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Lo Iaido: L'arte di tagliare l'ego con la spada
Lo Iaido: L'arte di tagliare l'ego con la spada
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E-book260 pagine5 ore

Lo Iaido: L'arte di tagliare l'ego con la spada

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Info su questo ebook

Nel libro Lo Iaido, l'Arte di Tagliare l'Ego con la Spada l'autore Michel Coquet ripercorre l’esperienza quotidiana fatta in Giappone. Questa esperienza consisteva nel raggiungere la consapevolezza attraverso la pratica della spada. Tale insegnamento, trasmesso a Coquet dal maestro Takeuchi – un nome fittizio, dato che egli preferisce rimanere anonimo – nel corso di un anno, mirava a fargli conseguire il vuoto mentale, il mushin.

Le istruzioni eccezionali di questo maestro sono state scrupolosamente distillate da Coquet e rappresentano un tesoro di saggezza orientale per tutti coloro che aspirano al raggiungimento del vuoto come obiettivo supremo della propria esistenza. Sono insegnamenti indirizzati allo spirito più che al corpo e, in questo senso, costituiscono un metodo pratico ed efficace per chi cerca la verità e ha scelto la disciplina marziale per raggiungerla.

L’Arte di Tagliare l’Ego Con la Spada richiama alla mente altri testi che offrono le chiavi per aprire lo scrigno segreto della pratica spirituale delle arti marziali giapponesi, pratica che persegue come trascendere l’ego, il nostro avversario più temibile. Ma nellibro di Coquet c'è di più: in un’epoca in cui in Occidente la parola Zen viene infilata dappertutto senza averne compreso essenza e sviluppo storico, nel mondo delle arti marziali si dà per scontato che la base filosofica di tutte le discipline giapponesi sia necessariamente lo Zen. Questa visione parziale e inesatta è stata ispirata da alcuni studiosi tra cui Thomas Hooper. Viceversa, Coquet rivela per la prima volta la forte influenza esercitata sullo iaido dal buddhismo esoterico, ovvero la scuola Shingon, insieme a influenze dello shintoismo. Legami che sono stati finora ampiamente sottovalutati, se non addirittura ignorati.

Non solo, ma in virtù di una fine cultura filosofica il dialogo dell'Autore col suo maestro risulta a tratti più profondo. Coquet infatti può vantare una formazione più variegata e vissuta profondamente attraverso la pratica.

Questo libro si inserisce in un genere particolarissimo e non molto nutrito: i diari di viaggio dei grandi esploratori delle arti marziali e delle discipline orientali, spesso pionieri come questo autore, ma più in generale grandi allievi che hanno avuto il privilegio di essere scelti da grandi maestri. Autori capaci di restituirci, al ritorno dai loro fortunati percorsi, pagine ricchissime di spunti e riflessioni, indicazioni di rotta, affascinanti testimonianze per chi ancora non si è avvicinato a queste discipline, ma anche indispensabili mappe per chi sta già facendo gli stessi percorsi sul piano esperienziale.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788827229309
Lo Iaido: L'arte di tagliare l'ego con la spada
Autore

Michel Coquet

Michel Coquet è uno studioso di Induismo, Buddhismo esoterico e filosofie orientali. Praticante esperto e insegnante di arti marziali, soprattutto di Budo tradizionale, è autore di oltre quaranta libri in francese sulle arti marziali, sulla filosofia esoterica, sulla teosofia e le religioni.

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    Anteprima del libro

    Lo Iaido - Michel Coquet

    Ringraziamenti

    Riedizione di un’opera esaurita, pubblicato in precedenza nel 1987, questo libro ripercorre le istruzioni ricevute dall’autore, durante l’anno 1971, da parte di un esperto, sull’approccio spirituale nella pratica della spada. Questo esperto aveva abbandonato le competizioni proprio il giorno della sua esperienza del satori e, abbandonando definitivamente il kendo e lo iaido, si dedicò all’arte della disposizione dei fiori e del sumi-e¹.

    Poco incline a farsi conoscere fuori da una ristretta cerchia di discepoli, questo maestro non volle che il suo nome venisse rivelato all’estero. In questo libro lo chiameremo maestro Takeuchi.

    Il suo insegnamento è fondamentalmente buddhista anche se, come molti giapponesi, è stato un fervente sostenitore della religione shintoista.

    Consapevole che se dovessi ricevere questo insegnamento oggi, all’alba dei miei settantadue anni, mi sarebbe trasmesso e lo riceverei in modo molto diverso, ho migliorato il testo ma mantenendo la sostanza per rispettare lo spirito del maestro. Si differenzia leggermente nella sua forma dal vecchio lavoro ancora pubblicato in Spagna da Escuelas de Misterios (Barcellona).

    In particolare vorrei ringraziare Pascal Olivier per la sua revisione del giapponese e i suoi preziosi consigli.

    Michel Coquet

    IDEOGRAMMA IAI

    I ha il significato di essere, AI quello di unità.

    IAI è la realtà e il mezzo per arrivarci.

    Il DO giapponese è ciò che conduce l’uomo a questa realtà.

    Lo IAIDO può essere considerato come uno SHIN-JUTSU, l’arte di controllare la mente.


    1. N.d.T.: Pittura monocromatica realizzata con inchiostro e acqua.

    Prefazione

    Il libro di Coquet va a inserirsi in un genere particolarissimo e non molto nutrito di cui idealmente vorremmo avere tutti più pubblicazioni. Stiamo parlando dei diari di viaggio personali dei grandi esploratori delle arti marziali e delle discipline orientali, spesso pionieri come questo autore, ma più in generale grandi allievi che hanno avuto il privilegio di essere scelti da grandi maestri. Autori capaci di restituirci, al ritorno dai loro fortunati percorsi, pagine ricchissime di spunti di riflessione, indicazioni di rotta, affascinanti testimonianze per chi ancora non si è avvicinato a queste discipline, ma anche indispensabili mappe per chi sta già facendo gli stessi percorsi sul piano esperienziale. Pensiamo ai vari John Blofeld, Alexandra David Neel, Theos Bernard, Eugen Herrigel, che hanno ispirato generazioni di studiosi e praticanti di tutto il mondo ad avventurarsi ancora più a fondo nello studio dei segreti cinesi, tibetani, indiani e giapponesi, facendo vivere attraverso le loro pagine le loro straordinarie scoperte e aiutando i loro lettori a orientarsi meglio nell’immenso oceano del Sapere d’Oriente.

    L’arte di tagliare l’ego con la spada richiama subito alla mente un altro testo famosissimo e per molti versi simile: Lo Zen e il tiro con l’arco di Herrigel. Entrambi offrono le chiavi per aprire lo scrigno segreto della pratica spirituale delle arti marziali giapponesi, pratica che ha come obiettivo quello di sconfiggere l’ego, il nostro avversario più temibile. Ma qui c’è la prima scoperta: in un’epoca in cui un po’ ovunque in Occidente la parola Zen viene infilata dappertutto senza nemmeno averne compreso l’essenza e lo sviluppo storico, nel mondo delle arti marziali si dà per scontato che il background filosofico di tutte le discipline giapponesi sia necessariamente lo Zen. Questa visione parziale e inesatta è stata ispirata da alcuni studiosi tra cui Thomas Hooper. Viceversa, Coquet rivela per la prima volta la forte influenza esercitata sullo iaido dal buddhismo esoterico, ovvero la scuola Shingon, insieme a qualche intersezione con lo shintoismo. Legami che sono stati finora ampiamente sottovalutati, se non addirittura ignorati.

    Non solo, ma in virtù di una fine cultura filosofica il dialogo di Coquet col suo maestro risulta a tratti più profondo di quello di Herrigel, benché il tedesco sia stato professore di filosofia dapprima all’Università Imperiale di Tohoku nel Sendai, in Giappone, e poi in Germania all’Università di Erlangen, dove alla fine divenne rettore. Coquet, dal canto suo, può vantare una formazione più variegata e vissuta profondamente attraverso la pratica. Nato in Francia nel 1944 a Tours, si avvicina molto presto alla ricerca interiore e alla rigorosa disciplina del corpo con l’hatha yoga. A vent’anni inizia la pratica del karate, dello Yoseikan Budo e dello iaido della scuola Katori Shinto-ryu.

    Dopo approfondite ricerche nel campo della filosofia, della teosofia moderna, delle religioni comparate, dell’alchimia, della gnosi e dell’esoterismo in generale, dall’Oriente all’Occidente, si stabilisce per cinque anni in Giappone (dal 1969 al 1973) per approfondire il percorso che ha scelto, quello del Budo giap-ponese nel suo aspetto spirituale. Diventerà così allievo di alcuni grandi maestri: con Minoru Mochizuki studia judo, ken-jutsu e aiki-jutsu, poi kobudo e karate con Sano Teruo. Sotto la guida di Masahiko Tokuda studia il kyudo ricevendo poi il grado di 4° dan dalle mani del grande maestro Matsui Masakichi, 10° dan Shihan. Tra le altre discipline, pratica l’aikido (stile Korindo) e il kendo al budokan di Shizuoka. Contemporaneamente, avanza nella sua pratica di meditazione diventando l’allievo più vicino al maestro Sano Jushoku (della scuola Soto) al tempio Chugen-in, nella prefettura di Shizuoka. Coquet sarà introdotto anche alle pratiche preliminari di Shugendo e al buddhismo esoterico della scuola Shingon. Al suo ritorno in Francia, dopo un grave incidente al ginocchio, si dedica alla scrittura di articoli e poi libri. Diventa insegnante e inizia a viaggiare regolarmente in Medio Oriente e in particolare in India e Tibet, alla ricerca di maestri spirituali. Avrà così la possibilità di incontrare altri grandi ricercatori e rari maestri autentici.

    Nel 2002, dopo aver seguito per oltre quarant’anni la pratica e l’insegnamento della più antica e famosa scuola di spada giapponese – il Tenshin Shoden Katori Shinto-ryu, ufficialmente riconosciuto nel 1960 come Proprietà culturale intangibile dalla prefettura di Chiba – Coquet ne diviene capo spirituale (shidosha) e istruttore ufficiale (kyoshi) per la Francia.

    Da tutto questo è possibile intuire quale sia lo spessore di questo autore e quanto questo libro possa aiutare ad allargare la nostra visione delle arti marziali giapponesi, e in particolar modo della spada, collegando correttamente il nostro avanzamento spirituale alla pratica.

    Bruno Ballardini

    Introduzione

    Fu in Cina che l’arte della spada, appoggiandosi sulla filosofia e sulla metafisica del tao, raggiunse una dimensione eccezionale. Durante il periodo Heian (794-1191), la filosofia cinese fu introdotta in Giappone e le arti di combattimento giapponesi furono significativamente arricchite, in particolare il tiro con l’arco e l’arte della spada.

    Durante il periodo Kamakura (1192-1333), la spada ebbe uno sviluppo straordinario e fu venerata come simbolo della virilità, della purezza e del coraggio dei samurai. Essendo indispensabile per difendere la vita, la spada venne a rappresentare l’anima del guerriero. Inoltre, la spada fu incorporata nei rituali religiosi dello shintoismo e acquisì un posto d’onore nella vita dello stato. Tuttavia, bisognerà attendere i periodi Muromachi e Momoyama (1333-1600) perché la spada, chiamata in giapponese katana, diventi un’arte di vivere meglio e un mezzo di crescita morale e spirituale. La vita dei giovani guerrieri nati in famiglie di rango imperiale era caratterizzata da due eventi importanti. Il primo era la cerimonia di iniziazione durante la quale veniva donata loro una prima spada, la mamori-katana che il giovane ragazzo portava fino all’età di cinque anni. La seconda cerimonia (gembuku), segnava l’inizio della sua vita di uomo. Riceveva allora una vera spada e un’armatura, e gliela facevano indossare come un adulto. Da allora doveva specializzarsi nelle funzioni riservate al suo rango, ma senza mai trascurare la pratica della spada definita dal codice militare come l’anima del samurai.

    Poi venne l’era Edo (1600-1868) che impose ai turbolenti samurai una autodisciplina draconiana. Ma la situazione di pace, imposta da Tokugawa Ieyasu, alla lunga finirà con l’asfissiare la loro potenza e mettere termine alla loro ragione di essere.

    Eppure, durante questo periodo, fu necessario conservarli perché la loro sola presenza era dissuasiva e quindi utile. E si insegnarono loro nuovi ideali e regole (bushido). Ma in assenza di guerre, che avrebbero permesso loro di esercitare la loro arte, bisognava trovare un mezzo per canalizzare la loro formidabile potenza, e questo prese la forma di una educazione artistica e filosofica. Tokugawa proclamò che la spada e il pennello erano tutt’uno. Le arti della spada e dell’arco furono ritualizzate e il samurai cominciò a realizzare il suo mentale con lo zazen², l’arte del tè, l’arte floreale e altre discipline dello spirito. È così che il bugei³ o bujutsu si trasformò lentamente in Budo, parola che da allora avrebbe avuto una connotazione educativa, artistica e spirituale.

    La storia mitica della spada divina

    La spada è menzionata negli archivi del Giappone congiuntamente alla storia degli dei, e ben prima che Jimmu-Tenno diventasse il primo imperatore giapponese.

    È nel Kojiki (Racconto di antichi eventi) che si trovano le più antiche cronache del Giappone. Scritto nel 712, il suo scopo era di fissare una genealogia imperiale e di provarne la sua origine divina con miti e leggende. L’opera, compilata a partire da tradizioni straniere (India, Cina, Corea), evoca una cosmogonia amalgamata con la storia politica del nascente Giappone. La prima parte tratta dell’origine dei kami creatori, la seconda del primo imperatore, il mitico Jimmu-Tenno⁴, fino a Ojin Tenno, e l’ultima parte tratta della storia umana del popolo giapponese fino all’imperatrice Suiko Tengo nel 628, data approssimativa in cui lo shintoismo moderno (la via degli Dei) viene codificato per essere nettamente differenziato dal Butsudo (la via dei Buddha). Con la restaurazione di Meiji (Meiji Ishini, 1867-1912), lo shintoismo diventa veramente una religione, con una grande influenza sul piano politico.

    La dea solare Amaterasu-omikami il cui principale santuario è l’Ise Jingu⁵.

    Sembra che il primo santuario shintoista, riconosciuto come tale, sia stato eretto verso la metà del III secolo nella regione di Yamato e consacrato alla divinità solare Amaterasu-omikami. Dopo ottant’anni fu trasferito a Ise, che oggigiorno è la Mecca dello shintoismo.

    Secondo il Kojiki, dopo la creazione dei kami e poi dei mondi, apparve un essere di nome Susanoo, che dietro il mito simbolizza (o personalizza) la coscienza divina dell’umanità incarnata nella materia, caotica ai suoi inizi, ma che si sveglierà e diventerà progressivamente una forza di rigenerazione spirituale. Il suo aspetto spirituale è rappresentato da sua sorella, la dea Amaterasu, divinità solare che, offesa dall’indisciplina del fratello, si nasconde in una oscura caverna che simboleggia il principio spirituale nascosto nel cuore della materia.

    All’inizio della sua storia, Susanoo non è altro che una potenza incontrollata che si vede proibire il regno sulla terra. Egli è dunque bandito da suo padre Izanaghi che lo manda nella regione infernale di cui diviene reggente. In sostanza, questa coscienza primordiale, essendosi incarnata nella materia, aveva perduto la sua purezza originaria.

    La leggenda associa in seguito un fatto cosmico a un evento storico rivelandoci che Susanoo si stabilisce a Izumo. In questa regione cresce, progredisce e un giorno fa una grande esperienza. Si ritrova in presenza di due vecchi che piangono la loro giovane figlia, Kushi Inada Hime, che è in mezzo a loro. Essendo diventato un eroe sempre in contatto con gli dei, egli si preoccupa e domanda loro la causa di tanto dolore. E così apprende che un serpente dalle otto teste e dalle otto code⁶ viene tutti gli anni per rapire una giovane ragazza e divorarla. Sette ragazze sono già state preda del mostro e quella è l’ottava.

    Per come interpretare a livello microcosmico questo genere di testo, ricordiamoci che l’uomo deve raggiungere la perfezione attraverso il numero sette ed entrare nella trascendenza (nirvanica) attraverso il numero otto, l’apogeo della perfezione umana.

    Susanoo, che è diventato una specie di Avatar, si propone di salvare la giovane. La prende e la trasforma in pettine (kushi) che poi si infila tra i capelli. Per sopprimere il serpente prepara otto otri pieni di sakè, con cui le otto teste del serpente si ubriacano e perdono ogni controllo; subito, Susanoo ne approfitta per uccidere il serpente con la sua potente spada. Mentre lo sta facendo a pezzi, scopre in mezzo a una coda una spada⁷ dritta a due taglienti (tsurugi) che scalfisce la sua spada. È dura come il diamante e riflette la purezza di un dio, a tal punto che Susanoo, ammirato, cerca di appropriarsene per farne dono a sua sorella Amaterasu. Non ci stupirà che il maestro Morihei Ueshiba, fondatore dell’aikido abbia potuto dire: "L’aiki è la spada di Susanoo no Mikoto", volendo dire che il suo aikido era una disciplina capace di salvare l’uomo permettendogli di scoprire e di risvegliare dentro di lui l’energia divina immortale (sanscrito: Kundalini-shakti)⁸.

    Questo mito è, al contempo, sia un aspetto della genesi del mondo e della storia politica del Giappone, sia il racconto del processo per il quale un uomo raggiunge la perfezione e la liberazione. In questo racconto è riconoscibile una tradizione identica a quella degli yoga tantrici dell’India, ben conosciuta dagli alchimisti cinesi e dalle sette esoteriche giapponesi come lo Shugendo⁹ o il buddhismo esoterico Shingon. Tutti questi movimenti considerano che l’essere umano è provvisto di un corpo di ki¹⁰ (energia vitale) con tre importanti meridiani situati lungo la spina dorsale, che sono materializzati fisicamente in due sistemi nervosi, il centrale o cerebrospinale e la doppia catena del sistema nervoso simpatico. Questi due meridiani esterni sono i nostri due antenati molto antichi, perché sono l’espressione di migliaia di vite anteriori dell’uomo e il riflesso di due forze cosmiche yin e yang che creano le eterne coppie di opposti. Abbiamo da una parte il meridiano di sinistra, lunare dunque yin (sanscrito: ida nadi), e dall’altra il meridiano di destra, solare dunque yang (sanscrito: pingala nadi). Quanto al meridiano centrale (sanscrito: sushumna nadi), è simbolizzato da una giovane ragazza. È attraverso questo meridiano centrale, una volta purificato, che l’energia della materia trasmutata e divinizzata può essere salvata: ecco il motivo della metamorfosi in pettine (kushi) della giovane ragazza, che dimostra che lei deve oramai focalizzarsi sulla sommità del cranio, e che è là che, diventata regina, potrà unirsi al suo re, Dio essendo sempre localizzato in quel luogo. La giovane ragazza non è altro che la potenza, ancora passiva (inattiva), della Madre divina, la celeste vergine dormiente nel centro eterico (chakra) coccigeo, conosciuta in India sotto il nome di kundalini-shakti (la potenza del serpente), che, alzandosi nel meridiano centrale, illumina la consapevolezza dei sette chakra dell’uomo totale (le sette giovani ragazze divorate dal serpente dell’illusione) ed entra nella trascendenza o ottavo stato, alla sommità del capo. Kushi non significa solamente pettine ma possiede anche il significato di meraviglioso, perché la materia grossolana (e l’ego), attraverso il potere del cuore e della volontà dell’anima di Susanoo, è diventata materia divina nel punto in cui materia e spirito possono ricongiungersi.

    La spada trovata nella coda del serpente è questa kundalini-shakti diventata attiva, un’energia allo stesso tempo così possente e così divina che i giapponesi hanno fatto della spada un emblema pressoché divino. Oramai, come un fiume in piena, la Madre divina può elevarsi dal temporale all’eterno. Nel buddhismo esoterico Shingon, la divinità Fudo Myo-o come attributo porta una spada attorno alla quale si arrotola un drago. Si tratta del medesimo simbolo e la divinità è là per permetterci di vincere i quattro elementi del mondo e di accedere alla trascendenza.

    Fudo Myo-o sulla roccia immutabile (monte Meru¹¹) della verità, porta nella sua mano destra la spada della saggezza. Essa è avvolta da un drago che simboleggia il risveglio e l’elevazione della potenza divina (kundalini-shakti).

    Questa spada sacra servirà (nei miti) a numerosi re e imperatori per vincere i loro nemici. Jimmu-Tenno, appena sbarcato sulla penisola di Ki-i, riuscirà a vincere gli dei malvagi di Kumano grazie al potere di questa spada. Quando penserà ad annettere i paesi dell’Est, confiderà questa idea a Ame-no-Hiwake-no-Mikoto affidandogli la spada sacra come simbolo della sua missione.

    Molto più tardi la spada, che si trovava nel grande santuario di Ise, sarà portata dall’eroe Yamato Takeru al santuario di Atsuta, vicino a Nagoya, dove da allora è conservata. Secondo gli archivi del santuario, nel 668, sotto il regno di Tenchi Tenno, un bonzo coreano rubò la spada ma, sorpreso da un tifone, fu immediatamente raggiunto e messo a morte; la spada, dopo una permanenza al palazzo imperiale, fu reintegrata nel santuario di Atsuta all’epoca di Tenmu Tenno (673-686). Durante la guerra che ingaggiarono il clan Taira e Minamoto, la vedova di Taira Kiyomori, vedendo che il suo clan stava crollando, si salvò portando via con sé il giovanissimo imperatore Antoku Tenno (suo nipote) e due dei tre sacri talismani, la spada sacra e il gioiello. Il giorno della famosa battaglia di Dan no Ura, si gettò in mare e si annegò con il nipote. Il famoso samurai Minamoto Yoshitsune riuscì a recuperare lo scrigno del gioiello, ma non poté ritrovare la spada celeste. È per questo che essa fu rimpiazzata con una antica sciabola (katana) del tesoro imperiale. Dopo un tale racconto, il lettore ben comprenderà perché questo emblema fu divinizzato, dato che era il simbolo stesso dell’anima del guerriero, della sua origine divina, e pertanto del suo coraggio e della sua purezza. Per questo motivo la spada diritta e la sciabola curva fanno parte degli attributi dello shintoismo così come del buddhismo.

    I costruttori di spade

    A causa della venerazione portata

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