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La vera origine delle fiabe: Gli ultimi frammenti di un mondo dimenticato
La vera origine delle fiabe: Gli ultimi frammenti di un mondo dimenticato
La vera origine delle fiabe: Gli ultimi frammenti di un mondo dimenticato
E-book271 pagine3 ore

La vera origine delle fiabe: Gli ultimi frammenti di un mondo dimenticato

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Info su questo ebook

Che cosa sono le fiabe?

Perché riescono a far presa con tale forza sull’immaginazione di tutti noi?

Queste narrazioni che la società moderna ha rinchiuso nella stanza dei bambini nascondono un volto segreto che affonda in un mondo passato meraviglioso e terribile.

Paolo Battistel, studioso di miti e leggende, mostra che le fiabe sono molto più antiche di quello che possiamo immaginare. Sono ciò che rimane di antichi miti precristiani diffusi in Europa durante l’antichità e il Medioevo.

Sopravvissute agli stessi popoli che le avevano generate, le fiabe vennero censurate ed epurate dalla cultura borghese benpensante trasformandole in “semplici” racconti per l’infanzia. La società moderna, figlia dell’illuminismo e dello “scientismo” esasperato, ha dimenticato le sue radici e le fiabe rappresentano gli ultimi frammenti di quel mondo dimenticato.

Fiabe famose come Biancaneve o Cappuccetto Rosso, se analizzate attentamente, ci svelano miti originari e arcaici che narrano di regine malvagie capaci di sacrificare la propria figlia per raggiungere l’immortalità o ci mostrano il volto meraviglioso e terribile della dea della foresta.

Le fiabe ci incantano perché ritroviamo in esse i frammenti della nostra stessa anima, frammenti che ritenevamo perduti e che si risvegliano appena iniziamo a leggere “C’era una volta…”.

In questo libro scoprirai:
  • Il volto divino della strega della foresta di Hänsel e Gretel
  • Perché Biancaneve aveva solo sette anni quando viene condotta nel bosco dal cacciatore
  • L’antico volto di Cenerentola e il suo potere di assumere una forma animale
…e molto altro ancora.

Un libro di Paolo Battistel.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita12 gen 2022
ISBN9788833802695
La vera origine delle fiabe: Gli ultimi frammenti di un mondo dimenticato

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    La vera origine delle fiabe - Paolo Battistel

    fiabe.jpg

    Paolo Battistel

    La vera origine

    delle fiabe

    Gli ultimi frammenti

    di un mondo perduto

    ISBN 979-12-5528-125-2

    ©2022 One Books

    Prima edizione: Novembre 2018

    Seconda ristampa: Gennaio 2021

    Tutti i diritti sono riservati

    Ogni riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.

    Copertina: Carl Larsson

    Impaginazione: Caterina Robatto

    Editing: Enrica Perucchietti, Davide Barberis

    Stampa: Digital Book Via Carlo Marx, 9, Città di Castello

    Per essere informato sulle novità

    di One Books visita:

    www.onebooks.it

    o scrivi a:

    info@onebooks.it

    Indice

    Ringraziamenti

    Introduzione

    Parte Prima:

    Fiabe, favole e ricordi.

    I frammenti di un

    mondo perduto

    1 Che cos’è una fiaba?

    Che cosa differenzia una fiaba da una favola?

    Che cos’è davvero una fiaba?

    2 L’antico sentiero dei fratelli Grimm

    L’antico sentiero rivelato

    Lettere e gemme

    Parte Seconda:

    Principesse, nani e mostri

    3 La morte e la rinascita di Biancaneve

    La bambina prescelta

    Lo Specchio Magico

    La sacralità del numero sette

    La regina antropofaga

    Il mondo dei nani

    La mela avvelenata

    La rinascita di Biancaneve

    Il sacrificio della madre

    4 Tremotino e l’oro maledetto

    La fiaba di Tremotino

    La maledizione dell’oro rosso

    L’offerta al dio del sottosuolo

    L’incantesimo del nome

    5 Raperonzolo e la dea Gothel

    Il furto dal giardino proibito

    Il triste destino di Raperonzolo

    Amore e violazione del suolo sacro

    Gothel la dea della foresta

    Raperonzolo di Walt Disney

    6 Cenerentola e la pianta magica

    La terzogenita nata dalla cenere

    La lingua degli uccelli

    La pianta di nocciolo

    La fanciulla-uccello

    Sangue nella scarpetta

    La figlia di Odino

    Parte Terza:

    La dea della foresta

    7 Cappuccetto Rosso e la Signora della foresta

    Il pane e il vino per il sacrificio

    Il viaggio della vergine innocente

    Il dio del caos che ingoia i suoi figli

    La dea della foresta

    Il cacciatore e lo smembramento della nonna

    8 Hänsel e Gretel e il bosco proibito

    Hänsel e Gretel ovvero la triste storia dei figli abbandonati

    I due tentativi di abbandonare i figli

    Il viaggio iniziatico

    La dea-strega della casa di marzapane

    La terribile dea Baba-Jaga

    L’uccisione della dea della foresta

    La morte della madre e il ritorno a casa

    Epilogo

    L’uscita dal bosco

    Bibliografia

    L’autore

    A Hänsel che un giorno prese la strada del bosco

    dando vita a tutto quanto. Grazie.

    Ringraziamenti

    Questo libro non avrebbe mai potuto essere tra le vostre mani sen- za l’apporto di alcune persone che sono state fondamentali in que- sto lungo cammino.

    In primo luogo, voglio ringraziare Clara Hobnardt per non aver mai abbandonato uno strano individuo che accende il suo entusia- smo solo quando inizia a parlare di fiabe e leggende. Grazie per il tuo appoggio incondizionato senza il quale Hänsel camminerebbe ancora da solo lungo il sentiero.

    Grazie ai miei genitori che hanno appoggiato senza esitazioni per tanti anni un figlio scrittore mentre si incamminava attraverso un mondo oscuro e sconosciuto in cerca della via per Faërie.

    Grazie ai miei editori Prabhat Eusebio e Monica Farinella per aver creduto nel progetto.

    Un sentito grazie va soprattutto al caporedattore della Uno Edito- ri Enrica Perucchietti per aver visionato la prima stesura del mio saggio dandomi importanti suggerimenti.

    Infine, non posso non ringraziare Kika, la mia compagna nelle letture notturne. Grazie per acciambellarti sui miei piedi mentre il tuo padrone è con la mente in posti lontani.

    Grazie a tutti coloro che fanno parte della mia vita e che mi hanno sostenuto o criticato quando era necessario farlo. Vi ringrazio tutti. E ora buon viaggio attraverso il bosco...

    «Non vedi laggiù la stretta via

    Così angusta, circondata da spine e rovi?

    È il sentiero della Virtù,

    Sebbene così pochi lo ricerchino.

    E non vedi laggiù quell’ampia, ampia strada,

    Che si snoda attraverso il campo di gigli?

    È il sentiero della Malvagità,

    Sebbene alcuni lo chiamino la Via del Paradiso.

    E non vedi laggiù un grazioso viottolo

    Che serpeggia sull’erta tra le felci?

    È il sentiero verso la magica Terra degli Elfi

    Dove tu e io questa notte avremo riposo».

    J. R. R. Tolkien

    Introduzione

    Molti anni fa, credo fossi poco più di un bambino di nove o dieci anni, mi imbattei in una fiaba.

    Non intendo una di quelle fiabe in cui si descrivono con perizia di particolari sale da ballo e candelabri di cristallo né tantomeno i mille lustrini di un abito da sera, intendo che mi imbattei in una fiaba vera, antica, paurosa, pura e intensa.

    La mia famiglia non era mai stata molto interessata a leggermi le fiabe, qualche parente aveva tentato di regalarmi qualcuno di quegli orribili libri illustrati dove nella prima pagina si vede un ranocchio tenuto tra le mani di una principessa – che indossa un abito che la fa assomigliare a un lampadario – e in quella dopo al posto dell’animale si vede un principe in calzamaglia azzurra.

    Ora senza dubbio la calzamaglia è un abito molto utile per il clima invernale (da piccolo la usavo quando andavo a pescare con mio padre) ma nonostante le mie scarse difese critiche date dalla giovane età ricordo che non mi capacitavo del perché un bacio potesse trasformare un bel ranocchio in un ometto magro con le gambe a stecco e vestito in modo orribile.

    Come stavo dicendo, la mia famiglia non era mai stata particolarmente interessata a leggermi le fiabe prima di dormire e per le poche che mi erano state regalate in un formato illustrato avevo provato fin da subito una forte antipatia (che ancora oggi non mi è passata). Un giorno trovai in casa, sopra a un mobile, una vecchia raccolta di fiabe dei Grimm (probabilmente era un regalo fatto a mio padre nella sua infanzia. L’edizione risaliva addirittura al 1951). Il libro era malconcio e piuttosto voluminoso che al principio mi intimorì anche solo sfogliarlo poi scoprii che nel fondo del volume c’erano ben tre pagine di fiabe elencate. Avevo scoperto il mio primo indice. Lessi piano, e attentamente, quegli strani nomi, dalla Signora Trude a Messer Babau, da Tremotino al Ginepro, un lungo elenco si aprì davanti ai miei occhi come una landa inesplorata. Non sapevo di che narrassero finché scovai alcune fiabe che già conoscevo: riconobbi con sollievo Cappuccetto Rosso, Cenerentola e Biancaneve ma la fiaba su cui si focalizzò la mia attenzione fu quella di Hänsel e Gretel. Conoscevo a grandi linee la storia, di cui mi avevano parlato a scuola, ma nessuno me l’aveva mai davvero letta. Avevo visto credo un’illustrazione o due di una casetta di marzapane mangiata da due bambini ma prima di allora non avevo mai provato il desiderio di ascoltare l’intera storia.

    Andai da mia madre e le chiesi se potesse leggermela ma, presa dal lavoro mi rispose che lo avrebbe fatto più tardi.

    Attesi per un po’ ma per i bambini il concetto di dopo è un po’ ostico e assomiglia molto a mai così vinsi la mia indolenza, seguì l’indice e aprii il libro alla pagina di Hänsel e Gretel.

    «Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna con sua moglie e i suoi due bambini; il maschietto si chiamava Hänsel e la bambina Gretel...».

    Così iniziava la fiaba e per quanto trovassi quella vecchia traduzione piuttosto ostica da leggere presto il tempo smise di scorrere e per la prima volta in vita mia mi trovai nell’Altromondo. Non è facile da spiegare ora, è capitato a tutti di provare una sensazione tanto forte da far incrinare il tempo e farci vivere una sensazione d’essere catapultati in un mondo parallelo. Per alcuni questo accade quando per la prima volta scorgono gli occhi della loro amata, per altri quando si trovano a guardare il luogo che chiameranno casa, per me è avvenuto leggendo per la prima volta Hänsel e Gretel.

    Ero estraniato da me stesso, ero in un altro tempo e in un altro mondo, il mio corpo era un misto di tensione, paura ed estasi e quando infine ho letto l’ultima riga, e il mondo esterno tornò a essere presente, per la prima volta ho provato una sensazione che non mi avrebbe abbandonato per tutta la vita: una sensazione di perdita, un’intensa mancanza di qualcosa che non riuscivo a comprendere pienamente.

    Il mondo di Hänsel e Gretel mi aveva estasiato e terrorizzato, dentro di me si stavano scontrando due intensi desideri: quello di rimettere sopra il mobile il libro dei Grimm e quello di leggere ogni fiaba prima che facesse sera.

    Questo è il sentimento che provocano le fiabe. Quelle vere.

    Nel libro che tenete tra le mani ho cercato di raccontare cosa siano davvero le fiabe, quali siano le loro vere origini, e in che modo l’antico mito pagano scorre ancora vivo nelle loro vene.

    L’opera è divisa in tre parti.

    Nella prima composta di due capitoli verrà chiarito che cos’è davvero una fiaba e percorreremo insieme il grande lavoro compiuto dai fratelli Grimm per far rinascere le fiabe affinché l’uomo decaduto della società borghese potesse riallacciare i rapporti con le sue radici perdute. I due fratelli desideravano che l’uomo moderno, in esilio da se stesso, potesse riempiere il vuoto che avevo provato anch’io leggendo la mia prima fiaba. Come erano soliti ripetere i Grimm, le fiabe sono dei racconti millenari, antichi quanto l’uomo stesso e scacciati a forza dalla nostra società moderna, «sono un cristallo andato in frantumi i cui frammenti giacevano sparsi sull’erba».

    Nella seconda parte cercheremo di comprendere il significato perduto delle fiabe più famose dei Grimm. Inizieremo dalla regina delle fiabe, Biancaneve, mettendo in luce gli antichi rituali di sangue in cui si imbatte la piccola principessa di soli sette anni (in tutte le versioni della fiaba l’età della bambina è molto chiara) dipingendo un mondo affascinante e oscuro in grado di incantare gli occhi di ogni uomo.

    In seguito verrà spiegata la fiaba di Tremotino, strettamente intrecciata alla razza dei nani, una delle razze principali della mitologia nordica che abitano il mondo sotterraneo di Nidavellir.

    Nel capitolo successivo si tratterà Raperonzolo e la sua torre proibita difesa dalla dea/strega Gothel, l’antica protettrice della foresta. La seconda parte terminerà con l’analisi di Cenerentola in cui confronteremo le due versioni principali della fiaba, quella dei Grimm e quella di Perrault, mettendo in luce che siamo davanti a una delle più antiche fiabe del mondo.

    Nella terza e ultima parte dal titolo La dea della foresta, tratteremo Cappuccetto Rosso e Hänsel e Gretel.

    Si vedrà anche, nel caso di Cappuccetto Rosso, le differenti versioni della fiaba fino a schiudere al lettore moderno l’antica forma di una nonna che non era altri che l’antica dea della foresta. Infine, come nell’eterno ritorno del mito, si tratterà la mia amata fiaba di Hänsel e Gretel, mettendo in luce l’oscuro mito che l’aveva generata e l’eterna simbologia lunare della dea che alla fine di ogni inverno da oscura dea negromante si deve trasfigurare nella giovane vergine che riaprirà il ciclo ridando vita alla natura.

    E ora proprio come Hänsel affiancato dalla sua amata sorella Gretel ci avventureremo attraverso l’antico sentiero delle fiabe.

    Parte Prima:

    Fiabe, favole e ricordi.

    I frammenti di un

    mondo perduto

    1

    Che cos’è una fiaba?

    «La fiaba è come una melodia infinita

    che termina su una nota sospesa lasciando

    l’ascoltatore in attesa di nuove variazioni».

    Marie-Louise von Franz

    Ormai nella vita quotidiana si è soliti usare le parole fiaba e favola come se fossero due sinonimi intercambiabili. Quest’uso completamente errato dei termini è stato spinto negli ultimi decenni soprattutto dai mezzi d’informazione che hanno piegato il significato di queste antiche parole per farlo coincidere a forza con ciò che la televisione proponeva come fiaba o favola. Ciò che prima ricopriva il cielo come un manto rilucente di stelle ha dovuto subire l’affronto d’essere staccato dal suo luogo d’origine per diventare un semplice velo di carta stagnola che ricopre un goffo involucro che il mondo moderno (figlio legittimo dell’illuminismo) definisce fiaba o favola. Il racconto breve che al giorno d’oggi viene definito fiaba o favola è una narrazione in possesso (a grandi linee) di questi tre requisiti:

    è scritta espressamente per il pubblico dei bambini;

    all’interno spiccano dei contenuti soprannaturali di qualche genere (ma non troppo paurosi);

    la trama deve essere inscritta in una chiara distinzione morale di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

    Tutto ciò che a grandi linee possiede tutti e tre questi elementi ha, secondo l’opinione corrente, il diritto di chiamarsi fiaba o favola. Questo modo diffuso di pensare ha condotto negli ultimi anni alla pubblicazione di centinaia di racconti tediosi e insignificanti che rispondono al nome di fiabe. Queste cosine ricche di vezzeggiativi ridicoli, e nomi deturpati nel solo fine di fare degli orrendi giochi parole, sono spesso senza trama o se ce l’hanno ha a che fare con qualche intrigo ai danni dell’innocente protagonista da parte di uno scaltro cattivo. Simili opere narrative, oltre a rappresentare uno scadente risultato letterario, non hanno nulla a che vedere con l’antico modello letterario della fiaba.

    Ma andiamo con ordine e vediamo che cos’è davvero una fiaba e che cosa la differenzia dalla favola.

    Che cosa differenzia una fiaba da una favola?

    Prima di addentrarci in modo specifico su cosa sia una fiaba escludiamo da questo insieme immaginifico (e un po’ confuso) un genere di storie che ha ben poco in comune con le fiabe: le favole. Le favole sono delle brevi narrazioni in prosa o in versi che vengono scritte con uno specifico intento morale e didascalico. Queste narrazioni hanno per oggetto un fatto immaginato con uno specifico fine morale e i cui protagonisti sono per lo più animali o cose. Quindi la grande differenza con le fiabe è che in queste storie non abbiamo un essere umano che vive degli incontri fantastici e delle avventure (magari parlando anche con degli animali) ma ci troviamo con degli animali che non rappresentano se stessi (in quanto specie) ma sono l’incarnazione didascalica di vizi e virtù umane.

    L’animale in queste storie è una semplice maschera che nasconde un tipo stereotipato di essere umano.

    La famosa favola di Fedro (risalente all’antica Roma), ripresa dall’omonima favola greca di Esopo, La volpe e l’uva rende evidente ognuna di queste caratteristiche:

    «Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì. Non è ancora matura; non voglio coglierla acerba!, disse allora tra sé e sé; e se ne andò.

    Così anche tra gli uomini, c’è chi, non riuscendo per incapacità a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze»¹.

    La protagonista della favola, la volpe appunto, non è in possesso delle caratteristiche proprie della sua specie animale, anzi, oltre a non avere una grande potenza nel salto (un elemento piuttosto irrealistico in una volpe), ha come oggetto del suo appetito non un animale ma della semplice frutta. Se i desideri del narratore (o meglio dei narratori) fossero stati realistici la volpe avrebbe puntato un coniglio in cima a una collina o un recinto di galline, ma alla favola non interessa essere aderente alla realtà, la favola è come una rappresentazione teatrale per il pubblico dell’antica città (greca e romana), in cui gli attori indossano maschere allegoriche. La volpe, nella sua rappresentazione classica nelle favole antiche e medievali, incarna la furbizia e la scaltrezza che si trova sempre a vincere sui suoi avversari spesso creduloni o accecati dalla loro forza fisica o dall’importanza del loro ruolo sociale. Questo modello didascalico volpe/astuzia troverà un successo totale nel Medioevo con opere come il Roman de Renart cioè il Romanzo di Renart, una famosa raccolta di storie di tipo favolistico che vedranno come protagonista Renart, cioè la volpe, che ingannerà a suo piacimento gli altri animali e anche alcuni uomini. Tuttavia nella nostra favola, ripresa in epoca romana da Fedro, la volpe si distanzia dal suo classico modello dello stereotipo della furbizia rappresentando invece coloro che disprezzano ciò che non possono avere. Questa è una reazione umana piuttosto comune, poiché per quanto desideriamo ardentemente una cosa non sempre ci è concesso raggiungerla e a questo punto la favola ci mostra come alcuni individui assumano l’atteggiamento sbagliato davanti a questa sconfitta: il disprezzo o l’astio. Se non possiamo avere ciò che desideriamo allora disprezziamo l’oggetto del nostro desiderio, fingiamo di non averlo mai desiderato, proprio come la volpe ha giudicato l’uva non ancora matura.

    La volpe si allontana dall’uva cercando di convincersi che è stata lei a non volere quel frutto.

    Tutta questa situazione ha un preciso uso morale e didascalico. Rappresenta un insegnamento per le nuove generazioni (e un monito per le vecchie) che non devono comportarsi come la volpe ma, oltre a questo aspetto morale e didascalico, la narrazione non dice altro. Nasce con uno specifico intento morale e ogni elemento della favola è solo una maschera che rappresenta qualcos’altro. Questo genere di storie per quanto sia antico, e abbia uno specifico (e importante) uso sociale, non ha nulla a che vedere con la fiaba. Il grande filologo inglese J. R. R. Tolkien (noto in Italia soprattutto come romanziere) era solito spiegare la differenza delle favole dalle fiabe con queste parole:

    «Nelle storie in cui non compaiono degli esseri umani; o in cui gli animali sono gli eroi e le eroine, e gli uomini e le donne, se appaiono, sono semplici comparse; e soprattutto quelle in cui la forma animale è solamente una maschera su un viso umano, un trucco dello scrittore satirico o del predicatore, in queste storie abbiamo favole di animali e non vere fiabe»².

    La favola quindi è un racconto allegorico con un fine morale dove ogni personaggio è una maschera dei vizi e delle virtù degli esseri umani.

    Le favole rappresentano un insegnamento millenario che le nuove generazioni dovrebbero imparare da quelle precedenti per il corretto vivere sociale. Tuttavia, nonostante la grande bellezza e l’uso fondamentale di queste brevi narrazioni, esse, come dice Tolkien, non hanno

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