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Canzone di Primavera 1 (Boccioli)
Canzone di Primavera 1 (Boccioli)
Canzone di Primavera 1 (Boccioli)
E-book493 pagine7 ore

Canzone di Primavera 1 (Boccioli)

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Info su questo ebook

CANZONE DI PRIMAVERA (Boccioli - Fiori)
Recensione
Ripresi in mano i quaderni su cui aveva cominciato a sognare all’età di dodici anni, l’autrice narra e illustra con disegni spesso di quei tempi lontani le vicende di un gruppo di ragazzini che vivono nella stessa città e crescono vicini, legati dall’amicizia e sorretti dalla protezione dei grandi. Essi esplorano il mondo dei sentimenti, le prime emozioni d’amore, propri e degli adulti attorno a loro. L’amicizia e l’amore sono infatti i temi base del racconto, la prima intesa come condivisione, aiuto, il secondo descritto nei suoi entusiasmi, nei dubbi, nelle tensioni con cui le problematiche interiori spesso lo minacciano. Da boccioli i piccoli protagonisti diventeranno fiori, più avvertiti e consapevoli, sicché la narrazione si estende attraverso due libri, ognuno dei quali, comunque, può essere letto come indipendente dall’altro. Il filo conduttore è comune ad entrambi: la gioia di vivere e la solidarietà sono il segreto per vincere gli ostacoli fuori e dentro di noi, ostacoli da affrontare, indagare con fiducia, nel conforto, nell’allegria degli affetti, sono la magia che permette di vivere la vita come il dolce canto che essa è!
Dedicato agli adolescenti di ogni età, il romanzo è forse un po’ “vintage”, ma i sentimenti profondi, si dice, sono sempre attuali, in qualsiasi mondo, anche immaginario come quello di cui si parla! Il più bel complimento rivolto alle sue pagine è stato per chi scrive il seguente: “Vi spira la gioia di una musica leggera, la forza di un calore umano che fa bene al cuore.” Per chi le ha scritte esse sono state un dono, quello della giovinezza irrinunciabile del cuore, che le è grato condividere con chi volesse leggerle…
LinguaItaliano
Data di uscita4 ago 2017
ISBN9788822807977
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    Anteprima del libro

    Canzone di Primavera 1 (Boccioli) - Ninetta Di Marzo

    Didascalia...

    CANZONE DI PRIMAVERA

    1

    BOCCIOLI

    Presentazione

    Sul secondo quaderno della decina circa su cui ragazzina scrivevo il mio romanzo E’ sempre primavera, ho trovato una data, luglio 1956/57, così ho potuto stabilire che l’ho iniziato in prima media, probabilmente durante le vacanze, quando la scuola si era chiusa, lasciandomi sola. Penso che volessi ricreare attorno a me il mondo allegro delle amicizie, delle vivaci relazioni che mi mancavano. Non solo, me lo creavo esattamente come lo desideravo!

    Così sono nati i personaggi, le vicende che essi vivevano con me, e dovevo avvertire che si trattava di un sogno, perché l’ambiente era un luogo lontano, una cittadina non specificata, vicino a Londra, la città di Peter Pan e dei suoi amici esuli, e anche di una corrispondente, Margareth, che la professoressa di Inglese mi aveva assegnato. In seguito (nel secondo libro) ho cercato di documentarmi, ma a volte i luoghi, le situazioni sono solo un pretesto, un accomodamento, e tutto va letto come se i personaggi vivessero in un immaginario mondo reale, perché, in definitiva, essi nascevano dalle aspirazioni ingenue di un’adolescente e tali, penso, sono rimasti.

    I miei quaderni giravano tra i banchi, tra le mani delle mie compagne in particolare e, man mano, al Ginnasio, anche di qualche ragazzo. Mi pareva che piacessero molto: evidentemente i miei sogni erano comuni nelle classi che frequentavo. Poi, non ricordo quando, ho sentito il bisogno di crescere, di sapere la vita, e ho messo da parte il mio romanzo, incompiuto, senza soffrirne.

    A questa età veneranda ho riaperto quasi per caso quei quaderni, letteralmente consumati dal tempo, con un po’ di sufficienza, forse disposta a dire loro addio per sempre. Prima, però, ho voluto rileggerli e ho sentito quei personaggi ingenui così vivi e innocenti da non riuscire a farlo. Mi sembrava che essi mi chiedessero di non essere dimenticati, che volessero conoscere, anzi, il seguito delle vicende in cui li avevo lasciati sospesi…

    Allora ho ripreso la penna in mano e ho cominciato a riscrivere quelle pagine diventate a volte poco leggibili o addirittura mancanti, spesso seguendole alla lettera, altre volte adattando ad una logica più matura le situazioni che mi apparivano troppo infantili, aggiungendo, togliendo, sempre cercando di essere fedele, comunque, a quel candore in cui mi ritrovavo molto a mio agio! Lo stesso lavoro di recupero e ampliamento è stato fatto per le illustrazioni, riportate a volte così come erano, arricchite con altre nuove quando mancavano. E’ stata un’operazione di restauro che mi si è rivelata entusiasmante! Ho rivissuto pienamente le vicende immaginate nella mia prima giovinezza e sono nati alla fine due libri. Uno svolge la parte antica, quando i protagonisti miei coetanei erano boccioli, il secondo contenente parti antiche e nuove, con l’occhio e la sensibilità di una persona cha aveva vissuto. I protagonisti diventano più pensosi, riflettono più spesso sulla vita, reagiscono al dolore sostenendosi con l’affetto, come prima, e affermano convinti la loro fiducia nel potere della nostra intelligenza di comprendere e sciogliere i lacci di varia natura che ci impediscono la gioia. I boccioli fioriscono pienamente, forse più liberi nei sentimenti, negli amori ora più espliciti, ma sempre improntati alla primitiva genuinità.

    Sì, i miei personaggi sono sognati e sognano, sogni semplici, ma profondamente sentiti, e ancora oggi, nel mio autunno, quei sogni mi sembrano possibili! Più realistica di allora, non ho preteso più l’eternità della bella stagione (oggi il titolo è un po’ diverso…), però ho sentito davvero il mio scrivere un canto di primavera, un inno alla forza e al conforto della condivisione, all’allegria dell’amicizia e della solidarietà (grazie, Evi, per averlo colto!), all’Amore, desiderato, accolto, a volte temuto e fuggito, ma sempre vivificante!

    Devo aggiungere, infine, che molto risentivo dell’atmosfera di gioioso affetto familiare delle Piccole Donne della Alcott (che in una illustrazione tentavo addirittura di resuscitare rivestendo i miei personaggi con gli abiti, anacronistici, di quei tempi!). I beni cui aspiravo allora, comunque, erano gli stessi che continuo a considerare ancora oggi, e forse di più, il vero talismano per la felicità!

    Sarebbe veramente bello se riuscissi, con le mie pagine vecchie e nuove, a comunicare tutto ciò a chi volesse ancora leggerle!

    Essendo il romanzo corale, per una lettura più agevole mi sembra opportuno presentare i personaggi , così come avevo fatto saggiamente già all’inizio del mio primo quaderno.

    Frida, vive in una casa sulla collina, da cui domina la valle e le abitazioni dei suoi amici, assieme alla zia Tina , sorella del padre Walter Sullivan , che dopo la morte dell’adorata moglie italiana, in seguito alla nascita dei due gemellini Mary e Jack , è fuggito all’estero per lavorare presso un’agenzia elettrica. Ella fa da mamma ai due fratellini.

    I piccoli amici di Frida , compagni di classe, che frequentano la sua casa assieme ai loro genitori:

    Betsie, la più carina ed estrosa; la madre Linda, il padre Peter Morris e il fratellino Bob , amico inseparabile di Jack.

    James, il compagno di scuola preferito di Betsie; i genitori Ester e Robert Ross.

    Annie, amica del cuore di Betsie, e il fratello gemello Victor ; i genitori Lydia e Alan Williams.

    Pretty , compagna di scuola preferita di Victor, figlia unica di Rosy e Anthony.

    Hilda e George , fratelli, e i genitori Janet e William Carter.

    Gaston, cugino di Hilda e George , figlio di Alma e Thomas.

    Teresa, cugina di Betsie, nipote diretta di Linda. Viene per perfezionare il suo inglese da Sulmona in Abruzzo.

    Lawrence e Jenny, fratelli, nipoti di Alan Williams, quindi cugini di Annie e Victor. Vengono da Londra, Jenny vi tornerà.

    Julio Ladd, compagno di scuola di Teresa.

    Errol Power , amico di Julio, e suo compagno di scuola.

    Lucy, una ragazza vissuta in orfanotrofio, che entrerà a far parte della vita di Frida.

    Mister John Carter, fratello di William Carter, quindi zio di Hilda e George, ex cacciatore, amante di jazz. Vive a Londra e lavora nel mondo della finanza.

    Altri personaggi secondari si incontreranno man mano nella lettura : Henry , fratello minore di Lawrence e Jenny , Joan , l’amica che lo ama da sempre, Astrid e Vincent, genitori dei tre fratelli…

    Ringrazio i miei cari amici Anna e Sandro. La prima con grande pazienza e cura ha letto tutti i capitoli che di volta in volta le inviavo, elargendomi commenti acuti e suggerimenti opportuni. Il secondo con la sua perizia tecnica e gentile disponibilità ha contribuito alla nascita concreta dei miei testi, dando ad essi, attraverso il computer, la veste di cui avevano bisogno Grazie anche a Miriam, a Clotilde e a Rita, che hanno letto e commentato molto benevolmente, a volte addirittura con entusiasmo, le pagine da me inviate, rincuorandomi (Rita) quando affrontavo passi che richiedevano una competenza psicologica manchevole in una dilettante pur appassionata quale io mi sentivo . Grazie alla mia antica amica della piena primavera (Università!) Anna Del Core, che mi telefonava e mi scriveva dalla cara città del nostro Ateneo per esprimere le sue sentite considerazioni. E a Maria, che via mail mi diceva: Mandameli, mandameli ché mi rasserenano! (i capitoli). Ringrazio infine mio nipote Anthony, che con la sua presenza silenziosa mi ha fatto compagnia nelle tante ore in cui scrivevo assorta, preparando la cena o apparecchiando per me. Le sue parole di lode, per quanto viziate dall’ingenuo affetto, i suoi suggerimenti riguardo le illustrazioni, spesso mi hanno ringalluzzito quanto bastava!

    Dedico le mie pagine alle persone care a me vicine nella mia primavera. In particolare a mio fratello, al quale leggevo brani e dialoghi, che poi recitavamo assieme davanti al registratore, con opportuno accompagnamento musicale! Ciao, Mimmo.

    CAPITOLO UNO

    UN PICCOLO INFORTUNIO

    La campanella suonò, ammonitrice, Era la prima e annunciava ai ragazzi affollati davanti alla scuola che era ora di appressarsi all’ingresso. Il vecchio bidello dai pesanti occhiali da miope li incitava con i gesti e quelli si accalcavano gridando, ancora fuori dal cancello scuro, qualcuno si attardava a bisticciare col compagno, un altro salutava la mamma venuta ad accompagnarlo.

    Nella casa sul colle fiorito, dirimpetto al grande edificio che comprendeva la scuola elementare, la scuola media e la materna, una donnina si dava un gran da fare per pettinare i riccioli intricati di un bimbetto che strillava a squarciagola mentre una seconda bimba, seduta sul pavimento, era tutta intenta a lucidare col grembiulino bianco la stellina che faceva da raccordo tra le mattonelle del bagno: evidentemente le piaceva vederla brillare!

    La piccola donna era Frida e i due bimbi Jack e Mary, i suoi fratellini gemelli, che lei accudiva come fossero suoi da quando la mamma li aveva lasciati per sempre. E la poverina ora incitava l’uno, ora riprendeva l’altra: - Mary, per l’amor del cielo, non sporcarti, è tardi, non faccio in tempo a cambiarti il grembiulino, e tu, Jack, calmati, vuoi farti sentire dal lupo cattivo? E’ già suonata la campanella della scuola e voi non siete ancora pronti per andare all’asilo, mi farete vergognare! -

    E così dicendo sprizzava dai grandi occhi neri lampi che avrebbe voluto sembrassero minacciosi, e si sforzava di non ridere vedendo la sorellina che subito, obbediente, alzava il grembiulino bianco e continuava a spolverare il pavimento con il gonnellino azzurro. Terminato di pettinare Jack, che si era subito zittito con un dito in bocca al pericolo ventilato dalla parola lupo, i tre si presero per mano e scesero il pendio verso la scuola, Jack sbirciando guardingo tra i cespugli ai lati della stradina, caso mai il lupo fosse nei dintorni. Giunti al cancello dell’asilo, Frida accompagnò i fratellini attraverso il lungo corridoio, scusandosi molto per il ritardo con la maestra che li aspettava sulla porta dell’aula. Poi uscì, rabbrividendo un po’ per il freddo. Nonostante si fosse quasi in aprile, là in collina tirava un’arietta fresca dalle montagne ancora incappucciate di neve, in lontananza, ed ella, nell’uscire, per la fretta era corsa fuori con il semplice vestitino rosso a pois bianchi e i capelli scuri appena ravviati, senza prendere il golfino, cosa che aveva fatto per Jack e Mary. Stava per risalire, pensando che la zia Tina, l’anziana e dolce sorella del padre (sempre fuori per il suo lavoro), che viveva con loro e l’assisteva come poteva, oramai doveva essersi svegliata. In quei giorni si era raffreddata e aveva avuto qualche linea di febbre e, non volendo che si affaticasse a prepararsi la colazione; si girò per correre e arrivare a casa prima che lei lo facesse. Uno scampanellio la fece voltare e subito sorrise: era Betsie, la sua amichetta che abitava più giù nella piccola valle. Aveva il sole tra i capelli biondi, il viso arrossato e correva velocemente sulla sua fedele bicicletta. - Ciao, Betsie, - la salutò - come mai così tardi a scuola? - Oh, Frida, sapessi! – Rispose la ragazzina frenando bruscamente – Ma faccio ancora più tardi! Appena esco da scuola passerò da te e ti spiegherò, ciao! – E senza lasciare all’amica il tempo di dire qualcosa, corse via con il grembiulino svolazzante. Frida dapprima si stupì e rimase a guardarla con gli occhi spalancati, poi, conoscendo il carattere particolarmente emotivo di Betsie, che era portata a fare di un granellino di sabbia un macigno, si rassicurò e si diresse veloce verso casa a dare il buongiorno alla zietta.

    Frattanto Betsie era entrata nella parte dell’edificio riservata alla scuola media facendosi piccola piccola, perché rischiava di essere vista dalla preside e rimandata a casa con una nota per il ritardo. Arrivò dinanzi alla porta della sua classe, ancora socchiusa, e, tirati indietro i capelli scomposti sulla fronte, entrò e salutò la severa professoressa di Matematica, che la guardò con occhi pieni di riprovazione. Cercando di sembrare indifferente, sorrise ad Annie, la compagna di banco, e a due occhi scuri che l’avevano fissata con tenerezza appena entrata e l’avevano lasciata solo quado la sua testolina bionda era stata coperta da quella bruna di Annie.

    La lezione si svolgeva regolarmente, la professoressa scriveva i suoi numeri alla lavagna, ma Betsie, si vedeva, era molto distratta. Guardava fuori dalla finestra i prati diventati più verdi, dove erano spuntate qua e là le margheritine bianche di primavera, guardava il cielo solcato dalle rondini che roteavano sfrecciando a bucare l’azzurro, e si lasciava sfuggire qualche lieve sospiro. La professoressa la richiamò: - Morris, vuoi dirci per favore di cosa stavo parlando?

    Betsie si voltò smarrita, guardò verso il volto bruno di James, dal momento che la professoressa teneva d’occhio Annie, e si sentì una frase volare tra i banchi. La professoressa gridò: - Ross, non suggerire. Morris è strana questa mattina, non sta un minuto attenta. Che hai? - Terminò rivolta all’alunna colta in fallo. – Io? ...Io niente … non mi sento bene, ecco… - E Betsie sarebbe scoppiata in singhiozzi se la professoressa non le avesse fatto cenno di sedere. Obbedì e rimase immobile con la testa rivolta alla lavagna e alla cattedra fino all’intervallo, quando Annie le chiese con ansia: - Per l’amor del cielo, Betsie, cosa ti è successo? Sei sempre allegra e stamattina non mi hai rivolto mai la parola! Eppure appena entrata mi sei sembrata tranquilla…Come mai sei arrivata in ritardo? -

    - Oh, Annie , - rispose Betsie contorcendo le mani agitata - ho fatto finta di nulla, entrando, per non far vedere che temevo le occhiatacce della Johnson, ma sono tanto angosciata! – E scoppiò a piangere seduta al banco con le mani sul viso.

    - Betsie, Betsie, non piangere! – Annie si rivolse allarmata agli amici, che avevano fatto capannello attorno alle due ragazze – Betsie si sente male!

    Occhi di colori diversi fissavano il visetto bagnato dal pianto: quelli grandi, celesti, sempre sorpresi, di Pretty, quelli chiari e tranquilli di Hilda, che guardava come riflettendo sulla scena (si stava chiedendo quanto l’agitazione di Betsie fosse giustificata dalla realtà dei fatti…), gli occhi scuri, mobili e attenti di Victor, quelli verdi e intensi sotto il ciuffo di capelli rossi arruffati di Gaston, gli occhi neri, pensosi di George. James si era appoggiato con le mani al banco di Betsie e guardava preoccupato, e sempre estasiato, i suoi occhi azzurri lucenti e l’aureola dei capelli biondi che le incorniciavano il volto in onde vaporose. - No, no – sorrise Betsie tra le lacrime – non preoccupatevi. Io sto bene. –

    Gli amici la guardarono interrogativamente. - Stamattina è successa una disgrazia. – La ragazzina cominciò a spiegare asciugandosi le guance: – Bob, è caduto e ho paura che si sia rotto il piede o la gamba! Io insistevo con la mamma di farmi restare a casa per sapere dal medico, che doveva venire, se Bob era in pericolo, ma il medico tardava e mamma ha voluto che venissi ugualmente a scuola. Ha detto che se fosse stato necessario lo avrebbero portato all’ospedale! Così ho fatto tardi. Ora ho una gran paura di ritornare a casa: Cosa sarà successo alla gamba di Bob? Non la poteva muovere! –

    I ragazzi tacevano. James le mise una mano sulla spalla. Annie cercò di rassicurarla: - Su, su, Betsie, sono sicura che Bob ha solo preso una storta: Le storte sono molto dolorose ma passano presto! Ne so qualcosa, è successo anche a me da piccola, domanda a Victor , - E Victor accennò di sì col capo, mentre James le accarezzava la mano. – Vedrai che non è nulla. – le sussurrò chinandosi su di lei. Gaston fece a metà il suo favoloso panino con la frittata e ne porse una metà a Betsie. – Mantieniti forte , - la esortò con enfasi – sopporterai meglio i colpi della vita! –

    Tutti risero, anche Betsie che, un po’ per essere gentile, un po’ per la fame, visto che per la fretta non aveva fatto colazione, cominciò a mangiare, e così fecero anche gli altri, chiacchierando più sollevati con i compagni di classe che si erano avvicinati incuriositi.

    Poi l’intervallo finì e tutti ripresero i loro posti per la lezione successiva, aspettando, Betsie in particolare, la fine della mattinata. La campanella suonò e l’uscita fu disordinata come l’entrata. Gli amici si accostarono a Betsie e si avviarono insieme a lei, che portava la bicicletta per mano. James non si vedeva. Il gruppetto fece un breve percorso insieme, ma all’improvviso Betsie si ricordò di Frida e si fermò: - Oh, ragazzi, devo lasciarvi, devo passare da Frida, gliel’ho promesso quando l’ho incontrata stamattina, che aveva accompagnato Mary e Jack. Siete stati tanto cari, grazie! A presto! – Stava per dare la prima pedalata quando sopraggiunse James, trafelato: - Betsie, aspetta, – la chiamò – vengo con te. – E mostrò la sua nuova e bella bicicletta azzurra: era riuscito ad averla grazie ai suoi ottimi voti, così avrebbe potuto fare ogni mattina il tragitto da casa a scuola con Betsie, che abitava poco distante da lui. Non vedendola, quel giorno, era andato da solo e l’aveva nascosta in un angolo appartato del cortile per farle una sorpresa. Betsie batté le mani entusiasta. Poi, salutati gli amici, i due ragazzi tornarono indietro veloci. Annie e Hilda rimasero a guardarli compiaciute.

    - Non sono una bellissima coppia? – esclamò Annie – Lei con i capelli biondi al vento, lui con i ricci neri svolazzanti, stanno così bene assieme! –

    - E poi sono tutti e due bravi a scuola, e non se ne vantano affatto! – Aggiunse Hilda.

    - Mi chiedo se sei più innamorata di James o di Betsie, la tua amichetta del cuore! – Commentò Victor, un po’ indispettito, rivolto alla sorella.

    - Di tutti e due! – Rise Annie – Geloso! – E’ così bella! Vorrei essere come lei!

    - Ma tu sei bellissima! - protestò Gaston – Hai affascinanti occhi neri, lunghi’, così vivi, lucenti, e con quella frangetta e i tuoi capelli lisci sembri proprio un’egiziana! Se non fosse che per te nutro un fraterno sentimento di amicizia …! – Esclamò Gaston allargando le braccia e scuotendo la testa fingendosi desolato. Annie rise e così gli altri. Victor lanciò uno sguardo a Pretty e fece per dire qualcosa, ma tacque, e Pretty arrossì.

    - Ma il mio fratellino adorato è lui ! – E Annie, cogliendo il suo imbarazzo, passò le mani tra i ricci biondi di Victor, tirandoli poi dispettosamente. Victor fece finta di gridare per il dolore e tutti risero di nuovo e ripresero il cammino verso casa.

    Frattanto Betsie e James erano giunti ai piedi del colle fiorito dove abitava la loro amica e la chiamarono a gran voce. Frida si affacciò e preferì scendere lei, considerate le due biciclette: I fratellini erano già a casa e la zia Tina li stava cambiando d’abito per il pranzo.

    - Ciao, ragazzi. Allora, cosa è successo stamattina ? – Chiese rivolta a Betsie, che ora sembrava più tranquilla – Sono stata in pensiero, sai? Racconta!

    - Spero sia una cosa non grave, mi sono tanto spaventata! Stamattina, mentre ci preparavamo per la scuola, Bob ha cominciato a fare i capricci: voleva prendere la mia riga per giocare alla guerra all’asilo! Io, nel tentativo di nasconderla in qualche posto dove lui non potesse prenderla, ho cominciato a correre per la casa e mi divertivo un mondo a vedere come cercava di corrermi dietro con le sue gambette corte e grassocce! Ad un tratto, però, è inciampato nelle mie pantofole, che, è vero, non metto mai a posto ed erano sparse di traverso nella stanza, ed è caduto a terra. Ha buttato un grido altissimo che mi ha trafitto il cuore e mi sono sentita svenire per la paura! Piangeva e diceva di avere tanto male al piede e non riusciva ad alzarsi. E’ accorsa la mamma e ha telefonato al medico, che però tardava a venire. Io non volevo andare a scuola prima di assicurarmi di non aver combinato un gran guaio. Mi sentivo in colpa, capite? - Betsie si agitava ancora, strattonando la bicicletta nell’ansia. James esclamò, rivolto al visino affranto: – Oh , credo proprio che non sia niente di grave! Sono caduto tante volte, io, anche dagli alberi, e a parte qualche ammaccatura, sono tornato sempre sano e salvo a casa! -

    - James ha ragione , - approvò Frida – anche Jack e Mary urlano da far paura solo per un semplice graffio e poco dopo riprendono a scorrazzare come niente fosse! Torna al più presto a casa, così potrai sincerarti tu stessa che Bob sta bene. Se è così, questo pomeriggio passate da me, porto i piccoli al laghetto dei cigni, me lo chiedono da tanto, e oggi è una bella giornata. Dillo anche agli altri, ci sarà un buon dolce che si sta raffreddando sul davanzale . –

    - Oh, che bello! Qualcosa mi dice che avete ragione: Bob sta bene. Se è così ci vediamo senz’altro oggi. Ci sarai pure tu, vero James? – chiese Betsie con slancio – Però prima vieni da me, presto, così facciamo i compiti più in fretta!

    - Certo. Gli altri li avviso io . – Rispose pronto l’interpellato.

    - Allora spero tanto di vedervi oggi, Ciao, Betsie, ciao, James ! – E Frida corse su, a finire di preparare il pranzo, mentre, guardandola allontanarsi, snella e veloce, i due ragazzi commentavano che la loro amica era proprio tanto carina e simpatica.

    - Forza, Betsie , - l’incitò poi lui – facciamo a chi arriva prima, ci stai? – Il fresco visino sorridente di Betsie rispose per lei e i due si diedero a pedalare con foga correndo per le vie bordate qua e là di margheritine e cespugli di biancospino odoroso. Ora era in testa Betsie (un po’ per cavalleria da parte di James), ora James (per un ritorno di orgoglio maschile) mentre i loro volti prendevano più colore e i biondi capelli di Betsie, inutilmente spostati dalla sua mano, si agitavano alla brezza coprendole la fronte, gli occhi azzurri, le labbra schiuse nello sforzo e James la contemplava orgoglioso, perché lei era la sua ragazza, anche se non glielo aveva mai detto!

    CAPITOLO DUE

    UNA GITA AL LAGO

    - Oh, mamma, sono felice che Bob stia bene, sarei morta dal rimorso se gli fosse accaduto qualcosa di grave. Ero terrorizzata all’idea che si fosse rotto il piede e la gamba! –

    Betsie non aveva poggiato nemmeno la cartella ed era corsa dritto verso la camera di Bob che, con la caviglia fasciata, sgranocchiava popcorn insieme al suo orsacchiotto, mentre la mamma riassettava per l’ennesima volta il letto cosparso di briciole.

    - Ma no, Betsie , - rispose la signora Linda, bionda e delicata come la figlia, ma più razionale e realistica – non essere sempre così esagerata. Poco fa ha telefonato Frida, per sapere, e subito dopo gli altri amici e i loro genitori, hai allarmato tutta la scuola! Bob dovrà solo rimanere un po’ a riposo e tra qualche giorno potrà tornare all’asilo con Mary e a Jack. –

    - Uhm, chissà se lui è contento, lo vedo così soddisfatto di tutte queste coccole! – Rise Betsie chinandosi a baciare il fratellino sulle guanciotte paffute.

    Mentre la mamma aiutava Ann, la domestica, ad apparecchiare la tavola, Betsie, temendo che James fosse ancora per strada, telefonò alla madre per rassicurare sia lei che l’amichetto, appena fosse tornato, poi andò nella sua stanza, mise a posto i libri e preparò il tavolino per fare spazio a James che sarebbe venuto subito dopo pranzo. Infine uscì sul balcone pieno di gerani che cominciavano a fare capolino, e si appoggiò alla balaustra, felice dei colori dei primi fiori e del sole che rendeva l’aria tiepida: si sentiva così sollevata che tutto le appariva più bello, come un regalo! Riusciva a vedere, da lontano, il colle di Frida, più distante la bella casa di James, circondata da alti pioppi e, man mano che girava lo sguardo, le case degli altri amici: quella di Hilda e George, celeste e grigia, la villa di Annie e Victor, con attorno un ampio giardino protetto da un muro bianco col bordo ondulato come un merletto, costruita dagli operai del cantiere del padre, il signor Alan, infine la piccola casa rosa di Pretty, tenera e graziosa come lei, col suo recinto di gelsomini e, gialla e blu, la casa di Gaston, il più allegro e scherzoso della compagnia, il cugino mattacchione di Hilda e George. Si sentiva serena, così circondata dai suoi amici, e trepidante all’attesa di quello più caro, James. Quando si erano lasciati egli, tornato improvvisamente indietro, le si era accostato di volata con la bicicletta e a rischio di cadere, le aveva sfiorato la guancia con un bacio, in una vera acrobazia. Ridendo, lei lo aveva salutato con la mano ma si era sentita arrossire di gioia e gli occhi di lui le erano apparsi ancora più brillanti! Aspettò con impazienza che fosse pronto il pranzo: non vedeva l’ora che arrivasse il pomeriggio, per la bella gita sul lago proposta da Frida. Dovevano fare prima i compiti, però, e si augurò che James fosse puntuale, così, insieme, si sarebbero sbrigati prima, in modo da potersi divertire senza pensieri!

    La voce dolce della mamma la chiamò a tavola. Betsie rientrò e, dopo essere corsa ad abbracciare il padre da poco rientrato dal lavoro, sedette al suo posto. Prima di iniziare a mangiare ella annunciò ai genitori il programma del pomeriggio, la merenda al lago con la torta di Frida, ma li rassicurò: prima di tutto i compiti, tra poco, con James! Mamma e papà sorrisero. Betsie, tra la corsa in bicicletta e la gioia della prossima scampagnata (e dell’incontro, tra poco, con James), mangiava con un appetito che da tempo non dimostrava e di cui i genitori sembravano molto soddisfatti, a giudicare dall’approvazione che traspariva dai loro volti. Così, dopo le emozioni del mattino, i commensali poterono gustare il loro pranzo particolarmente sereni, in sala, mentre Bob, nella sua cameretta, veniva imboccato dalla paziente Ann, e Betsie pensava tra sé: Sì, questa giornata iniziata tanto male sta diventando proprio bella!

    Terminato di mangiare, per onorare la presenza di James e la propria grazia (beh, era un po’ vanitosa, lo ammetteva con se stessa mentre cercava nell’armadio…) decise di indossare un abitino celeste di maglina, comodo e nello stesso tempo molto femminile, un po’ aderente alla sua personcina slanciata, sicché ne accentuava le forme acerbe che le davano, diversamente dalle altre ragazze della sua età, già l’aspetto di una piccola donna in boccio. Oltre che alla bellezza indiscutibile, il suo fascino, anch’esso riconosciuto da tutti, era dovuto all’espressione mutevole dei suoi luminosi occhi azzurri, a volte allegri e ridenti, altri momenti tristi e pensosi. Quando correva per i sentieri del boschetto un po’ fuori mano assieme ai suoi amici, potevi considerarla senz’altro una monella scatenata, sempre prima ad arrampicarsi sugli alberi più difficili per cogliere le mele selvatiche appena mature, ma ad un tratto l’avventurosa diventava una romantica, fragile fanciulla che, trovata insperatamente una panchina, vi si lasciava cadere languida, sospirando di stanchezza. Certo, fra tutti i ragazzi che l’ammiravano nell’intera scuola, il più devoto e il preferito era lui, il suo James, oggi atteso con un’emozione particolare!

    Cominciò a sfogliare frettolosamente il diario per cercare l’elenco dei compiti: c’era da svolgere un tema, Il mio compagno di banco, e questo certo non la preoccupava, perché scrivere le era sempre stato facile, e poi su Annie ne aveva di cose da dire!

    Il vivace scampanellio di una bicicletta la fece affacciare di corsa al balcone, e sorrise di gioia a James, sporgendosi a salutarlo con cenni festosi della mano. James, vedendo come il vento giocava con i suoi capelli biondi e come lei, con un gesto grazioso, li scostava dal viso, le mandò un bacio sulla punta delle dita e corse verso il cancello, con la sacca dei libri a tracolla, guidando la bicicletta con una mano.

    Il papà era già uscito e la mamma era con Bob. Betsie attraversò il lungo corridoio desiderando con tutto il cuore che Ann, riordinata la cucina, stesse schiacciando il suo pisolino pomeridiano, per poter aprire lei al suo carissimo amico. Fu esaudita, nessuno era in vista. Aprì la porta d’ingresso, percorse correndo il giardino e finalmente raggiunse il grande cancello verde e aprì a James, che aspettava impaziente come lei. Rimasero un attimo fermi, quasi imbarazzati per l’ansia che provavano, poi James si chinò a baciarla sulla guancia e lei fece altrettanto. Il ragazzo appoggiò la bicicletta al muretto vicino al cancello e si avviarono verso l’ingresso.

    - Sai , - cominciò a dire lui riflettendo sul proprio impaccio – a volte non so come comportarmi. La mamma da un po’ di tempo mi dice che dovrei smettere di venire a fare i compiti da te, di abbracciarti come se non dovessimo vederci più quando parti per andare a trovare i tuoi nonni … - James si fermò, contrariato – Io questi adulti a volte non li capisco. Quando eravamo piccoli ci lodavano per come ci volevamo bene, adesso sembra che gli dispiaccia… -

    Betsie si portò una mano al cuore, esclamando addolorata; - Anche la tua mamma, dunque, dice così? –

    - Perché, anche la tua … - James era preoccupato.

    - Oh, no, questo lo dice Ann, la mamma non ci vede nulla di male ed io gliene sono grata . Anche papà e Bob ti vogliono bene e finché lo vorremo nessuno ci potrà separare ! – Terminò Betsie sollevando la testolina orgogliosa. James la guardò serio.

    - Io penso che ci dovremmo fidanzare . – Affermò deciso – So che quando due si fidanzano i genitori sono contenti e non fanno più storie . –

    Un sorriso illuminò il viso di Betsie. – Ma noi già lo siamo! La mamma dice che a volte, quando si diventa grandi, si continua a volersi bene e ci si sposa, anche ! – James annuì: - Lo dirò ai miei, così lo capiranno . – La guardò arrossendo – Allora noi continuiamo a stare insieme… come due fidanzati veri? - Betsie gli sorrise, accennando di sì con la testa. Anche James sorrise e, tenendosi per mano, essi si avviarono verso la porta, e ora camminavano più lentamente, come avvertissero tutta la solennità della loro promessa, guardandosi e sorridendosi ancora.

    Quando giunsero nella camera-studio sedettero e si accinsero a lavorare. Si era creata un’atmosfera di intesa nuova, che rendeva le loro azioni più ricche di significato, come fossero diventate più importanti rispetto alle tante altre volte…

    Purtroppo, però, a causa del carattere impulsivo dell’una e dell’orgoglio dell’altro, la luna di miele del fidanzamento ebbe breve durata! Betsie cominciò a scrivere, la testa bionda china sul quaderno, la penna che scorreva veloce, James invece non sapeva decidersi a iniziare. Scrivere non era il suo forte e inoltre si sentiva ancora emozionato per quello che si erano detto: nella sua testa non c’era molto posto per altro, nemmeno per Victor, il suo compagno di banco! Betsie finì ben presto il suo tema e iniziò la tavola di Educazione Tecnica. Guardava James di sottecchi e dovette ammettere di sentirsi un po’ irritata: rimaneva con la penna sospesa e non si decideva a chiedere il suo aiuto, qualche frase, qualche idea, come faceva spesso quando doveva scrivere, riuscendo poi, anche se in un testo quasi sempre breve, a dire qualcosa di interessante, grazie ai suoi spunti…

    Era passata più di mezzora e Betsie aveva terminato la tavola e completato anche un esercizio di analisi logica sul libro, iniziato a scuola. "Come mai James è diventato così orgoglioso ?" Si chiedeva. Sì, un po’ lo era sempre stato, ma solo un po’e quasi mai con lei. E pensare che ora erano fidanzati! Si alzò, non voleva offrirgli apertamente il suo aiuto, sentiva che questa volta poteva offendersi, chissà perché … Guardò l’orologio a muro e si agitò perché il tempo passava. Uscì sul balcone, stette un po’ in attesa, a guardare i passanti giù in strada, ma, non arrivando da dentro alcun segnale di avvertimento che la situazione si fosse sbloccata (si aspettava che lui la richiamasse, almeno…!), spazientita, rientrò. In effetti James era allo stesso punto in cui lo aveva lasciato e per di più imbronciato!

    Allora, un po’ scontenta con lui, un po’ con se stessa, perché non trovava il modo per aiutarlo, esclamò esasperata, in tono di rimprovero: - Insomma, James, dillo che non riesci a farlo, il tema! Io te lo avrei scritto e tu l’avresti già copiato, ma ti ostini a fare l’orgoglioso! Ascolta, su . – E versò un fiume di parole sull’aspetto e sul carattere di Victor, ricordando anche dei particolari su fatti che James le aveva raccontato o vissuti insieme con tutti gli amici; lei stessa scrisse tutto in brutta copia su due fogli del suo blocchetto di appunti e li passò al silenzioso fidanzato. – Oramai è tardi. Li potrai copiare stasera a casa . – Gli disse.

    James continuava a tacere. Si sentiva umiliato e in quel momento gli pareva di detestarla, Betsie. D’altronde, se lei era brava con i temi lui lo era altrettanto in Matematica e quante volte le aveva spiegato con pazienza i problemi che la poetessa non riusciva a risolvere! Guardò i fogli che Betsie aveva posato accanto a lui, ma li lasciò sul tavolo e chiuse il quaderno.

    - Non ho voglia di fare i compiti . – Disse rimettendo le sue cose nella sacca – Stanotte resterò sveglio oppure, se avrò sonno, domani prenderò una nota di demerito. Non ci tengo a essere sempre il primo della classe . - I suoi occhi brillavano ma egli cercava di rendere ferma e calma la sua voce, come faceva il babbo quando discuteva con la mamma.

    Si alzò. – Sono pronto per la gita. Ti aspetto giù . – Disse. E uscì. I fogli rimasero sul tavolo.

    - Va bene, vado a prepararmi . - Riuscì a rispondere lei, lo sguardo smarrito, mentre lui scompariva, il passo che voleva essere deciso. Betsie si sentì improvvisamente sola, ferita. Andò a salutare la mamma, stesa sul lettino, accanto a Bob che dormiva, e le dispiacque di non poter portare con sé il fratellino: si sarebbe divertito, se fosse stato bene, e lei, ora, avrebbe avuto dalla sua presenza allegra e affettuosa un conforto… Era sempre più triste. Tolse il vestitino civettuolo, indossò una tuta, le scarpe da tennis, prese lo zainetto e raggiunse James, cercando di apparire indifferente. Tutti e due sfogarono il loro malumore pedalando con vigore, stando ben attenti a non guardarsi mai in viso. Giunsero sotto la collina, loro meta. Mary e Jack, già pronti, erano sul balcone e come li videro, avvertirono Frida con i loro gridolini di saluto. Ella scese ben presto, con il cestino delle provviste a un braccio, i fratellini che la seguivano dandosi la mano, zia Tina sul balcone con il suo lavoro a maglia, che li salutava.

    - Cosa c’è ? - Chiese quando vide i volti bui dei due amichetti.

    - Nulla ! – Risposero essi insieme, tentando di abbozzare un sorriso di rassicurazione. Frida fece finta di crederci, mentre Jack e Mary giravano attorno alle biciclette che facevano bella mostra di sé, una rosa e l’altra azzurra, splendente.

    - Vi conviene appoggiarle qui . – disse Frida indicando il grande olmo che sorgeva alla fine della stradina che portava da casa alla strada – Ma gli atri vengono? Li hai sentiti, James ? – Chiese mentre il ragazzo legava la sua bici a quella di Betsie.

    - Scusami , - lui arrossì – avevo dimenticato di dirtelo. George e Hilda, con Gaston, ci aspettano direttamente al lago, visto che ce l’hanno più vicino, Victor e Annie andavano ad aspettarci da Pretty e saranno certo lì. Vado io ad avvisarli, mentre voi vi avviate . – Si offrì pronto.

    - No, no ! – Esclamò Frida – Vado io, ho voglia di salutare la signora Rosy. Voi cominciate incamminarvi verso il lago e tenete d’occhio questi due birbanti . - Terminò accennando ai due bimbi che si divertivano a cercare di far girare i pedali delle biciclette col rischio di farsele cadere addosso. Si allontanò quasi correndo, senza attendere risposta, perché voleva lasciare soli i due ragazzi: le dispiaceva molto la tristezza dipinta sul visino di Betsie e sperava che lungo il tragitto, aiutati dalla spontaneità e dalla simpatia dei fratellini, essi riuscissero a fare pace tornando allegri e affettuosi come al solito!

    Era giunta in vista della casa di Pretty ed era ancora così assorta nel pensare alla tensione avvertita tra i due amici che, salendo in fretta sul marciapiede, dopo aver attraversato la strada, inciampò sul gradino e cadde, rovesciando il cestino e spargendone a terra il contenuto. Rimase alcuni istanti seduta dov’era, rallegrandosi in cuor suo di aver sistemato la torta al sicuro, in un contenitore ben chiuso, e guardava un po’ stordita le mele rotolate attorno a lei. All’improvviso sentì due forti braccia sorreggerla, per aiutarla a rialzarsi. Si voltò e incontrò due limpidi occhi azzurri che la fissavano con uno sguardo avvolgente come una carezza. Riuscì a sollevarsi facilmente, grazie a quel sostegno, e, afferrati i lembi della gonna impolverata, la scosse e si chinò per raccogliere il panierino, ma il proprietario di quei begli occhi già glielo porgeva, sorridendole.

    - Ecco, signorina, le erano cadute delle cose, le ho rimesse dentro . –

    - Grazie . – rispose Frida colpita da quello sguardo così dolce, in cui leggeva una timida ammirazione, che

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