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In lode di Tara: Canti alla salvatrice
In lode di Tara: Canti alla salvatrice
In lode di Tara: Canti alla salvatrice
E-book578 pagine6 ore

In lode di Tara: Canti alla salvatrice

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Info su questo ebook

Tra tutte le divinità buddhiste il libro di Martin Willson è in lode della più amata, Tārā, la bella e spesso dispettosa. Come bodhisattva, sfidò la tradizione quando ottenne l’onniscienza con una forma femminile. Come divinità madre, incarna l’archetipo femminile presente in tutti noi e ha una grossa affinità con Demeter, Inanna e la Vergine Maria. Come divinità nel buddhismo tantrico, agisce veloce come un fulmine per aiutare quelli che si trovano nell’angoscia e per soddisfare i desideri di chi la supplica. Tārā la liberatrice, la più amata, esercita il suo fascino sui devoti da più di quattordici secoli. Proprio per questo, per secoli, la beata Tārā ha ispirato una parte della più bella letteratura buddista che sia mai stata scritta.
Il volume presenta una selezione di testi originali, privilegiando quelli che appartengono al Buddhismo indiano, l’origine comune delle molte tradizioni buddhiste e buddhismo tibetano. Sono stati tradotti in inglese direttamente dagli originali indiani e dalle traduzioni tibetane. Dall’inglese vengono resi per la prima volta in lingua italiana, dopo un lavoro durato dodici anni.
Il Tantra di Tārā, l'origine di tutti i riti
Tārā dea della Terra non è una leggenda o un’astrazione personificata. E' un Bodhisattva, è stata cioè una persona ordinaria che ha percorso il Sentiero del Bodhisattva: nascita dopo rinascita e attraverso la pratica tantrica ha raggiunto la perfezione realizzando la perfetta Illuminazione. E' quindi un Buddha Perfetto, un Essere Risvegliato all’Onniscienza apparso a innumerevoli devoti salvati dalla sua compassione in circostanze miracolose. Tārā è considerata la Madre di tutti i Buddha – una Dea Madre universale, espressione dell’archetipo femminile che riposa nelle menti di tutti noi e perciò risuona anche nei cuori di noi europei. La forma più conosciuta della divinità del Tantra buddhista è Tārā Verde, seduta su un trono di loto. Da questa emanano le 21 Tara in altrettanti aspetti diversi, ciascuna col proprio mantra e la propria energia divina.
Questa preziosissima raccolta di Martin Willson rappresenta forse l’enciclopedia più ampia su Tārā disponibile al mondo e certamente l’unica in Italia. Include una storia delle origini del Tantra di Tārā, testi canonici, testi per la pratica della meditazione e lodi liriche.
“Questo libro è un tesoro, eccezionale raccolta di preghiere e meditazioni indiane e tibetane incentrate su Tara”. Anne C. Klein, Rice University, autrice di Meeting the Great Bliss Queen. “In lode di Tara è uno scrigno di tesori. Offre informazioni, istruzioni e ispirazioni”. Sharon Salzberg, autrice di Lovingkindness. “I lettori troveranno l’innovativo lavoro di Willson indispensabile”. China Galland, autrice di Longing for Darkness: Tara and the Black Madonna. “Deliziosa, beata, confortante, protettiva e terrificante dea! Ogni biblioteca – ogni psiche – dovrebbe avere queste migliaia di canzoni, storie e lodi che ci collegano direttamente al sublime femminile. Lode alla meticolosa ricerca di Martin Willson”. Kate Wheeler, autrice di Not Where I Started From.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2019
ISBN9788827229682
In lode di Tara: Canti alla salvatrice
Autore

Martin Willson

Martin Willson si è laureato in radioastronomia all’università di Cambridge. Per dodici anni è stato monaco buddhista in Australia, Svizzera e Francia. Si è poi trasferito a Swansea, nel Galles del Sud. Ha pubblicato numerosi testi sul Buddhismo tibetano.

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    Anteprima del libro

    In lode di Tara - Martin Willson

    Com’è nata questa traduzione italiana

    Nel 2006, rientrati dall’iniziazione di Kalachakra conferita da Sua Santità il XIV Dalai Lama ad Amarvathi (India), venne organizzato all’Istituto Lama Tsong Khapa un ritiro di Ārya-Tārā Khadiravani, guidato dal Venerabilissimo Geshe Jampa Gyatso. Durante quel meraviglioso ritiro, un’anziana del Dharma mi diede questo libro di Martin Willson e ne fui subito folgorata. Portai il libro alla Ven. Joan Nicell, allora coordinatrice dell’MP e del BP, e le chiesi se poteva informarsi presso la casa Editrice Wisdom Publication per avere l’autorizzazione a tradurlo in italiano.

    Mentre parlavamo con la Ven. Joan, apparve all’improvviso Geshe Jampa Gyatso, il quale mi prese il libro dalle mani e con gli occhi scintillanti disse: Ah! Martin Willson, un mio caro amico!.

    Allora gli dissi che pensavo di farlo tradurre in italiano e Geshe reagì all’idea con un salto di gioia. Chi ha avuto l’immensa fortuna di aver conosciuto Geshe Jampa Gyatso, sa di cosa parlo.

    Così mi impegnai a portare fino in fondo questo progetto.

    Ci sono voluti 11 anni, abbiamo superato molte interferenze e ostacoli, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Con la traduzione di Davide Cova, le revisioni di Massimo Barbaro e della monaca Carla Freccero, con svariate preghiere e dediche, il libro ora è finalmente disponibile anche in italiano.

    Questa preziosissima raccolta di Martin Willson rappresenta forse l’enciclopedia più ampia su Ārya-Tārā disponibile in Italia. Ārya-Tārā, la donna completamente e perfettamente risvegliata, assieme alle sue molteplici emanazioni, rappresenta le attività illuminate di tutti i Buddha, essenziali più che mai, in questa epoca, per chiunque, ma soprattutto per chi vuole meditare sugli insegnamenti del Buddha.

    Anche i grandi meditatori del passato si sono sempre appellati a Tārā per chiedere protezioni e benedizioni. Proprio nella zona di Āmravathi, Arya Nagarjuna e i suoi figli meditavano in quelle foreste piene di pericoli, nel Nagarjunakonda (Andhra Pradesh), e difatti erano grandi devoti di Tārā Khadiravani. Questa emanazione di Tārā li proteggeva contro spiriti, animali feroci, scarsità d’acqua, malattie e altri ostacoli e interferenze.

    Per noi esseri di questo mondo, Ārya-Tārā sarà sempre più utile. Sarà sempre più importante essere sotto la sua protezione immediata. Quindi mi prostro ai suoi piedi di loto sette volte e prego che tutti voi, lettori, siate sempre sotto la sua protezione sublime, e presto liberati dal saṃsāra, proprio grazie all’aiuto di Ārya-Tārā, velocemente, velocemente, molto velocemente!

    Ringraziamenti anche ai piccoli e grandi sponsor: Maria De Ferrari, Gabriele Piana, Marco Parolin, Patrizia Zago, Luigi Carpineti, Daniela Zanella, Anna Beccarini, Luisa Brolli.

    Dedicato alla lunga vita di tutte le Guide Spirituali e al veloce ritorno di quelle Guide che hanno lasciato il corpo, in particolare dedicato al veloce ritorno del­l’ama­tissimo e ineguagliabile Venerabile Geshe Jampa Gyatso.

    Valentina Galli

    Sponsor principale e coordinatrice del progetto

    Introduzione

    Omaggio ad Ārya-Tārā!

    Tārā, la più amata tra le Divinità, la Salvatrice, ha esercitato il Suo fascino sui devoti da più di quattordici secoli, ispirando la parte più affascinante della letteratura buddhista. Questo volume ne presenta una selezione, tradotta dal sanscrito e dal tibetano. Possa essere d’aiuto alla pratica di coloro che già sono attratti dalla Madre Ārya e destare devozione in molti altri!

    CHI È TĀRĀ?

    Non si tratta di una mera leggenda o di una astrazione personificata, niente affatto, ma di un Buddha Perfetto, un Essere Risvegliato all’Onniscienza che è apparso a innumerevoli devoti, spesso salvandoli miracolosamente da circostanze disperate. Tre componenti principali contribuiscono a rendere Tārā come la conosciamo oggi: il Bodhisattva, la Madre Divinità e la Divinità tantrica.

    1. Tārā Bodhisattva

    Poiché il continuum mentale di un Buddha non può sorgere improvvisamente dal nulla, ma deve risultare dal continuum precedente di un essere non illuminato, Tārā in passato deve essere stata necessariamente una persona ordinaria, proprio come noi, la quale, praticando il Sentiero del Bodhisattva per un periodo di tempo inconcepibilmente esteso, nascita dopo nascita, è riuscita alla fine a realizzare la Perfetta Illuminazione. Il Prologo La descrive in un momento cruciale di questo divenire, quando prende i Voti del Bodhisattva di fronte a un Buddha di un passato molto remoto, al fine di operare per il beneficio degli esseri, fino a che il saṃsāra non sarà vuoto. Come altri Bodhisattva, aggiunge a questo generico voto il Suo voto specifico. Il Suo colpisce particolarmente: sfidando l’insegnamento tradizionale, secondo il quale dovrebbe prendere solo rinascite maschili da quel momento in avanti, prende invece il voto di lavorare per sempre per il beneficio degli altri sotto forma di donna. Questa decisione di natura pratica e di enorme ispirazione, La fa apparire in qualche modo molto reale e vicina a noi, che viviamo nel tardo ventesimo secolo, sebbene questo episodio sia dovuto accadere in un tempo inconcepibilmente remoto.

    La componente di Bodhisattva della natura di Tārā, che sorge da questo voto, consta e s’intesse di tre fili, indicati dai Suoi tre titoli principali.

    1a. La compassione del Signore Avalokita. Nella nostra era, Tārā si è rivelata all’umanità per la prima volta come un’emanazione del Bodhisattva maschile della Compassione, Avalokiteśvara. Se ne trova traccia nei miti, e si sostanzia nell’evidenza letteraria e archeologica¹. La storia comunemente conosciuta (p. 105-108) è che Tārā nacque da un loto sorto dalle lacrime di compassione di Avalokiteśvara; una versione tantrica, alquanto curiosa, appare nel Prologo (p. 28). Le prime immagini identificabili di Tārā, che risalgono al sesto secolo, La ritraggono come membro della triade seguente: Avalokiteśvara al centro, con Tārā alla Sua destra, che rappresenta la Sua Compassione, e la Divinità Sua sorella Bhṛkuṭī, alla Sua sinistra, a rappresentare la Sua Saggezza². Nelle Lodi tradotte in questo libro, Tārā viene salutata più di una volta con l’appellativo di Compassione di Avalokiteśvara. Dal momento che la Compassione è l’attributo principale di Avalokiteśvara, Tārā era di gran lunga la più importante delle due Divinità, e non fu necessario molto tempo perché venisse ritratta da sola nelle stesse funzioni di Avalokiteśvara.

    1b. Madre di tutti i Buddha. Ogni Bodhisattva deve raggiungere la totale completezza nella Compassione, ma anche nella Saggezza; l’unico modo per liberarsi dalla sofferenza è infatti percepire la Realtà. La Saggezza di Tārā viene enfatizzata dal Suo titolo Madre di tutti i Buddha, che La eguaglia alla Perfezione della Saggezza; si tratta di un nome che quella Perfezione ha portato fin dai primissimi Sūtra che lo hanno proclamato. La Saggezza può solo essere femminile, poiché è visione (superiore) della Vera Natura Ultima, o Vacuità, una e indivisibile, sorgente eterna e immutabile, terreno di tutto ciò che è. Tutte le Perfezioni che conducono alla Buddhità devono essere praticate con Saggezza, dunque è nell’utero della Perfezione della Saggezza che si nutre l’embrione della Buddhità, concepito dalla Mente dell’Illuminazione (Bodhicitta) al momento di prendere i voti del Bodhisattva.

    Se tutto ciò suona un po’ astratto e distante, è bene ricordare che anche noi saremo un giorno dei Buddha, dunque Tārā, Madre di tutti i Buddha del passato, presente e futuro, è anche nostra Madre, con tutta l’amabile vicinanza che questo comporta.

    1c. Salvatrice. Il nome Tārā, sebbene possa significare Stella, viene quasi sempre interpretato come la Salvatrice, Colei che guida / conduce al di là come dice Lei Stessa in I centootto nomi,

    Io, o Signore, guiderò [gli esseri] attraverso

    la grande inondazione delle loro varie paure;

    per questo gli eminenti veggenti cantano

    di me nel mondo chiamandomi Tārā.

    Secondo il Prologo, Tārā ha acquisito il Suo nome liberando infiniti esseri senzienti dal saṃsāra, collocandoli nei puri stadi del Bodhisattva.

    Ma persino nell’India medioevale, solo una minima parte della popolazione era realmente interessata a cercare la liberazione dal saṃsāra. La stupefacente popolarità del culto di Tārā era dovuta ai benefici mondani che offriva, era soprattutto famosa per salvare dalle otto grandi paure (o pericoli), elencate il più delle volte come: leoni, elefanti, fuoco, serpenti, ladri, prigionia, demoni acquatici e demoni mangiatori di uomini, conosciuti come piśāca. Attirava in particolar modo l’attenzione dei mercanti, che nei loro viaggi si trovavano spesso esposti a questi pericoli.

    Le incisioni nelle grotte dell’India occidentale, presso Ajaṇṭā, Aurangābād, Nāsik, Kānheri e Ellorā, illustrano bene l’evolversi di questo aspetto di Tārā³. Nel sesto secolo, è solo Avalokiteśvara che salva dalle otto grandi paure. In una tavola della fine del sesto secolo, Egli viene accompagnato da due Divinità, presumibilmente Tārā e Bhṛkuṭī, ma sono sempre piccole repliche del Bodhisattva maschile che vola in aiuto di chi si trova in pericolo. Nel settimo secolo, tuttavia, Tārā lo sostituisce in quel ruolo, rimanendo la sola a salvare dalle otto grandi paure, e diventa ben presto rinomata per questo, come possiamo vedere, dall’ottavo secolo in poi, dalle Lodi contemporanee di Candragomin e altri, e dalle incisioni presenti in altre parti dell’India. In effetti, la maggior parte delle Lodi a Tārā La ritraggono come la Salvatrice dalle Otto Grandi Paure, e alcune sono costruite su questo tema principale, e molti aneddoti (come quelli raccolti da Tāranātha, nella terza parte) rendono testimonianza della Sua potenza.

    L’aspetto esteriore delle otto paure non è tutto: queste possono essere prese simbolicamente, come nel canto del Primo Dalai Lama nella quinta parte, in cui sono rappresentate le paure interiori come orgoglio, oscurazioni, rabbia, invidia, visioni erronee, avarizia, attaccamento e dubbio. Ciò rende questa funzione di Tārā non solo più rilevante per noi, che vediamo i leoni e gli elefanti solo allo zoo, ma La rende parte del Suo compito reale in qualità di Salvatrice dal saṃsāra.

    2. Tārā la Dea Madre

    Il secondo tratto principale della personalità di Tārā è la forma buddhista della grande Dea Madre, fiorita in India da tempo immemorabile. Molti attributi di Tārā sono infatti presi in prestito dalle forme brahmaniche della Dea Madre, in special modo da Durgā, il cui culto era già ben radicato. Includono il titolo di Salvatrice e buona parte del Suo ruolo come Colei che salva dai pericoli, oltre a molti dettagli della Sua iconografia⁴.

    Mentre Tārā è senza dubbio una Dea Madre indiana, la Dea Madre è universale, un’espressione dell’archetipo femminile che riposa nelle menti di tutti noi. Per questo, Tārā risuona persino nei cuori di noi europei. La Madre non è estranea ai lidi dell’Europa; persino la società patriarcale romana adorava Demetra, Artemide e Iside, per non parlare di Cibele presso i Frigi, fino a quando tutte, e altre ancora, vennero sostituite dalla Vergine Maria⁵. Anche nel mondo britannico, le capricciose Cerridwen, Arianrhod e Blodeuwedd furono obbligate a cedere il passo alla morbida Maria, ma in nessun luogo Maria è stata adorata con maggior fervore che nella Merry England, con riti orgiastici di origine pagana, poi soppressi durante la rivoluzione puritana⁶.

    La Grande Dea europea ha descritto se stessa così, secondo quanto ci riporta Apuleio:

    Io sono colei che è madre naturale di tutte le cose, signora e reggente di tutti gli elementi, progenie iniziale dei mondi, detentrice dei poteri divini, regina di tutti coloro che sono negli inferi, reggente di tutti coloro che dimorano in paradiso, manifestata solamente e sotto l’unica forma di tutti gli dei e Divinità. Al mio volere si dispongono i pianeti del cielo, i benefici venti del mare e i lamentevoli silenzi dell’inferno; il mio nome, la mia Divinità, vengono adorati in tutto il mondo, in modi diversi, secondo differenti costumi e con molti nomi⁷.

    I nomi che cita comprendono: Madre degli Dei, Minerva, Venere, Diana, Proserpina, Ceres, Giunone, Ecate, e il suo vero nome, la regina Iside.

    In breve, è dea dei mondi sotterranei, della terra e dei paradisi⁸, e si occupa di nascita e morte, amore e guerra, delle stagioni, di tutto ciò che vive e cresce, della luna e le sue fasi. La Sua forma tipica è quella di una donna bellissima e snella, di carnagione pallida come la morte (per la luna nuova), dai lunghi capelli dorati e occhi azzurri, ma appare anche in forme rosse e nere, oppure blu scuro (per la luna piena e la luna calante), come una brutta megera, e in forme animali: scrofa, giumenta, gufo, corvo imperiale e altre ancora⁹.

    Dato che Tārā è indiana, si presenta naturalmente in maniera un po’ diversa dalla dea europea. La Sua ineguagliata bellezza è così trascendente da non far sorgere attaccamento, ma in pratica ha molto in comune con la dea europea.

    Più generalmente, la Dea Madre è stata analizzata a fondo da Erich Neumann, un ex allievo di Jung¹⁰. Egli descrive l’archetipo femminile come qualcosa che comprende un carattere elementare – la funzione materna del contenere – e un carattere trasformativo, che opera in differenti direzioni e su differenti piani. A un primo livello è la Divinità in quanto Grande Cerchio, che è e che contiene l’universo. Sul piano naturale, è poi la Signora delle piante e degli animali. Inoltre, è la dea della trasformazione spirituale, la cui forma più elevata, secondo Neumann, è Tārā.

    Questi tre livelli corrispondono bene agli inferi, alla terra e ai cieli già menzionati e a una suddivisione buddhista classica dei fenomeni di base, sentiero e risultato. Per comprenderli, comunque, occorre pensare in termini di simboli con livelli differenti di significato; se siamo stati educati a pensare comunemente con un solo livello di significato alla volta, può risultarci difficile. Proverò a semplificare distinguendo tre livelli esplicitamente come esterno, interno e segreto, una terminologia presa in prestito dal Tantra buddhista. Su ogni livello di ciascun piano Tārā comprende le funzioni della Dea Madre e, anche se non sempre allo stesso modo, espressioni più limitate della dea: alcune forme più primitive sono poco più che demoni da propiziarsi con sanguinosi sacrifici. Persino Kālī e Durgā, sebbene per alcuni aspetti siano dei simboli molto vividi di trasformazione spirituale, sono state tanto fraintese al punto che i sacrifici umani a Durgā hanno continuato fino agli anni Trenta del 1800, mentre il tempio di Kālī a Calcutta è ancora oggi un macello.

    2a. Dea dei mondi sotterranei. In senso stretto, i mondi sotterranei sono gli inferi e il regno dei morti (conosciuti nella terminologia buddhista come preta, o i dipartiti), e i luoghi dove dimorano creature quali i serpenti e i nāga. A livello esteriore, dunque, Tārā è la dea dei mondi sotterranei, poiché sa controllare i nāga, i preta e i guardiani degli inferni.

    A livello interiore, Tārā controlla le cause di questi stati del mondo sotterraneo, ovvero le emozioni della cupidigia, dell’avarizia, della rabbia e dell’odio.

    Tuttavia la morte implica la rinascita; in senso più ampio, il mondo sotterraneo è il Grande Cerchio, il saṃsāra, lo stato dell’essere coinvolto nel ciclo di nascite e morti sotto il controllo delle emozioni disturbanti e delle azioni contaminate. La dea in quanto Grande Cerchio significa tutti i poteri ctonii del mondo che generano vita, non solo la terra scura e fertile, ma il cielo che copre le sue creature sulla terra, proprio come una chioccia copre i suoi pulcini – sia il cielo notturno che fa apparire le stelle e la luna, sia il cielo diurno che fa sorgere il sole – le acque, che sono il suo latte, e il fuoco del suo potere di trasformazione: ovvero tutti gli elementi, così come lo spazio e il tempo. Di solito i suoi aspetti positivi e creativi di vita dominano sugli aspetti negativi e distruttivi, ma è anche l’orchessa che regge la ruota della vita tibetana, che appare in forme mostruose, poiché, come afferma Neumann, ovunque il fanatismo del principio spirituale anti-vitale predomina, il femminile viene visto come negativo e maligno, proprio nel suo carattere di creatore, sostenitore e incrementatore di vita¹¹; oppure, in termini buddhisti, poiché la vita samsarica è tutta sofferenza.

    È a livello segreto, quello del Buddhismo tantrico, che la dea in quanto Grande Cerchio viene identificata con Tārā. A quel livello, il Grande Cerchio e l’Illuminazione vengono visti come una sola cosa:

    Proprio come è il saṃsāra,

    così è il Nirvāṇa.

    Al di fuori del saṃsāra, non vi è null’altro che si possa chiamare Nirvāṇa¹².

    Gli elementi vengono riconosciuti come Divinità femminili completamente illuminate¹³, e le oscurazioni mentali come i Buddha delle cinque famiglie¹⁴; .al fine di mostrare ciò, l’orchessa della ruota della vita possiede un terzo occhio, della saggezza, e gli ornamenti di una Divinità illuminata. Se state specificamente praticando Tārā, dovreste riconoscere tutto ciò che vedete come il corpo di Tārā (fatto di luce verde), tutto ciò che sentite come il Suo verbo divino, e tutti i vostri pensieri come la Sua saggezza divina¹⁵. Ogni particella di cibo che ingerite è Tārā, ogni molecola di aria che respirate è la Sua energia divina, la casa che abitate è la Sua dimora, e quando vi coricate la vostra testa riposa sul Suo grembo. Dunque Tārā è la base sulla quale inizia la pratica spirituale, il fango del saṃsāra, con tutte le sue contaminazioni e altre oscurazioni, dalla quale sorge il loto del risveglio spirituale.

    2b. Dea della terra. Tārā è strettamente connessa a livello esteriore con la terra, con il mondo delle piante, con gli animali e gli esseri umani. Solitamente abita in luoghi selvaggi, come l’isola del monte Potala e la foresta di Khadira (Khadira-vaṇa) che abbonda di ogni albero meraviglioso e dal dolce odore, fiori e altre piante, animali felici e uccelli. Il Suo simbolo principale è un fiore di loto blu (ůtpala) che regge nella mano sinistra e, a volte, con un altro loto nella mano destra; poiché è Tārā Khadiravaṇī, reca dei fiori fra i capelli e persino il suo corpo è di colore verde. Come già detto, è famosa per saper soggiogare le fiere selvagge e pericolose, i leoni, gli elefanti e i serpenti, oltre agli esseri umani pericolosi, ad esempio i ladri; come altre manifestazioni della Grande Divinità, li domina senza violenza e senza combatterli. Allo stesso modo, è conosciuta per il suo saper dileguare le armate senza uccidere nessuno e per fermare la mano del boia.

    Tali qualità La collocano nel ruolo di Grande Dea, negli aspetti della Signora delle piante e della Signora delle fiere, come afferma Neumann, nei tipi iconografici in cui la Divinità è accompagnata da piante, fiori, frutti, grano o altri simboli della flora, oppure da animali.

    A livello interiore, Tārā controlla le oscurazioni che causano la rinascita umana o animale, principalmente il desiderio e l’ignoranza, e le oscurazioni simboleggiate dagli animali, come riportate in 1c. In generale, come osserva Neumann, il dominio sugli animali selvaggi da parte della Divinità significa che incarna le forze spirituali nella psiche umana, superiori rispetto agli impulsi istintivi rappresentati dagli animali. Le piante, la cui crescita viene nutrita dalla Divinità, denotano generalmente crescita spirituale. Nell’arte europea troviamo gli alberi della vita, della conoscenza e della morte (come la croce), e anche il vascello di legno come simbolo di salvezza – anche Tārā viene spesso descritta come una barcaiola, o persino come una barca.

    Identificandosi con Tārā nella pratica tantrica, il praticante progredisce spiritualmente, dunque a livello segreto Tārā è il Sentiero della pratica spirituale, la pianta del loto che cresce attraversando l’acqua, verso la luce.

    2c. Dea dei paradisi. I paradisi, le regioni sopra di noi, compresi tutti gli stati sovraumani di esistenza. Comprendono molti differenti gradi di dei, di esseri nobili, maestosi, più puri e più sottili degli esseri umani, con corpi radianti o persino meramente mentali, privi di corpo; e differenti esseri semidivini come i vidyādhara, gli yakṣa e gli asura, dotati di poteri soprannaturali. Che Tārā sia la loro Divinità viene indicato dal Suo nome, Tārā, Stella, e dalla fine luna crescente che indossa come una tiara; significa, a livello esteriore, che domina questi esseri e che può impedire loro di danneggiare i Suoi devoti umani, se mai ci provassero.

    A livello interiore, può controllare nelle nostre menti tutti gli errori a cui gli esseri paradisiaci sono ancora inclini, come l’orgoglio, l’invidia, l’attaccamento all’esistenza e le oscurazioni più sottili, e ci può aiutare a raggiungere le abilità meditative avanzate con cui si realizzano molti dei livelli divini.

    Comunque, possiamo anche assumere che l’estensione dei paradisi vada oltre il saṃsāra fino alle Terre Pure quali Sukhāvatī e alla perfetta Buddhità. Tārā è la Divinità della trasformazione spirituale. Non solo ci può aiutare a rinascere in una Terra Pura, ma a livello segreto significa pieno risveglio o l’illuminazione stessa, il risultato del seguire il sentiero spirituale, tradizionalmente simboleggiato dallo schiudersi del fiore di loto nella luce e nello spazio, dopo esser cresciuto sulla superficie dell’acqua.

    La dea della trasformazione spirituale, l’aspetto di Sophia o di saggezza della grande Divinità, rappresenta il potere femminile generante, nutriente, protettivo e trasformativo dell’inconscio, laddove, afferma Neumann, sta operando una saggezza che è infinitamente superiore alla saggezza umana dello stato di veglia, e che, in quanto fonte di visione e simbolo di rituale e di legge, poesia e visione, interviene, su richiesta oppure no, per salvare l’uomo e per dare una direzione alla sua vita¹⁶. Si tratta di una saggezza di partecipazione amorevole, materna, sempre vicina e accessibile. Appare, ad esempio, come Maria, e regge fra le mani, come ha osservato Jung, il nostro più grande sé futuro¹⁷; ma una delle sue forme principali è quella di una Divinità lunare. La luna, la cui connessione con la donna rispetto al ciclo mensile è evidente, è il simbolo spirituale preferito del matriarcato, come corpo luminoso nato dal buio della notte¹⁸. Il significato della luna nel Tantra buddhista, infatti, è proprio la saggezza. C’è Tārā Bianca come luna autunnale; Tārā siede di solito su un disco di luna e spesso poggia la schiena su un altro disco di luna.

    Nella mitologia, il contrasto fra la luna femminile e il sole maschile è fondamentale. Ovunque nel mondo, quando il Dio Padre ha usurpato la posizione della Dea Madre, i miti lunari e matriarcali sono stati rimpiazzati da quelli solari e patriarcali. Il fatto che solo pochi di noi trovino oggi nei miti qualcosa di più che semplici fiabe prive di senso per bambini, non impedisce che la coscienza solare, maschile, astratta e concettuale, con la sua pericolosa illusione di autosufficienza, sia divenuta così sovra-rappresentata a spese della sfera femminile della mente, fino a mettere a rischio la sopravvivenza stessa della nostra razza. Come dice Graves¹⁹, ora siamo praticamente governati dal dio sole, da Apollo, dio della scienza, che brandisce la bomba atomica come un fulmine, in una scomoda coalizione con Plutone, dio della ricchezza, e Mercurio, dio dei ladri. Molti di noi, profughi della Guerra dell’uomo contro la natura, sono obbligati a vivere come servi nei reami infernali di Plutone, quei monumenti squallidi all’avarizia e alla cieca ambizione, che chiamiamo città. Giorno dopo giorno le riserve della terra vengono futilmente dilapidate e sprecate. Alla fine la Divinità dovrà riprendere il posto che Le spetta di diritto, ma quanto più verrà rimandato il Suo ritorno, tanto meno compassionevole sarà il Suo volto²⁰.

    Isolare l’aspetto di saggezza, di trasformazione spirituale della Dea Madre qualificandolo come il più alto, e ignorarne gli altri, significa non andare a segno. Per ogni occidentale realmente qualificato a praticare il Tantra, ci potrebbero essere centinaia di persone che si relazionano con profitto a Tārā al momento presente su livelli inferiori; non dimentichiamo, ad esempio, il Suo ruolo in qualità di Signora delle piante e degli animali.

    3. Tārā la Divinità tantrica

    Il terzo principale aspetto della personalità di Tārā è quello di essere una Divinità del Tantra buddhista, o Vajrayāna. Ciò significa che Tārā è una potenzialità latente nella mente di ogni essere senziente, e che il praticante correttamente iniziato da un Guru può svilupparla per mezzo della pratica tantrica e imparare a identificare se stesso con essa, raggiungendo così un giorno la perfezione, lo stato di Tārā pienamente realizzato.

    3a. Buddha completo e perfetto. La qualifica principale per esistere come Divinità tantrica è l’essersi risvegliati interamente alla completa e perfetta Buddhità. Tārā è dunque un Buddha perfetto, il che equivale a dire che non vi è errore seppur minimo che non abbia eliminato, e non vi è buona qualità che le manchi. Dal momento che le qualità dei Buddha vengono descritte nei Sūtra con dovizia di particolari, si può facilmente scrivere molto su Tārā senza temere di smarrirsi, semplicemente applicandoLe queste descrizioni, sebbene rimangano sicuramente infinite altre qualità che non vengono descritte²¹.

    Ci si potrebbe domandare come possa Tārā essere simultaneamente un Bodhisattva e un Buddha. Non è forse un Bodhisattva qualcuno che sta lavorando per la Buddhità ma non la ha ancora raggiunta, o qualcuno che ha persino respinto l’illuminazione al fine di poter rimanere nel saṃsāra e aiutare gli altri esseri senzienti? La natura di un Bodhisattva è talmente paradossale che la confusione è comprensibile. Il Bodhisattva è totalmente dedicato al bene degli altri; sebbene il modo più perfetto di aiutare gli altri sia l’essere completamente illuminati, lei o lui non dovrebbero ricercare l’illuminazione, ma dovrebbero semplicemente voler beneficiare gli altri, conducendoli prima tutti all’illuminazione e solo dopo cercarla per sé, entrando per ultimi, come un pastore che guida il suo gregge che gli cammina davanti. Sebbene questo sia il Suo scopo, il risultato è che raggiunge l’illuminazione nel modo più veloce, poiché la legge vuole che l’ultimo sia il primo. Si trova allora nel Nirvāṇa, ma a causa della sua perfetta compassione non entra nel Nirvāṇa nel senso di sparire nell’estinzione colma di beatitudine e di cessare di manifestarsi per il beneficio degli esseri senzienti. Illuminata, continua a compiere le azioni di un Bodhisattva per il bene degli altri, usando i poteri di un Buddha nella maniera più efficace possibile; in questo modo, è la più perfetta dei Bodhisattva.

    3b. Divinità dell’azione. Sebbene tutte le Divinità tantriche siano dei Buddha, dotate di identici poteri, ognuna di loro tende a specializzarsi in un campo specifico; ciò si può attribuire all’effetto dei voti presi prima della loro illuminazione. Tārā è la karma-devī, la Divinità dell’azione, la regina della famiglia dell’Azione. Appare spesso nei maṇḍala con il Suo consorte Amoghasiddhi, Signore della famiglia dell’Azione, che come Lei è di colore verde²². La Sua caratteristica è agire con la velocità del lampo per aiutare coloro che sono in pericolo. In situazioni di reale emergenza, quando non rimane nemmeno il tempo di pronunciare il Suo mantra a dieci sillabe, i Suoi devoti devono semplicemente pronunciare OṂ TĀṂ SVĀHĀ, o semplicemente pensare a Lei, e sarà già lì.

    Karma significa anche un rito tantrico, nel quale Tārā è molto abile. Una delle Sue forme più note consta di ventuno emanazioni, ognuna delle quali è dotata di rituali con una propria specifica funzione, ma vi sono infinite altre forme per differenti finalità. Non si pensi che Tārā sia sempre di colore verde, a due braccia e pacifica; al contrario, in base al tipo di rito, potrebbe essere irata, a più braccia e di differenti colori. La Sua manifestazione specifica più conosciuta è Tārā Bianca, che viene praticata al fine di ottenere una lunga vita. Vajra-Tārā, dai raggi dorati e con quattro volti e otto braccia, era famosa in India per riti quali il respingere i nemici e il soggiogare, anche se la principale manifestazione di Tārā allo scopo di soggiogare è la seducente rossa Kurukullā a quattro braccia. C’è una particolare manifestazione di Tārā per salvare da ciascuna dello otto grandi paure – una Tārā Rossa e dal volto di leone, dagli occhi gialli e dai capelli biondi per salvare dai leoni, e così via, ognuna con i Suoi mantra e gesti particolari – ma nell’arte Tārā normalmente compie queste funzioni nella sua più comune forma verde. Se non troviamo una forma di Tārā per lo specifico rito che desideriamo compiere, occorre semplicemente visualizzare la Sua forma comune e inserire la propria richiesta speciale nel mantra a dieci sillabe prima di SVĀHĀ.

    3c. Un modello femminile per la pratica. Il fine della pratica tantrica è effettivamente quello di essere la Divinità. Nella meditazione si visualizza se stessi con il corpo della Divinità – un corpo non in carne e ossa, bensì un corpo di luce – guardando il mondo nel modo in cui lo vede la Divinità con la visione corretta della Vacuità e con una compassione illimitata verso ogni essere senziente, compiendo le azioni delle Divinità come il purificare ognuno e ogni cosa in modo che l’intero universo sia un palazzo-maṇḍala e una Terra Pura, e tutti gli esseri siano delle Divinità. Anche tra le sessioni di meditazione si dovrebbe provare a percepire senza interruzione che si è la Divinità, e mantenere un comportamento consono. Se la propria Divinità è Tārā, allora si giunge a identificarsi con Tārā, al fine di modellare se stessi su di Lei.

    Ora, Tārā è una donna; e non solo simbolicamente femminile, secondo il sistema del Tantra buddhista, dove il maschile sta per abili mezzi compassionevoli e il femminile sta per la saggezza della Vacuità, ma femminile in quanto scelta deliberata, in modo da mostrare che il corpo di una donna è perlomeno altrettanto valido rispetto a quello maschile al fine di beneficiare gli esseri senzienti e raggiungere l’illuminazione.

    Vi era bisogno di un esempio simile. Sebbene molte donne virtuose vengano citate nelle scritture e molte, sia laiche che monache, abbiano raggiunto il livello di Arhat, in ambito buddhista le donne hanno generalmente avuto uno status inferiore a quello maschile, sebbene probabilmente non così inferiore come generalmente era nella società indiana ai tempi del Buddha.

    La sezione più antica del canone buddhista, il Vinaya, riporta che il Buddha accettava solo con una certa resistenza di conferire l’ordinazione monacale alle donne, e solo a condizione che assumessero su di sé regole rigide, che rendevano il loro ordine subordinato a quello dei monaci²³.

    Gli insegnamenti dei Sūtra citano spesso la nascita femminile come qualcosa da evitare, se possibile, poiché non idonea alla pratica spirituale. Gli uomini dovrebbero fare attenzione a non ammirare la forma femminile, e le donne dovrebbero contemplare i vantaggi di essere un uomo, creare molti meriti e dedicarli a rinascere come uomo. Ciò potrebbe essere semplicemente un consiglio pratico in relazione alla realtà sociale di quel tempo e di quel luogo, senza con ciò implicare nessuna inferiorità femminile intrinseca; ma ora le condizioni sono cambiate, e tutto ciò non deve essere ancora necessariamente ritenuto valido.

    Ciò nondimeno, nei Sūtra Hīnayāna e Mahāyāna si insegna inoltre che gli stadi più avanzati non possono essere realizzati in una forma femminile. Nel canone pali, il Buddha insegna:

    Non è possibile, non può avvenire che un Arahant donna sia un Buddha perfetto e completo, non può essere; …ma è possibile che un uomo Arahant sia un Buddha perfetto e completo, questo può avvenire²⁴.

    Un commentario Theravādin, il Cariyāpiṭaka Aṭṭhakathā, insegna che l’aspirazione di un Bodhisattva può avere successo solo se espressa da un uomo²⁵. In un Sūtra Mahāyāna molto noto, il Sūtra del Loto (Sad-dharma-puṇḍarīka), Śāriputra afferma che una donna non può essere né un Bodhisattva irreversibile né un Buddha²⁶. Lo stesso Sūtra e altri ancora, insegnano che tutti i Bodhisattva nelle Terre Pure sono uomini²⁷. Sebbene vi siano uno o due esempi di Bodhisattva femminili elevati, come nel Vimalakīrti-nirdeśa-Sūtra, vi è consenso nei Sūtra sul fatto che per progredire oltre un certo livello sul Sentiero del Bodhisattva una donna²⁸ sia obbligata a diventare uomo – sia rinascendo, sia mediante istantanea trasformazione magica. Tra i mille e più Buddha citati nei Sūtra, non è possibile trovare una sola donna.

    L’ideale buddhista Mahāyāna è pertanto maschile, senza ombra di dubbio. Nella cultura indiana di duemila anni fa non avrebbe potuto essere diversamente. Anche se sarebbe stato logico rappresentare i Bodhisattva elevati e i Buddha come asessuati o ermafroditi, riflettendo l’armonia perfetta del maschile e del femminile nelle loro menti, a livello pratico ciò avrebbe destato derisione.

    In Occidente, comunque, è fuori questione dire alle donne che dovrebbero disprezzare la loro natura femminile; inoltre, se guardiamo al caos in cui è stato gettato il mondo, a furia di perseguire principalmente idee e valori maschili, la battaglia contro la natura, e così via, non pochi uomini e donne trovano oggi difficile credere che l’essere umano ideale debba essere uomo, e l’idea di una Terra Pura di soli uomini spesso non riesce a far sorgere un autentico entusiasmo. Stando così le cose, l’ideale di umanità rappresentato da Tārā è più che benvenuto.

    Sebbene le immagini dei Bodhisattva si siano evolute da quelle eroico-maschili verso una sublime combinazione di potere interiore e delicatezza compassionevole, che percepiamo come femminile²⁹, Tārā ha potuto essere accettata come Buddha femminile solo grazie al sorgere del Tantra. In quel contesto le donne vengono adorate come la sorgente della saggezza. A Guru Padmasaṃbhava, il principale responsabile dell’introduzione del Tantra in Tibet, viene attribuita questa affermazione:

    La base per realizzare l’illuminazione è un corpo umano. Uomo o donna – non vi è molta differenza. Ma se sviluppa la mente dell’illuminazione, il corpo femminile è meglio³⁰.

    Eppure, anche nel Tantra, buona parte delle Divinità femminili sono quasi consorti anonime delle Divinità maschili; l’indipendenza di Tārā è insolita. Sembra corrispondere al modo in cui prese i Suoi voti di Bodhisattva, affidandosi alla Sua saggezza, anche contro la tradizione ricevuta e tutto il suo peso di autorevolezza – un esempio coraggioso, estremamente rilevante proprio oggi che gli insegnamenti buddhisti ci giungono carichi di molta tradizione che non necessariamente deve sempre trovare applicazione nella nostra cultura. Ciò illustra anche la Sua completezza, come abbia pienamente sviluppato dentro di Sé sia il femminile sia il maschile, proprio come ogni praticante, donna o uomo che sia, deve fare.

    Come modello di pratica, la figura di Tārā si estende attraverso le Sue emanazioni, o incarnazioni, che si riferisce abbiano vissuto in Tibet. Queste comprendono la principessa cinese Kong-j’o (cin.: Wên-ch’êng kung-chu), che nel 641 sposò il re Song-tsän Gam-po del Tibet, convertito al Buddhismo grazie a lei e alla sua altra moglie nepalese. Le vengono attribuiti l’introduzione delle tradizioni buddhiste della pittura e della scultura in Tibet, la fondazione del tempio Ra-mo-ch’e a Lhasa e molte altre opere caritatevoli³¹. Song-tsän Gam-po stesso viene considerato come un’emanazione di Avalokiteśvara, e la sua regina nepalese sarebbe stata un’emanazione di Bhṛkuṭī. Nel secolo successivo, vi fu Ye-she Ts’o-gyäl, la regina del re Tr’i-song de-tsän (755-97?), consorte segreta e discepola principale di Padmasaṃbhava, ed emanazione di Sarasvatī, un aspetto di Tārā. La sua biografia³², sebbene in gran parte molto esoterica, è piena di ispirazione. Poi, nel 1062, o forse nel 1055, Wên-ch’êng rinacque come Ma-chik Lap-drön-ma, che secondo una profezia di Padmasaṃbhava era anche una reincarnazione di Ye-she Ts’o-gyäl; raggiunse ampia fama come fondatrice della tradizione Chö³³.

    Conclusione

    Questa è una breve introduzione a Tārā, basata sul sentito dire e su un’infarinatura di conoscenza intellettuale; la Sua natura è infatti inesauribile, molto più profonda di quanto io possa raccontare, e adattabile all’infinito. Ognuna delle tre componenti che ho descritto è così ricca che può facilmente essere scambiata per il tutto, specialmente perché ogni tessera del mosaico è come se fosse oro lucido, che riflette parti delle altre. Ad esempio, un seguace di Jung si concentrerebbe sulla versione della Dea Madre, mentre un Lama tibetano la respingerebbe e troverebbe la versione tantrica del tutto perfetta: nel suo sistema, tutto ciò che riguarda

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