Un muro di parole: L'arte di parlare senza dire niente di sé
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niente, o peggio ancora viene usato per mascherare le proprie vere intenzioni, non di rado nemmeno note a chi le esprime. Un muro di parole viene eretto tra me e l’altro, affinché l’altro, assieme a me stesso, non possa penetrare nei meandri della mia coscienza.
Compito della realizzazione della nostra evoluzione è quello di abbattere questo muro di parole, e di restituire al linguaggio e alla comunicazione tutta la sua potenza archetipica e veramente comunicativa, in un mondo che è di fatto una rete di relazioni.
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Anteprima del libro
Un muro di parole - Massimo Rodolfi
Prefazione
In realtà questo libro, come spesso mi accade, è un fuori programma. Il mio programma di scrittura è veramente molto ampio e ho un sacco di titoli nel cassetto, ma parrebbe essere buona norma il fatto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il riuscire poi a scrivere. E allora a volte seguo dei lampi che mi arrivano così all’improvviso, dando la precedenza all’inaspettato su quello che invece da anni vorrei scrivere. In questo caso l’ispirazione nasce dall’osservazione del comportamento di persone, anche molto intelligenti, che ho osservato per un certo periodo, rendendomi conto che nel loro affabulare usano abilmente le parole a fiumi, ma senza mai dire veramente niente di sé nel modo più assoluto.
Ho proprio avuto l’impressione che le parole diventassero un muro che impedisse il contatto con emozioni e sentimenti, sia in entrata che in uscita. Poi ho allargato lo sguardo e ho notato che non era un comportamento elitario, ma una modalità abbastanza diffusa e che, nonostante i miei quasi quarant’anni di insegnamento esoterico, e di studio della struttura della coscienza umana, non avevo mai trattato approfonditamente. Ecco allora che mi ci sono ficcato a modo mio, come faccio di solito, che se devo scrivere non posso farlo a pezzi, ma mi barrico in casa e scrivo di seguito, e magari in dieci giorni completo un libro.
Poi, visto che fin da piccolo facevo venire l’esaurimento ai miei genitori perché non avevo mai finito di chiedere perché, e non chiedetemi perché, ho l’abitudine, quando tratto un argomento, di cercare di risalire alle sue cause più remote, per cui non stupitevi se, per parlare di determinati aspetti della comunicazione umana, il primo capitolo di questo libro si intitola In principio era il Verbo. Infatti non credo che si possa prescindere, per capire come e perché comunichiamo tra umani, dal comprendere che la realtà stessa, e la sua creazione, è un atto vibratorio, assimilabile, alla parola, all’emozione, al pensiero. Così come non si può prescindere dal parlare della condizione umana allo stato attuale e della sua relazione con il linguaggio, visto come precipitazione di archetipi esistenti sui piani elevati della vita. In fin dei conti la vita è rivelazione, anche nel senso di Sruti, così come la intende la tradizione vedica.
Nell’evoluzione dell’umanità si deve considerare la verifica dell’assioma che l’essere umano sia un animale sociale. Appare evidente il bisogno comunicativo dell’uomo, ma in realtà quanto aderisce consapevolmente al fatto che la vita è veramente una? O quanto piuttosto l’umanità non stia seguendo le sirene ammaliatrici di un transumanesimo che ci vuole immettere in una rete comunicativa non umana, basata sulla singolarità cibernetica?
La considerazione dell’empatia dovrebbe riportarci sul retto cammino evolutivo, liberandoci dei parassiti transumanisti, che più che transumani sono in realtà disumani e antiumani. Ma poi l’essere umano è consapevole del perché e del come usa la parola? Quanto giocano esigenze di potere, piuttosto che il bisogno di attenzione, o altre distorsioni simili?
Ecco allora che si arriva al muro di parole, quello che usiamo per non mostrarci, la più grande opera di camouflage delle nostre incarnazioni, che dimostra che fino a quel punto non ce n’è importato un granché degli altri, essendo noi soprattutto attenti a noi stessi, alla nostra figura. Ma se il quarto regno di natura è per natura imperfetto, è anche vero che percorrerne tutte le sue tappe ci fa uscire gradualmente dai limiti di una materia ancora densa e poco reattiva allo Spirito, fino al momento in cui, in modo naturale, cominceremo a ricercare il bello, il buono e il vero, e questo significherà cominciare a sgretolare quel muro di parole che costruiamo apparentemente per difenderci dal mondo. Pensiero, parola e azione inizieranno allora a coincidere, fino alla coerenza assoluta che il Samadhi comporta, ma allora saremo uno con la vita, in realtà come siamo sempre stati, ma finalmente lo sapremo anche noi.
1. In principio era il Verbo
Gv 1, 1-18 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. Così comincia il Vangelo di Giovanni, quello più esoterico ed occulto dei quattro Vangeli canonici, testimoniandoci con queste semplici parole ciò che nella fisica contemporanea è divenuta un’acquisizione, ossia che tutto quello che esiste altro non è se non energia, vibrazione, frequenza, in definitiva ‘il Verbo’. Per me poi, che sono sempre stato tacciato di eclettismo, è veramente un attimo trovare delle impressionanti similitudini tra la narrazione di Giovanni e la visione vedica della cosmogenesi, oltre che alle coincidenze con la fisica contemporanea.
Il Tao della fisica di Fritjof Capra risale al 1975 e fu un piacere per me, ventenne desideroso di acquisire tutto lo scibile mondiale, trovare conferma rispetto a quello che già pensavo da tempo, ossia che in fin dei conti le antiche scuole di pensiero avevano descritto la creazione, e la struttura della realtà, in maniera molto precisa, anche se con un linguaggio diverso da quello della fisica contemporanea. Il problema è sempre stato quello di mettere in comunicazione due ambiti del pensiero mondiale, quindi in fin dei conti un problema di comunicazione. Non è sempre stato così in verità nella storia del mondo, perché per lungo tempo vi è stata coincidenza tra ricerca spirituale e indagine della realtà. I problemi nascono certamente con l’erezione di muri di parole tra i vari approcci alla vita, dominati, come in ogni campo umano, dalle personalità di un’umanità fondamentalmente imperfetta e malata.
Il percorso evolutivo umano è di fatto un percorso di guarigione, come ho descritto in un mio recente libro, Prigionieri di se stessi, il vero destino degli esseri umani. Tutto il nostro passaggio, vita dopo vita, nel quarto regno di natura è una progressione verso la liberazione dai limiti che la vita umana comporta. Questi limiti sono di fatto percettivi, perché ci impediscono di aderire alla natura essenziale della vita, ma d’altronde nel vivere i limiti sta proprio il nostro compito di esseri umani, il nostro contributo alla trasformazione della coscienza del pianeta. Il fatto però che la nostra percezione sia limitata fondamentalmente alla dimensione fisica è il nostro vero problema, perché ci impedisce di vedere direttamente, e di conseguenza comprendere, il senso della vita, la consequenzialità tra causa ed effetto, e la sua intima struttura.
In ogni caso la natura vibratoria della creazione pare essere una cosa accettata veramente da tanti punti di vista, così come il fatto che l’universo nasca come passaggio da uno stato potenziale a uno manifesto, con l’emissione di un grande quantitativo di energia che ha diffuso vibrazioni in ogni direzione, dando vita allo spazio e al tempo, e di seguito a tutto ciò che conosciamo. Quindi, sia che lo chiamiamo Big Bang, o Verbo, o respiro di Brahma piuttosto che danza di Shiva Nataraja, o magari Tao dal quale emerge l’Uno che dà vita al Due, da cui nasce il Tre e da lì le Diecimila Cose, o metti pure che sia il Nun, l’Oceano Primordiale degli antichi egizi, dal quale emerse la Pietra Ben Ben, sulla quale il dio Atum iniziò il processo generativo da se stesso, masturbandosi, alla fine quello che queste diverse tradizioni raccontano è lo stesso fenomeno di creazione dell’universo.