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Il Progetto della mia anima: Una vita a contatto con la medianità
Il Progetto della mia anima: Una vita a contatto con la medianità
Il Progetto della mia anima: Una vita a contatto con la medianità
E-book256 pagine3 ore

Il Progetto della mia anima: Una vita a contatto con la medianità

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Info su questo ebook

Silvio Ravaldini è uno dei maggiori esperti italiani di medianità che ha visto e sperimentato tutto quello che, nell'arco della sua ormai lunga vita, era possibile vedere e sperimentare. Fin da bambino ha assistito a casa sua a sedute di altissimo livello con un medium capace di produrre tutta la più eclatante fenomenologia fisica e intellettuale tipica della grande medianità. Da allora Ravaldini ha sempre studiato e ricercato grandi medium e gli incontri straordinari non gli sono certo mancati: Cerchio Firenze 77, Entità A, Demofilo Fidani, fino all'ultima medium, Letizia Dotti, che firma il libro insieme a lui. Fondamentale nella sua vita, per le conseguenze che ha avuto, è stato il rapporto con quel grandissimo esperto di metapsichica che era il dottor Gastone De Boni di Verona, allievo ed erede di Ernesto Bozzano; morendo nel 1986 De Boni lasciò a Ravaldini la sua grande biblioteca che, ampliata e ben catalogata, è divenuta la Fondazione- Biblioteca Bozzano-De Boni di Bologna, un'istituzione unica, specializzata nelle tematiche della ricerca psichica. Alle sue affascinati vicende di studio e di ricerca si alternano nel libro le vicende umane e personali di Ravaldini: le donne che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita, il matrimonio, le amicizie. Una lettura piacevole, avvincente, sempre pervasa dai profondi convincimenti di Ravaldini: esiste una vita dopo la morte, esiste un aldilà. Convincimenti che la sua esperienza in campo medianico ha reso granitici.
LinguaItaliano
Data di uscita6 feb 2015
ISBN9788827225912
Il Progetto della mia anima: Una vita a contatto con la medianità
Autore

Silvio Ravaldini

Fin da bambino è stato coinvolto in fatti eccezionali con un medium non professionista che ha prodotto tutti i fenomeni dell’alto medianismo. Ha sperimentato e studiato altri medium eccezionali come Corrado Piancastelli, Roberto Setti e Demofilo Fidani. Premio per la Parapsicologia (insieme a Paola Giovetti) della SVP (Schweizerischen Vereinigung für Parapsychologie), ha pubblicato Realtà e Mistero, Ernesto Bozzano e la ricerca psichica (Edizioni Mediterranee), nonché relazioni e articoli vari. Direttore della rivista Luce e Ombra, è presidente della Fondazione Bibiloteca Bozzano-De Boni che opera a Bologna con giornate di studio e conferenze.

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    Il Progetto della mia anima - Silvio Ravaldini

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    IL PROGETTO DELLA MIA ANIMA

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    Una vita a contatto con la medianità

    SILVIO RAVALDINI

    con la collaborazione di Letizia Dotti

    Presentazione di Paola Giovetti

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    Copyright

    IL PROGETTO DELLA MIA ANIMA- Una vita a contatto con la medianità

    di SILVIO RAVALDINI

    con la collaborazione di Letizia Dotti

    Presentazione di Paola Giovetti

    ISBN 978-88-272-2591-2

    Prima edizione digitale 2015

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

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    Dedica

    A Letizia, ponte celeste,

    con grande affetto e animo grato,

    perché ha fatto scendere dal loro paradiso

    le persone care e straordinarie della mia vita,

    in particolare le mie tre donne

    Stella, Teresa, Anna,

    riportandole vive e vere accanto a me.

    Silvio

    Ringraziamenti

    Un particolare ringraziamento agli amici

    Massimo Biondi, Marcello Carraro, Elena Bianco e Rita Lupi

    che hanno curato e messo a punto la stesura di questo libro anche con ricerche,

    e con immensa gratitudine alle Guide Spirituali

    per i loro preziosi consigli.

    Presentazione di Paola Giovetti

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    Abbiamo in Italia un grandissimo esperto di medianità: Silvio Ravaldini, l’Autore di questo libro. Esperto non sulla carta, ma sul campo: perché Ravaldini ha visto e sperimentato tutto quello che nell’arco della sua ormai lunga vita era possibile vedere e sperimentare.

    Una vita segnata fin dai primissimi anni da un singolare destino: in casa sua, quando lui era ancora un bambino, si tenevano sedute di altissimo livello con un medium capace di produrre tutta la più eclatante fenomenologia fisica e intellettuale tipica della grande medianità. Le sedute continuarono per molti anni e Ravaldini ebbe il tempo di crescere, di partecipare consapevolmente e di protocollare ogni cosa. Il suo destino era segnato: da allora Ravaldini ha sempre studiato e ricercato grandi medium e gli incontri straordinari non gli sono certo mancati: Cerchio Firenze 77, Entità A, Demofilo Fidani; fino all’ultima medium incontrata e frequentata, Letizia Dotti, che firma il libro insieme a lui.

    Fondamentale per le conseguenze che ha avuto fu l’incontro con quel grandissimo esperto di metapsichica che è stato il dottor Gastone De Boni di Verona, allievo ed erede di Ernesto Bozzano; morendo nel 1986 De Boni lasciò a Ravaldini la sua grande biblioteca che, ampliata e ben catalogata, è divenuta la Fondazione Biblioteca Bozzano-De Boni di Bologna, un’istituzione unica, specializzata nelle tematiche della ricerca psichica, seconda per importanza solo alla Biblioteca dell’Istituto per le Zone Frontiere della Psicologia di Friburgo (Germania), una creazione del professor Hans Bender, cattedratico di parapsicologia presso la locale università.

    La sistemazione della Biblioteca di Bologna è uno dei grandi meriti di Silvio Ravaldini, che a essa si è dedicato con tutto se stesso.

    A tutte queste vicende di studio e di ricerca si alternano nel libro le vicende umane e personali dell’Autore: le donne che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita, il matrimonio, le amicizie. E infine, negli ultimi anni, gli incontri con persone care che se ne sono andate, resi possibili dalla medianità di Letizia Dotti.

    Tutto il libro è pervaso dai profondi convincimenti di Ravaldini: esiste una vita dopo la morte, esiste un aldilà. Convincimenti che la sua esperienza in campo medianico ha reso granitici. La vita, dice Ravaldini, è infinita e il passaggio terreno è uno dei suoi tanti aspetti. Nel proprio particolare destino Ravaldini legge un programma ben definito: parla infatti di tutta una serie di esistenze terrene in cui è stato coinvolto, che certamente hanno una loro logica ai fini dell’evoluzione che Dio ha previsto per ognuno di noi: il progetto dell’anima, appunto – il vero protagonista di questo libro.

    Un libro profondo e insieme di piacevolissima lettura, che fra gli altri meriti ha anche quello di far meglio conoscere un campo di studio e ricerca che ben pochi hanno avuto la ventura di frequentare con l’assiduità e la consapevolezza di Silvio Ravaldini.

    Paola Giovetti

    Premessa dell’Autore

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    Solitamente l’uomo non è fatto per leggere questo tipo di pagine, credere e accettarne il contenuto supinamente. Qui si tratta soprattutto di fenomeni oggettivi che scaturiscono da una lunga serie di sedute medianiche avvenute a Castelfiorentino, Roma, Firenze, Napoli, Ferrara e Bologna, con fenomeni prodotti da medium eccezionali, nelle quali sono stato in parte coinvolto fin da bambino e che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Ma la seduta medianica è per noi ancora un gran mistero.

    Secondo gli insegnamenti della medianità di alto livello intellettivo, che ho studiato e meditato per tutta la vita, ogni uomo nasce con un progetto, il progetto della propria anima, determinato dal proprio Spirito prima di entrare in un corpo fisico per compiere esperienze nel campo della materialità, al fine di attuare, o meglio continuare, il percorso della propria evoluzione spirituale. In questo progetto, non modificabile in linea di massima sul piano umano perché predeterminato nel mondo spirituale, si svolge il destino degli uomini.

    Si potrebbe supporre che questa sia un’ipotesi come tante che non hanno poi il supporto dell’oggettività, ma non ritengo sia così, perché le vicende della mia esistenza e di tante persone a me care mi confermano l’esistenza per ogni uomo di un progetto, di un destino. Sono vicende che sono state attentamente esaminate, vagliate, analizzate; vicende che nella maniera più assoluta non sono dipese dal caso, perché il loro svolgersi, il loro dipanarsi nel corso della vita indica consequenzialità logiche che s’intersecano l’una con l’altra, che si amalgamano l’una con l’altra. In queste pagine desidero renderne testimonianza.

    Alla domanda: Qual è il significato della vita, perché noi siamo qui?, le scienze meccanicistiche rispondono: Non vi è alcuno scopo né significato; la vita è nulla più che un prodotto accidentale di certe reazioni chimiche accadute su di un pianeta non dei maggiori: piante, animali e uomini sono solo macchine altamente complesse; mentre mente, coscienza e volontà sono semplici epifenomeni, che non hanno più significato del debole barlume del fuoco fatuo, che guizza per un istante nell’oscurità di un acquitrino¹. Ma io non ritengo che le cose stiano così. Le vicende della mia avventura-soggiorno sulla Terra mi danno un altro tipo di lettura.

    La mia vita, risultato e continuazione di vite precedenti, è una tappa della mia infinita evoluzione che doveva obbligatoriamente svolgersi a contatto con i fenomeni paranormali, soprattutto con la medianità: e così è stato. Questo almeno è il fatto preminente. Ma tanti altri eventi hanno costellato la mia esistenza, intrecciata anche con quella di altri esseri, con i quali esistevano, esistono ed esisteranno progetti di natura spirituale da compiere insieme. Questi progetti saranno a mano a mano attuati e condotti a termine nei nostri percorsi evolutivi, che si realizzano nell’universo materiale e in quello spirituale, come si vedrà dallo svolgimento del mio percorso, molto, molto diverso da quello di tanti altri uomini, perché ogni uomo ha il proprio programma, il proprio destino, e ogni progetto è diverso da quello degli altri.

    Questi programmi, questi destini, sono evidenziati per coloro che vogliono avvicinarsi a certe verità distanti dalla cultura e dal credo comuni. È difficile da parte dell’uomo accettare qualcosa di diverso da quello che gli è sempre stato detto, attraverso lo studio, attraverso le filosofie, attraverso le religioni. Ciascun uomo ha una sua idea del mondo: crede che il mondo della Terra e il mondo dello Spirito siano fatti in un certo modo (i modelli teologici, filosofici, tradizionali ecc.), oppure che non esistano affatto come elementi spirituali. L’uomo talvolta si trova di fronte a crisi interiori semplicemente perché non sa esattamente qual è la verità e come stanno le cose.

    Questo scritto, o meglio i fenomeni che ne formano l’ossatura, le problematiche che ne derivano pongono ciascuno di noi di fronte a un’alternativa: o credere o negare totalmente tutto! Non esistono vie di mezzo, né soluzioni di comodo!

    Una verità altra e diversa diventa difficile da accettare quando determinate nozioni sono state acriticamente recepite attraverso convenzioni millenarie. Diventa difficile accettare qualcosa di diverso da quello in cui crediamo quando ormai dentro di noi, per eredità storiche, per lunga comunanza con certe idee, abbiamo soluzioni e formule già belle e concluse, per cui siamo riusciti a catalogare tutto, anche la presunta vita dell’aldilà, secondo leggi che noi stessi abbiamo inventato e che continuiamo a difendere strenuamente.

    D’altra parte riteniamo che a tutti convenga sapere certe cose, affrontare certi problemi, con la coscienza di una vita che non deve essere spesa inutilmente continuando a fare le mille cose vane e banali delle nostre giornate.

    Io sono convinto che quando pensiamo, quando veramente affrontiamo i problemi dell’essenza e dell’esistenza, allora e solo allora mostriamo di essere uomini intelligenti e di possedere quello che viene negato a priori: lo Spirito. Negli altri momenti della giornata, quando semplicemente viviamo, non siamo esseri spirituali ma soltanto un complesso biologico che cammina, si muove e crede di pensare, ma dentro di sé non ha che un’esistenza mentalmente vegetativa, di pura conservazione e sopravvivenza biologica e abitudinaria.

    Noi siamo esseri spirituali solo quando affrontiamo le ragioni della vita; quando di queste ragioni facciamo un’esperienza, quando l’esperienza ci modifica dentro e quando nell’interiorità avvertiamo di non essere semplicemente esseri biologici, ma anche possessori di quel quid che ci fa diversi dalle altre forme di vita. È solo allora che possiamo dare una giustificazione alla nostra vita. È bene domandarsi qualche volta "Chi sono io?", riguardando, ricapitolando le nostre azioni, che non dovrebbero essere improntate solo alla materia che ci ricopre e ci racchiude, o alle esigenze biologiche animali. Dovremmo elevarci al di sopra di quelle e ascoltarci, per sentir pulsare dentro di noi quella che definiamo la nostra anima, la nostra interiorità. Coloro che così non fanno usano la propria vita soltanto per penetrare la parte più superficiale dell’esistenza, perché in loro non c’è, appunto, un’attività di intelligenza superiore, ma si muove soltanto quell’intelligenza psichica che esiste più o meno identica anche negli esseri animali, che non sono – come io ritengo – illuminati da una presenza spirituale.

    Dice la sapienza antica: "Conosci te stesso e conoscerai l’Universo e Dio". Non è facile raggiungere simili traguardi, ma almeno possiamo cercare di avvicinarci a essi, qualificando la nostra vita, non lasciandola trascorrere inutilmente inseguendo soltanto un falso rispetto di sé e un falso rispetto degli altri, condizionando tutta la nostra attività a una serie di fatti, a una serie di leggi, a una serie di convenzioni che non hanno riscontro nell’attività profonda della nostra interiorità – noi diciamo dello Spirito – e che servono soltanto per far continuare un processo biologico, sociale e storico di cui non ci rendiamo conto nemmeno vagamente, e di cui finiamo con l’essere semplici pedine, più o meno inutili.

    Affrontiamo questa vita apparentemente senza nulla sapere a livello cosciente, perché le pagine del nostro quaderno, sul quale si registrano gli eventi dell’esistenza umana, sono immacolate e dobbiamo scriverle ex novo. Ricordiamoci però che, secondo certe teorie scaturite da insegnamenti medianici di alto livello intellettivo, gli atti che compiamo, le nostre esperienze rimangono indelebili nell’universo infinito (il pozzo cosmico), ove tutto esiste e nulla potrà cambiarli o cancellarli. Dice, infatti, il poeta persiano Omar Khayyām:

    La mano avanza e scrive,

    e quando ha scritto procede.

    Né tutta la tua pietà

    né il tuo ingegno

    la indurranno a tornare indietro

    o a cancellare un solo mezzo rigo;

    né tutte le tue lacrime

    ne laveranno via una sola parola [...].

    E Pietro Ubaldi, nel Commiato al suo volume La Grande Sintesi (Edizioni Mediterranee, Roma, 1980) scrive: "Tutti vi attende un giudizio finale, non per opera di un Dio a voi esteriore che si possa ingannare o intenerire. Esso è una Legge onnipresente nello spazio e nel tempo, la cui reazione non vi è distanza o attesa che possa fermare, a cui non si sfugge perché è dentro di voi, com’è in tutte le cose. Si può evitare o ingannare la legge di gravitazione?

    Così non si evita e non s’inganna la reazione della Legge, la Giustizia Divina".

    NOTA

    Il linguaggio delle comunicazioni medianiche trascritte in questo testo è stato lasciato volutamente originale nelle sue modalità espressive, strutturali, sintattiche ecc.

    PARTE I

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    1. I miei primi anni

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    Mio padre, romagnolo, e mia madre, toscana, si sposarono nel 1925 a Savignano di Romagna, Forlì, oggi Savignano sul Rubicone (FC). Erano tempi duri, la vita era difficile e la miseria si faceva sentire. Poi, forse in cerca di lavoro, la famiglia di mio padre al completo (nove persone) emigrò a Genova, dove io nacqui il 6 dicembre di quello stesso anno. Ho il vago ricordo di una casetta alla periferia della città e di piccole passeggiate con mio padre, al quale mi sentivo legato da un sentimento molto profondo.

    Mia nonna materna ebbe otto figli, due dei quali morirono bambini e altri due se ne andarono a poco più di vent’anni. Fra questi ultimi ve n’era uno, Bruno, ritenuto da tutta la famiglia un piccolo genio: sapeva disegnare, aveva imparato da sé la musica e componeva. Fra le sue carte era stata trovata una marcia funebre che un nostro amico di famiglia ogni tanto suonava con il mandolino e fino al tempo della seconda guerra mondiale quella composizione era ancora presente in casa mia, poi è andata perduta. Bruno soffriva di crisi depressive, ma a quel tempo i medici ben poche cure conoscevano per tale malattia. Accadde che lo zio Brunino (così era da tutti chiamato in famiglia) venisse per qualche giorno a Genova, per stare un poco insieme con sua sorella (mia madre), e fu in quel tempo che successe una grande tragedia: caduto in depressione, decise di farla finita e si avvelenò, ma si pentì subito del gesto, tanto che corse in una farmacia per chiedere aiuto. A nulla valsero le cure; morì dopo una lunga agonia in ospedale. Io ero ancora in grembo a mia madre, ma essa soffrì molto per l’accaduto e di conseguenza ne soffrii anch’io, perché poi, da grandicello, ogni volta che lei ricordava i particolari di quell’episodio doloroso avevo sempre un sussulto e sentivo dentro di me che quei momenti li avevo vissuti anch’io.

    Tutti i fratelli e una sorella di mio padre trovarono lavoro stabile a Genova, ma lui, che era considerato anche un buon falegname, eccetto qualche lavoretto saltuario nulla trovò di conclusivo, forse perché era apertamente antifascista. Non so come facessero i miei genitori, con un figlio piccolo, a sbarcare il lunario.

    A un certo punto io fui colpito da una malattia infettiva e mi ricoverarono in isolamento nel reparto di un ospedale ove non erano ammessi i genitori, che potevano vedere i figli soltanto da un oblò di vetro. Io avevo due o tre anni e piangevo in continuazione perché volevo la mia mamma e mi ero strappato buona parte dei capelli. Poiché la degenza in quel reparto si prolungava, forse più del necessario e forse io ero già guarito, un giorno un’infermiera sussurrò all’orecchio di mia mamma: Signora, se vuol bene a suo figlio lo porti via, lo riporti a casa, al più presto. Mia madre non se lo fece ripetere due volte, firmò e mi fece uscire da quell’ospedale. Chissà, forse i medici stavano facendo degli esperimenti, tanto che alla richiesta di mia madre non opposero grande resistenza.

    Questa fu una prima prova dolorosa per un bimbo ancora molto piccolo. Le peripezie però non erano finite, perché mia madre si ammalò e i medici consigliarono di farmi allontanare. Fui affidato alla nonna materna, in Toscana. Ancora una separazione con le conseguenze dolorose che si possono immaginare. Con il tempo, comunque, mi affezionai alla nonna e quando mia madre, guarita, tornò a riprendermi fu un altro dolore, perché non la riconoscevo più; per me era diventata un’estranea.

    La situazione del lavoro per mio padre a Genova non si risolveva. Allora mia madre si appellò a un suo fratello, Gino, che abitava a Castelfiorentino (FI), in Val d’Elsa, paese dove vivevano anche i suoi genitori ormai molto anziani. Presso la stessa distilleria locale dove lavorava lo zio Gino fu trovato un lavoro da falegname per mio padre e così da Genova ci trasferimmo a Castelfiorentino. Era il 1929 o il 1930, non lo so con esattezza. Questo però faceva parte integrante della mia vita; era un tassello del mio destino che cominciava a dipanarsi.

    Prendemmo alloggio in un piccolo appartamento privo di luce elettrica e di acqua corrente, che il proprietario affittava a prezzi stracciati. Mia madre ogni sera accendeva il lume a petrolio e di questo fatto mi è rimasta impressa la scritta sul tubo di vetro cristallo di rocca, anche se non ne comprendevo il significato. Mio padre si rivolgeva alla mamma esprimendosi di solito in dialetto romagnolo; appresi anch’io un poco questa lingua così ostica, così distante dalla bella parlata toscana.

    Nel 1931 cominciai a frequentare la scuola elementare, con un buon profitto. Mi ricordo che svolgevo dei piccoli temi apprezzati dagli insegnanti, i quali mi mandavano a leggerli nelle altre classi: un’usanza che credo si sia oggi perduta.

    Mio zio Gino abitava con la famiglia e i genitori in un appartamento signorile, in affitto. Era direttore amministrativo della distilleria dove aveva trovato lavoro a mio padre e godeva della piena fiducia dei proprietari, che lo portavano, come si suol dire, in palmo di mano. Ma per una serie di eventi dolorosi in seno alla sua famiglia perse il posto, rimase senza lavoro e dovette affittare un appartamento più a buon mercato, con acqua corrente e luce elettrica. Per il contraccolpo lo zio si ammalò e dovette essere ricoverato in una clinica per malattie nervose.

    Il nuovo appartamento dello zio era molto grande (dieci stanze) e noi fummo invitati a stare con loro. I miei genitori accettarono con gioia, anche perché non ci sarebbe stata più la fatica (abitavamo all’ultimo piano) cui doveva sottoporsi mia madre, in stato di avanzata gravidanza, per procurarsi l’acqua dalla fontana pubblica con grossi recipienti con il manico, chiamati nel linguaggio locale mezzine.

    Nel frattempo mio padre si era ammalato seriamente (insufficienza mitralica con scompenso cardiaco) e lavorava a fatica, ma continuava perché aveva moglie, un figlio piccolo (io) e un altro che sarebbe nato a breve. Allora gli operai erano poco protetti e mancavano le tutele per le malattie che esistono oggi. Quel fatto purtroppo gli fu fatale. A un certo punto dovette interrompere il lavoro e negli ultimi tempi se ne stava per lo più a letto con la bombola dell’ossigeno a portata di mano. Se ne andò un giorno del mese di ottobre del 1933 ancora molto giovane, a 33 anni. Io non avevo ancora compiuto otto anni e mio fratello sarebbe nato un mese dopo. Subito dopo la sua morte, mia madre piangeva e diceva che non avrei più rivisto mio padre. Io non capivo bene, il concetto della morte mi era estraneo, e fu soltanto dopo qualche tempo che compresi che papà se n’era andato e non sarebbe più tornato. Il bel legame che mi univa a lui si era interrotto per sempre; sentii un gran vuoto dentro di me e sensazioni proprio dolorose che non è possibile descrivere. Soffrii molto. Conseguentemente, queste alterazioni di natura psichica mi causarono una malattia della pelle, di origine psicosomatica, che mi sono poi portato dietro per tutta la vita.

    Io continuavo a frequentare la scuola, ma

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