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Ramana Maharshi: VITA E INSEGNAMENTI - La prima biografia di riferimento
Ramana Maharshi: VITA E INSEGNAMENTI - La prima biografia di riferimento
Ramana Maharshi: VITA E INSEGNAMENTI - La prima biografia di riferimento
E-book251 pagine3 ore

Ramana Maharshi: VITA E INSEGNAMENTI - La prima biografia di riferimento

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Info su questo ebook

La prima biografia di uno dei più grandi saggi dell’India contemporanea, un’opera di riferimento scritta mentre il Maharshi era in vita da Sri Narasimha Swami, uno dei primi e più vicini discepoli del Saggio di Arunachala, che si unì a lui negli anni Venti, nel periodo di Skandashram. All’epoca Ramana Maharshi viveva in una grotta e aveva vicino a sé non più di quattro o cinque discepoli permanenti.
I fatti salienti della sua vita, i dialoghi e i monologhi (quando evoca alcuni eventi) provengono dalla bocca stessa del Maharshi, fedelmente riportati da Narasimha Swami. Prima di essere pubblicata, questa biografia fu preliminarmente letta e corretta dal Maharshi stesso.
Narasimha Swami convinse il Saggio a evocare con molti dettagli la sua infanzia, l’esperienza di morte a Madura, la partenza dalla dimora di famiglia, gli anni di ascesi nel tempio di Tiruvannamalai e altrove, poi nelle grotte della montagna sacra di Arunachala, i rapporti con alcuni sadhu malevoli, gli incontri…
Vi si troveranno anche dei satsang inediti con i primissimi discepoli occidentali – il maggiore Humphreys e Paul Brunton – oltre che con i suoi fratelli spirituali indiani.
Una narrazione particolarmente vivida che illustra anche con grande realismo l’India rurale, tradizionale e religiosa del XX secolo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788827228906
Ramana Maharshi: VITA E INSEGNAMENTI - La prima biografia di riferimento
Autore

B.V. Narasimha Swami

B.V. Narasimha Swami fu il discepolo e biografo che incontrò Ramana Maharshi negli anni Venti e rimase al suo fianco finché questi lasciò il corpo.

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    Anteprima del libro

    Ramana Maharshi - B.V. Narasimha Swami

    Introduzione

    Se Ramana mi avesse raccontato

    Ecco finalmente Self-Realization, la vita e gli insegnamenti di Ramana Maharshi¹, prima biografia di uno dei più grandi saggi dell’India contemporanea. È un’opera di riferimento, scritta mentre il Maharshi era in vita da Sri Narasimha Swami, uno dei primi (e a lui più vicini) discepoli del saggio di Arunachala, che si unì a lui negli anni Venti, nel periodo di Skandashram. All’epoca il saggio viveva in una grotta, e aveva vicino a sé non più di quattro o cinque discepoli permanenti.

    I fatti salienti della sua vita, i dialoghi e i monologhi (quando evoca alcuni eventi) provengono dalla bocca stessa del Maharshi, fedelmente riportati da Narasimha Swami. Questi interrogò anche i suoi discepoli e i fratelli spirituali (guru-bai) della prima ora, in particolare Seshadri Swami, chiamato il folle di Tiruvannamalai, e Sri Kuzhumani Narayana Shastri. Si tratta, pertanto, di un testo di primissima mano, qui proposto per la prima volta. Prima di essere divulgato nel 1931, venne preliminarmente letto e corretto dal Maharshi. Self-Realization fu ripubblicato numerose volte.

    Narasimha Swami indusse il saggio a evocare con molti dettagli la sua infanzia, l’esperienza di morte a Madura, la partenza dalla dimora di famiglia, gli anni di ascesi nel tempio di Tiruvannamalai e altrove, poi nelle grotte della Montagna sacra di Arunachala, i rapporti con alcuni sadhu malevoli, gli incontri…

    Vi si troveranno anche dei satsang inediti con i primissimi discepoli occidentali, vale a dire il maggiore Humphreys e Paul Brunton, oltre che con i suoi fratelli spirituali indiani Seshadri Swami (uno dei Maestri della folle saggezza di Tiruvannamalai), il celebre Sivaprakasam Pillai e le risposte del saggio alle sue quattordici domande (1902), l’erudito Ganapati Sastri, Natesan Mudaliar, Ramaswami Iyer, la prima discepola donna Echammal… A Madurai, Trichuzhi, Madras ecc., Narasimha Swami incontrò anche i primi discepoli del Maharshi e altri che fecero appello ai loro ricordi di primissima mano, oltre che a toccanti aneddoti riguardanti il rapporto del saggio con gli animali, che di per sé costituisce un insegnamento.

    Sebbene sia stato necessario sintetizzare alcuni capitoli concernenti i primi e più vicini discepoli del Maharshi, lungi dal costituire una digressione essi mettono in luce altri aspetti della sua vita e quindi dei suoi insegnamenti, come anche il modo che aveva di insegnare senza insegnare a ognuno di loro. Su tale argomento si veda l’osservazione in chiusura di questa introduzione.

    Tutti i grandi Maestri indiani contemporanei hanno avuto i loro discepoli-biografi (non agiografi): Sri Ramakrishna e Sarada Devi avevano Mahendra Nath Gupta (sotto lo pseudonimo di M) e Sorella Nivedita, la quale ultima scrisse anche di Swami Vivekananda; Ma Ananda Moyi ebbe Gurupriya Devi, Didi e Atmananda; il Mahatma Gandhi ebbe Miraben, e così molti altri. Per Ramana Maharshi si trattò di Narasimha Swami.

    Questa biografia, alla quale faranno riferimento tutte quelle che seguiranno, è particolarmente ricca e interessante, nel senso che possiede l’assoluta veracità e freschezza che solo un grande discepolo può avere nei confronti di un grande Maestro. La narrazione, molto vivace, non è appesantita da una moltitudine di date e giudizi personali. Vengono fornite unicamente le date importanti, e solo quando è necessario. In primo piano vi sono gli eventi fondamentali della vita di colui che fu successivamente Venkataraman (il nome della famiglia di Ramana), Brahmana Swami, il giovane Swami, Ramana, Maharshi e Bhagavan… e sono narrati con le stesse parole del saggio di cui Narasimha Swami si fece strumento fedele. Ed ecco davanti a noi un testo vigoroso reso con semplicità, alla Ramdas, ricco di aneddoti e insegnamenti. A tal fine, e per meglio distinguerle, le parole del saggio sono state rese in corsivo. Inoltre, abbiamo spesso optato per la forma neutra quando, nel corso della narrazione, il saggio parla di Lui o riferisce certi avvenimenti. Alla fine dell’opera sono riportate le date degli eventi salienti della vita di Ramana Maharshi, come già era stato fatto in un libro precedente su Henri Le Saux e Gnanananda, La Plénitude de l’Être (stesso editore).

    Spirito curioso, vivace e brillante, Narasimha Swami sviluppò una natura aperta e devota vicino al saggio e a contatto con Arunachala. Non esitò a confutare apertamente alcune visioni induiste ortodosse, che però il saggio riconciliò con infinita pazienza e bontà. Sri Kunju Swami, uno dei discepoli della prima ora, narra nei suoi Ricordi che Narasimha Swami voleva apprendere i punti complessi dell’Advaita-Vedanta. Ebbe la fortuna di ricevere l’insegnamento del Kaivalya Navanita², il quale fu completato nell’arco di una settimana presso il Maharshi, tra la sorpresa generale. In seguito il saggio formulò la seguente osservazione:

    Gli ashram e i math (monasteri) insegnano il Vedanta attraverso le opere poetiche tamil, ma soltanto dopo molti anni di manana (memorizzazione dei versetti) da parte dell’allievo. Tuttavia, che bisogno c’è di questo processo quando si tratta di persone dall’intelletto acuto quanto quello di Narasimha Swami?

    Sri Chakra Meru. Disegno di Sri Vaidyanatha Stapati, architetto del tempio di Matrubhuteswar (Sri Ramanasramam), verso il 1940.

    Replica dello Sri Chakra voluto in questo stesso tempio da Ramana Maharshi.

    Simbolo dell’unità di Shiva e Shakti.

    Era tutto dire per il saggio di Arunachala!

    Questo è il racconto particolarmente vivido di una vita alla ricerca del risveglio. Esso, inoltre, illustra con grande realismo l’India rurale, tradizionale e religiosa del XX secolo. Lo stile è fluido, gradevole, colorito, a volte lirico come spesso sono gli indiani che, in modo sempre appropriato, armonizzano il cuore e la mente, bhakti e jnana. Vi troviamo una grande freschezza, insieme a un’estrema umiltà e semplicità che siamo obbligati a rispettare. L’umorismo è presente quando adeguato (cap. 20). Se lo sguardo intelligente non fa concessioni, è anche molto lucido, ma sempre impregnato di comprensione ed empatia. Tutto il racconto – qualunque sia il tono adottato – è proteso verso la realizzazione del Sé. Sempre. E come poteva essere altrimenti, per un’opera che tratta della finalità più alta?

    Osservazione importante

    Perché vi sono tagli e parti compendiate?

    Dobbiamo tener conto del fatto che rispetto alla prima edizione del 1931, le successive, sempre a cura dello Sri Ramanasramam (di Tiruvannamalai), differirono per la lunghezza. L’ultima edizione del 2013 è la più lunga: 300 pagine. Notiamo anche che il testo originale è stato ripubblicato soltanto nel 2002, poi ancora negli anni 2007, 2010 e 2013. Come precisa Sri V.S. Ramanan, attuale presidente dello Sri Ramanasramam, nella Nota dell’editore (21/12/2002):

    …quest’ultima edizione rivista comprende il contenuto della prima, vale a dire i capitoli 1-27, e l’aggiunta di altri (28 e 29). Allo scopo di completare la biografia, ulteriori capitoli sono stati aggiunti alle edizioni precedenti.

    A quanto sembra, alcune parti sono state arricchite da materiale inedito.

    Tradurre tutto avrebbe significato pubblicare un volume di circa 500 pagine. Pertanto, principalmente per ragioni editoriali e di chiarezza narrativa per i lettori occidentali, quando ci è parso necessario abbiamo provveduto a sintetizzare alcuni capitoli. In tal caso il lettore troverà un compendio tra parentesi quadre in carattere diverso dal testo all’inizio del capitolo o all’interno del testo. Vogliamo sottolineare, tuttavia, che non abbiamo omesso nessuna delle parole di Ramana Maharshi.

    Ciò che è stato talora sintetizzato sono le vedute e le parole di Narasimha Swami, il discepolo, non quelle del Maestro. In tali casi il discepolo ha esposto ciò che ha visto e udito veramente, o creduto di intendere dal silenzio del Maestro stesso. Tali vedute personali, quando erano troppo lunghe, non sono state tradotte in toto, ma sintetizzate in modo da restare fedeli al pensiero del biografo. Si noterà anche che queste stesse idee sono riprese in altri capitoli, sotto una o l’altra forma. Sono più che altro episodi riguardanti la vita e le opere dei discepoli, dei visitatori dell’ashram o dell’entourage del saggio, episodi (spesso qui riassunti) che non figuravano sempre con la stessa lunghezza nelle edizioni posteriori.

    L’importante era dare al lettore occidentale un testo chiaro e conciso, senza perdere di vista il filo conduttore, pur mantenendo la fedeltà e il rispetto che si debbono alla presentazione originale di Narasimha Swami.

    Le parole e le espressioni tra parentesi quadre sono di Patrick Mandala.


    1 Titolo originale in inglese del presente volume, a cui si farà più volte riferimento nel corso del testo. N.d.R.

    ² Kaivalya Navanita: La crema della realizzazione del Sé, è un testo vedantico tamil (XV secolo) di Thandavaraya Swamigal, che visse verso il 1409 nella regione di Tanjore. Ramana Maharshi faceva spesso riferimento a esso. La traduzione dell’opera, da lui commentata, è in preparazione.

    Osservazione su Narasimha Swami: Sri V.S. Ramanan, l’attuale presidente del Sri Ramanasramam fa rilevare che – fatto eccezionale – Narasimha Swami, autore di questa biografia, fu istruito dallo stesso Maharshi sul Kaivalya Navanita in una settimana, mentre la sua comprensione richiede in genere un anno di studio. Ramana conosceva le grandi attitudini del suo discepolo.

    Narasimha Swami, brillante avvocato di Salem, dopo aver collaborato con il movimento di liberazione dell’India a fianco di Gandhi e Vinoba Bhave, si avvicinò al Maharshi verso il 1929, circa sette anni dopo che questi aveva lasciato la grotta di Skandashram e si era stabilito in quello che sarebbe divenuto l’attuale ashram. Narasimha Swami contribuì grandemente a far conoscere anche Seshadri Swami, il fratello maggiore di Ramana. Dotato di una natura devozionale e di un brillante intelletto, fu uno dei grandi discepoli del saggio. In seguito fondò un ashram a Madras (Mylapore), dedicato a Shirdi Sai Baba. Ha scritto anche tre volumi di riferimento su questo Maestro.

    Capitolo 1

    Chi era?

    Tiruvannamalai è un piccolo villaggio a nord della regione di Arcot [sud dell’India, Stato di Tamil Nadu] che raramente attira l’attenzione del mondo esterno. I suoi abitanti sono pacifici. Il tempio e la montagna di Arunachala sono sacri per gli indù, in particolare gli shivaiti. La festa più importante che attira le folle è quella di Karthikai (novembre-dicembre), che dura dieci giorni. Nel quinto si tiene una grande fiera del bestiame e le strade vedono sfilare giorno e notte la folla di pellegrini che si recano alle processioni del tempio, oltre a fuochi d’artificio, compravendite di animali ecc. La gente si raduna principalmente in tre punti: al tempio, alla fiera del bestiame e in un giardino nei pressi di Palitirtham. I primi due non necessitano di alcuna spiegazione. Ma il terzo cos’è? Diamo un’occhiata e vediamo cosa accade.

    Un flusso continuo di uomini, donne e bambini si riversa dalla strada, dirigendosi verso una piccola capanna. Chiediamo loro: Cosa c’è da vedere qui?.

    Su una pelle di tigre siede un uomo di corporatura media, di mezza età, dalla carnagione chiara, benché leggermente abbronzata dal sole, con testa e corpo non rasati, nudo a eccezione di un perizoma (kaupinam). È seduto come la statua di un filosofo greco, sereno e immobile, con lo sguardo tranquillo che non si concentra su nulla di particolare.

    Centinaia di persone stanno in piedi o sedute o passano davanti a lui, guardandolo negli occhi tutto il tempo. Lui non si muove, non batte le palpebre, non guarda altrove. Come è chiaro e luminoso! L’avete osservato attentamente? Quale calma, quale pace, e quale incrollabile fermezza! Verso quali profondità ci attira! Colui che, stanco della vita mondana e del vagabondaggio spirituale, si immerge in quello sguardo da cui emana un’infinita felicità riceverà da esso serenità e benessere. In verità, ciò che risplende nella Natura brilla anche i quegli occhi. È un eremita della foresta, uno spirito silvestre o un genio dei boschi e della montagna?

    Di fronte a lui è stata eretta una siepe di bambù per proteggerlo dal fervore della folla, e un gran numero di persone stazionano qui, sedute o in piedi, lasciando uno stretto spazio tra lui e la siepe che a malapena permette ai visitatori di passare. I nuovi arrivati si prosternano e tendono le loro offerte di noci di cocco, fiori, uva, zucchero di canna, canfora, incenso ecc. I discepoli che si trovano qui ricevono le offerte e ne restituiscono una parte al donatore come prasada (dono santificato). Il visitatore accetta con gioia, si inchina e poi subito fa il giro della capanna [in pradakshina]. Nessuna parola viene scambiata tra il saggio e i visitatori. Tutto si svolge nel più profondo silenzio. Questa scena impressionante si ripete per molte ore da mattina a sera.

    Il nostro interesse ne viene subito pienamente risvegliato, e quindi ci chiediamo: Chi è? Come è arrivato a essere così grandemente venerato – o meglio, adorato – da tante persone?.

    Capitolo 2

    Un tratto di famiglia

    Tiruchuzhi [o Tiruchuli, villaggio dei genitori] è un piccolo borgo a una quarantina di chilometri da Madurai e una ventina da Virudunagar, la stazione più vicina. Malgrado ciò, Tiruchuzhi non riceve visite di viaggiatori o politici. Persino gli inevitabili pellegrini e i sadhu vi si recano raramente. Molto prima che la South Indian Railway Company inaugurasse la linea Madurai-Rameshwaram nel 1902, Tiruchuzhi costituiva il punto abituale in cui si fermavano pellegrini e viaggiatori sulla strada principale tra Madurai e Rameshwaram, perché per chilometri in una direzione o nell’altra non vi erano altri villaggi con templi famosi, accoglienti chatram o alberghi. Il tempio di Tiruchuzhi è un solido fabbricato secolare, e il suo dio viene pregato nei classici canti tamil da[i santi alvar] Sundaramurthi e Manikkavachakar.

    Risaliamo indietro nel tempo di cinquant’anni per osservare Tiruchuzhi nel 1879. Potremmo definirlo un villaggio pieno di vita o una piccola borgata tranquilla, con circa 500 case. Tra queste vediamo quella di Sri Sundaram Ayyar [padre di Ramana], patrocinante (avvocato difensore). Fin dal mattino i clienti si accalcano nella sua dimora aperta a tutti, nella quale ogni straniero ha una sedia pronta per lui alla sua tavola. Essendo per natura un uomo cortese oltre che influente, il suo aiuto è molto ricercato. Perfino i criminali e i ladri di strada riconoscono le sue capacità e lasciano passare liberamente la sua carrozza. In linea di massima, Sundaram Ayyar è rispettato da tutti e conosciuto come una persona importante [il suo onorevole titolo è Vakil Ejaman].

    Vediamo non la sua posizione sociale e materiale, ma più che altro il suo carattere e le conoscenze che possiede, soprattutto in materia di filosofia, religione e spiritualità. È un uomo di carattere, determinato, resistente, che si è formato da sé e ha iniziato la sua vita a dodici anni con un modesto salario di due rupie come assistente contabile.

    Sri Sundaram Ayyar e Alagammal, genitori di Ramana Maharshi.

    In materia di spiritualità, cultura filosofica o devozione religiosa, Sundaram Ayyar non si distingue particolarmente da altri ricchi avvocati della sua epoca. Un officiante [pujari] visita regolarmente la casa per celebrare i riti familiari e offrire il cibo santificato. Occasionalmente ci si reca al tempio locale e di rado in casa si ascoltano sermoni, kalakshepam e letture di poemi epici, Purana e Itihasa: questo è tutto ciò che rientra nella religiosità di Sundaram Ayyar.

    Notiamo un tratto particolare della famiglia: in ogni generazione c’è un membro che lascia la sua dimora per farsi asceta [sannyasi]. Un interessante aneddoto narra che un giorno un rinunciante si recò presso la dimora ancestrale di famiglia, ma senza ricevere il rispetto dovuto a ogni sannyasi, neppure l’offerta di un po’ di cibo. Pertanto, se ne andò scagliando una maledizione: in ogni generazione, un membro della famiglia sarebbe divenuto un sannyasi e l’avrebbe lasciata in cerca di cibo. Non so dire se fosse una benedizione oppure una maledizione: il tempo lo stabilirà… Di certo Sundaram Ayyar non penserebbe mai che uno dei suoi figli possa rinunciare al mondo.

    Alla sua morte, nel 1892, lascia tre figli: Nagaswami, di quattordici anni, Venkataraman (Ramana) di dodici e Nagasundaram di sei (e una figlia, Alamelu, che ha soltanto cinque anni). Nessuno di loro mostra il minimo desiderio di lasciare il mondo e la sua

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