L'ultima notte del Colonnello
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Egli difenderà fino alla fine la sua opera mettendo a confronto la nazione fiacca e sfilacciata dei giorni della sua rivoluzione con quella in apparenza solida e serena costruita con una colossale operazione di cancellazione del passato. Ma il giovane militare smonterà tutte le sue ragioni richiamando la figura di un professore che il colonnello si era messo al fianco e divenuto ben presto il suo ossessionante riflesso. E smaschererà il fallimento del dittatore e la vacuità delle sue ambizioni.
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Anteprima del libro
L'ultima notte del Colonnello - Giuseppe Porzi
Giuseppe Porzi
L’ULTIMA NOTTE
DEL COLONNELLO
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2017 Elison Publishing
www. elisonpublishing.com
elisonpublishing@hotmail.com
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Elison Publioshing
elisonpublishing@hotmail.com
ISBN 9788869631344
Indice
Caserma di Fuerte de Vivaros
L’autore
Nei nostri pensieri ha molta
più parte la volontà che l’intelligenza.
Franz Grillparzer
L’uomo comprende tutto, tranne
ciò che è perfettamente semplice.
Hugo von Hofmannsthal
...
Una notte il dittatore Jorge Manuel Carrasco viene deposto da un giovane militare che nasconde con ostinazione la sua identità, dimostrando però di sapere moltissime cose su di lui. Ne nasce un lungo dialogo, uno scontro tra cervelli in cui il dittatore è costretto a ripercorrere le tappe della sua presa del potere e a riconsiderarne le ragioni.
Egli difenderà fino alla fine la sua opera mettendo a confronto la nazione fiacca e sfilacciata dei giorni della sua rivoluzione con quella in apparenza solida e serena costruita con una colossale operazione di cancellazione del passato. Ma il giovane militare smonterà tutte le sue ragioni richiamando la figura di un professore che il colonnello si era messo al fianco e divenuto ben presto il suo ossessionante riflesso. E smaschererà il fallimento del dittatore e la vacuità delle sue ambizioni.
Caserma di Fuerte de Vivaros
Mentre sollevava la penna, il colonnello Jorge Manuel Carrasco risaliva con gli occhi e con un sorriso amaro le righe fresche d'inchiostro. Si era finalmente deciso a scrivere a Ernesto Aureliano de Burgos, il professore, l'avversario antico che, secondo lui, lo aveva spodestato e relegato nella sua residenza privata. Per mesi era stato tentato di scrivergli ma non s’era mai deciso a farlo; ci aveva provato qualche volta in verità, ma con poca voglia e senza mai indovinare il tono giusto. A volte trovava le sue parole troppo imperative: i giorni del suo potere erano passati e sarebbero parse patetiche; altre invece troppo supplichevoli: era pur sempre stato a capo della nazione. Era stato anche tentato di rinunciare, temendo che il gesto fosse interpretato come un segnale di debolezza, e comunque un esercizio inutile. Ma aveva resistito, e forse a ragione. Ne rilesse qualche riga, questa volta con una lieve vena di narcisismo.
…piuttosto è singolare il caso che nella mia condizione mi sia venuto in mente proprio lei (…) Solo, mi accorgo che oggi io mi trovo nella condizione che lei ha vissuto ai miei tempi: il destino ci affratella, come vede (…) io e lei siamo uguali (…) L'ho perseguitata per anni, è vero, e non me ne pento (…) Ma rispetto a prima ora so di poterla comprendere, che entrambi possiamo comprenderci…
Si interruppe per un attimo. Molte immagini gli correvano per la mente e tutte lo confortavano nelle sue convinzioni. E allora riprese.
…Ciò che da sempre ci accomuna, caro professore, è la tensione all'immortalità, l’assillo a oltrepassare il tempo (…) con una differenza, glielo concedo: io ho avuto bisogno di qualche migliaio di morti per lo scopo, a lei è bastato un solo uomo da abbattere: me. Però, ci si è dedicato con una diligenza non inferiore alla mia. Anche lei passerà alla storia e, devo ammettere, con meno fatica di me…
Come aveva ragione! Riconoscerlo gli bruciava come alcol su una ferita, ma come l’alcol, quell’ammissione al tempo stesso lo guariva. E allora, avanti! Qualche altra riga.
…Combattendomi, lei rendeva epica la mia figura e io, perseguitandola, le restituivo il favore. Ci ha animato la medesima ossessione (…) Io agivo più in grande, ma è naturale viste le rispettive posizioni (…) Siamo rami di una stessa pianta e i rami sono fratelli siamesi. Ci assomigliamo più di quanto lei non voglia (…)
(…) Mi piacerebbe discutere di tutto questo con lei. Un giorno, forse, lo faremo e scoprirà che abbiamo ancora molte cose da dirci…
Si compiacque dello scritto e non ne cambiò una virgola. Consegnò la lettera al secondino che sparì subito con la deferenza che si ha per i capi di Stato. Si sentiva sollevato e con la testa e il petto leggeri. Si sorprese a ricordare, e sorrise di nuovo. Era il 26 gennaio 1864, esattamente un anno dopo la sua deposizione. Lontano rumore di passi. Il colonnello fatica a dormire. Chi è? Ehi, chi è là? Auff! Ma chi è a quest’ora di notte! Rompipalle! C’è sempre qualcuno che ha bisogno di qualcosa. Auff! Questi letti sono troppo soffici. Ci si casca dentro come una mosca nella ragnatela. E questo dannato baldacchino. Sono letti per frocetti e mantenute, questi, non per cristiani ammodo. Quante volte gliel’ho detto di cambiarlo. Il letto della caserma, voglio, l’avrò predicato mille volte! Mai nessuno che ti ascolta, qui. Se domani me lo trovo ancora intorno, questo, li mando tutti a lavorare in miniera. Tutti! A spaccare pietre. Giuro che lo faccio per quanto è vero che sono il colonnello Carrasco. Perdio lo faccio bruciare, lo faccio; e con esso anche loro! Così capiscono finalmente chi comanda. E poi, con questo caldo, bolle. Non ci si riesce a stare.
Si rivolta nel letto un paio di volte.
Così. Ecco, così… Macché, non riesco nemmeno a respirare. Forse da quest’altra parte… Non è la mia posizione, ma magari… Auff! No, niente, non va bene neanche così. Soffoco, perdio! L’aria arde; e non si muove, ti pesa sul petto come una pietra infuocata. Certo, la mole non aiuta, caro colonnello. Con una trentina di chili in meno, forse…
Lunga pausa.
Vabbè va! Questa notte non si dorme, è bell’e capita. Al diavolo! Mi alzo, magari lavoro un po’, se ci riesco… Prima, però, devo… devo riuscire ad alzarmi da qui. Auff! Questi materassi! Ci affondi come nelle sabbie mobili e non ce la fai a muoverti. Ti risucchiano come piante carnivore. Maledetti, loro e chi ce li ha messi, qui. Eee…cco! Ecco! Ooh! Fatta! Aaah, finalmente! Letto di merda!
Rumore di passi lontani ma distinti.
Ehi! Ma chi diavolo è ancora!
Ancora passi, sempre più pesanti.
Ma c’è qualcuno? Ehi, allora! Guardia, sei tu? Guardia! Guardia, insomma, rispondi! Guardia, dove cazzo ti sei cacciata!
Passi sempre più vicini, incalzanti e pesanti.
Ma che succede, chi cazzo è a quest’ora? E nessuno che avverte. Guardiaaaa! Dove sei finito, figlio di puttana. Guardiaaaa! Maledetto! Sei morto. Domani mattina ti metto davanti a un muro, ti ci metto io stesso e ti ammazzo con le mie mani. Te lo giuro. Guardiaaaa!
Si blocca, tende l’orecchio.
Ma che succede? Dove sono finiti tutti? Stanno arrivando. Ma… chi… Ma io li butto… E sono pure in pigiama. Non voglio che mi trovino in pigiama, e con questa canottiera. La divisa, dov’è la divisa. Devo vestirmi…
La arraffa dalla poltrona.
Eccola. Forza! Veloce. Prima che… Ecco, ce la faccio… Non mi vedranno mai senza divisa. Non gliela