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La Repubblica delle Lettere
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E-book206 pagine2 ore

La Repubblica delle Lettere

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Fantascienza - romanzo (151 pagine) - Riuscirà un giovane Ugo Foscolo, dei Cacciatori a cavallo francesi, a ostacolare la svendita della Repubblica di Venezia agli austriaci?


“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito?”

Così scriveva Ugo Foscolo nelle Lettere di Jacopo Ortis, esprimento la delusione per il il trattato che nel 1797 il generale Bonaparte e il conte von Cobenzl firmarono a Campoformido, col quale Napoleone cedeva all'Austria la Repubblica di Venezia in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina.

Ma la storia raccontata da Erica Tabacco in questo straordinario romanzo, ricco di accurati riferimenti storici, è diversa, e vede un Foscolo protagonista nel cercare di bloccare quel trattato e salvare l'indipendenza della Serenissima Repubblica.


Nata a Vicenza nel 1973, Laureata presso l’Università di Padova in Lingue e Letterature Straniere Moderne, Erica Tabacco ha da sempre una passione per la lettura e la scrittura.

Nel 2018 ha pubblicato con Tragopano (Venezia) un e-book dal titolo Tre cappotti per un bassotto. Nel 2020 è stata finalista del XV edizione Bella la vita…,  premio Giacomo Zanella, con il racconto Ineluttabile. Sempre nello stesso anno ha pubblicato per Delos Digital, nella collana Futuro Presente, Fuga psicogena.

LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2022
ISBN9788825420593
La Repubblica delle Lettere

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    Anteprima del libro

    La Repubblica delle Lettere - Erica Tabacco

    Alla mia terra

    Parte prima

    Il Leone ruggisce ancora

    Lista dei personaggi storici principali

    Napoleone Bonaparte 1769 Ajaccio – 1821 Sant’Elena

    Niccolò Ugo Foscolo 1778 Zante – 1827 Turnham Green

    Giovanni Comisso 1895 – 1969 Treviso

    Guido Keller 1892 Milano – 1929 Otricoli (TR)

    Johann Philipp von Cobenzl 1741 Lubiana – 1810 Vienna

    Francesco II d’Asburgo Lorena 1768 Firenze – 1835 Vienna

    Giacomo Zanella 1820 Chiampo (VI) – 1888, Monticello C. Otto (VI)

    Isabella Teotolchi 1763 Corfù – 1836 Venezia

    Gabriele D’Annunzio 1863 Pescara – 1938 Gardone (BS)

    Alceste de Ambris 1874 Licciana Nardi (MS) – 1934 Brive-la-Gaillarde

    Silvio Pellico 1789 Saluzzo (CN) – 1854 Torino

    Andrea Zanzotto 1921 Treviso – 2011 Preganziol (TV)

    Giustina Renier Michiel 1755 – 1832 Venezia

    Marina Querini Benzon 1757 Corfù – 1839 Venezia

    Milenko Vesnić 1863 Dušinić – 1921 Parigi

    Giuseppe Volpi 1877 Venezia – 1947 Roma

    Giovanni Giolitti 1842 Mondovì (CN) – 1928 Cavour (TO)

    Woodrow Wilson 1856 Staunton – 1924 Washington

    Enrico Caviglia 1862 – 1945 Finale Ligure (SV)

    Giovanni Host-Venturi 1892 Fiume – 1980 Buenos Aires

    Pietro Marsich 1891 – 1928 Venezia

    Benito Mussolini 1883 Predappio (FC) – 1945 Azzano (CO)

    Italo Svevo 1861 Trieste – 1928 Motta di Livenza (TV)

    Paolo Lioy 1834 Vicenza – 1911 Grumolo delle Abbadesse (VI)

    Antonio Fogazzaro 1842 – 1911 Vicenza

    Neri Pozza 1912 – 1988 Vicenza

    I

    Aprile 1797 – Bologna

    Cara Teresa,

    spero che stiate bene e che i preparativi per le nozze non vi affatichino troppo. Sono rimasto così sorpreso quando mi avete comunicato che vi sposerete in settembre!

    Teresa, mia cara Teresa. Vorrei dirvi… avrei mille cose da dirvi, mille obiezioni da farvi, mille raccomandazioni, ma poi la mia lontananza da voi sarebbe comunque incolmabile. Voi siete nella vostra bella villa sui Colli Euganei, io qui a Bologna, e qualunque cosa vi dicessi, qualunque riga vi scrivessi rimarrebbe uno sbuffo d’inchiostro su una carta di mediocre fattura, un languido fraseggiamento che nulla toglierebbe ai vostri sentimenti per Odoardo e nulla aggiungerebbe alla mia devozione per voi.

    Bologna. Devo raccontarvi di questa città bellissima, piena di fermento culturale e di entusiasmo politico per le recenti vittorie di Bonaparte.

    A proposito, vi ricordate dell’ode che avrei voluto dedicargli? Ebbene, l’ho composta!

    Vi vedo sorridere, con quel vostro modo tutto morbido d’inclinare la testa da un lato e di scuotere leggermente i boccoli.

    Si tratta di una prima versione; temo che non sarò mai soddisfatto dei miei risultati. In ogni caso, se avessi temporeggiato ancora, avrei perso quella spontaneità e quell’esaltazione che devono caratterizzare un componimento dedicato a un condottiero impegnato in una campagna vittoriosa.

    L’ho fatta pubblicare a spese della Repubblica Cisalpina poiché le mie attuali finanze non mi avrebbero mai permesso di pubblicarla altrimenti. Ve me mando una copia, con dedica a voi e Isabellina.

    Ora che mi sovviene, vostra sorella come sta?

    Vi chiedo di essere clementi con i vostri giudizi; come ripeto si tratta di una prima stesura composta sull’onda dell’emotività per questo Grande Uomo che sta dissolvendo le nebbie di un’epoca molle e paludosa.

    Mi chiedevate come l’avrei intitolata?

    A Bonaparte liberatore.

    Vi vedo sorridere, di nuovo. Il ricordo del vostro buonumore si confonde con il sogno di nuovi sorrisi, provocati dai miei goffi endecasillabi, in un vorticoso gioco tra passato e futuro che m’inebria e mi fa sentire legato a voi da un vincolo indissolubile.

    L’originalità non sta nel titolo, mia cara, ma nel nome. Ho deciso di firmarmi Niccolò Ugo Foscolo in previsione di servirmi esclusivamente del mio secondo nome. Penso, contrariatemi se credete, che Ugo sia più aulico, più degno dei miei ardimenti poetici.

    A voi non posso mentire, cara Teresa.

    Il soldo che mi passano per essermi arruolato nei Cacciatori a cavallo francesi non è granché e la mia generosità mi penalizza oltre misura. Spero che la mia ode A Bonaparte liberatore possa essere notata da qualche mecenate delle lettere e possa procurarmi quei favori che mi consentano di vivere all’altezza delle mie aspirazioni.

    Non so se mi fermerò molto a Bologna. Il clima padano m’uccide, come ben sapete.

    Ho nostalgia di Venezia, la mia Venezia, e questo fuoco che m’arde dentro vuole stemperarsi nelle acque della laguna.

    Devo accomiatarmi, il tenente mi chiama.

    Per sempre vostro,

    Niccolò Ugo

    II

    Inizio 1915 – Da qualche parte in Friuli

    Quando si era arruolato volontario come centralinista telefonico, mai avrebbe pensato che, dopo una breve parentesi a Firenze, lo avrebbero spedito a Cormons, un paese in cui non era mai stato fatto un censimento.

    A Giovanni Comisso sembrava di stare ai confini del mondo. Abituato com’era alla densità abitativa del Veneto, le sparute case che si accampavano solitarie nella pianura friulana gli sembravano talpe uscite dalla terra per annusare la situazione e risprofondare subito nell’oscurità.

    Giovanni aveva velleità poetiche. Un giorno avrebbe scritto una raccolta di poesie e le avrebbe intitolate Poesie, tanto per ingannare i benpensanti, ma dietro quel titolo in apparenza banale ci sarebbe stata una bomba di contenuti. Non voleva neanche pensare cosa avrebbero detto i suoi cattolicissimi compaesani della provincia di Treviso, che in quel momento, paragonata a Cormons, gli appariva una metropoli. Gli venne da sorridere. Solo qualche settimana prima aveva definito la sua città troppo piccola per le grandi intelligenze che vi abitano.

    Comunque, la cosa che lo sconvolgeva di più non era tanto il paesaggio quanto doversi arrampicare sugli alberi per stendere i fili del telefono da un ramo all’altro. Tutto il sistema era assurdo, posticcio, pericolosamente esposto a intercettazioni e sabotaggi. Era suo preciso dovere riferirlo ai superiori.

    – Allora, Comisso, cos’ha da chiedermi? – gli domandò l’ufficiale con aria di sfida.

    – Signore, la linea si presta a essere intercettata. Le chiedo gentilmente di fornirmi i seguenti materiali per metterla in sicurezza – e così dicendo allungò all’ufficiale un elenco di due pagine fitte.

    Il responsabile dei rifornimenti emise un grugnito. – Questo cosa sarebbe?

    – Una lista, signore. Si tratta di materiale elettrico assolutamente necessario. Ho ridotto la lista all’osso.

    – Una lista? Ridotta all’osso?! – Lo sguardo dell’ufficiale era esterrefatto. – Mi sta prendendo per i fondelli, caporale?

    – Nossignore. Non mi permetterei mai.

    L’altro, piegando la bocca verso il basso in una smorfia di disprezzo, appallottolò i fogli e li gettò lontano. – La sua richiesta è respinta.

    – Dice sul serio, signore? – Giovanni non capiva dove avesse sbagliato. Appena l’ufficiale si fosse distratto, lui sarebbe tornato sui suoi passi per recuperare i due fogli. La carta, in tempo di guerra, era preziosissima.

    L’ufficiale piantò gli occhi nei suoi. – Sta cercando rogne, per caso?

    E qui il caporale optò per la tattica umiliante che l’avrebbe reso famoso. – Non potrebbe considerare di rifornirmi di nastro isolante? Almeno cinque o sei rotoli per proteggere i punti più sensibili?

    L’ufficiale lo trascinò fuori del suo ufficio prendendolo per un gomito e, appena fu a portata d’orecchio di alcuni soldati, lo rimproverò aspramente per la sua ottusa insistenza.

    L’episodio passò di bocca in bocca e fece diventare Comisso il leader di uno sparuto gruppo d’idealisti. Lui ancora non lo sapeva ma quello sarebbe diventato il suo destino.

    Il secondo episodio che segnò il suo servizio militare, anzi, la sua intera esistenza, nacque da una bravata.

    A Giovanni la vita del soldato non dispiaceva. Si trovava bene con i commilitoni; addirittura a un paio di loro era riuscito a confidare le proprie aspirazioni poetiche, cosa che non aveva mai fatto con nessuno, tantomeno con i suoi genitori.

    Erano più che amici, erano delle anime affini. Con uno in particolare, un certo Guido Keller, aveva stretto un sodalizio che avrebbe voluto si trasformasse in rapporto simile a quello che aveva l’anziano Socrate con il giovane Alcibiade, cosa che poteva avvenire solo nelle sue fantasie perché, all’epoca, Giovanni aveva vent’anni e Guido ventitré.

    Quando un giorno l’amico gli propose di trascorrere la licenza domenicale a Passariano, dove c’era una superba villa che era stata visitata persino da Napoleone e dove era avvenuto un eroico assalto a cavallo, Giovanni non poté rifiutare. Sapeva che l’eroico assalto non c’era stato, ovviamente. Si trattava di un’esagerazione per farlo abboccare a una gita con due biciclette scalcagnate, prese in prestito da un contadino della zona. Il tragitto consisteva in quaranta chilometri di strade di campagna, più i quaranta del ritorno.

    Pedalando verso Passariano, Giovanni si sentì veramente felice per la prima volta in tanti mesi. La guerra sembrava lontana; le discussioni con i suoi genitori riguardo la facoltà di giurisprudenza dei vaghi ricordi.

    C’era solo il vento.

    Arrivarono a Passariano per le undici, con una fame da lupi. Si fermarono nell’unica osteria del paese, un locale dove si mangiava polenta accompagnata a un formaggio strano, sottile e croccante, e innaffiata da un rosso fermo con alta gradazione. Si ubriacarono.

    L’ultimo tratto verso la villa, un rettilineo che finiva in corrispondenza di due torri, lo fecero ondeggiando come gente di mare. Scesero dalle biciclette e le tennero a mano, non volendo abbandonarle sul ciglio della strada. Quando si affacciarono sull’enorme Piazza Tonda, il cui disegno era stato ispirato niente meno che da San Pietro a Roma, rimasero a bocca aperta. L’erba alta verdissima e le colonne disposte in cerchio, come in una sorta di abbraccio universale, li fecero diventare silenziosi per lo stupore.

    Il corpo centrale della villa si stagliava là, sullo sfondo, a una distanza di cinquecento metri, con le due imponenti barchesse ai lati.

    Nonostante fosse disabitata e in condizioni precarie, la villa emanava una dignità in cui Giovanni fu contento d’immergersi. Era valsa la pena fare tanti chilometri per visitarla.

    – Bella, eh? – gli chiese Guido.

    – Mai visto niente di simile.

    S’inoltrarono sotto il colonnato di sinistra con le ruote delle biciclette che cigolavano. Sembrava non ci fosse nessuno.

    Arrivati alla fine del colonnato, si avviarono verso il corpo centrale attraversando il prato proprio nel suo mezzo. Quella seconda piazza, chiamata Quadra, aveva ospitato Napoleone e fatto da sfondo alla firma del Trattato di Campoformido, nel 1797, il quale aveva decretato la fine della Repubblica di Venezia.

    Giovanni tentò d’immaginarsi i due schieramenti, quello francese e quello austriaco capitanato dal conte Cobenzl, che era passato alla storia non tanto per i suoi meriti militareschi ma per la sua partecipazione alla firma del trattato.

    L’aspirante poeta trevigiano avrebbe tanto voluto essere nei panni di Ugo Foscolo, presente a Passariano in qualità di Cacciatore a cavallo francese. Il poeta si era arruolato volontario e aveva combattuto per i francesi in varie occasioni, anche dopo il sommo tradimento di Napoleone a Campoformido. A Cento, in provincia di Ferrara, Foscolo era stato ferito ma non gravemente, tanto che aveva potuto recarsi a Genova con il grado di capitano aggiunto.

    Giovanni sapeva tutto del poeta di Zante. L’ammirazione che provava per lui lo aveva spinto ad arruolarsi volontario a sua volta ma, dentro di sé, dubitava che avrebbe avuto occasioni altrettanto nobili per potersi distinguere, sia nell’ambito letterario sia in quello militare. Non sapeva che da lì a due anni avrebbe partecipato alla ritirata di Caporetto, andando a finire a combattere con onore sul Grappa e sul Montello.

    In quel momento Comisso sentiva solo le ginocchia piegarsi sotto il peso dei chilometri e dei bicchieri di rosso. Si diresse verso la barchessa di destra nella speranza di trovare una porta scardinata e rifugiarsi all’interno per un sonnellino. Non sarebbe mai riuscito a tornare indietro se non si fosse riposato un po’.

    – Cosa fai? – gli chiese l’amico, che si era accorto della deviazione. – Non vuoi entrare nell’edificio principale?

    – Ci sarà sicuramente qualcuno a guardia della villa e io vorrei distendermi. Credo di essere ubriaco.

    – Meno male che non sono l’unico! Io non riesco più a distinguere le colonne l’una dall’altra.

    Entrarono con facilità, portandosi all’interno le biciclette. L’ambiente non era completamente buio a causa delle numerose fessure che martoriavano le imposte. Quando si furono abituati alla penombra, scorsero una specie di massa imponente in fondo alla stanza.

    – E quello cos’è? – La voce di Guido tradiva un certo disagio.

    – Sembra una carrozza. Andiamo a vedere.

    – Sei sicuro che possiamo?

    – Mi hai fatto pedalare per quaranta chilometri e adesso che siamo qui preferisci riposarti su un pavimento lurido invece che all’interno di una carrozza?! – Per incoraggiarlo, Giovanni prese il commilitone per un braccio.

    Guido si lasciò trascinare.

    Quando i due amici furono a pochi centimetri dall’oggetto, si resero conto che si trattava proprio di una carrozza.

    Giovanni aprì lo sportello senza fatica. Lasciò passare qualche minuto perché l’abitacolo prendesse aria, poi salì il predellino e si tuffò all’interno.

    Guido lo seguì docile.

    Il legno sapeva di muffa e la stoffa di polvere ma la seduta era comoda. I due risero, inebriati dal proibito e dal pericolo.

    Giovanni chiuse lo sportello e l’atmosfera si fece improvvisamente intima.

    I due amici dimenticarono la stanchezza e iniziarono a fare battute sceme. Erano in imbarazzo; non sapevano come confidarsi l’eccitazione che provavano in quel momento.

    – Bella, eh? – Guido sembrava aver esaurito le osservazioni intelligenti.

    Giovanni, visto che il compagno non si decideva, si accasciò. Possibile che si fosse sbagliato? Si accorse che, sotto la stoffa del sedile, c’era qualcosa di rigido

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