Cuci il becco
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Eppure capita che a squarciare la monotonia di una vita, arriva il ricordo di un “consiglio” riaffiorato all’improvviso, lasciato scritto su un foglietto ben piegato e riposto nel più lontano cassetto della memoria, e si è pronti a dare una nuova direzione al nostro “terzo tempo”. Ed è quello capitato a Ramona Dell’Abate, pronta ad “abbandonarsi” ad un viaggio nelle stazioni dei ricordi da rivivere, tra volti amati e da rinnegare, in una continua altalena tra ieri e oggi, tra affetti e colleghi, amori e dolori, Cenerentola e colpi di fortuna sfiorati. Non sempre i ricordi saranno leggeri e spensierati, ma non si può scegliere. Così come non sempre si possono scegliere le persone, quelle “vissute” negli studi televisivi, “beniamini del pubblico” pronti a spegnere un sorriso insieme alle telecamere e a mostrare, ma sempre e solo a telecamere spente, il volto peggiore… Così, “tiro fuori dalla mia borsa il tablet, inforco gli occhiali, libero i ricordi e comincio a scrivere il racconto senza filtri della mia vita artistica. Mettetevi comodi”, è l’invito di Ramona Dell’Abate, perché il viaggio sarà lungo e pieno di incontri con persone speciali, a cominciare da Wanda Osiris, Marco Predolin, Pippo Baudo, Pietro Garinei, Gigi Sabani, Enzo Tortora, Bettino Craxi, Andrea Bocelli… e mille altri, in una biografia tra il serio e il faceto, senza dimenticare, ogni tanto, un monito: “Ramona, cuci il becco!”
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Anteprima del libro
Cuci il becco - Ramona Dell'Abate
Ramona Dell’Abate
CUCI IL BECCO
Biografia tra il serio e il faceto
Collana: Protagonisti
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
commerciale@giraldieditore.it
info@giraldieditore.it
www.giraldieditore.it
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ISBN 978-88-6155-918-9
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2022
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
La meta è partire.
Giuseppe Ungaretti
A Mary,
mia grandissima amica.
Senza di lei, il suo sostegno,
la sua condivisione,
questo libro non esisterebbe.
Il viaggio
Ti è mai capitato di dover prendere un treno e la notte prima della partenza sogni di svegliarti in ritardo? Il taxi che hai prenotato arriva sgommando e solo quando sali ti accorgi che alla guida c’è un bambino che ti porta lungo strade che non conosci e che sembrano volerti allontanare dal tuo treno. Sai che hai poco tempo… il treno non aspetta. Poi, magicamente ti ritrovi davanti al tabellone delle partenze a cercare il tuo binario dopo esserti fatta spazio fra la gente che a differenza di te sa perfettamente dove andare. Trascini una valigia che credevi leggera ma che di colpo è diventata pesante e ingombrante, ti sale l’ansia mentre sei alla ricerca del binario e, dopo aver scoperto da dove quel dannato treno deve partire, con uno sforzo sovrumano tiri quella cazzo di valigia su per le scale, perché quelle mobili sono ferme, e quando finalmente arrivi, una voce metallica annuncia che il tuo treno è appena partito! Lo vedi allontanarsi sculettando con la parte posteriore, e il bastardo ti sembra anche felice per averti lasciata a terra, senza il viaggio ma con la tua valigia ingombrante.
È quello che mi è capitato stanotte.
Stamattina mi sono svegliata in un bagno di sudore, il sogno mi ha turbato. Ho pensato: e se quello di stanotte fosse un sogno premonitore? Forse mi conviene non partire, il viaggio sarà lungo, troppe le fermate, e ora non sono certa che tornare dove tutto è iniziato mi farà bene. Ok, mi alzo! Con la mente attraversata da una strana malinconia prendo direzione bagno, prossima uscita box doccia. Abbondo nel ricoprirmi di shampoo e bagnoschiuma… comincio a massaggiare e piano piano divento una nuvola di schiuma profumata ma, come succede spesso quando sei impossibilitata a rispondere, la suoneria del cellulare inizia…
Drin drin… "Non dirle mai che siamo stati a letto…"
Lo sapevoooooo! Suona sempre quando sono in bagno! Non rispondo.
Drin drin… "Non dirle mai…"
Sì, sì… cellulare del cavolo, falla tutta la canzone tanto chi se ne frega…
Drin drin… "Non dirle mai che siamo…"
Ahó, insisteeeeeeeee! Allora deve essere importante. Va bene, hai vinto. Chiunque tu sia, voglio darti fiducia. Rispondo!!!
Il risciacquo dovrà attendere.
Esco dal box come una scamorza impanata, dai capelli una scia di shampoo cola sugli occhi impedendo di vedere dov’è quel dannato tappetino che sembra animato perché il mio piede gocciolante non riesce a trovarlo… è un attimo! Scivolone con gran plié e spaccata finale fra water e bidet.
Mi aggrappo al bordo tazza sollevando quello che resta del mio corpicino. Le lacrime per il dolore, miscelate allo shampoo, contribuiscono a provocare un bruciore agli occhi intensissimo, quasi mi fossi instillata due gocce di olio santo…
Drin drin… "Non dirle mai…"
Raggiungo il cellulare che naturalmente a contatto con la mano insaponata diventa viscido come un’anguilla, sfugge alla presa, cade e s’infila sotto il mobiletto.
Drin drin… "Non dirle…"
Bastaaaaaa…
Questa canzone ormai la odio, giuro che appena ti recupero, caro telefonino, ti cambio la suoneria. Ma dove sei finito? M’inginocchio e, nuda come un verme, mi stendo sul pavimento, poi col braccio sotto il mobile lascio alla mano il compito di tastare fino a toccare qualcosa che stringo fra le dita, però sento che ha forma cilindrica e la punta arrotondata, comunque lo tiro fuori… no, non è il cellulare, è un tampax.
Drin…
Rispondo.
È la signora Ramona Dell’Abate?
Sì, mi chiamo Ramona Dell’Abate ma non so se sono ancora una signora… lo scoprirò quando mi avrà detto perché ha chiamato
.
Sono Angelica della Tim… le volevo dire della promozione…
Raccolgo tutti gli insulti di cui dispongo e li vomito alla velocità della luce dritto nell’orecchio di Angelica della Tim e chiudo.
La decisione è presa. Parto!
Sono in perfetto orario, in valigia ho solo bisogno di sistemare le ultime cose prima di chiuderla, questa volta è leggera come una piuma, del resto non mi sono portata appresso tutto l’armadio, anche se, come diceva Oscar Wilde… "Toglietemi tutto, ma non il superfluo".
Il taxi puntualissimo mi aspetta per strada; il tassista è sintonizzato su Radio Maria e sta ascoltando la Santa Messa. Gli chiedo se può portarmi in stazione, e lui concentratissimo invece del Sì
risponde Amen
. Alzo il sopracciglio, poi fra un Atto di dolore
e un Salve Regina
arrivo in stazione in anticipo sulla tabella di marcia.
Il tabellone dice che il Frecciarossa è fermo al binario 17. Ecco il mio treno. Salgo sulla carrozza 13, leggo la prenotazione e scopro che mi è stato assegnato il 90° posto… niente, niente, mi devo convertire alla scaramanzia? Non è vero ma ci credo, quindi faccio il più conosciuto degli scongiuri, le corna, e mi siedo.
Sul binario accanto c’è un vecchio treno regionale con ancora gli scompartimenti separati, da sei posti. Sulla carrozza, ben visibile, la scritta 2a classe. Con la memoria mi rivedo sul treno che in passato ho preso tante volte per tornare a casa. Quante persone ho incontrato, a quante ho chiesto se il fumo di sigaretta dava fastidio, e com’era bello abbassare il finestrino a tutte le fermate solo per il gusto di scoprire il nome della stazione e calcolare la distanza che mi separava dall’arrivo. Di solito a metà viaggio ero sopraffatta dalla fame, così, arrivata all’ennesima fermata tiravo giù il finestrino e urlavo all’omino del carretto pieno di bevande calde e panini vecchi: Me ne dà uno fresco?
Domanda inutile perché l’omino non era mai lo stesso ma la risposta sempre identica: Fresco di giornata
, evitando di dire però di quale giornata dell’anno visto che puntualmente beccavo quello con la cotoletta ammuffita!
Le ore passavano lente, poco a poco lo scompartimento si svuotava e finalmente potevo togliermi le scarpe e poggiare i piedi sul sedile opposto per poi addormentarmi felice.
Ora mancano cinque minuti alla partenza del Frecciarossa; avverto una strana agitazione che mi penetra in ogni lembo della pelle, sento di aver sbagliato treno… in una frazione di secondo mi alzo dal posto numero 90, che mi stava già sulle palle quando mi ci sono seduta, riprendo la valigia dall’apposito contenitore e scendo… pochi passi e salgo sul regionale dei miei ricordi. Scelgo uno scompartimento a caso, qui niente posti assegnati, non so neppure con chi condividerò il viaggio. Sistemo il bagaglio nella retina sopra i sedili e mi accomodo vicino al finestrino, poi abbasso il tavolinetto, ci metto sopra gli occhiali e il cellulare. Un’occhiata ai posti ancora vuoti e mi metto in attesa del poi. Non conosco l’orario di partenza, non so chi mi siederà vicino, non so nemmeno quale destinazione mi aspetta, però ho la consapevolezza che non mi pentirò di questa scelta.
Una vita lunga un metro
Perché mi è venuta l’idea di scrivere questo libro? Ve lo spiego in una paginetta.
Una mattina di quest’anno infame, dopo aver passato una notte insonne, una delle tante in cui i pensieri e le preoccupazioni crescevano nella mia mente come mangrovie e mi era difficile trovare una via d’uscita, un po’ annebbiata mi sono seduta sul letto lamentando il solito mal di schiena, diventato negli ultimi anni una presenza costante fra gli acciacchi vari, e ho cominciato a pensare. Non so cosa mi sia successo di preciso, ma in quel momento mi sono ricordata di una conversazione che avevo avuto con un amico medico anni fa e, in particolare, di un suo consiglio. Un consiglio a cui non avevo dato importanza perché quando si è giovani ci si sente invincibili, e soprattutto eterni. Quando il mio amico me ne aveva parlato avevo una trentina d’anni e avevo fatto presto a piegarlo sistemandolo in uno dei cassetti della memoria. Quella mattina il cassetto inaspettatamente si è aperto e quel ricordo mi si è presentato, spiegazzato ma chiaro, e ho sentito il bisogno di mettere in pratica quel lontano suggerimento. Così mi sono alzata e sono andata dritta in cucina, ho cercato dappertutto e finalmente, raggomitolato in un angolo della scatola di latta fra bottoni e spillette, ho tirato fuori il metro da sarta. Mi sono seduta, con calma ho steso sul tavolo il metro in tutta la lunghezza e facendo finta che la vita fosse il metro che avevo fra le mani, mi sono fatta le stesse domande che il mio amico mi fece a suo tempo:
Ramona, quanti anni hai? E quanti altri pensi di poter vivere?
Due semplici domande!!! Ho immediatamente fatto un calcolo mentale e considerando che nel mio DNA qualche problemuccio di salute è scritto, mi son detta che se tutto va bene e non dovesse esserci nessun intoppo fatale, diciamo che posso pensare di vivere fino a ottantacinque anni. Ho segnato la mia età sul metro, ho guardato la distanza fra la mia età e quella della presunta fine e ho visto ben