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Ancor meglio tacendo: La preghiera cristiana
Ancor meglio tacendo: La preghiera cristiana
Ancor meglio tacendo: La preghiera cristiana
E-book97 pagine1 ora

Ancor meglio tacendo: La preghiera cristiana

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Info su questo ebook

«Dio se non lo cerchi lo trovi».

Meister Eckhart

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Pregare non è dire preghiere. E tantomeno un domandare per avere.
È un aprirsi per essere, via d'illuminazione per il compimento dell'umano.
Un radicale sì alla vita.
Uno sperimentare Dio talmente sopra tutto, che nulla se ne può dire.
Per questo lo si pregherà ancor meglio tacendo.

LinguaItaliano
Data di uscita9 ago 2021
ISBN9788869291753
Ancor meglio tacendo: La preghiera cristiana
Autore

Paolo Scquizzato

Prete, si occupa di formazione spirituale accompagnando nell'approfondimento della Parola e alla riscoperta e cura del Silenzio. Conduce gruppi di Meditazione Silenziosa ed è guida biblica in Palestina. È responsabile dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della diocesi di Pinerolo.

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    Ancor meglio tacendo - Paolo Scquizzato

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    Colophon

    Paolo Scquizzato

    Ancor meglio

    tacendo

    La preghiera cristiana

    Effatà Editrice logo

    Il perché di una copertina

    Ho scelto le opere di Filippo Rossi come copertine della collana «Le parole della spiritualità» per l’amicizia che ci lega e per la sua arte. Tutta l’opera di Filippo Rossi è testimone della rivelazione attraverso l’arte, di una salvezza che, giunta d’altrove, fa irruzione nello spazio oscuro, nero, l’inferno che abita ciascun uomo e che lo rende crocifisso della storia, colore del sangue versato. Arte come epifania della Grazia, Presenza gratis che irrompe color dell’oro. Irruzione attraverso l’amore più forte, che vince, che recupera e non butta via nulla; neanche il peccato, unico combustibile perché la salvezza — di nome misericordia — si possa mettere in moto. Oggi l’uomo ha necessità di giungere a vivere spiritualmente, di aprirsi cioè alla possibilità di essere raggiunto, abbracciato, amato. Salvato.

    Le opere di Filippo Rossi rappresentano tutta questa serena e gioiosa felicità che il nostro cuore attende e per la quale è fatto.

    Paolo Scquizzato

    Tanto Dio è sopra tutto, che nulla ne puoi dire:

    per questo lo preghi ancor meglio tacendo.

    Angelo Silesio, Il pellegrino cherubico I, 240

    A mia madre,

    che m’insegnò a pregare

    Pregare non significa 

    «dire preghiere»

    La preghiera come azione di Dio

    Non siamo noi i soggetti e protagonisti della preghiera, e tantomeno Dio è oggetto della nostra preghiera.

    Nella preghiera «è lo Spirito che parla allo Spirito. Lo schema del soggetto‐oggetto, del rivolgersi a qualcuno, viene trasceso: colui che parla mediante noi è lo stesso al quale ci rivolgiamo» (Paul Tillich, Teologia sistematica, vol. III).

    All’inizio del nostro percorso, date queste premesse, sorge una domanda cui è importante cercare di rispondere: ciò che noi chiamiamo Dio, possiamo considerarlo un «tu» personale? Insomma, Dio è persona?

    Si dovrebbe dire che Dio non è una persona (l’analogia, ci dice più ciò che non è che ciò che è). Dio è al di là dell’esperienza che noi facciamo delle persone e delle personalità. La nozione di «persona» che viene adoperata per distinguere Padre, Figlio e Spirito nella Trinità non è altro che un meccanismo concettuale per operare tale distinzione e non deve essere confusa con l’immagine di persona che noi deriviamo dalla ricca ma antropomorfica interpretazione che ha fornito il personalismo, e che rischia di farci vedere Dio come troppo umano. Dio è analogo a una persona, e possiamo apprendere qualcosa su di lui (o meglio, possiamo sgombrarci da un po’ dell’ignoranza che abbiamo su di lui) se gli applichiamo tale categoria in maniera veramente analogica. Ma, primariamente, Dio non è una persona. «Il Dio a cui rivolgiamo le preghiere viene definito come persona. Ma ciò suggerisce l’idea di un Dio come di un individuo finito, e ci sono così tante cose che si dicono di Dio che rendono quest’idea assurda, al punto che c’è da chiedersi perché quest’idea viene avanzata» (D. Z. Phillips). Dio primariamente è Dio. «Dio non è qualcuno che...», insiste Gabriel Marcel. «Più io sono indisponibile e più Dio mi appare come qualcuno che...». [...] Dire che la preghiera è il nostro modo di parlare a Dio rischia di ridurre la preghiera a un dialogo con noi stessi (Matthew Fox, Preghiera).

    La preghiera è lo spazio in cui Dio accade in noi nella misura in cui concediamo spazio al suo compiersi.

    In Gv 1,9 leggiamo: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». La preghiera è accoglienza, disponibilità a questa luce che gratuitamente e immeritatamente illumina ogni uomo, indipendentemente dalla propria credenza religiosa o condotta morale.

    Questa luce non è da intendersi come una realtà proveniente d’altrove, dall’esterno — magari dal cielo — che riceviamo facendo qualcosa, ma una realtà che, già presente in ogni uomo, potrà emergere sino ad irradiarsi a tutto l’uomo illuminandolo.

    È importante a questo punto approfondire cosa s’intende quando si parla di luce in grado — grazie alla preghiera — d’illuminare e trasfigurare l’intera esistenza.

    In ciascuno di noi è presente un principio, un seme divino che noi cristiani abbiamo imparato a chiamare spirito e che ad esempio le antiche Upanishad dell’India indicano con Ātman/Bráhman, l’eterna Realtà trascendente. Questa luce, questo principio di vita, ha bisogno di essere «liberato», aiutato a sbocciare. Va da sé che vivere la propria vita spirituale e dunque pregare non significherà altro che portare a maturazione quest’energia che è già nel proprio intimo e che reclama solo di poter deflagrare conducendoci così alla pienezza di noi stessi.

    Siamo tutti chiamati a germogliare, o se vogliamo, a trasformarci‐trasfigurarci ossia a rinascere dall’alto (cfr. il «rinascere dall’alto» di Gesù nel colloquio con Nicodemo, Gv 3,1ss.).

    Da questo punto di vista comprendiamo come con la preghiera non produciamo nulla, non provochiamo nulla e non invochiamo nessuno. Non si tratta di attirare a sé, ma di rendersi disponibili — dare spazio, s’è detto sopra — all’azione di un altro. È semplice attenzione a quel principio di vita che nell’intimo fa crescere, dilata, espande e fa sbocciare l’umano, come il fiore che sboccia grazie alla luce che lo colpisce.

    Interessante ciò che John Main scrive in

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