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Coco Chanel: Unica e insostituibile
Coco Chanel: Unica e insostituibile
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E-book292 pagine4 ore

Coco Chanel: Unica e insostituibile

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Info su questo ebook

Nonostante i racconti, le biografie e i film sulla sua vita, Gabrielle Chanel, per tutti Coco, continua a rimanere un mistero. Una donna nata poverissima, rimasta orfana e risorta alla vita diventando la prima grande influencer della storia e l’icona che ha rivoluzionato il mondo della moda. Questa nuova biografia indaga tra le pieghe della sua vita, portando alla luce nuove rivelazioni sulla Coco Chanel privata, i suoi grandi amori, gli immensi dolori e le passioni che abbracciavano anche il mondo femminile. Una storia raccontata su due fronti, quello che Chanel ci ha lasciato, e quello che la storia ci ha detto di lei. Tutto il profumo di un'epoca in un racconto che somiglia a un romanzo dalle sfumature forti, che mescola creazioni da sogno, intrighi internazionali e verità inimmaginabili sull’indimenticabile figura che continua, con il suo mito, a influenzare intere generazioni.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita25 gen 2021
ISBN9788836160839
Coco Chanel: Unica e insostituibile

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    Anteprima del libro

    Coco Chanel - Roberta Damiata

    La nascita di un’icona

    Il sole al tramonto

    Non mi pento di nulla nella mia vita, eccetto di quello che non ho fatto.

    Coco Chanel

    Saumur, Francia 1883. Il sole era al tramonto. Faceva caldo quel 19 agosto quando nacque Gabrielle, una bambina dai capelli scuri e con una tale fame di vita che a memoria d’uomo la suora che la aiutò a venire alla luce non ricordava. Sua madre aveva appena vent’anni ed era spaventata e sola. Vicino a lei non c’era nessuno a tenerle la mano quando i dolori del parto si fecero sentire così forti da impedirle quasi di respirare. «Jeanne, spingi», le gridava una delle monache che erano accorse in suo aiuto. Non avevano fatto in tempo neanche a farla arrivare in una delle stanzette dell’ospizio gestito dalle suore1. La creatura stava quasi per nascere per terra nell’ufficio dell’accettazione. La madre superiora, severa e poco incline alla solidarietà femminile, non aveva apprezzato quell’improvvisa intrusione nella loro vita monastica così silenziosa e piena di pace. La creatura che stava per venire al mondo la infastidiva con tutto il trambusto che aveva creato. Le grida della ragazza si fecero più forti quando una delle sorelle con la voce rotta dall’emozione si girò verso di lei per annunciare: «È nata, è una femmina».

    L’insofferenza della madre superiora si trasformò, a guisa di fulmine, in un senso di tristezza profonda. Nascere femmina, senza un padre presente, in un ospizio nel cuore della Loira, non era sinonimo di buona sorte per una neonata. Cosa avrebbe potuto fare nella vita?, si chiese mentre la bambina veniva pulita con una pezza di lino. Quale sarebbe stato il futuro suo e di quella giovane mamma che aveva già un’altra figlia piccola lasciata chissà dove? Nulla di buono le venne in mente, così decise di distogliere lo sguardo da quell’esserino ancora pieno di sangue e vita che urlava a più non posso e si incamminò verso la porta. Uscì di fretta da quella occasionale nursery e a passo veloce arrivò nella chiesetta dove due suore, arrivate da poco al monastero, stavano sistemando vasi di fiori freschi. La preghiera, era quella la soluzione. Affidare quella creatura a Dio: che la facesse vivere come si deve o che se la portasse via subito.

    Jeanne

    Jeanne era terrorizzata e sentiva ancora per tutto il corpo i dolori di quel parto che aveva temuto potesse ucciderla. Era arrivata all’ospizio quando ormai era quasi troppo tardi per chiedere aiuto, ma solo all’ultimo momento era riuscita a convincere la sua vicina a badare alla piccola Julia, la prima figlia di quasi un anno. Le lacrime le scorrevano sul viso sporco di polvere e i capelli lunghi, che erano il suo orgoglio di ragazza, erano appiccicati per via del sudore che le aveva imperlato tutto corpo. Abbracciando quella creatura, che una delle sorelle le aveva passato in una coperta pulita, ripensò a come fosse arrivata a quel punto, a come la sua vita, serena e morigerata, avesse preso quella piega inaspettata che ora stringeva forte al petto in un misto di incredulità e incanto. Fino a pochi anni prima era stata una ragazza giovane e ingenua, affidata a sei anni, dopo la prematura morte della madre, alle cure dello zio Augustin Chardon2, un viticoltore che abitava vicino a Courpière, un piccolo borgo che dominava la vallata della Dore. Il fratello Marin aveva invece continuato il mestiere di falegname che il padre gli aveva insegnato insieme a quel senso di correttezza e di morigerata onestà che lo aveva sempre contraddistinto in tutto il borgo. Il destino di Jeanne avrebbe dovuto essere diverso: aveva iniziato il mestiere di sarta e con un po’ di fortuna avrebbe lavorato in una bottega cucendo abiti e magari sposato un onesto contadino o uno dei viticoltori che lavoravano dallo zio, divenendo madre in maniera molto diversa da come invece era accaduto. E la colpa di quelle disgrazie era tutta di Albert Chanel.

    Henri

    Sedurre era quasi un’eredità di famiglia per Albert Chanel: suo padre Henri-Adrien3 aveva lasciato le montagne, dove era nato, per cercare fortuna e qualcosa con cui sfamarsi dignitosamente dopo che una terribile epidemia4 aveva colpito tutti i castagni che davano sostentamento all’intera zona5. Era il 1854. Alcuni dei suoi fratelli erano rimasti sul posto, mentre altri come lui si erano spostati. Particolarmente fortunato, era riuscito a sottrarsi con l’aiuto del fato a quella vita da bracciante e contadino che era stata scritta per lui in qualche parte dell’universo. Evitò anche, grazie a Dio, di recarsi nelle miniere di carbone vicino ad Alès6, dove tanta gente era morta respirando quell’aria malsana piena di polvere nera. La città lo spaventava, il cuore contadino fatto di boschi, ruscelli e aria pulita batteva in lui e lo guidava verso spazi aperti piuttosto che in cunicoli bui come quelli delle miniere. A quelli preferì il profumo dei fiori di gelso e la delicatezza dei bachi da seta che cominciò a curare a Saint-Jean-de-Valériscle7. Lavorava per la famiglia dei Fournier, che apprezzavano la grande dedizione che metteva nel curare i bozzoli dai quali ricavava, con un lungo processo, fili di seta scintillante che si trasformavano poi in magici tessuti dai colori cangianti. Tutto sarebbe filato liscio, proprio come quei fili lucenti, se Henri non avesse sedotto la figlia dei Fournier, la giovane Virginie Angéline che a sedici anni era poco più di una bambina. La famiglia, per lavare l’onta, obbligò Henri a sposare Angéline e la giovane coppia fu costretta a trasferirsi a Nîmes per evitare gli echi dello scandalo. Nonostante il suo odio atavico per la città, Henri si rivolse a uno dei fratelli che lo aiutò a crearsi un futuro come venditore ambulante. Con il suo carretto girava per tutta la regione, lasciando a casa la giovane moglie e con il passare degli anni, anche i diciannove figli che nacquero da quella relazione. La prima delle creature messe al mondo da Angéline mentre suo marito era in giro per fiere fu proprio Albert8, colui che sarebbe diventato il padre di Gabrielle Chanel.

    Quel primogenito ereditò da Henri non soltanto il lavoro di venditore ambulante che l’avrebbe portato ad allontanarsi da casa, ma anche quell’irrefrenabile spirito da seduttore che, come per suo padre in precedenza, gli avrebbe fatto mettere al mondo non una ma ben sei creature non particolarmente desiderate.

    A differenza del suo genitore, però, Albert era più avventuroso: amava spostarsi con la sua mercanzia e intrattenere piacevoli conversazioni con le donne che acquistavano volentieri i suoi prodotti, ma apprezzavano anche i suoi favori sessuali. Allargò via via il suo raggio d’azione fino a che, in un giorno d’inverno, approdò nella piccola cittadina medievale di Courpière, un borgo molto vivo di duemila abitanti pieno di commercianti, calzolai e mercati che attiravano molta gente. Allettato dal via vai di persone, mercanti e donne, decise di passare tutto l’inverno lì e affittò una camera da uno stimato falegname del posto, Marin Devolle. Questi era rimasto orfano in giovane età e aveva una sorella ospitata da uno zio, un viticoltore che abitava a qualche chilometro di distanza. Quando Albert la vide per la prima volta ebbe un unico pensiero: sedurla.

    Jeanne

    Per fortuna il parto era andato bene e Jeanne tornò a casa il giorno dopo con Gabrielle in braccio. Aveva lasciato l’altra figlia9 a casa di una vicina, che non appena la scorse non negò lo stupore di rivederla viva e con una bambina sana tra le braccia. Di Albert non c’era nessuna traccia: nonostante sapesse che la sua secondogenita sarebbe nata da lì a poco, non si era premurato di tornare a casa e anzi se la stava di sicuro spassando beatamente in qualche villaggio della grande regione dove vivevano. D’altronde, pensò Jeanne, non era la prima volta che fuggiva e le ritornarono alla mente le immagini di qualche anno prima. Suo fratello Marin, in visita dallo zio, le aveva raccontato di aver affittato una delle camere della loro casa d’infanzia a un giovane ambulante che vendeva mercanzia femminile di ottima fattura. «Potresti vedere se ci sono delle belle pezze di stoffa - le aveva detto visto che aveva da poco iniziato il mestiere di sarta - ho visto che ha merletti, fili e tutto quello che potrebbe servirti». Jeanne si era lasciata convincere e ricambiando la visita del fratello si era recata in uno dei mercati alla ricerca di Albert. L’aveva riconosciuto subito e ne era rimasta affascinata: non solo era giovane, ma gentile, affabile e la riempiva di complimenti. Lei aveva assaporato poco della vita: dopo la morte della madre aveva vissuto quasi interamente in casa dello zio e della sua famiglia così morigerata. Per non parlare poi di suo fratello Marin che era un vero esempio di rettitudine. Tornata a casa, però, non aveva fatto altro che pensare a quel venditore dagli occhi scuri che l’aveva chiamata bellissima. L’aveva incontrato nuovamente a casa di suo fratello e lui le aveva regalato un bel nastro bianco per i suoi lunghi capelli. Giorno dopo giorno, i due avevano iniziato a vedersi sempre più spesso. Jeanne stava molto attenta a non farsi scoprire da Marin, che di sicuro non avrebbe approvato, ma Albert per lei aveva cominciato a essere una presenza importante. Con lui si sentiva gratificata perché nessun uomo si era rivolto a lei in quel modo da quando era nata e gli incontri dietro casa erano il momento della giornata che Jeanne preferiva. Suo fratello Marin lavorava dalla mattina alla sera nella bottega, mentre Albert rientrava prima a casa e così i due erano liberi di fare lunghe chiacchierate senza che nessuno potesse disturbarli. Albert un giorno le aveva toccato il viso con la scusa di vedere quale nastro stesse bene con il suo incarnato e lei aveva sentito brividi per tutto il corpo.

    Completamente affascinata da quei gesti sempre più audaci, non aveva trovato nulla di strano quando lui l’aveva baciata per la prima volta, né quando, qualche giorno dopo, l’aveva presa per mano e portata nel fienile dietro casa con la scusa di stare più tranquilli. «Ho desiderato a lungo stare qui con te», le aveva sussurrato prima di farla stendere sulla paglia morbida, baciandola sempre più appassionatamente. Ed era stato lì che Jeanne, da ragazza sprovveduta e romantica, era diventata donna per mano di Albert Chanel, l’uomo con cui già si vedeva sposata. Aveva immaginato, prima di addormentarsi quella notte, che lui avrebbe parlato prima con suo fratello e poi con suo zio e alla fine sarebbero diventati marito e moglie. Ma le cose non andarono proprio così.

    Un paio di giorni dopo il parto Jeanne dovette far battezzare la piccola Gabrielle, il cui nome le era stato regalato da una delle suore che l’avevano aiutata a venire alla luce. «Gabrielle è perfetto per questa creatura» aveva detto la sorella «le porterà molta fortuna». Di Albert nessuna traccia, era ancora in giro chissà dove con il suo carretto. Non era sposata allora, come non lo era quando nacque Julia, la primogenita che da un giorno intero guardava con curiosità il piccolo fagotto che la mamma aveva portato a casa. Osservando il suo faccino curioso Jeanne non poté fare a meno di piangere, ricordando come aveva scoperto di aspettare quella creatura.

    Dopo l’avventura nel fienile, gli incontri con Albert si erano diradati. Mentre prima era la giovane a fare la ritrosa e lui a rincorrerla, ora le cose si erano capovolte ed era sempre Jeanne che con una scusa o con l’altra lo aspettava al ritorno dal mercato. «Sei cambiato con me», gli diceva, ma le risposte che riceveva non appartenevano più all’uomo gentile che l’aveva ricoperta di complimenti. Al suo posto c’era una persona brusca che non sopportava i suoi lamenti e le sue suppliche. Jeanne non sapeva come fare, i giorni passavano e Albert si allontanava sempre di più. Con il suo carretto andava molto lontano e passavano giorni e giorni prima che lei potesse rivederlo. Ad angosciarla ora, non c’era soltanto l’atteggiamento di quell’uomo, ma anche il fatto che da quando erano stati insieme, ed erano trascorsi oltre due mesi, non aveva più avuto le mestruazioni. Nonostante fosse una ragazza ingenua sapeva bene cosa questo significasse: si ricordava di Angeline, la figlia di uno dei lavoranti dello zio e lo scandalo che aveva suscitato quando si era scoperto che era incinta. Era stata cacciata di casa senza remore. Lei non poteva e non voleva fare quella fine. Si consolò pensando che questo non sarebbe successo, perché Albert l’avrebbe portata all’altare e sarebbero stati felici, con un figlio e una nuova famiglia.

    Albert

    Se avesse saputo che quella scappatella nel granaio insieme a Jeanne gli avrebbe creato così tanti problemi, avrebbe rivolto gli occhi da qualche altra parte. Doveva ammetterlo, questa volta aveva sbagliato: tra le tante ragazze che alla fine cadevano tra le sue braccia, Jeanne era la più lamentosa e petulante di tutte. Come faceva a non capire che per lui non significava niente? Eppure gli sembrava di essere stato molto chiaro rispondendole male e cercando di evitare qualsiasi contatto con lei. Niente. Quella ragazza era sempre lì quando tornava la sera e con ogni scusa cercava di attaccare bottone. Oggi la biancheria, l’indomani un dolce che aveva preparato e quando Albert le dedicava qualche attenzione, ormai più per pietà che interesse, lei scoppiava a piangere e gli chiedeva in continuazione quando sarebbe andato a parlare con il fratello e lo zio per chiedere loro la sua mano. «Fossi matto!», disse Albert a voce alta, riemergendo dai suoi pensieri: «Piuttosto torno a casa».

    Però doveva uscire al più presto da quella situazione. Ormai allungare i suoi giri e star via molto tempo non era sufficiente e a preoccuparlo ancora di più erano le forme di quella ragazza che si facevano ogni giorno più rotonde. Aveva occhio per questo, non per altro era uno tra i più bravi commercianti di tutta la regione e di misure femminili se ne intendeva. La fuga, pensò, di sicuro era la migliore tra le scelte.

    Marin

    Per Marin, il fratello di Jeanne, lavorare il legno era una ragione di vita. Ogni volta che toccava la superficie che aveva reso liscia con tanta fatica, gli sembrava di rivedere il padre intento a insegnargli il mestiere. Aveva quasi la sensazione di avere ancora una famiglia e nonostante andasse a trovarlo spesso, gli mancava sua sorella. Quando la madre era morta Jeanne aveva sei anni e lui era troppo giovane per opporsi alla proposta dello zio di educarla in casa sua. Ora che era cresciuta avrebbe voluto prenderla con sé, ma era impossibile: sapeva di non essere adatto a occuparsi di una ragazza che stava sbocciando.

    Da quando si era deciso ad affittare una delle camere della casa di famiglia in cui viveva, si sentiva però meno solo. Quell’Albert gli piaceva, anche se era così diverso da lui: allegro, spensierato, a volte caciarone, tutto ciò che lui non era e non sarebbe mai stato. Anche a Jeanne piaceva molto quello straniero e lui era felice di vederla sorridere ogni volta che parlavano insieme. Non era infrequente che Albert si allontanasse per giorni a causa dell’attività di venditore ambulante e per questo, quando quella mattina aveva bussato alla sua porta senza ottenere risposta, non si era preoccupato più di tanto. Quando però la camera rimase intatta per un’intera settimana capì che c’era qualcosa che non andava, non si era mai assentato per così tanto tempo, e in quel momento Marin ebbe la certezza: anche Albert lo aveva abbandonato.

    Augustin Chardon

    Da contadino e amante della terra, Augustin passava le sue giornate girando per le vigne. Aveva tanti lavoranti, ma nessuno era in grado di curare quelle tenere piantine come sapeva fare lui. Le amava, le comprendeva e da loro riusciva a tirare fuori un ottimo vino che gli permetteva di vivere agiatamente. Quando sua sorella era morta, prendere a casa la piccola Jeanne non fu un problema. Nonostante i modi bruschi era affezionato a quella bambina rimasta orfana e voleva per lei un futuro degno. Per questo l’aveva mandata da una sarta a imparare il mestiere. Ai suoi occhi Jeanne era sempre stata una ragazza a modo e non capiva perché ultimamente si comportasse in maniera strana. Non era mai stata tanto estroversa, ma ora era pallida e gli era stato riferito che spesso vomitava senza neanche aver mangiato un pezzo di pane. Doveva assolutamente parlare con il fratello Marin, perché quello che stava succedendo non gli piaceva affatto. Rimuginava su questi pensieri mentre controllava i grappoli violacei di quella immensa vigna e proprio in quel momento, come un lampo che lo illuminò, gli venne in mente Antoniette la figlia di uno dei suoi lavoranti, anch’essa sempre pallida e con le forme che si erano arrotondate giorno dopo giorno… Improvvisamente capì quale sciagura si stava per abbattere sulla loro dignitosa famiglia.

    Jeanne

    Con Gabrielle in braccio, da sola e senza l’appoggio della famiglia lontana, Jeanne andò all’anagrafe a far registrare la nascita10. I testimoni che aveva preso per strada mentirono per qualche spicciolo sulla sua situazione familiare e la piccola fu quindi registrata con il cognome del padre: Chanel. Anche i padrini necessari per il battesimo furono comprati da Jeanne con poche monete, così la bambina sarebbe stata protetta dal Signore e per il mondo avrebbe avuto il nome del padre. La stessa cosa era successa per Julia, la sua prima figlia, quando zio Augustin l’aveva cacciata di casa dopo aver scoperto che era incinta. Ricordò bene le lacrime che le erano scese copiose, la vergogna di raccontare cosa fosse successo in quel fienile insieme ad Albert e lo sguardo severo di suo fratello Marin quando l’aveva vista arrivare accompagnata dallo zio. Era un’onta troppo grande per una famiglia perbene come la loro. Tanto grande che anche il sindaco di Courpière, Victor Chamerlat11, decise di mettersi al fianco della famiglia Devolle per farla pagare a quel poco di buono di Albert Chanel, che nel frattempo, neanche a dirlo, era sparito. Ci vollero mesi di ricerche. Mesi in cui il suo pancione cresceva e lei viveva nascosta al mondo nella casa del fratello. Rintracciare un ambulante a quei tempi era come trovare un ago in un pagliaio. Tempo dopo, con un po’ di fortuna, riuscirono a rintracciare la madre e il padre di Albert12, Henri-Adrien e sua moglie Angéline che, terrorizzati dalle minacce della famiglia Devolle, rivelarono l’indirizzo del figlio ora residente ad Aubenas13, nell’Ardèche. Tutta la rabbia di Jeanne esplose e nonostante mancasse pochissimo al parto si recò nella cittadina alla ricerca di quel farabutto. Lo trovò in un albergo, beatamente dedito alle sue passioni: le donne, il cibo e il buon vino. Quando l’uomo aprì la porta e la vide, la sua faccia si fece bianca come quella di un lenzuolo appena lavato: «E tu cosa ci fai qui?», le chiese.

    Albert

    La fuga era stata proprio una buona idea. «Basta con le continue lamentele di Jeanne. Se era rimasta incinta era solo colpa sua. Come fa una ragazza a non sapere certe cose?» Per evitare problemi era andato via nel cuore della notte girovagando con la sua mercanzia in cerca di un posto tanto remunerativo come era stato, seppur per un breve periodo, Courpière. Girò per qualche settimana fino a che non arrivò ad Aubenas nella regione dell’Alvernia. Il comune era molto grazioso, gli piaceva l’aria che si respirava e c’erano molti mercati in cui avrebbe potuto stringere ottimi accordi. Questa volta però, invece di scegliere una camera in affitto preferì un albergo. Era più dignitoso per accogliere quelli con cui voleva fare affari e non c’erano troppi impiccioni come quel Marin, il falegname, fratello di quella Jeanne, di cui non voleva più sapere niente. La vita per lui scorreva liscia, il lavoro andava bene e si divertiva a ogni occasione. A ventisei anni era un bel giovane, con modi gentili, almeno così gli dicevano le numerose ragazze che lo seguivano in quell’albergo pronte a passare con lui qualche ora in allegria tra vino e buon cibo. Quel giorno Albert era intento a parlare con alcuni mercanti con cui ormai da qualche tempo faceva scambi proficui di merci, quando qualcuno alla porta cominciò a bussare incessantemente. Chi può essere?, pensò infastidito prima di scusarsi con i due uomini che aveva di fronte. «È di sicuro la signora che viene a portaci del vino, ne ho chiesto espressamente uno per farvelo assaggiare», disse a

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