Vigilando Redimere: Frammenti di storie vissute tra le mura del Reclusorio Militare di Gaeta
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Anteprima del libro
Vigilando Redimere - Francesco Saverio De Chirico
Vigilando Redimere
Frammenti di storie vissute tra le mura del Reclusorio Militare di Gaeta
di Francesco Saverio De Chirico
Le foto da p. 107 a p. 123 sono di Jason R. Forbus
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
ISBN 9788833469485
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2022©
Saggistica – Storia e cultura
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Francesco Saverio De Chirico
Vigilando Redimere
Frammenti di storie vissute tra le mura del Reclusorio Militare di Gaeta
AliRibelli
La Storia è di tutti,
la Verità è di chi l’ha vissuta.
Introduzione
Ho conosciuto Francesco Saverio De Chirico sugli spalti del Castello Angioino di Gaeta. Ero lì per girare un documentario sulla città e avevo subito individuato, in quel signore distinto, dallo sguardo ceruleo e limpido, una delle voci che avrebbero fatto al caso mio per raccontare quel luogo. Non mi sbagliavo.
Con schiettezza bonaria e musicalità pugliese nella voce, a me molto familiare per affinità biografiche, Francesco Saverio, primo maresciallo a riposo, mi offrì una testimonianza ricca ed empatica sul Reclusorio di Gaeta, suo luogo di lavoro per lunghi decenni.
De Chirico: il suo cognome, curiosamente, rievoca la pittura metafisica. Mi sembrava perfetto per quel castello adibito a carcere. Luogo di triste detenzione dall’epoca borbonica, oggi appare deserto, abbandonato a se stesso, ancora sferzato dalla tramontana. Eppure espressivo, perturbante: proprio come un’allucinazione metafisica del pittore di Volos. Un luogo in cui il primo maresciallo ha passato giorni difficili, faticosi. «La vita militare è un ozio senza riposo, dove il difficile è reso impossibile dall’inutile» è la scritta rivelatrice, di autore anonimo, che Francesco si è tatuata dentro, come una verità appresa a proprie spese, da custodire. Un segno tangibile di quanto i muri del castello parlino. Avendo perso il loro stato di materia inorganica, inerte, per trasformare il Castello Angioino in una strana Fortezza Bastiani marittima, corrosa dalla salsedine, popolata dai fantasmi più o meno percepibili dei tanti prigionieri avvicendatisi negli anni. Qui, per decenni, Francesco ha scrutato l’orizzonte. Nell’attesa, forse, di veder arrivare i Tartari, come nel romanzo buzzatiano. Oppure la flotta pontificia, comandata da Marcantonio Colonna, che ritorna vittoriosa dopo la cruenta battaglia di Lepanto. Ma questi sono solo miei svolazzi romanzeschi: in realtà Francesco, in questo bel racconto di vita che vi accingete a leggere, regala al lettore un’asciuttezza profonda e sincera, venata qua e là di humour quasi britannico, che impreziosisce un diario esistenziale pieno di umanità. E di quieto stoicismo, che gli ha permesso di attraversare le difficoltà, con forza dignitosa. Trapela, tra le righe, la forza di un uomo nato negli anni Cinquanta, figlio di un’Italia operosa e concreta. Ritrovatosi, ventenne, per fato e congiunture politiche, economiche ed esistenziali a guadagnarsi la vita in queste celle borboniche, da romanzo gotico. «Vigilando redimere»: è l’imperativo categorico, scritto a chiare lettere sui muri del castello. Un monito a cui Francesco ha tenuto fede senza mai diventare aguzzino, badando contemporaneamente a non farsi schiacciare dagli eventi e dalle furbizie del prossimo. Riuscendo sempre a non lasciarsi traviare dalla brutalità del contesto, tra quelle pietre gelide, in quel reticolo di regole spesso insensate. Non ha mai perso la sua umanità e la sua tenerezza da padre di famiglia di stampo antico, come certi eroi silenziosi, che rimangono nelle zone d’ombra dei romanzi epici. Eppure sono parte delle masse che muovono i grandi eventi. Favorendo gli andamenti ondivaghi di quella Storia monumentale che ha finito per passargli a fianco, nei primi anni Settanta, incarnata dalle presenze inquietanti dei due criminali nazisti Kappler e Reder. Reclusi anche loro a Gaeta, tra tanti obiettori di coscienza, renitenti alla leva, e diversi delinquenti comuni, di piccolo e medio taglio. Il maresciallo di Molfetta ha riservato anche a loro la sua etica discreta. Non spettava a lui condannarli né perdonarli. Gli offrì professionalmente il rispetto che si deve ad ogni essere umano e li osservò a lungo, cogliendo la glacialità dello sguardo di Kappler, rimasta inalterata nei decenni e il cialtronismo feroce di Reder.
Ci torna ancora, Francesco, nel castello Angioino, che non vuol veder morire nell’incuria e nell’oblio, antichi vizi italiani. È la memoria, che ci rende umani, e il primo maresciallo ne è un nobile depositario.
Giuseppe Sansonna
Regista Rai
Sommario
Premessa
All’inizio…
Arrivo a Gaeta
Destinazione: Reclusorio Militare
I servizi del personale (graduati di leva)
La crisi del 1973. Rimanere?
Una nuova vita
Accasermamento, fase 1
Giuramento
Accasermamento, fase 2
I servizi del Personale di Governo (Ufficiali e Sottufficiali)
I miei servizi
Il Minuto Mantenimento
Altri servizi
Addetto ai colloqui
Docce
Curvée varie
Celle di isolamento
Tentate evasioni
Fantasmi e paure
Herbert Kappler e Walter Reder
Altre sedi, altri incarichi
Un po’ di storia
Il castello
Il Reclusorio
I comandanti
Il castello come appare oggi
Conclusione
Note autobiografiche
Riconoscimenti
Inserto fotografico
Premessa
Il titolo di questo libro, a cui ho pensato e ripensato in questi ultimi anni, altro non è che il motto utilizzato dal Comando degli Stabilimenti Militari di Pena (SMP). Un motto che appare in basso nel logo dello stemma araldico (crest) e che ancor oggi campeggia sbiadito, quasi illeggibile, sull’arcata della scalinata che porta agli uffici Comando del Reclusorio.
La necessità di liberare i miei ricordi, sepolti da anni di negligenza mentale o forse di rimozione forzata di qualcosa di sgradevole dalla mia mente, è improvvisamente ritornata a seguito di una prima visita, fatta anni fa al Castello Angioino, a cui ne sono seguite altre che hanno riacceso in me tanti ricordi e la voglia di rivalutare e testimoniare il mio passato di servizio in questo posto tristemente famoso. Camminare in quel luogo ormai abbandonato da anni, degradato, spogliato e stravolto nella sua essenzialità, ha risvegliato in me la voglia di testimoniare la vita e la verità di quell’ambiente affinché non si perda del tutto la memoria di un passato che, oserei dire, fa parte della storia di Gaeta.
Questo concentrato di esperienze vissute all’interno del Reclusorio Militare, prima come militare di leva poi come sottufficiale, vuole delineare, con una certa precisione, momenti di vita trascorsi dietro le sbarre ma dall’altra parte. Non aspettatevi un racconto cronologico degli eventi, difatti non ho mai pensato di scrivere un diario, ma stralci di vita trascorsa di un luogo impensabile per giovani ventenni, siano stati essi detenuti o personale di governo. In questo libro il calendario conta molto poco perché il tempo trascorso nel Reclusorio è stato relativo, diverso, evanescente rispetto al tempo vissuto fuori.
Una sorta di nostalgia (intesa come ricordo) di quel periodo trascorso in servizio presso il Reclusorio mi ha indotto a metter mano alla penna per tirare giù