avvicina. Chiunque sia entrato si sta dirigendo velocemente in questa direzione.

    Mi schiarisco la gola e, dal gradino più basso dietro la massiccia ringhiera di mogano, chiedo: «Chi è?»

    «Sono io, Scout. Regina ha detto che potresti aver bisogno di… aiuto.»

    Ha girato l’angolo e, quando i nostri occhi si incontrano, la sua voce si blocca. Scout Dunne.

    Non lo vedo dai tempi del liceo e non è cambiato per niente, il che significa che per un attimo ammutolisco.

    In un istante, lo studio da capo a piedi: alto, magro, incredibilmente bello con i capelli disordinati da surfista e luminosi occhi azzurri. Come sempre, è in jeans e maglietta. Oggi è celeste, è tesa sul petto ampio e accentua il colore degli occhi. Non pensavo neanche che fosse possibile.

    I suoi bicipiti sono perfettamente definiti, così come i muscoli degli avambracci. È una meraviglia anatomica con un sorriso assassino e una fossetta irresistibile sulla guancia.

    Quando mi rendo conto di essere rimasta praticamente a bocca aperta, sento le guance andare a fuoco. Anche lui, però, sembra confuso.

    «Daisy?» Dal tono sembra colto alla sprovvista. «Cosa ci fai qui?»

    «Stavo per chiederti la stessa cosa.»

    Allunga una grande mano e mi assale il ricordo della sua presa decisa sui fianchi al ballo di fine anno. Lo ricaccio indietro e riprendo le redini.

    Mi sto comportando come una sciocca scolaretta. È stato molto tempo fa e non è che sia poi successo niente. Eravamo solo amici.

    «Sto aiutando zia Regina a sistemare la casa. La sta trasformando in un bed and breakfast.»

    Si guarda intorno con la fronte aggrottata e lo sguardo sexy. «Mi ha detto che Sly aveva bisogno di aiuto per spostare un po’ di robaccia.» Mia cugina vuole diventare una fiorista, ma non una qualsiasi, ovviamente. Vuole curare le decorazioni enormi per i carri delle parate e le statue floreali come centrotavola per balli ed eventi aziendali.

    Ne ha fatti un paio in varie occasioni al liceo, con tanto di trasporto e saldatura di rottami metallici. Ecco perché Scout e J.R. erano con noi alla discarica di Owen Pepper quel giorno di tanti anni fa.

    «Dubito che mia zia abbia detto robaccia

    «Vero.» Mi strizza l’occhio e le mie mutande vanno a fuoco. «Non ha detto proprio così, ma mi ha chiesto di venire a dare una mano.»

    «Perché sposti ancora le cose per mia cugina? Pensavo fossi a Clemson.»

    Le sue labbra si arricciano in un sorriso scherzoso, quello che si lascia dietro una scia di donne svenute. «Credimi, non so come sono stato coinvolto in questo lavoro. Sono a casa per qualche settimana prima di tornare a Los Angeles. Tua zia ha chiamato mia nonna e mi hanno spedito qui.»

    Sua nonna… la migliore amica di mia zia.

    Mi chiedo cosa stiano tramando quelle due arzille vecchiette. Tanto possono anche scordarselo. L’ultima cosa che farò sarà restare a Fireside.

    «Beh, ci sono solo io qui, e non ho bisogno di aiuto per spostare nulla.»

    Mi studia un attimo prima di rivolgere la sua attenzione a Cosmo. «Ehi, micione. Stai aiutando tu questa signorina scontrosa?»

    «Non sono scontrosa.» Incrocio le braccia sul petto, ma è più una postura difensiva.

    Scout si inginocchia sulle scale per grattare l’enorme felino dietro le orecchie. Cosmo fa le fusa ancora più forte e io cerco di ricordare cosa stessi facendo prima di questa passeggiata sexy sul viale dei ricordi.

    «Perché sei ancora qui?» Scout alza lo sguardo verso di me e mi si stringe il petto.

    «Non sono ancora qui. Mi sono laureata alla USC a dicembre e sto aiutando zia Regina con questo posto mentre cerco un lavoro.»

    «Non posso credere che siano passati quattro anni.» Gli occhi blu viaggiano dalle mie guance ai capelli, fino alle labbra. «Hai ancora lo stesso taglio di capelli.»

    Quando eravamo al liceo, me li aveva tagliati Sly in un pixie-bob proprio sotto le orecchie e mi ha mostrato come dormire sui riccioli di notte per dargli una piccola onda. In quel modo i miei capelli lisci e biondi diventavano un po’ più interessanti.

    «È comodo.» Mi stringo nelle spalle non sapendo cos’altro dire.

    «È carino.» Si rialza dalle scale e in tutto il suo metro e ottanta, quasi trenta centimetri più di me, poi si acciglia. «Cos’è successo qui?»

    Mi tocca il braccio e quando abbasso lo sguardo vedo lo squarcio rosso vivo sul bicipite. «Ah,» esalo una piccola risata. «Rischi del mestiere. È una beccata del gallo.»

    «Quale gallo?»

    «Questo.» Mi segue in cucina, dove lo vede posizionato dietro il tavolo. «Ho dovuto portarlo in casa dalla Bronco. È un po’ particolare.»

    «Allora, avevi bisogno di aiuto.»

    «Un quarto d’ora fa.»

    «Beh, posso almeno medicarti il braccio. Dov’è il kit di primo soccorso?»

    «Davvero, non serve.» Scuoto la testa e osservo il graffio leggermente gonfio. «Lo lavo sotto la doccia. Va bene così.»

    «Non importa, mi ricordo dov’è.»

    Imbocca il corridoio verso il bagnetto e io mi mordo il labbro alla vista del suo culo stretto e sodo che si muove in quei jeans. Com’è possibile per un solo uomo essere tanto bello?

    Il rumore degli armadi che si aprono e si chiudono precede il suo grido: «Trovato!»

    Torna in cucina, mi mette a sedere e tira fuori un tubetto di Neosporin e una lunga garza. Ha unghie ben curate e non posso fare a meno di notare le dita sottili ed eleganti. Immagino sia per questo che è così bravo a ricevere il pallone tutte le volte.

    Ogni suo tocco è un piccolo sfrigolio di elettricità. Mi spalma la pomata sul graffio con grande concentrazione, quindi lo copre con una garza, fissandola lenta ai lati con del cerotto a nastro.

    Il suo profumo è sempre lo stesso: sapone agli agrumi, lino fresco, uomo sexy. I suoi zigomi sono come la pietra focaia e ripenso a quando volevo scattargli una foto di nascosto, nella speranza che un giorno potesse essere davvero preziosa. Lo penso ancora.

    «Non resterà a lungo sul braccio.» Abbasso lo sguardo sulla garza che pende a malapena sulla mia pelle.

    «Lo proteggerà mentre si assorbe la pomata. L’antibiotico ucciderà tutti i germi.»

    «Sei piuttosto bravo.»

    Alza gli occhi e quando incontrano i miei, mi si stringe il cuore. «Ho avuto la mia parte di ferite.»

    È una strana confessione, ma la lascio cadere. Non posso immaginare che Scout Dunne sia mai stato ferito in vita sua.

    «Beh…» Espiro e mi alzo battendo i palmi delle mani sulle cosce. «È stato bello rivederti. Stavo giusto per andare a farmi una doccia.»

    Scout si alza e infila le mani nelle tasche posteriori, tirando alla perfezione la maglietta sul petto. «Sarai in giro per qualche giorno? Forse possiamo vederci o qualcosa del genere.»

    Sono momentaneamente sorpresa. Mi sta chiedendo di uscire? Lo voglio?

    Concentrati, Daisy.

    «Ehm… devo finire questo lavoro. Poi spero di andare avanti con Antiques Today.»

    «Non so cosa sia.»

    «È un’azienda che ha tipo una rivista e un podcast, organizza anche mostre di antiquariato e valutazioni.» Mi rendo conto che ora sembro un dilettante allo sbaraglio. «Ho un amico che ci lavora e spero che possa aiutarmi a trovare un lavoro.»

    Scout alza il mento e mi studia per un attimo. Il modo in cui in cui i suoi occhi azzurri si spostano sul mio viso è nettamente diverso da quello di Spencer.

    Quando mi guarda con quel misto di curiosità e interesse mi fa drizzare ogni pelo del corpo. Il calore mi sfrigola sotto la pelle.

    Il che è ridicolo. Non ho nessuna chance con uno come lui e anche se ci fosse la più remota possibilità, non resterò qui per scoprirlo. E nemmeno lui, se è per questo.

    «Bene. Forse ci vediamo in giro.» Attraversa la cucina e torna alla porta da dove è entrato. «Magari ripasso a vedere se hai bisogno di aiuto per spostare della roba. Per evitare che ti faccia di nuovo male.»

    «Penso che a volte le ferite facciano parte del gioco.»

    «Non per forza.»

    Un ultimo sorriso, un ultimo lampo di quella fossetta irresistibile e sguscia via dalla porta, con la stessa rapidità con cui è arrivato. Mi accascio contro il muro, faticando a riprendere il respiro normale. Il cuore mi batte all’impazzata ed è così stupido…

    Sono intelligente. Ho un obiettivo e non mi faccio deviare. Né distrarre, per quanto allettante possa essere Scout Dunne. Non ho bisogno del suo aiuto.

    2

    SCOUT

    «H ai rifiutato i Chiefs?» Mio fratello si appoggia al bancone del bar e lo osservo mentre stacca l’etichetta della sua Imperial lager.

    J.R. ha solo un anno più di me, ma è più ombroso, più tranquillo. Se ne sta per conto suo e sono abbastanza sicuro di essere l’unico da cui si confida quando ha bisogno di sfogarsi, il che è raro. Stasera non è dell’umore giusto, però, anche se è da un po’ che non parliamo.

    Dietro di noi sta suonando un gruppo dal vivo, siamo al Tuna Tiki, un ritrovo sulla spiaggia vecchia scuola a Oceanside, a un quarto d’ora da casa. È inizio maggio, manca ancora un mese prima che i turisti comincino a intasare il posto, ubriacarsi e renderlo fastidioso da frequentare.

    Non mi sto lamentando. Stasera sto solo dicendo che lo preferisco così, quando siamo praticamente gli unici qui dentro.

    Prendo un sorso della mia Corona. «Non mi piaceva la proposta.»

    «Non ti piaceva?» Mi guarda con quei suoi occhi azzurri, identici ai miei. «So che ti hanno offerto il ruolo di quarterback titolare.»

    «Quarterback.» Con una risatina amara mi giro verso il palco. «Sei tu il quarterback. Io sono il ricevitore.»

    «Potresti giocare in qualsiasi ruolo. Cavolo, probabilmente dormi ancora con un pallone come cuscino.»

    «Li hai rifiutati tu per primo. Perché adesso rompi le palle a me?»

    «Ho rifiutato perché Becky è rimasta incinta.» Si aggiusta il berretto in testa, ma continua a non sorridere. «Non volevo stare via tutto il tempo. Volevo fare il padre.»

    «Sì, così hai sempre detto.»

    Quando eravamo alle superiori Becky St. John era la capo cheerleader stronza e ora è una cognata stronza. Sono convinto che volesse stare con mio fratello solo perché era il quarterback titolare. È un cliché ambulante.

    Eppure, gli è rimasta attaccata per tutto il college, ma J.R. avrebbe messo un punto di certo se non fosse rimasta incinta l’anno scorso, durante il suo ultimo anno a Clemson. Tutti hanno detto che l’ha fatto per tenerselo stretto, convinta che sarebbe diventato professionista. Non lo so, ma di certo bisogna essere in due per ballare il tango e nessuno gli stava puntando una pistola alla testa.

    Però è un padre da paura. Lavora sodo, porta Jesse ovunque, mentre la principessa Becky ozia in casa o si lamenta se lui vuole uscire con me per un paio d’ore il martedì sera.

    Jesse James Dunne compensa tutto, ama ripetere mio fratello. Sono felice che sia diventato padre e tutto il resto, ma non mi sembrano una coppia da per sempre felici e contenti. Comunque non metto bocca, a meno che non lo voglia lui.

    Lo trovo cupo, così gli do una spallata. «Beh, comunque non mi interessa essere il tuo moscio rimpiazzo. Non è il mio ruolo.»

    L’ho imparato forte e chiaro l’ultimo anno, quando il coach ha cercato di dare un seguito al nostro campionato statale mettendomi come quarterback. Non abbiamo vinto neanche una partita.

    «Avevate una squadra di merda.»

    «Non era una merda. Sono io che non ho il tuo braccio.» Giocherellando con l’etichetta, ripenso agli anni in cui abbiamo giocato insieme e vinto. Ogni. Singola. Partita. «Non è lo stesso senza di te.»

    Mio fratello non risponde e a furia di tirare in ballo l’ultimo anno mi ritrovo a pensare a Daisy Sales e al nostro incontro di oggi pomeriggio.

    Ero sicuro che se ne fosse già andata da un pezzo. Diavolo, quando eravamo all’ultimo anno, non parlava d’altro che

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